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    Preghiere Messaggi

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    Rito ambrosiano

    Da Evangelizo.org:

    Sa 27 Apr : Atti degli Apostoli 11,27-30.
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    In questo tempo alcuni profeti scesero ad Antiochia da Gerusalemme. E uno di loro, di nome Agabo, alzatosi in piedi, annunziò per impulso dello Spirito che sarebbe scoppiata una grave carestia su tutta la terra.

    Ciò che di fatto avvenne sotto l'impero di Claudio. Allora i discepoli si accordarono, ciascuno secondo quello che possedeva, di mandare un soccorso ai fratelli abitanti nella Giudea; questo fecero, indirizzandolo agli anziani, per mezzo di Barnaba e Saulo.

    Sa 27 Apr : Salmi 133(132),1-3.
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    Canto delle ascensioni.

    Di Davide.

    Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme! È come olio profumato sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne, che scende sull'orlo della sua veste. È come rugiada dell'Ermon, che scende sui monti di Sion.

    Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre.

    Sa 27 Apr : Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinti 12,27-31.14,1a.
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    Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti operatori di miracoli? Tutti possiedono doni di far guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte. Ricercate la carità.

    Aspirate pure anche ai doni dello Spirito, soprattutto alla profezia.

    Sa 27 Apr : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 7,32-36.
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    I farisei intanto udirono che la gente sussurrava queste cose di lui e perciò i sommi sacerdoti e i farisei mandarono delle guardie per arrestarlo. Gesù disse: «Per poco tempo ancora rimango con voi, poi vado da colui che mi ha mandato. Voi mi cercherete, e non mi troverete; e dove sono io, voi non potrete venire». Dissero dunque tra loro i Giudei: «Dove mai sta per andare costui, che noi non potremo trovarlo? Andrà forse da quelli che sono dispersi fra i Greci e ammaestrerà i Greci? Che discorso è questo che ha fatto: Mi cercherete e non mi troverete e dove sono io voi non potrete venire?».

    Sa 27 Apr : San Basilio
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    La figura è un modo di esporre, mediante una similitudine, le cose che attendiamo.

    Per esempio, Adamo è la prefigurazione dell'Adamo che doveva venire (1 Cor 15,45) e la pietra [nel deserto durante l'Esodo] raffigura Cristo; l'acqua che sgorga dalla pietra è figura della potenza vivificante del Verbo (Es 17,3; 1 Cor 10,4), poiché egli ha detto: «Chi ha sete venga a me e beva» (Gv 7,37).

    La manna è la prefigurazione del «pane vivo, disceso dal cielo» (Gv 6,51); e il serpente alzato sopra un'asta è la figura della Passione, della nostra salvezza compiuta sulla croce, poiché coloro che lo guardavano erano salvati (Num 21,9).

    Allo stesso modo, ciò che la Scrittura dice degli Israeliti che escono dall'Egitto è come la prefigurazione di coloro che sarebbero stati salvati mediante il battesimo; infatti i primogeniti degli Israeliti sono stati salvati (...) per mezzo della grazia concessa a coloro che erano stati segnati dal sangue dell'agnello pasquale e questo sangue prefigurava il sangue di Cristo.

    (...) Quanto al mare e alla nube (Es 14), in quel tempo, conducevano alla fede mediante la meraviglia che ispiravano; ma per il futuro, prefiguravano la grazia che doveva venire.

    «Chi è saggio osservi queste cose» (Sal 107,43).

    Comprenderà che il mare, prefigurazione del battesimo, allontanava gli israeliti dal faraone, come il battesimo ci fa scampare dalla tirannia del diavolo.

    Un tempo, il mare ha soffocato in sé il nemico; oggi muore l'inimicizia che ci separava da Dio.

    Dal mare il popolo è uscito sano e salvo; e noi risaliamo dalle acque come risorti dai morti, salvati per mezzo della grazia di Colui che ci ha chiamati.

    Quanto alla nube, era l'ombra del dono dello Spirito, che rinfresca le nostre membra spegnendo la fiamma delle passioni.

    Ve 26 Apr : Atti degli Apostoli 11,1-18.
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    Gli apostoli e i fratelli che stavano nella Giudea vennero a sapere che anche i pagani avevano accolto la parola di Dio. E quando Pietro salì a Gerusalemme, i circoncisi lo rimproveravano dicendo: "Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato insieme con loro!". Allora Pietro raccontò per ordine come erano andate le cose, dicendo: "Io mi trovavo in preghiera nella città di Giaffa e vidi in estasi una visione: un oggetto, simile a una grande tovaglia, scendeva come calato dal cielo per i quattro capi e giunse fino a me. Fissandolo con attenzione, vidi in esso quadrupedi, fiere e rettili della terra e uccelli del cielo. E sentii una voce che mi diceva: Pietro, àlzati, uccidi e mangia! Risposi: Non sia mai, Signore, poiché nulla di profano e di immondo è entrato mai nella mia bocca. Ribattè nuovamente la voce dal cielo: Quello che Dio ha purificato, tu non considerarlo profano. Questo avvenne per tre volte e poi tutto fu risollevato di nuovo nel cielo. Ed ecco, in quell'istante, tre uomini giunsero alla casa dove eravamo, mandati da Cesarèa a cercarmi. Lo Spirito mi disse di andare con loro senza esitare.

    Vennero con me anche questi sei fratelli ed entrammo in casa di quell'uomo. Egli ci raccontò che aveva visto un angelo presentarsi in casa sua e dirgli: Manda a Giaffa e fà venire Simone detto anche Pietro; egli ti dirà parole per mezzo delle quali sarai salvato tu e tutta la tua famiglia. Avevo appena cominciato a parlare quando lo Spirito Santo scese su di loro, come in principio era sceso su di noi. Mi ricordai allora di quella parola del Signore che diceva: Giovanni battezzò con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo. Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che a noi per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?". All'udir questo si calmarono e cominciarono a glorificare Dio dicendo: "Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita!".

    Ve 26 Apr : Salmi 67(66),2-5.7-8.
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    Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, fra tutte le genti la tua salvezza. Ti lodino i popoli, Dio, ti lodino i popoli tutti. Esultino le genti e si rallegrino, perché giudichi i popoli con giustizia, governi le nazioni sulla terra. La terra ha dato il suo frutto.

    Ci benedica Dio, il nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra.

    Ve 26 Apr : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 7,25-31.
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    Intanto alcuni di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, e non gli dicono niente.

    Che forse i capi abbiano riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov'è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia». Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono.

    Eppure io non sono venuto da me e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io però lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato». Allora cercarono di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora. Molti della folla invece credettero in lui, e dicevano: «Il Cristo, quando verrà, potrà fare segni più grandi di quelli che ha fatto costui?».

    Ve 26 Apr : Origene
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    Cercare Gesù è per lo più in vista di un bene, poiché è come cercare il Verbo, la verità e la sapienza.

    Ma direte che a volte le parole « cercare Gesù » sono pronunciate riguardo a coloro che gli vogliono del male.

    Per esempio: « Cercarono di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era ancora giunta la sua ora ».

    (...) Egli sa da chi si allontana e accanto a chi rimane, quando non si è lasciato trovare, affinché cercandolo, lo troviamo nel momento favorevole.

    L'Apostolo Paolo dice a coloro che non possiedono ancora Gesù e non l'hanno ancora contemplato: « Non dire nel tuo cuore: Chi salirà al cielo? Questo significa farne discendere Cristo; oppure: Chi discenderà nell'abisso? Questo significa far risalire Cristo dai morti.

    Che dice dunque la Scrittura? Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore » (Rm 10, 6-8). Nel suo amore per gli uomini, quando il Signore dice: « Voi mi cercherete » (Gv 8,21), fa intravedere le cose del Regno di Dio, affinché coloro che lo cercano non lo cerchino fuori di se stessi dicendo « Eccolo qui, o: eccolo qua ».

    Il Vangelo dice loro: « Il Regno di Dio è in mezzo a voi » (Lc 17,21).

    Finché teniamo il seme della verità deposto nella nostra anima, e i suoi comandamenti, il Verbo non si allontana da noi.

    Invece, se il male si diffonde in noi per corromperci, Gesù ci dirà: « Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato » (Gv 8,21).

    Gi 25 Apr : Prima lettera di san Pietro apostolo 5,5b-14.
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    Ugualmente, voi, giovani, siate sottomessi agli anziani.

    Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perchè Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate.

    Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi. E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà, dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e saldi. A lui la potenza nei secoli.

    Amen! Vi ho scritto, come io ritengo, brevemente per mezzo di Silvano, fratello fedele, per esortarvi e attestarvi che questa è la vera grazia di Dio.

    In essa state saldi! Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio. Salutatevi l'un l'altro con bacio di carità.

    Pace a voi tutti che siete in Cristo!

    Gi 25 Apr : Salmi 89(88),2-3.6-7.16-17.
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    Canterò senza fine le grazie del Signore, con la mia bocca annunzierò la tua fedeltà nei secoli, perché hai detto: "La mia grazia rimane per sempre"; la tua fedeltà è fondata nei cieli. I cieli cantano le tue meraviglie, Signore, la tua fedeltà nell'assemblea dei santi. Chi sulle nubi è uguale al Signore, chi è simile al Signore tra gli angeli di Dio? Beato il popolo che ti sa acclamare e cammina, o Signore, alla luce del tuo volto: esulta tutto il giorno nel tuo nome, nella tua giustizia trova la sua gloria.

    Gi 25 Apr : Seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo 4,9-18.
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    Cerca di venire presto da me, perché Dema mi ha abbondonato avendo preferito il secolo presente ed è partito per Tessalonica; Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me.

    Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero. Ho inviato Tìchico a Efeso. Venendo, portami il mantello che ho lasciato a Troade in casa di Carpo e anche i libri, soprattutto le pergamene. Alessandro, il ramaio, mi ha procurato molti mali.

    Il Signore gli renderà secondo le sue opere; guàrdatene anche tu, perché è stato un accanito avversario della nostra predicazione. Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato.

    Non se ne tenga conto contro di loro. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno eterno; a lui la gloria nei secoli dei secoli.

    Amen.

    Gi 25 Apr : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 10,1-9.
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    Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi.

    Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede.

    Non passate di casa in casa. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio.

    Gi 25 Apr : Sant'Ireneo di Lione
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    Dopo che nostro Signore è stato risuscitato dai morti e che i santi apostoli sono stati rivestiti della forza dall'alto mediante la venuta dello Spirito Santo (Lc 24,49), essi erano colmi di certezza e di conoscenza.

    Allora giunsero fino ai confini della terra (Sal 19,5), proclamando la buona novella di Dio, e annunciando agli uomini la pace del cielo.

    Possedevano infatti tutti ugualmente, e ognuno in particolare, il Vangelo di Dio. Così Matteo ha pubblicato per gli Ebrei, nella loro lingua, una forma scritta del Vangelo mentre Pietro e Paolo evangelizzavano Roma e vi fondavano la Chiesa.

    Dopo la loro morte, Marco, il discepolo di Pietro e suo interprete (1Pt 5,13), ci ha trasmesso, pure per iscritto, la predicazione di Pietro.

    Quanto a Luca, il compagno di Paolo, ha messo per iscritto il vangelo predicato da lui.

    Infine anche Giovanni, il discepolo del Signore, che aveva riposato sul suo petto, ha pubblicato il Vangelo, durante il suo soggiorno a Efeso.

    (...) Marco, interprete e compagno di Pietro, ha presentato l'inizio della sua redazione del vangelo in questo modo: "Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.

    Come è scritto nel profeta Isaia: Ecco io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada".

    (...).

    Lo vediamo, Marco ha fatto delle parole dei santi profeti il principio del Vangelo, e ha messo all'inizio, come Padre del nostro Signore Gesù Cristo, colui che i profeti hanno proclamato Dio e Signore.

    (...) Alla fine del suo Vangelo, Marco dice: "Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio".

    E' la conferma della parola del profeta: "Oracolo del Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi" (Sal 110,1).


    Rito romano

    Da Evangelizo.org:

    Sa 27 Apr : Atti degli Apostoli 13,44-52.
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    Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola di Dio. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo, bestemmiando. Allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: "Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto come luce per le genti, perché tu porti la salvezza sino all'estremità della terra". Nell'udir ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola di Dio e abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna. La parola di Dio si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le donne pie di alto rango e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio, mentre i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

    Sa 27 Apr : Salmi 98(97),1.2-3ab.3cd-4.
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    Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto prodigi.

    Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo. Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia. Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa di Israele. Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio. Acclami al Signore tutta la terra, gridate, esultate con canti di gioia.

    Sa 27 Apr : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 14,7-14.
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    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre.

    Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre». Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.»

    Sa 27 Apr : Sant'Ireneo di Lione
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    Avranno la vita coloro che vedono Dio, poiché ella è l'espressione dello splendore di Dio.

    E' questo il motivo per cui chi è inafferrabile, incomprensibile e invisibile si fa vedere, comprendere e raggiungere dagli uomini: dare la vita a coloro che lo incontrano e lo vedono.

    Infatti, se la sua grandezza è imperscrutabile, la sua bontà è pure inesprimibile, è grazie ad essa che egli si fa vedere e dona la vita a coloro che lo vedono.

    E' impossibile vivere senza la vita e non c'è vita che per partecipazione a Dio, partecipazione che consiste nel vedere Dio e gioire della sua bontà. Quindi gli uomini vedranno Dio per vivere, divenire immortali a questa vista ed arrivare a Dio.

    Ecco cosa era annunciato in modo figurato dai profeti, che Dio sarebbe stato visto dagli uomini che hanno il suo Spirito e attendono la sua venuta, secondo quanto dice Mosè nel deuteronomio: "In quel giorno vedremo Dio che parlerà con l'uomo e l'uomo resterà vivo" (cfr.

    Deut 5,24).

    (...) Chi opera tutto in tutti è invisibile e inesprimibile, quanto a potenza e grandezza, per tutti gli esseri fatti per mezzo di lui; tuttavia non è a loro completamente sconosciuto, poiché tutti comprendono attraverso il Verbo che c'è un solo Dio Padre che contiene ogni cosa e dà l'esistenza a tutti, come ha detto lo stesso Signore: "Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato." (Gv 1,18)

    Ve 26 Apr : Atti degli Apostoli 13,26-33.
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    In quei giorni, giunto Paolo ad Antiochia di Pisidia, diceva nella sinagoga: «Fratelli, figli della stirpe di Abramo, e quanti fra voi siete timorati di Dio, a noi è stata mandata questa parola di salvezza. Gli abitanti di Gerusalemme infatti e i loro capi non l'hanno riconosciuto e condannandolo hanno adempiuto le parole dei profeti che si leggono ogni sabato; e, pur non avendo trovato in lui nessun motivo di condanna a morte, chiesero a Pilato che fosse ucciso. Dopo aver compiuto tutto quanto era stato scritto di lui, lo deposero dalla croce e lo misero nel sepolcro. Ma Dio lo ha risuscitato dai morti ed egli è apparso per molti giorni a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, e questi ora sono i suoi testimoni davanti al popolo. E noi vi annunziamo la buona novella che la promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché Dio l'ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo: "Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato"».

    Ve 26 Apr : Salmi 2,6-7.8-9.10-11.
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    «Io l'ho costituito mio sovrano sul Sion mio santo monte». Annunzierò il decreto del Signore.

    Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra». Le spezzerai con scettro di ferro, come vasi di argilla le frantumerai». E ora, sovrani, siate saggi, istruitevi, giudici della terra; servite Dio con timore e con tremore esultate.

    Ve 26 Apr : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 14,1-6.
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    In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore.

    Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti.

    Se no, ve l'avrei detto.

    Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita.

    Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».

    Ve 26 Apr : Santa Caterina da Siena
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    La sovrana Bontà si manifesta in diversi modi e Cristo benedetto ha detto: "Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore" (Gv 14,2).

    Chi potrà dire la diversità dei mezzi, visite, doni e grazie si Dio, non solo nelle creature, ma in un'anima sola? Poiché, come sono varie le virtù, anche se tutte col segno della carità, il comportamento e le opere dei servi di Dio sono altrettanto diversi; non che chi ha perfettamente la virtù della carità non abbia anche tutte le altre, ma ognuno ne ha una che prevale sulle altre.

    Da ciò le diversità di vita.

    Chi ha soprattutto la carità trova la sua gioia ad esercitarla verso il prossimo; chi ha l'umiltà ricerca con passione la solitudine.

    Uno ama la giustizia, l'altro la libertà frutto di una fede viva che sembra nulla temere.

    Altri amano la penitenza e si danno alla mortificazione del corpo; altri s'impegnano ad annullare la propria volontà per una vera e perfetta obbedienza.

    Modi diversi, anche se tutti nella via della carità. I santi che gioiscono della vita eterna l'hanno tutti seguita, pur in diversi modi; infatti non ce n'è uno che assomigli all'altro.

    C'è la stessa diversità fra gli angeli, che non sono tutti uguali.

    Una delle gioie dell'anima nella vita eterna è anche vedere la grandezza di Dio nella varietà della ricompensa che dà ai suoi santi.

    Gi 25 Apr : Prima lettera di san Pietro apostolo 5,5b-14.
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    Carissimi, rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perchè Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate.

    Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi. E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà, dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e saldi. A lui la potenza nei secoli.

    Amen! Vi ho scritto, come io ritengo, brevemente per mezzo di Silvano, fratello fedele, per esortarvi e attestarvi che questa è la vera grazia di Dio.

    In essa state saldi! Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio. Salutatevi l'un l'altro con bacio di carità.

    Pace a voi tutti che siete in Cristo!

    Gi 25 Apr : Salmi 89(88),2-3.6-7.16-17.
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    Canterò senza fine le grazie del Signore, con la mia bocca annunzierò la tua fedeltà nei secoli, perché hai detto: «La mia grazia rimane per sempre»; la tua fedeltà è fondata nei cieli. I cieli cantano le tue meraviglie, Signore, la tua fedeltà nell'assemblea dei santi. Chi sulle nubi è uguale al Signore, chi è simile al Signore tra gli angeli di Dio? Beato il popolo che ti sa acclamare e cammina, o Signore, alla luce del tuo volto: esulta tutto il giorno nel tuo nome, nella tua giustizia trova la sua gloria.

    Gi 25 Apr : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 16,15-20.
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    In quel tempo Gesù apparve agli Undici e disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.» Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano.

    Gi 25 Apr : Sant'Ireneo di Lione
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    Dopo che nostro Signore è stato risuscitato dai morti e che i santi apostoli sono stati rivestiti della forza dall'alto mediante la venuta dello Spirito Santo (Lc 24,49), essi erano colmi di certezza e di conoscenza.

    Allora giunsero fino ai confini della terra (Sal 19,5), proclamando la buona novella di Dio, e annunciando agli uomini la pace del cielo.

    Possedevano infatti tutti ugualmente, e ognuno in particolare, il Vangelo di Dio. Così Matteo ha pubblicato per gli Ebrei, nella loro lingua, una forma scritta del Vangelo mentre Pietro e Paolo evangelizzavano Roma e vi fondavano la Chiesa.

    Dopo la loro morte, Marco, il discepolo di Pietro e suo interprete (1Pt 5,13), ci ha trasmesso, pure per iscritto, la predicazione di Pietro.

    Quanto a Luca, il compagno di Paolo, ha messo per iscritto il vangelo predicato da lui.

    Infine anche Giovanni, il discepolo del Signore, che aveva riposato sul suo petto, ha pubblicato il Vangelo, durante il suo soggiorno a Efeso.

    (...) Marco, interprete e compagno di Pietro, ha presentato l'inizio della sua redazione del vangelo in questo modo: "Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.

    Come è scritto nel profeta Isaia: Ecco io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada".

    (...).

    Lo vediamo, Marco ha fatto delle parole dei santi profeti il principio del Vangelo, e ha messo all'inizio, come Padre del nostro Signore Gesù Cristo, colui che i profeti hanno proclamato Dio e Signore.

    (...) Alla fine del suo Vangelo, Marco dice: "Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio".

    E' la conferma della parola del profeta: "Oracolo del Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi" (Sal 110,1).


    Santa Marta

    Omelie di Papa Francesco da Santa Marta, via 'cosa resta del giorno':

    Lo Spirito Santo ci ricorda l’accesso al Padre (17 maggio 2020)

    Discorsi e omelie di Papa Francesco

    Ai Membri della Federazione Italiana Dama (26 Apr 2024)
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    Cari amiche e amici, benvenuti!

    Sono contento di incontrarvi, a cento anni dalla nascita della vostra Federazione.

    Saluto il Presidente e tutti voi.

    Il gioco della dama ha due belle caratteristiche: stimola la mente ed è accessibile a tutti.

    Infatti richiede intelligenza, abilità e attenzione, ma non grandi mezzi e strutture.

    È uno di quei giochi con cui, ovunque ci si trovi, si può facilmente creare un momento di incontro e di divertimento: bastano una scacchiera e le pedine, due giocatori, ed è un modo simpatico di stare insieme.

    Questo fa sì che la dama sia un gioco per tutti, praticato in varie parti del mondo.

    Ad esempio, risulta che sia uno degli svaghi più comuni tra i migranti che approdano sulle nostre coste: tanti di questi fratelli e sorelle, in situazioni di grande incertezza e apprensione, trovano sollievo giocando a dama, a volte anche insieme alla gente che li accoglie, nella semplicità e nella condivisione.

    E inoltre è un gioco che fa esercitare la capacità logica, e ce n’è bisogno, perché l’abuso dei nuovi media invece la fa addormentare!

    Cari amici, è bello il vostro incontrarvi con gioia, per conoscervi e sfidarvi sportivamente: in un mondo caratterizzato dall’individualismo, che a volte rischia di diventare isolamento, questo fa circolare aria pulita , aria fresca, il vostro gioco.

    Perciò auguro ogni bene per la vostra attività; e vi incoraggio anche a tenere vivi i momenti di spiritualità che abitualmente associate agli eventi più importanti organizzati dalla Federazione.

    Vi ringrazio della vostra visita e vi benedico.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    E portate sempre i bambini, che sono una promessa! Grazie.

    Ai Membri dell'Azione Cattolica Italiana (25 Apr 2024)
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    Cari amiche e amici dell’Azione Cattolica, buongiorno e benvenuti!

    Grazie per la vostra presenza.

    Vi saluto con affetto, in particolare il Presidente nazionale e l’Assistente generale.

    Poco fa, passando in mezzo a voi, ho incrociato sguardi pieni di gioia , pieni di speranza.

    Grazie per questo abbraccio così intenso e bello, che da qui vuole allargarsi a tutta l’umanità, specialmente a chi soffre.

    Mai dobbiamo dimenticare le persone che soffrono.

    Il titolo che avete scelto per il vostro incontro è infatti “A braccia aperte”.

    L’abbraccio è una delle espressioni più spontanee dell’esperienza umana.

    La vita dell’uomo si apre con un abbraccio, quello dei genitori, primo gesto di accoglienza, a cui ne seguono tanti altri, che danno senso e valore ai giorni e agli anni, fino all’ultimo, quello del congedo dal cammino terreno.

    E soprattutto è avvolta dal grande abbraccio di Dio, che ci ama, ci ama per primo e non smette mai di stringerci a sé, specialmente quando ritorniamo dopo esserci perduti, come ci mostra la parabola del Padre misericordioso (cfr Lc 15,1-3.11-32).

    Cosa sarebbe la nostra vita, e come potrebbe realizzarsi la missione della Chiesa senza questi abbracci? Perciò vorrei proporvi, come spunti di riflessione, tre tipi di abbraccio: l’abbraccio che manca, l’abbraccio che salva e l’abbraccio che cambia la vita.

    Primo: l’abbraccio che manca.

    Lo slancio che oggi esprimete in modo così festoso non è sempre accolto con favore nel nostro mondo: a volte incontra chiusure , a volte incontra resistenze, per cui le braccia si irrigidiscono e le mani si serrano minacciose, divenendo non più veicoli di fraternità, ma di rifiuto, di contrapposizione, anche violenta a volte, un segno di diffidenza nei confronti degli altri, vicini e lontani, fino a portare al conflitto.

    Quando l’abbraccio si trasfroma in un pugno è molto pericoloso.

    All’origine delle guerre ci sono spesso abbracci mancati o abbracci rifiutati, a cui seguono pregiudizi, incomprensioni, sospetti, fino a vedere l’altro un nemico.

    E tutto ciò purtroppo, in questi giorni, è sotto i nostri occhi, in troppe parti del mondo! Con la vostra presenza e con il vostro lavoro, invece, voi potete testimoniare a tutti che la via dell’abbraccio è la via della vita.

    Il che ci porta al secondo passaggio.

    Il primo era l’abbraccio che manca, adesso vediamo l’abbraccio che salva.

    Già umanamente abbracciarsi significa esprimere valori positivi e fondamentali come l’affetto, la stima, la fiducia, l’incoraggiamento, la riconciliazione.

    Ma diventa ancora più  vitale quando lo si vive nella dimensione della fede.

    Al centro della nostra esistenza, infatti, c’è proprio l’abbraccio misericordioso di Dio che salva, l’abbraccio del Padre buono che si è rivelato in Cristo, e il cui volto è riflesso in ogni suo gesto – di perdono, di guarigione, di liberazione, di servizio (cfr Gv 13,1-15) – e il cui svelarsi raggiunge il suo culmine nell’Eucaristia e sulla Croce, quando Cristo offre la sua vita per la salvezza del mondo, per il bene di chiunque lo accolga con cuore sincero, perdonando anche ai suoi crocifissori (cfr Lc 23,34).

    E tutto questo ci è mostrato perché anche noi impariamo a fare lo stesso.

    Perciò, non perdiamo mai di vista l’abbraccio del Padre che salva, paradigma della vita e cuore del Vangelo, modello di radicalità dell’amore, che si nutre e si ispira al dono gratuito e sempre sovrabbondante di Dio (cfr Mt 5,44-48).

    Fratelli e sorelle, lasciamoci abbracciare da Lui, come bambini (cfr Mt 18,2-3; Mc 10,13-16), lasciamoci abbracciare da Lui come bambini.

    Ognuno di noi ha nel cuore qualcosa di bambino che ha bisogno di un abbraccio.

    Lasciamoci abbracciare dal Signore.

    Così, nell’abbraccio del Signore impariamo ad abbracciare gli altri.

    Andiamo al terzo passo.

    Primo, l’abbraccio che manca; secondo, l’abbraccio che salva; terzo, l’abbraccio che cambia la vita.Un abbraccio può cambiare la vita, mostrare strade nuove, strade di speranza.

    Sono molti i santi nella cui esistenza un abbraccio ha segnato una svolta decisiva, come San Francesco, che lasciò tutto per seguire il Signore dopo aver stretto a sé un lebbroso, come lui stesso ricorda nel suo testamento (cfr FF 110, 1407-1408).

    E se questo è stato valido per loro, lo è anche per noi.

    Ad esempio per la vostra vita associativa, che è multiforme e trova il denominatore comune proprio nell’abbraccio della carità (cfr Col 3,14; Rm 13,10), unico contrassegno essenziale dei discepoli di Cristo (cfr Lumen gentium, 42), regola, forma e fine di ogni mezzo di santificazione e di apostolato.

    Lasciate che sia essa a plasmare ogni vostro sforzo e servizio, perché possiate vivere fedeli alla vostra vocazione e alla vostra storia (cfr Discorso all’Azione Cattolica30 aprile 2017).

    Amici, voi sarete tanto più presenza di Cristo quanto più saprete stringere a voi e sorreggere ogni fratello bisognoso con braccia misericordiose e compassionevoli, da laici impegnati nelle vicende del mondo e della storia, ricchi di una grande tradizione, formati e competenti in ciò che riguarda le vostre responsabilità, e al tempo stesso umili e ferventi nella vita dello spirito.

    Così potrete porre segni concreti di cambiamento secondo il Vangelo a livello sociale, culturale, politico ed economico nei contesti in cui operate.

    Allora, fratelli e sorelle, la “cultura dell’abbraccio”, attraverso i vostri cammini personali e comunitari, crescerà nella Chiesa e nella società,  rinnovando le relazioni familiari ed educative, rinnovando i processi di riconciliazione e di giustizia, rinnovando gli sforzi di comunione e di corresponsabilità, costruendo legami per un futuro di pace (cfr Discorso al Consiglio Nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, 30 aprile 2021).

    E in proposito vorrei aggiungere un ultimo pensiero.

    Vedervi qui tutti insieme – ragazzi, famiglie, uomini e donne, studenti, lavoratori, giovani, adulti e “adultissimi” (come chiamate quelli della mia generazione) – mi fa venire in mente il Sinodo.

    E penso al Sinodo in corso, che giunge alla sua terza tappa, la più impegnativa e importante, quella profetica.

    Ora si tratta di tradurre il lavoro delle fasi precedenti in scelte che diano slancio e vita nuova alla missione della Chiesa nel nostro tempo.

    Ma la cosa più improtante di questo Sinodo è la sinodalità.

    Gli argomenti, i temi, sono per portare avanti questa espressione della Chiesa, che è sinodalità.

    Per questo c’è bisogno di uomini e donne sinodali, che sappiano dialogare, interloquire, cercare insieme.

    C’è bisogno di gente forgiata dallo Spirito, di “pellegrini di speranza”, come dice il tema del Giubileo ormai vicino, uomini e donne capaci di tracciare e percorrere sentieri nuovi e impegnativi.

    Vi invito dunque ad essere “atleti e portabandiera di sinodalità” (cfr ibid.), nelle diocesi e nelle parrocchie di cui fate parte, per una piena attuazione del cammino fatto fino ad oggi.

    Nei mesi scorsi avete vissuto, nelle vostre comunità, momenti di intensa esperienza associativa, con il rinnovo dei responsabili a livello diocesano e parrocchiale, e questa sera inizierà la XVIII Assemblea nazionale.

    Vi auguro di vivere anche queste esperienze non come adempimenti formali, no, ma come  momenti di comunione , momenti di corresponsabilità, momenti ecclesiali, in cui contagiarsi a vicenda con abbracci di affetto e di stima fraterna (cfr Rm 12,10).

    Carissimi, grazie per quello che siete, grazie per quello che fate! La Madonna vi accompagni sempre.

    Prego per voi.

    E vi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me, a favore, non contro! Grazie.

    Ai Pellegrini dall'Ungheria (25 Apr 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti! Isten hozott!

    Saluto tutti voi, che siete venuti a confermare il vostro legame con il Successore di Pietro e a fare la vostra professione di fede, in questo tempo pasquale nel quale il Signore Risorto ci illumina e ci dona la speranza che non delude.

    Saluto il Cardinale Péter Erdő, Primate d’Ungheria.

    Saluto il Presidente della Conferenza Episcopale Ungherese, Mons.

    András Veres, tutti i Vescovi presenti, i sacerdoti, i consacrati, i fedeli laici.

    Saluto le Autorità civili, in particolare sono lieto di dare il benvenuto al nuovo Presidente d’Ungheria, il Signor Tamás Sulyok.

    Il vostro pellegrinaggio avviene un anno dopo il mio Viaggio Apostolico in Ungheria, che porto nel cuore con tanta gratitudine.

    Per questo mi piace oggi farne memoria, ricordando che sono venuto in mezzo a voi come pellegrino, come fratello e come amico.

    A Budapest, bella città di ponti e di santi, sono stato pellegrino per pregare insieme con voi.

    Pregare per l’Europa, per «il desiderio di costruire la pace, di dare alle giovani generazioni un futuro di speranza, non di guerra; un avvenire pieno di culle, non di tombe; un mondo di fratelli, non di muri» (Regina Caeli, 30 aprile 2023).

    Ho pregato per la vostra cara Nazione, che da un millennio abita quella terra e la feconda col Vangelo di Cristo.

    Nella preghiera possiate sempre ritrovare la forza, la determinazione per seguire, anche nel contesto storico attuale, l’esempio dei Santi e dei Beati germogliati dal vostro popolo.

    Il Risorto, apparendo in mezzo ai suoi discepoli, ha donato loro la pace.

    Non dimentichiamo, fratelli e sorelle, che la realizzazione di questo grande dono inizia nel cuore di ognuno di noi; inizia davanti alla porta di casa mia quando, prima di uscire, decido se voglio vivere quel giorno come un uomo o una donna di pace, cioè di vivere in pace con gli altri.

    La pace nasce quando decido di perdonare, anche se è difficile, e questo riempie il cuore di gioia.

    Nuovamente affido la Chiesa nel vostro Paese all’intercessione della Magna Domina Hungarorum, di Santo Stefano, San Ladislao, Santa Elisabetta, Sant’Emerico e di tutti i Santi e Beati: che essa si fortifichi nell’ardore della testimonianza e nella gioia dell’annuncio.

    Oltre che come pellegrino, ho voluto venire tra voi da fratello.

    Specialmente nell’incontro con voi, cari Vescovi, cari sacerdoti, religiose e religiosi.

    Vi ho incoraggiato ad assumere come atteggiamento e stile di vita lo “stile di Dio”, che è fatto di tenerezza, vicinanza e compassione.

    Non dimenticare questo: lo stile di Dio è tenerezza, vicinanza e compassione.

    In questo vi aiutano gli esempi recenti del tempo della persecuzione, come quello del Beato Vilmos Apor, che per la sua vicinanza e la difesa delle donne rifugiate ha dovuto pagare con la vita.

    Oppure quello di Zoltán Meszlényi, che ha compiuto con tanta dedizione il suo servizio fino all’ultimo momento della vita.

    E come non ricordare il giovane sacerdote János Brenner? Spinto dalla tenerezza e dello zelo pastorale, andò a confortare un presunto malato portandogli la Comunione, senza sospettare che era una trappola e che sarebbe stato barbaramente ucciso.

    O anche Sára Salkaházi, che durante la deportazione nazista degli ebrei ebbe compassione delle vittime, tanto che subì il martirio sotto il Ponte della Libertà a Pest.

    Questi esempi vi spingano ad avere gli stessi atteggiamenti verso coloro che sono affidati alla vostre cure.

    E poi ho voluto stare insieme a voi come un amico.

    In particolare, ricordo con tanta gioia l’incontro con voi, cari giovani.

    Voglio ancora incoraggiarvi a camminare nel dialogo con le generazioni che vi hanno preceduto.

    A parlare con i nonni, con gli anziani del vostro popolo; a cercare le radici, perché così metterete basi solide per il futuro.

    Custodendo le radici potrete guardare avanti con fiducia, rafforzandovi nei valori che danno vita: la famiglia, l’unità, la pace.

    Mi piace quel vostro proverbio molto evangelico: “Meglio dare che ricevere” – Jobb adni mind kapni.

    È proprio così: donandosi uno si ritrova e la sua vita non rimane vuota.

    Come amico ho incontrato anche persone in condizioni di sofferenza: profughi, poveri, emarginati.

    Vi ringrazio perché avete il cuore aperto verso i profughi ucraini che hanno lasciato il loro Paese a causa della guerra.

    E apprezzo anche i vostri sforzi di integrare coloro che vivono nelle periferie della società.

    Cari fratelli e sorelle, grazie per la vostra vicinanza e il vostro affetto! Camminiamo insieme sulla via del Signore come uomini e donne “pasquali”, e riconosciamolo nello spezzare il pane, alla mensa eucaristica e a quella degli affamati; nella sua Parola e nell’incontro con gli altri.

    Grazie per la vostra fedeltà a Cristo, manifestata nella testimonianza della fede e nell’ecumenismo vissuto, nei rapporti con i vostri vicini, nella carità accogliente anche di chi è diverso, nel rispetto di ogni vita umana e nella cura responsabile per l’ambiente.

    Vi benedico di cuore, e la Madonna vi custodisca.

    Isten áld meg a magyart! – Dio benedica gli ungheresi! E per favore, continuate a pregare per me.

    Grazie!

    Udienza Generale del 24 Apr 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 16. La vita di grazia secondo lo Spirito
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    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    16. La vita di grazia secondo lo Spirito


    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Nelle scorse settimane abbiamo riflettuto sulle virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.

    Sono le quattro virtù cardinali.

    Come abbiamo sottolineato più volte, queste quattro virtù appartengono a una sapienza molto antica, che precede anche il cristianesimo.

    Già prima di Cristo si predicava l’onestà come dovere civile, la sapienza come regola delle azioni, il coraggio come ingrediente fondamentale per una vita che tende verso il bene, la moderazione come misura necessaria per non essere travolti dagli eccessi.

    Questo patrimonio tanto antico, patrimonio dell’umanità, non è stato sostituito dal cristianesimo, ma messo bene a fuoco, valorizzato, purificato e integrato nella fede.

    C’è dunque nel cuore di ogni uomo e donna la capacità di ricercare il bene.

    Lo Spirito Santo è donato perché chi lo accoglie possa distinguere chiaramente il bene dal male, avere la forza per aderire al bene rifuggendo dal male e, così facendo, raggiungere la piena realizzazione di sé.

    Ma nel cammino che tutti stiamo facendo verso la pienezza della vita, che appartiene al destino di ogni persona – il destino di ogni persona è la pienezza, essere piena di vita –, il cristiano gode di una particolare assistenza dello Spirito Santo, lo Spirito di Gesù.

    Essa si attua con il dono di altre tre virtù, prettamente cristiane, che spesso vengono nominate insieme negli scritti del Nuovo Testamento.

    Questi atteggiamenti fondamentali, che caratterizzano la vita del cristiano, sono tre virtù che noi diremo adesso insieme: la fede, la speranza e la carità.

    Diciamolo insieme: [insieme] la fede, la speranza… non sento niente, più forte! [insieme] La fede, la speranza e la carità.

    Siete stati bravi! Gli scrittori cristiani le hanno ben presto chiamate virtù “teologali”, in quanto si ricevono e si vivono nella relazione con Dio, per differenziarle dalle altre quattro chiamate “cardinali”, in quanto costituiscono il “cardine” di una vita buona.

    Queste tre sono ricevute nel Battesimo e vengono dallo Spirito Santo.

    Le une e le altre, sia le teologali sia le cardinali, accostate in tante riflessioni sistematiche, hanno così composto un meraviglioso settenario, che spesso viene contrapposto all’elenco dei sette vizi capitali.

    Così il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce l’azione delle virtù teologali: «Fondano, animano e caratterizzano l’agire morale del cristiano.

    Esse informano e vivificano tutte le virtù morali.

    Sono infuse da Dio nell’anima dei fedeli per renderli capaci di agire quali suoi figli e meritare la vita eterna.

    Sono il pegno della presenza e dell’azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell’essere umano» (n.

    1813).

    Mentre il rischio delle virtù cardinali è quello di generare uomini e donne eroici nel compiere il bene, ma tutto sommato soli, isolati, il grande dono delle virtù teologali è l’esistenza vissuta nello Spirito Santo.

    Il cristiano non è mai solo.

    Compie il bene non per un titanico sforzo di impegno personale, ma perché, come umile discepolo, cammina dietro al Maestro Gesù.

    Lui va avanti nella via.

    Il cristiano ha le virtù teologali che sono il grande antidoto all’autosufficienza.

    Quante volte certi uomini e donne moralmente ineccepibili corrono il rischio di diventare, agli occhi di chi li conosce, presuntuosi e arroganti! È un pericolo davanti al quale il Vangelo ci mette bene in guardia, là dove Gesù raccomanda ai discepoli: «Anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili.

    Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17,10).

    La superbia è un veleno, è un veleno potente: ne basta una goccia per guastare tutta una vita improntata al bene.

    Una persona può avere compiuto anche una montagna di opere benefiche, può aver mietuto riconoscimenti ed encomi, ma se tutto ciò l’ha fatto solo per sé stesso, per esaltare sé stessa, può dirsi ancora una persona virtuosa? No!

    Il bene non è solo un fine, ma anche un modo.

    Il bene ha bisogno di tanta discrezione, di molta gentilezza.

    Il bene ha bisogno soprattutto di spogliarsi di quella presenza a volte troppo ingombrante che è il nostro io.

    Quando il nostro “io” è al centro di tutto, si rovina tutto.

    Se ogni azione che compiamo nella vita la compiamo solo per noi stessi, è davvero così importante questa motivazione? Il povero “io” si impadronisce di tutto e così nasce la superbia.

    Per correggere tutte queste situazioni che a volte diventano penose, le virtù teologali sono di grande aiuto.

    Lo sono soprattutto nei momenti di caduta, perché anche coloro che hanno buoni propositi morali a volte cadono.

    Tutti cadiamo, nella vita, perché tutti siamo peccatori.

    Come anche chi si esercita quotidianamente nella virtù a volte sbaglia – tutti sbagliamo nella vita –: non sempre l’intelligenza è lucida, non sempre la volontà è ferma, non sempre le passioni sono governate, non sempre il coraggio sovrasta la paura.

    Ma se apriamo il cuore allo Spirito Santo – il Maestro interiore –, Egli ravviva in noi le virtù teologali: allora, se abbiamo perso la fiducia, Dio ci riapre alla fede – con la forza dello Spirito, se abbiamo perso la fiducia, Dio ci riapre alla fede –; se siamo scoraggiati, Dio risveglia in noi la speranza; e se il nostro cuore è indurito, Dio lo intenerisce col suo amore.

    Grazie.

    ____________________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier les diverses paroisses et écoles venues de France, et venues également de Côte d’Ivoire et de République démocratique du Congo.

    Implorons l’Esprit Saint de nous remplir de toujours plus de foi, d’espérance et de charité pour nous aider à marcher à la suite de Jésus en faisant le bien.

    Que Dieu vous bénisse.

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare le diverse parrocchie e scuole venute dalla Francia, e venute anche dalla Costa d'Avorio e dalla Repubblica Democratica del Congo.

    Imploriamo lo Spirito Santo di colmarci di sempre più fede, speranza e carità per aiutarci a camminare nella sequela di Gesù facendo il bene.

    Dio vi benedica.]

    I greet all the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially those coming from England, Finland, India, Indonesia, Tanzania and the United States of America.

    In the joy of the Risen Christ, I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father.

    May the Lord bless you all!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Finlandia, India, Indonesia, Tanzania e Stati Uniti d’America.

    Nella gioia del Cristo Risorto, invoco su voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre! Il Signore vi benedica!]

    Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, rufen wir oft den Heiligen Geist an: Er möge in uns den Glauben, die Hoffnung und die Liebe vermehren, damit wir den Vater im Himmel durch ein evangeliumsgemäßes Leben verherrlichen.

    [Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, invochiamo frequentemente lo Spirito Santo: Egli accresca in noi la fede, la speranza e la carità affinché possiamo glorificare il Padre che è nei cieli con una vita secondo lo stile del Vangelo.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Pidamos al Espíritu Santo que nos conceda la gracia de creer, esperar y amar a imitación del Corazón de Cristo, siendo sus testigos en toda circunstancia.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Saúdo cordialmente todos os fiéis de língua portuguesa, especialmente os grupos vindos de Belo Horizonte e de Braga.

    Abramos os nossos corações à ação do Espírito Santo, para que faça crescer em nós a fé, a esperança e o amor.

    Deus abençoe a todos!

    [Saluto cordialmente tutti i fedeli di lingua portoghese, specialmente i gruppi venuti da Belo Horizonte e da Braga.

    Apriamo i nostri cuori all’azione dello Spirito Santo, perché faccia crescere in noi la fede, la speranza e l’amore.

    Dio benedica tutti!]

    أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.

    الفضائِلُ الإلهِيَّة، الإيمانُ والرَّجاءُ والمَحَبَّة، هي نِعَمٌ تَشفِينا وتَجعَلُنا نَشفي الآخرين، وهي نِعَمٌ تَفتَحُ أمامَنا آفاقًا جديدة، حتَّى عندما نُبحِرُ في مياهِ زَمَنِنا الصَّعبَة.

    باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    Le virtù teologali, fede, speranza e carità, sono doni che ci guariscono e che ci rendono guaritori, doni che ci aprono a orizzonti nuovi, anche mentre navighiamo nelle difficili acque del nostro tempo.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Pozdrawiam serdecznie Polaków.

    W przyszłą sobotę przypada 10.

    rocznica kanonizacji św.

    Jana Pawła II.

    Patrząc na jego życie widzimy, do czego może dojść człowiek, kiedy przyjmie i rozwinie w sobie Boże dary: wiary, nadziei i miłości.

    Pozostańcie wierni jego dziedzictwu.

    Promujcie życie i nie dajcie się zwieść kulturze śmierci.

    Za jego wstawiennictwem prośmy Boga o dar pokoju, o który on jako Papież tak bardzo zabiegał.

    Z serca wam błogosławię.]

    [Saluto cordialmente i polacchi.

    Sabato prossimo ricorre il decimo anniversario della canonizzazione di San Giovanni Paolo II.

    Guardando la sua vita, possiamo vedere che cosa può raggiungere l'uomo accettando e sviluppando in sé i doni di Dio: fede, speranza e carità.

    Rimanete fedeli alla sua eredità.

    Promuovete la vita e non lasciatevi ingannare dalla cultura della morte.

    Per sua intercessione, chiediamo a Dio il dono della pace per la quale egli, come Papa, si è tanto impegnato.

    Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto le Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino, che celebrano il Capitolo Generale, e i Fratelli Maristi.

    Accolgo con affetto i fedeli di Borgo Faiti di Latina, Mondragone e Gragnano, affidando ciascuno alla materna protezione della Vergine Maria, protettrice delle rispettive comunità.

    Saluto, inoltre, la Rete dei Comitati di San Calogero provenienti dalla Sicilia, la Scuola Militare “Nunziatella” di Napoli e la Banda di Galati Mamertino.

    Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli.

    Domani celebreremo la festa liturgica di san Marco, l’Evangelista che ha descritto con vivacità e concretezza il mistero della persona di Gesù di Nazaret.

    Invito tutti voi a lasciarvi affascinare da Cristo, per collaborare con entusiasmo e fedeltà alla costruzione del Regno di Dio.

    E poi il pensiero va alla martoriata Ucraina, alla Palestina, a Israele, al Myanmar che sono in guerra, e a tanti altri Paesi.

    La guerra sempre è una sconfitta, e quelli che guadagnano di più sono i fabbricatori di armi.

    Per favore, preghiamo per la pace! Preghiamo per la martoriata Ucraina: soffre tanto, tanto.

    I soldati giovani vanno a morire.

    Preghiamo.

    E preghiamo anche per il Medio Oriente, per Gaza: si soffre tanto lì, nella guerra.

    Per la pace tra Palestina e Israele, che siano due Stati, liberi e con buoni rapporti.

    Preghiamo per la pace.

    A tutti la mia benedizione!

    Ai partecipanti al Capitolo Generale dei Fratelli dell'Istruzione Cristiana (22 Apr 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli,

    vi do il benvenuto in occasione del vostro Capitolo Generale.

    Saluto il Superiore e ognuno di voi ed esprimo la mia vicinanza a tutti i vostri fratelli sparsi nel mondo.Rendo grazie al Signore per l’opera del suo Spirito che si manifesta nel vostro carisma, cioè l’evangelizzazione dei bambini e dei giovani attraverso l’educazione.

    Questo vostro Capitolo si colloca nella scia delle celebrazioni del bicentenario dell’Istituto, e vi offre l’occasione per tornare alle intuizioni fondamentali che hanno guidato il Venerabile Jean-Marie de La Mennais e Padre Gabriel Dashayes.

    Oggi la loro opera è presente in diversi Paesi del mondo, perché hanno creduto che tutto è possibile a chi si affida totalmente al Signore e si mette al servizio dello sviluppo umano integrale di ogni persona.

    Non dobbiamo mai dimenticare da dove proveniamo e conservare sempre la memoria delle motivazioni del nostro agire.

    Cari fratelli, voi lavorate in regioni del mondo dove imperversano la povertà, la disoccupazione dei giovani, crisi sociali di ogni genere.

    Vi esorto pertanto a essere padri per coloro a cui siete inviati, padri che riflettono il volto amorevole e compassionevole di Dio.

    In un mondo in continuo cambiamento, vi ponete generosamente al servizio dei giovani, attenti alle loro aspirazioni e nello stesso tempo sempre rivolti a Cristo, regola suprema della vostra vita.

    La vostra vocazione vi spinge ad andare là dove altri non vanno, in periferia, verso le persone che formano la categoria dei rifiutati, dei feriti dalla vita e delle vittime.

    Che la vostra presenza sia sorgente di speranza per molti.

    Nel vostro spirito di fraternità e di accoglienza riconoscano un altro volto dell’umanità sfigurata dalle guerre, dall’indifferenza e dallo scarto dei più deboli.

    Quei bambini, quei giovani, quelle persone hanno anch’essi dei sogni, ma oggi, per tanti motivi, sono sogni frantumati.

    Possiate aiutarli a rivivere i loro sogni, a credere in essi e a realizzarli!

    I bambini giocano, anche sotto le bombe, nei Paesi in guerra.

    Quando vediamo le fotografie di questi Paesi, ci sono bambini che giocano.

    Ma una cosa che mi colpisce, quando vengono qui a Roma bambini dell’Ucraina che sono trasferiti qui e vivono qui, questi bambini non sorridono: hanno perso il sorriso.

    La guerra fa questo: fa perdere il sorriso dei bambini.

    Lavorate perché loro riprendano la capacità di sorridere!

    Cari fratelli, la Chiesa è una famiglia e tutti noi, nella varietà dei carismi e delle vocazioni, cooperiamo per la salvezza dell’uomo.

    In questo stupendo mistero di comunione, posso contare sulla vostra fiducia filiale e sul vostro attaccamento al ministero del Successore di Pietro.

    Vi incoraggio a lavorare in stretta collaborazione con le diocesi dove siete in missione e con il Popolo fedele di Dio; a tenere lontano dalla vostra vita ogni spirito di orgoglio, di chiusura, di divisione e di pettegolezzo.

    Il pettegolezzo fa tanto male alle comunità religiose.

    Un bel proposito per un religioso e una religiosa sarebbe mordersi la lingua ogni volta che viene voglia di sparlare dell’altro.

    Sarebbe un bel proposito, no? Infatti, «essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre.

    Questo implica essere il fermento di Dio in mezzo all’umanità» (Esort.

    ap.

    Evangelii gaudium, 114).

    Al termine del vostro Capitolo, rinnoverete la consacrazione dell’Istituto al Cuore Immacolato di Maria.

    La vostra pedagogia sia sempre ispirata a colei che, col suo “sì” totale, ha acconsentito che si compisse nella sua persona il progetto salvifico di Dio per l’umanità.

    Ella vi aiuti a coltivare lo zelo di mettervi in strada per servire, a coltivare l’umiltà, la fiducia in Dio e la gioia di essere servitori della sua tenerezza e della sua misericordia.

    Per favore, non perdere la gioia, per favore!

    Di cuore benedico voi e tutti i vostri confratelli in ogni parte del mondo, come pure i giovani che accompagnate.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie!

    Regina Caeli, 21 Apr 2024
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    Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

    Questa domenica è dedicata a Gesù Buon Pastore.

    Nel Vangelo odierno (cfr Gv 10,11-18) Gesù dice: «Il buon pastore dà la propria vita per le pecore» (v. 11) e insiste su questo aspetto, tanto da ripeterlo per ben tre volte (cfr vv. 11.15.17).

    Ma in che senso, mi domando, il pastore dà la vita per le pecore?

    Essere pastore, specialmente al tempo di Cristo, non era solo un mestiere, era tutta una vita: non si trattava di avere un’occupazione a tempo, ma di condividere le intere giornate, e pure le nottate, con le pecore, di vivere – vorrei dire –  in simbiosi con loro.

    Gesù infatti spiega di non essere un mercenario, a cui non importa delle pecore (cfr v.

    13), ma colui che le conosce (cfr v. 14): Lui conosce le pecore.

    È così, Lui, il Signore, pastore di tutti noi, ci conosce, ognuno di noi, ci chiama per nome e, quando ci smarriamo, ci cerca finché ci ritrova (cfr Lc 15,4-5).

    Di più: Gesù non è solo un bravo pastore che condivide la vita del gregge; Gesù è il Buon Pastore, che per noi ha sacrificato la vita e, risorto, ci ha dato il suo Spirito.

    Ecco cosa vuole dirci il Signore con l’immagine del Buon Pastore: non solo che Lui è la guida, il Capo del gregge, ma soprattutto che pensa a ciascuno di noi, e ci pensa come all’amore della sua vita.

    Pensiamo a questo: io per Cristo sono importante, Lui mi pensa, sono insostituibile, valgo il prezzo infinito della sua vita.

    E questo non è un modo di dire: Lui ha dato veramente la vita per me, è morto e risorto per me.

    Perché? Perché mi ama e trova in me una bellezza che io spesso non vedo.

    Fratelli e sorelle, quante persone oggi si ritengono inadeguate o persino sbagliate! Quante volte si pensa che il nostro valore dipenda dagli obiettivi che riusciamo a raggiungere, dal successo agli occhi del mondo, dai giudizi degli altri! E quante volte si finisce per buttarsi via per cose da poco! Oggi Gesù ci dice che noi per Lui valiamo tanto e sempre.

    E allora, per ritrovare noi stessi, la prima cosa da fare è metterci alla sua presenza, lasciarci accogliere e sollevare dalle braccia amorevoli del nostro Buon Pastore.

    Fratelli, sorelle, chiediamoci dunque: so trovare ogni giorno un momento per abbracciare la certezza che dà valore della mia vita? So trovare un momento di preghiera, di adorazione, di lode, per stare alla presenza di Cristo e lasciarmi accarezzare da Lui? Fratello, sorella, il Buon Pastore ci dice che se lo fai, riscoprirai il segreto della vita: ricorderai che Lui ha dato la vita per te, per me, per tutti noi.

    E che per Lui siamo tutti importanti, ognuno di noi e tutti.

    La Madonna ci aiuti a trovare in Gesù l’essenziale per vivere.

    ____________________________________

    Dopo il Regina Caeli

    Cari fratelli e sorelle!

    Si celebra oggi la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che ha per tema “Chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace”.

    È una bella occasione per riscoprire la Chiesa quale comunità caratterizzata da una polifonia di carismi e di vocazioni al servizio del Vangelo.

    In tale contesto rivolgo di cuore il mio saluto ai nuovi presbiteri della diocesi di Roma, che sono stati ordinati ieri pomeriggio nella Basilica di San Pietro.

    Preghiamo per loro!

    Continuo a seguire con preoccupazione, e anche con dolore, la situazione in Medio Oriente.

    Rinnovo l’appello a non cedere alla logica della rivendicazione e della guerra; prevalgano invece le vie del dialogo e della diplomazia, che può fare tanto.

    Prego ogni giorno per la pace in Palestina e in Israele e spero che quei due popoli possano presto smettere di soffrire.

    E non dimentichiamo la martoriata Ucraina, la martoriata Ucraina che soffre tanto per la guerra.

    Con dolore ho appreso la notizia della morte, in un incidente, di padre Matteo Pettinari, giovane missionario della Consolata in Costa d’Avorio, conosciuto come il “missionario instancabile”, che ha lasciato una grande testimonianza di generoso servizio.

    Preghiamo per la sua anima.

    Rivolgo un cordiale benvenuto a tutti voi, romani e pellegrini dell’Italia e di tanti Paesi.

    Accolgo con affetto le Suore Apostoline: grazie per il vostro gioioso servizio alla pastorale delle vocazioni! Saluto i fedeli di Viterbo, Brescia, Alba Adriatica e Arezzo; come pure il Rotary Club Galatina Maglie e Terre d’Otranto, i giovani di Capocroce, i ragazzi della Cresima di Azzano Mella e della parrocchia di Sant’Agnese in Roma.

    Auguro a tutti voi una buona domenica.

    E saluto i ragazzi dell’Immacolata, bravi! Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci!

    Ai Pellegrini delle Diocesi di Cesena-Sarsina, Tivoli, Savona-Noli e Imola, in occasione del bicentenario della morte del Papa Pio VII (20 Apr 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Saluto il Cardinale, i Vescovi presenti, gli Abati, i monaci e tutti voi, amici delle diocesi di Cesena-Sarsina, Savona, Imola e Tivoli.

    A Cesena sono stato.

    Papa Chiaramonti è stato ed è per tutti noi un grande esempio di buon pastore che dà la vita per il suo gregge (cfr Gv 10,11).

    Era un uomo di notevole cultura e pietà, era pio.

    Monaco, Abate, Vescovo e Papa, in tutti questi ruoli ha sempre mantenuto intatta, anche a costo di grandi sacrifici, la sua dedizione a Dio e alla Chiesa.

    Come nel drammatico momento del suo arresto quando, a chi gli offriva una via di fuga dalla prigionia in cambio di compromessi circa le sue responsabilità pastorali, rispondeva: «Non debemus, non possumus, non volumus» - «non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo», confermando, a prezzo della sua libertà personale, quanto aveva promesso di fare, con l’aiuto di Dio, il giorno della sua elezione (cfr Pio VII, Alloc.

    Ad supremum, 6).

    Vorrei sottolineare, pensando alla sua vita, tre valori-cardine di cui è stato testimone, essenziali anche per i nostri cammini personali e comunitari: la comunione, la testimonianza e la misericordia.

    Primo: la comunione.

    Papa Pio VII ne è stato un convinto sostenitore e difensore in tempi di lotte e divisioni feroci.

    I disordini causati dalla rivoluzione francese e dalle invasioni napoleoniche avevano prodotto e continuavano a fomentare spaccature dolorose, sia all’interno del popolo di Dio che nelle sue relazioni col mondo circostante: ferite sanguinanti sia morali che fisiche.

    Anche il Papa pareva dovesse esserne travolto.

    E invece, con la sua pacata e tenace perseveranza nel difendere l’unità, Pio VII seppe trasformare le prepotenze di chi voleva isolarlo e allontanarlo, spogliandolo pubblicamente di ogni dignità, in occasioni per rilanciare un messaggio di dedizione e di amore alla Chiesa, al quale il popolo di Dio rispose con entusiasmo.

    Ne emerse una comunità materialmente più povera, ma moralmente più coesa, forte e credibile.

    E il suo esempio sprona noi ad essere, nel nostro tempo, anche a costo di rinunce, costruttori di unità nella Chiesa universale, in quella locale, nelle parrocchie e nelle famiglie: a fare comunione, a favorire la riconciliazione, a promuovere la pace, fedeli alla verità nella carità!

    Una cosa che aiuta tanto la comunione è il saper parlare bene.

    Cosa vuol dire? Dico il contrario: parlare male, il chiacchiericcio, distrugge la comunione.

    Non so se nelle vostre diocesi c’è il chiacchiericcio, credo di no, perché tutti voi dalla faccia siete buonissimi… Ma nel caso che ci fosse qualche chiacchiericcio, c’è un rimedio molto buono: mordersi la lingua.

    Quando ti viene voglia di sparlare o “spellare” l’altro, morditi la lingua e farai un bel lavoro di comunità, di unità nella comunità.

    E tutto questo – la comunione, il cercare l’unità della Chiesa – ci porta al secondo punto: la testimonianza.

    Uomo di indole mite, Papa Chiaramonti è stato un annunciatore coraggioso del Vangelo, con la parola e con la vita.

    Diceva ai Cardinali elettori all’inizio del suo pontificato: «La Chiesa […] ha bisogno dei Nostri buoni esempi […]; così che tutti comprendano che non […] nel fasto […], ma piuttosto nel disprezzo delle ricchezze, nell’umiltà, nella modestia, nella pazienza, nella carità e infine in ogni dovere sacerdotale è raffigurata l’immagine del Nostro Creatore e si conserva l’autentica dimensione della Chiesa» (ivi, 8-9).

    È bello questo che diceva! E di fatto egli ha realizzato questo suo ideale di profezia cristiana (cfr San Leone Magno, Sermo 21,3), vivendolo e promuovendolo con dignità nella buona e nella cattiva sorte, sia a livello personale che ecclesiale, anche quando ciò lo ha portato a scontrarsi con i potenti del suo tempo.

    E veniamo infine all’ultimo aspetto: la misericordia.

    Nonostante i pesanti ostacoli posti alla sua opera dalle vicende napoleoniche, Papa Pio VII concretizzò la sua attenzione per i bisognosi distinguendosi per alcune riforme e iniziative sociali di ampia portata, innovative nel suo tempo, come la revisione dei rapporti di “vassallaggio”, con conseguente emancipazione dei contadini poveri, l’abolizione di molti privilegi nobiliari, delle “angherie”, delle regalie, dell’uso della tortura (cfr Pio VII, Motu proprio Quando per ammirabile disposizione, 6 luglio 1816) e l’istituzione di una cattedra di chirurgia presso l’Università La Sapienza per il miglioramento dell’assistenza medica e l’incremento della ricerca.

    Era un uomo molto intelligente, molto pio e furbo.

    Sapeva portare avanti anche la sua prigionia con furbizia.

    A volte mandava dei messaggi nascosti nella biancheria; e così riusciva a guidare la Chiesa, tramite la biancheria! Ed è una cosa bella: è un uomo intelligente, furbo e che vuole portare avanti il compito di governare che il Signore gli aveva dato, questo è bello.

    Era anche un uomo di carità, come dimostrò poi, in ambito diverso, nei confronti dei suoi persecutori: pur denunciandone senza mezzi termini gli errori e i soprusi, cercò di mantenere aperto con loro un canale di dialogo e soprattutto offrì sempre il suo perdono.

    Fino a concedere ospitalità negli stati della Chiesa, dopo la restaurazione, proprio ai familiari di quel Napoleone che pochi anni prima lo aveva fatto incarcerare e chiedendo per lui, ormai sconfitto, un trattamento mite nella prigionia.

    Grande!

    Cari fratelli e sorelle, sono molti i valori a cui ci richiama la memoria del Servo di Dio Pio VII: l’amore per la verità, l’unità, il dialogo, l’attenzione agli ultimi, il perdono, la ricerca tenace della pace, e quella furbizia evangelica che il Signore ci raccomanda.

    Ci farà bene meditarli, farli nostri e testimoniarli, perché in noi e nelle nostre comunità crescano lo stile di mansuetudine e la disponibilità al sacrificio.

    Ma questo non vuol dire che siamo stupidi, no, quella non è mansuetudine.

    Mansuetudine sì, ma furbi come il Signore ci raccomanda.

    Semplici come la colomba ma furbi come il serpente.

    Vi ringrazio di essere venuti e vi accompagno con la mia preghiera.

    Di cuore benedico tutti voi e le vostre famiglie.

    E vi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie!

    Alla Comunità del Seminario di Sevilla (Spagna) (20 Apr 2024)
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    Cari fratelli,

    Sono lieto di accogliere, voi membri delle comunità del Seminario Metropolitano e del Seminario “Redemptoris Mater” di Sevilla che, insieme al vostro arcivescovo, mons.

    Josep Ángel Saiz Meneses, siete venuti in pellegrinaggio presso la tomba dell’apostolo Pietro.

    Vi ringrazio per questa visita e vi incoraggio a vivere questi giorni con stupore e gratitudine per il dono della fede che ci hanno trasmesso gli apostoli.

    Il nostro incontro si svolge alla vigilia di un giorno molto importante: la domenica del Buon Pastore, che celebriamo domani.

    Voi, seminaristi, avete ricevuto una chiamata dal Signore e, con l’aiuto dei vostri formatori, vi state preparando per essere pastori secondo il Cuore di Cristo.

    In altre occasioni ho detto ai seminaristi che questo cammino di configurazione con Gesù buon pastore va fatto curando quattro aspetti: la vita spirituale, lo studio, la vita comunitaria e l’attività ap ostolica.

    Questa integrazione è necessaria, direi che è urgente, per diventare sacerdoti completi e rispondere alla vocazione ricevuta, nel dono totale di sé a Dio e ai fratelli, specialmente a quelli più sofferenti.

    A tale proposito, vorrei sottolineare la figura di uno tra i tanti santi pastori che ha avuto la terra andalusa nel corso della storia, quella del beato cardinale Marcelo Spínola y Maestre, che voi conoscete bene.

    Questo beato, maestro di sacerdoti, diceva: «Virtù e scienza sono le due cose che si devono insegnare con preferenza agli aspiranti al sacerdozio, perché la scienza senza virtù gonfia e non edifica e la virtù senza scienza edifica ma non istruisce».

    Ciò significa, come dicevamo, che tutto nel sacerdote — preghiera, studio, fraternità, missione — va unito.

    Cari seminaristi, approfittate bene di questo intenso tempo di formazione, con il cuore rivolto a Dio, con le mani aperte e un grande sorriso per trasmettere la gioia del Vangelo a tutti quelli che incontrate.

    Che Gesù vi benedica e la Virgen de los Reyes vi accompagni.

    Grazie.

    ______________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    91, sabato 20 aprile 2024 p.

    12.

    Ai membri del Pontificio Comitato di Scienze Storiche (20 Apr 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno, e benvenuti!

    Sono contento di darvi il benvenuto in occasione della vostra adunanza plenaria, nell’ambito della quale celebrate il 70° anniversario dell’istituzione del Pontificio Comitato.

    Saluto il Presidente, Padre Marek Inglot, e saluto ciascuno di voi, grato per il vostro incontro e per il vostro servizio.

    Provenite da diversi Paesi e da tre continenti, ognuno con le proprie, apprezzate competenze specialistiche.

    Così garantite la dimensione internazionale e il carattere pluridisciplinare del Comitato, la cui attività di ricerca, convegnistica ed editoriale si inscrive in una dinamica multiculturale feconda e propositiva.

    La bella Collana «Atti e Documenti», diretta dal Segretario del Pontificio Comitato, festeggia quest’anno anch’essa un settantesimo: il 70° volume edito.

    Ciò testimonia un impegno nella ricerca della verità storica su scala mondiale, in uno spirito di dialogo con differenti sensibilità storiografiche e con molteplici tradizioni di studi.

    È bene che collaboriate con altri, espandendo le vostre relazioni scientifiche e umane, ed evitando forme di chiusura mentale e istituzionale.

    Vi incoraggio a mantenere questo approccio arricchente, fatto di ascolto costante e attento, libero da ogni ideologia – le ideologie uccidono – e rispettoso della verità.

    Ribadisco quanto vi dissi in occasione del vostro 60° anniversario: «Nell’incontro e nella collaborazione con ricercatori di ogni cultura e religione, voi potete offrire un contributo specifico al dialogo tra la Chiesa e il mondo contemporaneo» (Discorso, 12 aprile 2014).

    Questo stile concorre a sviluppare quella che chiamerei “diplomazia della cultura”.

    È molto attuale, e oggi tanto più necessaria nel contesto del pericoloso conflitto globale a pezzi in atto, al quale non possiamo assistere inerti.

    Vi invito pertanto a proseguire nel lavoro di ricerca storica aprendo orizzonti di dialogo, dove portare la luce della speranza del Vangelo, quella speranza che non delude (cfr Rm 5,5).

    Mi piace pensare al rapporto tra la Chiesa e gli storici nei termini di prossimità.

    C’è infatti una relazione vitale tra la Chiesa e la storia.

    Su tale aspetto San Paolo VI ha sviluppato un’intensa riflessione, ravvisando il punto di incontro privilegiato tra la Chiesa e gli storici nella comune ricerca della verità e nel comune servizio alla verità.

    Ricerca e servizio.

    Ecco le parole che rivolse agli storici, nel 1967: «Può essere qui che si trovi il principale punto di incontro tra voi e noi […], tra la verità religiosa della quale la Chiesa è depositaria e la verità storica, della quale voi siete i buoni e devoti servitori: tutto l’edificio del cristianesimo, della sua dottrina, della sua morale e del suo culto, tutto riposa in definitiva sulla testimonianza.

    Gli Apostoli di Cristo hanno testimoniato ciò che hanno visto e ascoltato.

    […] Ciò lascia comprendere quanto un organismo di natura spirituale e religiosa come la Chiesa cattolica sia interessato alla ricerca e all’affermazione della verità storica […] Essa pure ha una storia, e il carattere storico delle sue origini ha in particolare per essa un’importanza decisiva» (Discorso ai partecipanti all’Assemblea generale del Comitato internazionale di scienze storiche, 3 giugno 1967).

    La Chiesa cammina nella storia, accanto alle donne e agli uomini di ogni tempo, e non appartiene a nessuna cultura particolare, ma desidera vivificare con la testimonianza mite e coraggiosa del Vangelo il cuore di ogni cultura, così da costruire insieme la civiltà dell’incontro.

    Invece, le tentazioni dell’autoreferenzialità individualistica e dell’affermazione ideologica del proprio punto di vista alimentano l’inciviltà dello scontro.

    La civiltà dell’incontro e l’inciviltà dello scontro.

    È bello che voi, a settant’anni dalla nascita, testimoniate di saper resistere a tali tentazioni, vivendo con passione, attraverso gli studi, l’esperienza rigenerante del servizio all’unità, a quell’unità composita e armonica che lo Spirito Santo ci mostra a Pentecoste.

    Sessant’anni fa, in quell’evento benedetto dallo Spirito che è stato il Concilio Vaticano II, San Paolo VI pronunciò parole che suonano come monito a ogni lusinga di compiaciuta autoreferenzialità ecclesiale, dalla quale occorre proteggere il vostro servizio: «Nessuno […] pensi che la Chiesa […] si soffermi su se stessa per compiacersene e dimentichi sia Cristo, dal quale tutto riceve, a cui tutto deve, sia il genere umano, per servire il quale è nata.

    La Chiesa sta nel mezzo tra Cristo e la comunità umana, non ripiegata su di sé, non come un velo opaco che impedisce la vista, non fine a se stessa, ma al contrario costantemente sollecita di essere tutta di Cristo, in Cristo, per Cristo, di essere tutta degli uomini, tra gli uomini, per gli uomini, tramite veramente umile ed eccellente tra il Divin Salvatore e l’umanità» (Discorso per l’inaugurazione della III Sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 14 settembre 1964, 17).

    Per i vostri settant’anni, vi auguro di conformare il vostro operato a queste parole: gli studi storici vi rendano maestri in umanità e servitori dell’umanità.

    A voi e ai vostri cari imparto di cuore la mia benedizione, chiedendovi, per favore, di pregare per me.

    Grazie.

    Agli Studenti della Rete Nazionale delle Scuole di Pace (19 Apr 2024)
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    Cari ragazzi, care ragazze, cari insegnanti, buongiorno a tutti!

    Sono contento di incontrare ancora una volta la rete nazionale delle “Scuole per la Pace”.

    Saluto il Dottor Lotti e do il benvenuto a tutti voi.

    Voglio prima di tutto ringraziarvi.

    Grazie per questo cammino ricco di idee, di iniziative, di percorsi formativi e di attività, che intendono promuovere una nuova visione del mondo.

    Grazie per essere pieni di entusiasmo nell’inseguire obiettivi di bellezza e di bontà, in mezzo a situazioni drammatiche, ingiustizie e violenze che sfigurano la dignità umana.

    Grazie perché con passione e generosità vi impegnate a lavorare nel “cantiere del futuro”, vincendo la tentazione di una vita appiattita soltanto sull’oggi, che rischia di perdere la capacità di sognare in grande.

    Oggi più che mai, invece, c’è bisogno di vivere con responsabilità, allargando gli orizzonti, guardando avanti e seminando giorno per giorno quei semi di pace che domani potranno germogliare e portare frutto.

    Grazie ragazzi e ragazze!

    Nel prossimo mese di settembre si svolgerà a New York il Summit del Futuro, convocato dall’ONU per affrontare le grandi sfide globali di questo momento storico e firmare un “Patto per il Futuro” e una “Dichiarazione sulle generazioni future”.

    Si tratta di un evento importante, e c’è bisogno anche del vostro contributo perché non rimanga soltanto “sulla carta”, ma diventi concreto e si realizzi attraverso percorsi e azioni di cambiamento.

    Voi portate nel cuore questo grande sogno: “Trasformiamo il futuro.

    Per la pace, con la cura”.

    E proprio su questo vorrei brevemente soffermarmi per dirvi una cosa in cui credo molto: che voi siete chiamati – ascoltate bene – voi siete chiamati ad essere protagonisti e non spettatori del futuro.

    Vi domando: a che cosa voi siete chiamati? Ad essere che? [rispondono i ragazzi] Non ho sentito bene!... [rispondono a gran voce i ragazzi] Coraggio! Avanti! La convocazione di questo Summit mondiale, infatti, ci ricorda che tutti siamo interpellati dalla costruzione di un avvenire migliore e, soprattutto, che dobbiamo costruirlo insieme! Vi domando: il futuro si può costruire da soli? [I ragazzi rispondono “no”].

    Non sento… [un “no” a gran voce].

    Dobbiamo costruirlo? [“Sì!”] Bravi! Non possiamo solo delegare le preoccupazioni per il “mondo che verrà” e per la risoluzione dei suoi problemi alle istituzioni deputate e a coloro che hanno particolari responsabilità sociali e politiche.

    È vero che queste sfide richiedono competenze specifiche, ma è altrettanto vero che esse ci riguardano da vicino, toccano la vita di tutti e chiedono a ciascuno di noi partecipazione attiva e impegno personale.

    In un mondo globalizzato, come questo, dove siamo tutti interdipendenti, non è possibile procedere come singoli individui che si prendono cura soltanto del proprio “orto”, per coltivare i propri interessi: occorre invece mettersi in rete e fare rete.

    Cosa occorre? Mettersi in rete e fare rete.

    Cosa occorre? Mettersi in rete e fare rete.

    Tutti insieme! [i ragazzi rispondono] Ecco, sì bravi, e questo è importante, bisogna entrare in connessione, lavorare in sinergia e in armonia.

    Questo significa passare dall’io al noi: non “io lavoro per il mio bene”, ma “noi lavoriamo per il bene comune, per il bene di tutti”.

    Noi lavoriamo per il bene di tutti.

    Insieme! [i ragazzi ripetono] Bravi!

    In effetti, le sfide odierne, e soprattutto i rischi che, come nubi oscure, si addensano su di noi minacciando il nostro futuro, sono anch’essi diventati globali.

    Ci riguardano tutti, interrogano l’intera comunità umana, richiedono il coraggio e la creatività di un sogno collettivo che animi un impegno costante, per affrontare insieme le crisi ambientali, le crisi economiche, le crisi politiche e sociali che il nostro pianeta sta attraversando.

    Cari ragazzi, care ragazze, cari insegnanti, si tratta di un sogno che richiede di essere svegli e non addormentati! Sì, perché lo si porta avanti lavorando, non dormendo; camminando per le strade, non sdraiati sul divano; usando bene i mezzi informatici, non perdendo tempo sui social; e poi – ascoltate bene – questo tipo di sogno si realizza anche con la preghiera, cioè insieme con Dio, e non con le nostre sole forze.

    Cari studenti, cari insegnanti, voi avete messo al cuore del vostro impegno due parole-chiave: la pace e la cura.

    Sono due realtà legate tra loro: la pace, infatti, non è soltanto silenzio delle armi e assenza di guerra; è un clima di benevolenza, di fiducia e di amore che può maturare in una società fondata su relazioni di cura, in cui l’individualismo, la distrazione e l’indifferenza cedono il passo alla capacità di prestare attenzione all’altro, di ascoltarlo nei suoi bisogni fondamentali, di curare le sue ferite, di essere per lui o lei strumenti di compassione e di guarigione.

    Questa è la cura che Gesù ha verso l’umanità, in particolare verso i più fragili, e di cui il Vangelo ci parla spesso.

    Dal “prendersi cura” reciproco nasce una società inclusiva, fondata sulla pace e sul dialogo.

    In questo tempo ancora segnato dalla guerra, vi chiedo di essere artigiani della pace; in una società ancora prigioniera della cultura dello scarto, vi chiedo di essere protagonisti di inclusione; in un mondo attraversato da crisi globali, vi chiedo di essere costruttori di futuro, perché la nostra casa comune diventi luogo di fraternità.

    Vorrei parlarvi due minuti sulla guerra.

    Pensate ai bambini che sono in guerra, pensate ai bambini ucraini che hanno dimenticato di sorridere.

    Pregate per questi bambini, metteteli nel cuore i bambini che sono in guerra.

    Pensate ai bambini di Gaza, mitragliati, che hanno fame.

    Pensate ai bambini.

    Adesso un piccolo silenzio, e ognuno di noi pensi ai bambini ucraini e ai bambini di Gaza.

    Vi auguro di essere sempre appassionati del sogno della pace.

    Lo dico con il motto di Don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, che al “non mi importa”, tipico dell’indifferenza menefreghista, opponeva l’“I care”, cioè il “mi sta a cuore”, “mi interessa”.

    Che tutto questo stia a cuore a voi.

    Che vi stia sempre a cuore la sorte del nostro pianeta e dei vostri simili; vi stia a cuore il futuro che si apre davanti a noi, perché possa essere davvero come Dio lo sogna per tutti: un futuro di pace e di bellezza per l’umanità intera.

    E vi siano a cuore i bambini ucraini, che dimenticano di sorridere; i bambini di Gaza, che soffrono sotto le mitraglie.

    Vi benedico di cuore.

    Buona scuola e buon cammino! E, per favore, ricordatevi di pregare per me.

    Grazie tante!

    Messaggio del Santo Padre per il IV Raduno Mondiale organizzato dal Global Christian Forum (18 Apr 2024)
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    Porgo i miei cordiali saluti a tutti i presenti al IV Raduno Mondiale del Global Christian Forum.

    La vostra assemblea vede partecipanti da tutto il mondo, il che rispecchia un bel mosaico del cristianesimo contemporaneo con la sua ricca diversità, pur rimanendo fondato sulla nostra comune identità di seguaci di Gesù Cristo.

    Il tema di quest’anno, «perché il mondo sappia» (cfr.

    Giovanni 17, 23b) esorta i cristiani a incarnare l’unità e l’amore del Dio Uno e Trino nella loro vita personale ed ecclesiale, così da dare testimonianza a un mondo ferito da divisione e rivalità.

    L’unità è un elemento indispensabile per abbracciare la visione del Regno di Dio.

    Pertanto, c’è un legame intrinseco tra ecumenismo e missione cristiana.

    Durante tutta la sua storia, il Global Christian Forum ha contribuito in modo significativo alla promozione di tale legame, offrendo uno spazio in cui i membri, specialmente quelli provenienti da espressioni storiche differenti della fede cristiana, crescono nel rispetto reciproco e nella fratellanza incontrandosi gli uni gli altri in Cristo.

    Possa questo raduno, nell’anniversario d’argento del forum, rendere più profonda la vostra fede e ravvivare il vostro amore fraterno mentre pregate insieme, vi raccontate le vostre storie personali e affrontate le sfide che si pongono alla comunità cristiana globale.

    Su tutti voi invoco le benedizioni di Dio Onnipotente e prego perché il raduno accresca l’unità visibile tra tutti i cristiani.

    FRANCESCO

    __________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    90, venerdì 19 aprile 2024, p.

    7.

    A Superiore e Delegate delle Carmelitane Scalze (18 Apr 2024)
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    Buongiorno, benvenute!

    Parlerò in castigliano.

    Sono contento di incontrarvi mentre siete riunite per riflettere insieme e lavorare alla revisione delle vostre Costituzioni, quelle del ’90, o quelle precedenti, non so, lavorate tra voi.

    È un appuntamento importante, perché non risponde soltanto a una necessità umana, alle contingenze della vita comunitaria: si tratta invece di un “tempo dello Spirito”, che siete chiamate a vivere come occasione di preghiera e di discernimento.

    Restando interiormente aperte a ciò che lo Spirito Santo vuole suggerirvi, avete il compito di trovare nuovi linguaggi, nuove vie e nuovi strumenti per dare ancora maggiore slancio alla vita contemplativa che il Signore vi ha chiamato ad abbracciare, perché il carisma si conservi – il carisma è lo stesso – e che possa essere compreso e attirare tanti cuori, per la gloria di Dio e per il bene della Chiesa.

    Quando un Carmelo funziona bene attira, attira, non è vero? È come la luce con le mosche, attira, attira.

    Rivedere le Costituzioni significa proprio questo: raccogliere la memoria del passato – non bisogna rinnegarlo – per guardare al futuro.

    In effetti, voi mi insegnate che la vocazione contemplativa non porta a custodire delle ceneri, ma ad alimentare un fuoco che arda in maniera sempre nuova e riscaldi la Chiesa e il mondo.

    Perciò, la memoria della vostra storia e di quanto negli anni è maturato nelle Costituzioni è una ricchezza che deve restare aperta alle suggestioni dello Spirito Santo, alla perenne novità del Vangelo, ai segni che il Signore ci dona attraverso la vita e le sfide umane.

    Così si conserva un carisma.

    Non cambia, ascolta e si apre a ciò che il Signore vuole in ogni momento.

    Questo vale in generale per tutti gli istituti di vita consacrata, ma voi claustrali lo sperimentate in modo particolare, perché vivete in pieno la tensione tra la separazione dal mondo e l’immersione in esso.

    Voi infatti non vi rifugiate in una consolazione spirituale intimistica o in una preghiera avulsa dalla realtà; al contrario, il vostro è un cammino in cui ci si lascia coinvolgere dall’amore di Cristo fino ad unirsi a Lui, perché questo amore pervada tutta l’esistenza e si esprima in ogni gesto e in ogni azione quotidiana.

    Il dinamismo della contemplazione è sempre un dinamismo d’amore, è sempre una scala che ci eleva a Dio non per staccarci dalla terra, ma per farcela abitare in profondità, come testimoni dell’amore ricevuto.

    Con la sua sapienza e la sua fede ardente, la santa madre ve lo insegna.

    Ella è convinta che l’unione mistica e interiore con la quale Dio lega l’anima a sé, quasi “sigillandola” col suo amore, pervade e trasforma tutta la vita, senza staccare dalle occupazioni quotidiane o suggerire una fuga nelle cose dello spirito.

    Teresa afferma che è necessario un tempo consacrato al silenzio e all’orazione, ma bisogna intenderlo come la sorgente dell’apostolato e di tutte quelle mansioni quotidiane che il Signore ci chiede per servire la Chiesa.

    Ella infatti afferma: «Marta e Maria devono offrire insieme ospitalità al Signore, trattenerlo sempre presso di loro, e non fargli cattiva accoglienza non dandogli da mangiare.

    Come lo nutrirebbe Maria, sempre seduta ai suoi piedi, se la sorella non la aiutasse? Il suo nutrimento è lo sforzo che facciamo di avvicinare le anime a Lui in tutti i modi possibili, perché esse si salvino e non cessino di lodarlo» (S.

    Teresa d’Avila, Mansioni, VII, IV, 14).

    Fin qui la citazione, che conoscete meglio di me.

    In questo modo, la vita contemplativa non rischia di ridursi a un’inerzia spirituale, che distoglie dalle incombenze della vita quotidiana.

    Un prete che non conosceva questo tipo di mistica le chiamava “le monache sonnolente”, che vivono dormendo.

    Ma la vita contemplativa continua a fornire la luce interiore per il discernimento.

    E di quale luce avete bisogno per rivedere le Costituzioni, affrontando i tanti problemi concreti dei monasteri e della vita comunitaria? La luce è questa: la speranza nel Vangelo.

     Ma sempre radicato nei padri fondatori, nella madre fondatrice e in san Giovanni.

    La speranza del Vangelo è diversa dalle illusioni fondate sui calcoli umani.

    Significa abbandonarsi a Dio, imparare a leggere i segni che ci dona per discernere il futuro, saper fare qualche scelta audace e rischiosa anche se sul momento rimane ignota la meta verso cui ci condurrà.

    Significa non affidarci soltanto alle strategie umane, alle strategie difensive quando si tratta di riflettere su un monastero da salvare o da lasciare, sulle forme della vita comunitaria, sulle vocazioni.

    Le strategie difensive sono frutto di un nostalgico ritorno al passato; questo non funziona, la nostalgia non funziona, la speranza evangelica va in un’altra direzione: ci dona la gioia della storia vissuta fino ad oggi ma ci rende capaci di guardare avanti, con quelle radici che abbiamo ricevuto.

    Questo si chiama conservare il carisma, la voglia di andare avanti, e questo sì che funziona.

    Guardate avanti.

    Questo voglio augurarvi.

    Guardate avanti con la speranza evangelica e con i piedi scalzi, cioè con la libertà dell’abbandono in Dio.

    Guardate al futuro con le radici nel passato.

    E questo essere totalmente immerse nella presenza del Signore vi dia sempre anche la gioia della fraternità e dell’amore vicendevole.

    La Madonna vi accompagni.

    Di cuore benedico tutte voi, benedico il vostro lavoro di questi giorni, benedico le vostre comunità, benedico le monache del monastero.

    E vi chiedo di continuare a pregare per me.

    A favore, non contro! Grazie.

    Udienza Generale del 17 Apr 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza
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    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    15. La temperanza

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza.

    Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani.

    Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità.

    Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere.

    Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda.

    Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza.

    Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”.

    La temperanza è un potere su sé stessi.

    Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

    Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati».

    «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà.

    La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n.

    1809).

    Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura.

    In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili.

    Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili.

    In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice.

    Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire.

    Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

    Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio.

    Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia.

    Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato.

    Tutti sappiamo questo.

    La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole.

    Pensa a quello che dice.

    Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite.

    Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature.

    C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura.

    E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

    Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente.

    Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera.

    Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera.

    Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso.

    Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male.

    In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse.

    Dimostra empatia.

    Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara.

    Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso.

    Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza.

    Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola.

    È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso.

    Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre.

    Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

    Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie.

    Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato.

    La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita.

    Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale.

    Il dono della temperanza.

    _________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les personnes de langue française, particulièrement les pèlerins provenant des paroisses et des établissements scolaires de France.

    Apprenons à cultiver la vertu de la tempérance pour savoir contrôler nos paroles et nos actes, afin d’éviter des situations de conflits inutiles, et promouvoir la paix dans notre société.

    Que Dieu vous bénisse !

    [Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua francese, in particolare ai pellegrini provenienti dalle parrocchie e dagli Istituti scolastici di Francia.

    Impariamo a coltivare la virtù della temperanza, in modo da poter controllare le nostre parole e le nostre azioni per evitare conflitti inutili e promuovere la pace nella nostra società.

    Dio vi benedica!]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Ireland, Finland, Indonesia, Malaysia, the Philippines, Korea and the United States of America.

    In the joy of the Risen Christ, I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father.

    May the Lord bless you!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Irlanda, Finlandia, Indonesia, Malaysia, Filippine, Corea e Stati Uniti d’America.

    Nella gioia del Cristo Risorto, invoco su di voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre.

    Il Signore vi benedica!]

    Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, indem wir versuchen, die Tugenden zu leben, legen wir die Gewohnheiten des alten Menschen ab, um den neuen Menschen anzuziehen, der nach dem Bild Gottes geschaffen ist (vgl.

    Eph 4,22-24).

    Auf diese Weise dürfen wir schon jetzt von dem neuen Leben kosten, an dem der Auferstandene uns Anteil gibt.

    [Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, cercando di vivere le virtù, abbandoniamo le abitudini dell’uomo vecchio per rivestirci dell’uomo nuovo, creato secondo Dio (cfr.

    Ef 4,22-24).

    In questo modo, possiamo già pregustare la nuova vita di cui il Risorto ci rende partecipi.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Pidamos a Cristo resucitado que nos enseñe a vivir con sobriedad y en acción de gracias por tantos dones que recibimos de su generosidad.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Dirijo uma cordial saudação aos peregrinos de língua portuguesa, especialmente a quantos vieram do Brasil, convidando todos a permanecer fiéis a Cristo Jesus.

    Vele sobre o vosso caminho a Virgem Maria e vos ajude a ser sinal de confiança e esperança no meio dos outros.

    Sobre vós e vossas famílias desça a Bênção de Deus.

    [Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua portoghese, in particolare a quanti sono venuti dal Brasile, invitando tutti a rimanere fedeli a Cristo Gesù.

    Vegli sul vostro cammino la Vergine Maria e vi aiuti ad essere segno di fiducia e di speranza in mezzo agli altri.

    Su di voi e sulle vostre famiglie scenda la Benedizione di Dio.]

    أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.

    السَّعادَةُ معَ القناعَةِ هي فَرَحٌ يُزهِرُ في قلبِ الَّذين يَعرِفونَ ويُقَدِّرونَ ما هو الأهَمُّ في الحياة، حتَّى يَستَمتِعُوا بها بشكلٍ أفضل.

    باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita, affinché possa gustarla meglio.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Serdecznie pozdrawiam pielgrzymów polskich.

    Bóg obdarował Wasz naród bogatą historią i kulturą, wielkimi Świętymi oraz piękną ziemią ojczystą.

    Dziękując za te dary, pielęgnujcie wewnętrzną wolność ducha, która potrafi z umiarkowaniem korzystać z dóbr duchowych i materialnych, z kultury i sztuki, oraz rezygnować z tego, co niszczy życie i godność osoby ludzkiej.

    Z serca Wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente i pellegrini polacchi.

    Dio ha regalato alla vostra nazione una ricca storia e cultura, grandi Santi e una bellissima terra natia.

    Ringraziando per questi doni, coltivate una libertà interiore di spirito che sappia usare con temperanza i beni spirituali e materiali, la cultura e l’arte, e rinunciando a tutto ciò che distrugge la vita e la dignità della persona umana.

    Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto i Religiosi Giuseppini del Murialdo e i Sacerdoti delle Diocesi di Milano e di Andria che celebrano significativi anniversari di Ordinazione sacerdotale, incoraggiandoli nella loro adesione a Cristo e nel servizio ai fratelli.

    Accolgo con affetto i fedeli di Trevinano, Agerola, Triggiano e le Confraternite di Taranto, come pure il gruppo ANSPI di Avellino e l’Associazione Paesaggi rurali di interesse storico di Arezzo.

    Tutti esorto ad essere generosi protagonisti di bontà e di accoglienza evangelica.

    Il mio pensiero va infine ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente ai tanti studenti che ci rallegrano con la loro presenza.

    A ciascuno il mio augurio perché, partendo dalla Città Eterna e tornando nei rispettivi ambienti di vita, portiate la testimonianza di un impegno rinnovato di fede operosa, contribuendo così a far risplendere nel mondo la luce di Cristo risorto.

    E anche il nostro pensiero, di tutti noi, in questo momento va alle popolazioni in guerra.

    Pensiamo alla Terra Santa, alla Palestina, a Israele.

    Pensiamo all’Ucraina, la martoriata Ucraina.

    Pensiamo ai prigionieri di guerra: che il Signore muova la volontà per liberarli tutti.

    E parlando dei prigionieri, mi vengono in mente coloro che sono torturati.

    La tortura dei prigionieri è una cosa bruttissima, non è umana.

    Pensiamo a tante torture che feriscono la dignità della persona, e a tanti torturati.

    Il Signore aiuti tutti e benedica tutti.

    E a tutti voi la mia benedizione!

    Regina Caeli, 14 Apr 2024
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno, buona domenica!

    Oggi il Vangelo ci riporta alla sera di Pasqua.

    Gli apostoli sono riuniti nel cenacolo, quando da Emmaus tornano i due discepoli e raccontano il loro incontro con Gesù.

    E mentre esprimono la gioia della loro esperienza, il Risorto appare a tutta la comunità.

    Gesù arriva proprio mentre stanno condividendo il racconto dell’incontro con Lui.

    Questo mi fa pensare che è bello condividere, è importante condividere la fede.

    Questo racconto ci fa pensare all’importanza di condividere la fede in Gesù risorto.

    Ogni giorno siamo bombardati da mille messaggi.

    Parecchi sono superficiali e inutili, altri rivelano una curiosità indiscreta o, peggio ancora, nascono da pettegolezzi e malignità.

    Sono notizie che non servono a nulla, anzi fanno male.

    Ma ci sono anche notizie belle, positive e costruttive, e tutti sappiamo quanto fa bene sentirsi dire cose buone, e come stiamo meglio quando ciò accade.

    Ed è bello pure condividere le realtà che, nel bene e nel male, hanno toccato la nostra vita, così da aiutare gli altri.

    Eppure c’è una cosa di cui spesso facciamo fatica a parlare.

    Facciamo fatica a parlare di che? Della più bella che abbiamo da raccontare: il nostro incontro con Gesù.

    Ognuno di noi ha incontrato il Signore e facciamo fatica a parlarne.

    Ciascuno di noi potrebbe dire tanto in proposito: vedere come il Signore ci ha toccato, e questo condividerlo, non facendo da maestro agli altri, ma condividendo i momenti unici in cui ha percepito il Signore vivo, vicino, che accendeva nel cuore la gioia o asciugava le lacrime, che trasmetteva fiducia e consolazione, forza ed entusiasmo, oppure perdono, tenerezza.

    Questi incontri, che ognuno di noi ha avuto con Gesù, condividerli e trasmetterli.

    È importante fare questo in famiglia, nella comunità, con gli amici.

    Così come fa bene parlare delle ispirazioni buone che ci hanno orientato nella vita, dei pensieri e dei sentimenti buoni che ci aiutano tanto ad andare avanti, anche degli sforzi e delle fatiche che facciamo per capire e per progredire nella vita di fede, magari pure per pentirci e tornare sui nostri passi.

    Se lo facciamo, Gesù, proprio come è successo ai discepoli di Emmaus la sera di Pasqua, ci sorprenderà e renderà ancora più belli i nostri incontri e i nostri ambienti.

    Proviamo allora a ricordare, adesso, un momento forte della nostra vita, un incontro decisivo con Gesù.

    Ognuno lo ha avuto, ognuno di noi ha avuto un incontro con il Signore.

    Facciamo un piccolo silenzio e pensiamo: quando io ho trovato il Signore? Quando il Signore si è fatto vicino a me? Pensiamo in silenzio.

    E questo incontro con il Signore, l’ho condiviso per dare gloria proprio al Signore? E anche, ho ascoltato gli altri, quando mi dicono di questo incontro con Gesù?

    La Madonna ci aiuti a condividere la fede per rendere le nostre comunità sempre di più luoghi di incontro con il Signore.

    _______________________

    Dopo il Regina Caeli

    Cari fratelli e sorelle!

    Seguo nella preghiera e con preoccupazione, anche dolore, le notizie giunte nelle ultime ore sull’aggravamento della situazione in Israele a causa dell’intervento da parte dell’Iran.

    Faccio un accorato appello affinché si fermi ogni azione che possa alimentare una spirale di violenza col rischio di trascinare il Medio oriente in un conflitto bellico ancora più grande.

    Nessuno deve minacciare l’esistenza altrui.

    Tutte le nazioni si schierino invece da parte della pace, e aiutino gli israeliani e i palestinesi a vivere in due Stati, fianco a fianco, in sicurezza.

    È un loro profondo e lecito desiderio, ed è un loro diritto! Due Stati vicini.

    Si giunga presto ad un cessate il fuoco a Gaza e si percorrano le vie del negoziato, con determinazione.

    Si aiuti quella popolazione, precipitata in una catastrofe umanitaria, si liberino subito gli ostaggi rapiti mesi fa! Quanta sofferenza! Preghiamo per la pace.

    Basta con la guerra, basta con gli attacchi, basta con la violenza! Sì al dialogo e sì alla pace!

    Oggi in Italia si celebra la centesima Giornata nazionale per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sul tema «Domanda di futuro.

    I giovani tra disincanto e desiderio».

    Incoraggio questo grande Ateneo a proseguire il suo importante servizio formativo, nella fedeltà alla sua missione e attento alle odierne istanze giovanili e sociali.

    Di cuore rivolgo il mio benvenuto a tutti voi, romani e pellegrini venuti dall’Italia e da tanti Paesi.

    Saluto in particolare i fedeli di Los Angeles, Houston, Nutley e Riverside negli Stati Uniti d’America; come pure i polacchi, specialmente - quante bandiere polacche! - quelli di Bodzanów e i giovani volontari dell’Equipe di Aiuto alla Chiesa dell’Est.

    Accolgo e incoraggio i responsabili delle Comunità di Sant’Egidio di alcuni Paesi latinoamericani.

    Saluto i volontari delle ACLI impegnati nei patronati in tutta Italia; i gruppi di Trani, Arzachena, Montelibretti; i ragazzi della professione di fede della parrocchia Santi Silvestro e Martino in Milano; i cresimandi di Pannarano; e il gruppo giovani “Arte e Fede” delle Suore Dorotee.

    Saluto con affetto i bambini di varie parti del mondo, venuti a ricordare che il 25-26 maggio la Chiesa vivrà la prima Giornata Mondiale dei Bambini.

    Grazie! Invito tutti ad accompagnare con la preghiera il cammino verso questo evento – la Prima Giornata dei Bambini – e ringrazio quanti stanno lavorando per prepararlo.

    E a voi, bambine e bambini, dico: vi aspetto! Tutti voi! Abbiamo bisogno della vostra gioia e del vostro desiderio di un mondo migliore, un mondo in pace.

    Preghiamo, fratelli e sorelle, per i bambini che soffrono per le guerre – sono tanti! – in Ucraina, in Palestina, in Israele, in altre parti del mondo, nel Myanmar.

    Preghiamo per loro e per la pace.

    Auguro a tutti una buona domenica.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Saluto i ragazzi dell’Immacolata.

    Buon pranzo e arrivederci!

    Ai membri del Consiglio Nazionale del Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani (MASCI) (13 Apr 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

    Sono molto contento di incontrarvi nel vostro settantesimo anniversario di fondazione.

    Il 20 giugno 1954, infatti, grazie all’opera di Mario Mazza e Padre Ruggi d’Aragona, nasceva ufficialmente a Roma il Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani.

    Già da circa un decennio esisteva l’associazione dei Cavalieri di San Giorgio, che si era data per scopo di testimoniare nella vita i contenuti della Legge e della Promessa scout.

    Essa però ora si definiva più precisamente, focalizzandosi su valori di cui ancora oggi voi siete eredi, custodi e promotori: la comunità, l’educazione, il servizio e la cura della casa comune.

    Mi piace il titolo che avete scelto: “Più vita alla vita”, perché la vita ci porta pienezza, dobbiamo lavorare per la pienezza.

    Lo avete voluto incarnare in alcuni progetti-simbolo da realizzare: donare una culla termica al Centro di Primo Soccorso e Accoglienza di Lampedusa; costruire una falegnameria nautica in Zambia; e piantare un bosco ad Argenta, in Romagna.

    Queste iniziative toccano valori importanti e per questo vorrei fermarmi un momento con voi a riflettervi.

    Primo: la culla, che ci ricorda l’amore per la vita che nasce.

    Viviamo in un tempo di drammatica denatalità.

    L’età media degli italiani è 46 anni, l’età media degli albanesi è 23: questo ci fa capire.

    Una drammatica denatalità in cui l’uomo sembra aver smarrito il gusto del generare e del prendersi cura dell’altro, e forse anche il gusto di vivere.

    Una culla simboleggia invece la gioia per un bimbo che viene alla luce, l’impegno perché possa crescere bene, l’attesa e la speranza per ciò che potrà diventare.

    La culla ci parla della famiglia, nido accogliente e sicuro per i piccoli, comunità fondata sulla gratuità dell’amore; ma anche, di riflesso, ci parla di attenzione per la vita in ogni sua fase, specialmente quando il passare degli anni o le asperità del cammino rendono la persona più vulnerabile e bisognosa.

    Ed è significativo, in questo senso, il fatto che il vostro dono sia destinato al Centro di Primo Soccorso e Accoglienza di Lampedusa: ciò sottolinea ulteriormente che l’amore per la vita è sempre aperto e universale, desideroso del bene di tutti, al di là della provenienza o di qualsiasi altra condizione.

    Seconda iniziativa: la falegnameria.

    La falegnameria è un simbolo caro a noi cristiani, perché il Figlio di Dio l’ha scelta come luogo in cui prepararsi alla sua missione di salvezza nel suo villaggio, a Nazaret, lavorando umilmente «con mani d’uomo» (Gaudium et spes, 22).

    In un mondo in cui si parla tanto, forse troppo, di fabbricare armi per fare la guerra – mi diceva un economista che in questo momento l’investimento che dà più reddito è quello della produzione di armi.

    Investire per distruggere, guadagnare con la distruzione – essa ci rimanda alla vocazione fondamentale dell’uomo di trasformare i doni di Dio non in mezzi di morte, ma in strumenti di bene, nell’impegno comune di costruire una società giusta e pacifica, dove a tutti sia data la possibilità di una vita dignitosa.

    La dignità della vita: lavorare per la dignità della vita.

    Infine, terzo progetto: il bosco.

    Esso ci ricorda la nostra responsabilità per la casa comune, che il Creatore ha affidato alle nostre mani.

    Il rispetto, l’amore e il contatto diretto con la natura sono caratteristiche peculiari dello scoutismo, fin dalle sue origini.

    E sono valori di cui abbiamo tanto bisogno oggi, mentre ci scopriamo sempre più impotenti di fronte alle conseguenze di uno sfruttamento irresponsabile e miope del pianeta, prigionieri di stili di vita e comportamenti tanto egoisticamente sordi ad ogni appello di buon senso, quanto tragicamente autodistruttivi; insensibili al grido di una terra ferita, come pure alla voce di tanti fratelli e sorelle ingiustamente emarginati ed esclusi da un’equa distribuzione dei beni.

    A fronte di questo, lo stile sobrio, rispettoso e frugale degli scout è di grande esempio per tutti!

    Avete deciso di piantare i vostri alberi ad Argenta, in memoria di Don Giovanni Minzoni.

    Egli è stato un parroco coraggioso che, in un contesto di violenta e prepotente ostilità, si è battuto, anche attraverso lo scoutismo, per formare i suoi giovani «a una solida vita cristiana e a un conseguente impegno per la trasformazione della società» (S.

    Giovanni Paolo II, Lettera a Mons.

    E.

    Tonini, Arcivescovo di Ravenna, 30 settembre 1983, nel 60° anniversario della morte di Don Minzoni).

    Anche questo è un richiamo importante a quell’ecologia integrale che, partendo dal farsi carico delle emergenze climatiche e ambientali, amplia la propria riflessione considerando, a monte, il «posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda» (Lett.

    enc.

    Laudato si’, 15).

    Cari amici e care amiche, grazie per quello che siete e che fate! Vi incoraggio a perseverare nel vostro cammino, semel scout semper scout, come dice il vostro motto.

    È bello che continuiate ad essere comunità aperta, attenta, pronta ad accogliere, ascoltare e accompagnare chi il Signore mette sulla vostra strada; comunità profetica nell’annunciare con coraggio il Vangelo e desiderosa di uscire dalla propria cerchia per incontrare gli altri, specialmente chi abita le periferie esistenziali del nostro tempo.

    Vi accompagno con la benedizione e la preghiera.

    E chiedo anche a voi di pregare per me, per favore.

    Grazie!

    Ai Sindaci delle città Patrimonio dell'umanità in Spagna (13 Apr 2024)
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle,

    Sono lieto di potervi ricevere in questa “Città” del Vaticano, che, proprio come quelle che voi rappresentate, conserva una ricca eredità della quale siamo i custodi.

    È una grande responsabilità, ma anche una bella vocazione.

    In tal senso, penso che il nostro interesse per il patrimonio non possa limitarsi all’ambito artistico-culturale, ma debba avere una prospettiva più ampia, accogliendo l’integrità della persona che riceve questa eredità e dei popoli che ce l’hanno trasmessa.

    Le situazioni storiche — con le loro luci e le loro ombre — ci parlano di uomini e donne reali, di sentimenti autentici, che devono essere per noi lezioni di vita, prima che pezzi da museo.

    Sono le sofferenze e gli aneliti delle persone che nel corso del tempo hanno costruito le proprie città, il meticciato di culture e di civiltà che si sono succedute in esse, e naturalmente la loro fede in Dio, ciò che fa battere il loro cuore con passione.

    Chiedo al Signore che, insieme alla bellezza delle vostre città, vi conceda la grazia di trasmettere la fede, la speranza e la carità della vostra gente.

    Che la contemplazione dei diversi monumenti permetta — sia a quanti vi abitano sia a quanti le visitano — di riflettere sulla prudenza e la forza che hanno reso possibile la loro realizzazione.

    Che possano sentirsi interpellati dalla lezione di giustizia e di temperanza che ogni situazione storica racchiude.

    Parleremo così di popoli, di persone, di una storia che non si contempla, ma che si realizza, con un occhio al passato e l’altro al futuro, per avere sempre le mani nel presente che c’interroga ogni giorno.

    Che Dio vi benedica.

    Grazie.

    _____________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    85, sabato 13 aprile 2024, p.

    11.

    Messaggio del Santo Padre per il Network Alarabiya (12 Apr 2024)
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    Cari amici,

    vi ringrazio per l’opportunità di rivolgervi una parola proprio al termine del Ramadan.

    Una felice coincidenza ricorre quest’anno, con il mese sacro islamico che si conclude pochi giorni dopo la celebrazione della Pasqua, la festa più importante per i cristiani.

    Ma questa lieta ricorrenza, che porta ad alzare gli occhi al cielo e ad adorare il Signore «misericordioso e onnipotente» (Nostra aetate, 3), stride fortemente con la tristezza per il sangue che scorre nelle terre benedette del Medio Oriente.

    Fratelli e sorelle, il nostro padre Abramo alzò gli occhi al cielo per guardare le stelle: la luce della vita, che ci avvolge e ci abbraccia dall’alto, ci chiede di superare la notte dell’odio perché, secondo la volontà del Creatore, siano gli astri a illuminare la terra, e non la terra a bruciare, devastata dalle fiamme di armi che infuocano il cielo!

    Dio è pace e vuole la pace.

    Chi crede in Lui non può che ripudiare la guerra, la quale non risolve, ma aumenta i conflitti.

    La guerra, non mi stanco di ripetere, è sempre e solo una sconfitta: è una via senza meta; non apre prospettive, ma estingue la speranza.

    Sono angosciato per il conflitto in Palestina e Israele: cessi subito il fuoco nella striscia di Gaza, dove è in corso una catastrofe umanitaria; possano arrivare gli aiuti alla popolazione palestinese che soffre tantissimo; si rilascino gli ostaggi rapiti a ottobre! E penso alla martoriata Siria, al Libano, a tutto il Medio Oriente: non lasciamo che divampino le fiamme del rancore, sospinte dai venti funesti della corsa agli armamenti! Non lasciamo che la guerra si allarghi! Arrestiamo l’inerzia del male!

    Ho nella mente le famiglie, i giovani, i lavoratori, gli anziani, i bambini: sono certo che nel loro cuore, nel cuore della gente comune, c’è un grande desiderio di pace.

    E che, di fronte al dilagare della violenza, mentre le lacrime scendono dagli occhi, una parola esce dalla loro bocca: “basta”.

    Basta! – ripeto anch’io – a chi ha la grave responsabilità di governare le nazioni: basta, fermatevi! Per favore, fate cessare il rumore delle armi e pensate ai bambini, a tutti i bambini, come ai vostri stessi figli.

    Guardiamo tutti al futuro con gli occhi dei bambini.

    Loro non si chiedono chi è il nemico da distruggere, ma chi sono gli amici con cui giocare; loro hanno bisogno di case, parchi e scuole, non di tombe e fosse!

    Amici, io credo che i deserti possano fiorire: come in natura, così pure nei cuori delle persone e nelle vite dei popoli.

    Ma dai deserti dell’odio spunteranno germogli di speranza solo se sapremo crescere insieme, l’uno a fianco dell’altro; se sapremo rispettare il credo degli altri; se sapremo riconoscere il diritto di esistere di ogni popolo e il diritto di ogni popolo ad avere uno Stato; se sapremo vivere in pace senza demonizzare nessuno.

    Io credo e spero in questo e con me i cristiani che, tra non poche difficoltà, vivono in Medio Oriente: li abbraccio e li incoraggio, chiedendo che abbiano sempre e ovunque il diritto e la possibilità di professare liberamente la loro fede, che parla di pace e fraternità.

    Vi ringrazio per la vostra attenzione.

    Vi saluto con affetto, assicurandovi che porto il Medio Oriente nel cuore.

    A ciascuno di voi auguro ogni bene e benedizione dall’Altissimo.

    Shukran! [grazie!]

    Dal Vaticano, 12 aprile 2024

     

    FRANCESCO

    Ai membri della Papal Foundation (12 Apr 2024)
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    Eminenze, Eccellenze,
    cari fratelli e sorelle, buongiorno a tutti!

    Sono lieto di salutare tutti voi, Membri, Amministratori e Delegati della Papal Foundation, in occasione del vostro pellegrinaggio annuale a Roma.

    Durante questo tempo pasquale celebriamo la risurrezione del Signore e il suo trionfo sul peccato e sulla morte.

    Infatti, la pietra posta davanti al sepolcro è stata rotolata via e noi siamo invitati ad alzare lo sguardo a Gesù e ad accoglierlo nella nostra vita, a dirgli ancora una volta “sì” (cfr Omelia nella Veglia Pasquale, 30 marzo 2024).

    In questo modo, la perenne presenza di Cristo risorto sarà sempre per noi fonte di una gioia che nessuno potrà toglierci (cfr Gv 16,22).

    Fin dalla sua nascita, la Papal Foundation è stata veicolo di questa gioia pasquale portando la vicinanza, la compassione e la tenerezza dell’amore di Gesù a tanti fratelli e sorelle in tutto il mondo.

    Il vostro sostegno a vari progetti educativi, caritativi e apostolici favorisce lo sviluppo integrale di molti, tra cui poveri, rifugiati, migranti e, attualmente, un numero crescente di persone colpite dalla guerra e dalla violenza.

    Nello stesso tempo, le borse di studio destinate a laici, consacrati, seminaristi e sacerdoti di Paesi in via di sviluppo consentono loro di proseguire gli studi presso le Università Pontificie di Roma e forniscono a quanti le ricevono gli strumenti per testimoniare più efficacemente il Vangelo sia nei loro Paesi d’origine sia altrove.

    Mediante queste diverse e lodevoli iniziative, voi continuate ad aiutare i Successori di Pietro a far crescere numerose Chiese locali e a prendersi cura di tante persone svantaggiate, in risposta alle consegne affidate dal Signore all’Apostolo (cfr Lc 22,32; Gv 21,17).

    Per tutta la vostra generosità, esprimo la mia sentita gratitudine: grazie, grazie tante.

    Come ben sapete, il vostro lavoro trova la sua sorgente e la sua ispirazione nella nostra fede cattolica, che chiede di essere continuamente alimentata dalla partecipazione alla vita della Chiesa, dai Sacramenti e dal tempo trascorso in silenzio alla presenza del Signore nella preghiera e nell’adorazione.

    Non dimenticate di adorare.

    La preghiera dell’adorazione noi l’abbiamo trascurata, dobbiamo riprenderla: adorare, in silenzio.

    A questo proposito, la vostra visita avviene durante l’Anno della Preghiera, mentre la Chiesa si prepara a celebrare il Giubileo del 2025.

    Attraverso la perseveranza nella preghiera, noi diventiamo a poco a poco «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32) sia con Gesù che con gli altri, e ciò si traduce in solidarietà e condivisione del nostro pane quotidiano (cfr Lettera all’Arcivescovo Rino Fisichella per il Giubileo 2025, 11 febbraio 2022).

    Questo frutto della vita spirituale è importante per il vostro nobile impegno, perché, anche se forse non le incontrerete mai direttamente, i programmi della Papal Fondation promuovono un legame spirituale e fraterno con persone di molte culture, lingue e regioni diverse che ricevono assistenza.

    Il vostro servizio è tanto più necessario nel nostro tempo, segnato dall’individualismo e dall’indifferenza.

    Vi porgo di cuore i migliori auguri per la vostra attività e per il vostro pellegrinaggio a Roma.

    Affido tutti voi e le vostre famiglie all’intercessione di Maria, Madre della Chiesa, e vi do la mia benedizione come pegno di gioia e di forza nel Signore Risorto.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie!

    Ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (11 Apr 2024)
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    Signori e Signore!

    Con piacere do il benvenuto a tutti voi, membri della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che venne istituita trent’anni or sono.

    Un pensiero alla Presidente, che è andata a casa perché la mamma è in fin di vita, e facciamo una preghiera per lei e per la mamma.

    Saluto il Cancelliere e il Vice Cancelliere e i collaboratori e li ringrazio per il loro servizio.

    Ho apprezzato la scelta di mettere a tema di questa Assemblea plenaria l’esperienza umana della disabilità, i fattori sociali che la determinano e l’impegno per una cultura della cura e dell’inclusione.

    Infatti, l’Accademia delle Scienze Sociali è chiamata ad affrontare, secondo un modello transdisciplinare, alcune delle sfide attuali più urgenti.

    Penso alla tecnologia e alle sue implicazioni nella ricerca e in ambiti quali la medicina e la transizione ecologica; penso alla comunicazione e allo sviluppo dell’intelligenza artificiale – una versa sfida! –; come pure alla necessità di trovare nuovi modelli economici.

    In tempi recenti la comunità internazionale ha compiuto notevoli passi in avanti nel campo dei diritti delle persone con disabilità.

    Molti Paesi si stanno muovendo in questa direzione.

    In altri, invece, tale riconoscimento è ancora parziale e precario.

    Tuttavia, là dove questo percorso è stato intrapreso, tra luci e ombre vediamo fiorire le persone e i germogli di una società più giusta e più solidale.

    Ascoltando la voce degli uomini e delle donne con disabilità, siamo diventati più consapevoli del fatto che la loro vita è condizionata, oltre che dalle limitazioni funzionali, anche da fattori culturali, giuridici, economici e sociali, i quali possono ostacolarne le attività e la partecipazione sociale.

    A fondamento della trattazione di questo tema sta naturalmente la dignità delle persone con disabilità, con le sue implicazioni antropologiche, filosofiche e teologiche.

    Senza appoggiarsi saldamente su tale base, può accadere che, mentre si afferma il principio della dignità umana, allo stesso tempo si agisca contro di essa.

    La dottrina sociale della Chiesa è molto chiara in proposito: le persone con disabilità «sono soggetti pienamente umani, titolari di diritti e doveri» (Compendio della Dottrina Sociale, n.

    148).

    Ciascun essere umano ha il diritto a una vita dignitosa e a svilupparsi integralmente, «anche se è poco efficiente, anche se è nato o cresciuto con delle limitazioni; infatti ciò non sminuisce la sua immensa dignità come persona umana, che non si fonda sulle circostanze bensì sul valore del suo essere.

    Quando questo principio elementare non è salvaguardato, non c’è futuro né per la fraternità né per la sopravvivenza dell’umanità» (Lett.

    enc.

    Fratelli tutti, 107).

    La vulnerabilità e la fragilità appartengono alla condizione umana e non sono proprie solo delle persone con disabilità.

    Ce lo hanno ricordato alcune di loro nella recente Assemblea sinodale: «La nostra presenza – hanno scritto – può contribuire a trasformare le realtà in cui viviamo, rendendole più umane e più accoglienti.

    Senza vulnerabilità, senza limiti, senza ostacoli da superare, non ci sarebbe vera umanità» (La Chiesa è la nostra casa, 2).

    La sollecitudine della Chiesa per quanti portano una o più disabilità attualizza i tanti incontri di Gesù con queste persone, narrati nei Vangeli.

    Da tali racconti si possono trarre spunti di riflessione sempre attuali.

    In primo luogo, Gesù entra in contatto diretto con quanti vivono la disabilità, perché essa, come ogni forma di infermità, non è da ignorare o da negare.

    Ma Gesù non solo si pone in relazione con essi: Egli cambia anche il senso della loro esperienza; infatti introduce un nuovo sguardo sulla condizione delle persone con disabilità, sia nella società sia davanti a Dio.

    Per Lui infatti ogni condizione umana, anche quella segnata da forti limitazioni, è un invito a tessere un rapporto singolare con Dio che fa rifiorire le persone: pensiamo ad esempio, nel Vangelo, al cieco Bartimeo (cfr Mc 10,46-52).

    Purtroppo, in molte parti del mondo, sono ancora le persone e le famiglie isolate e spinte ai margini della vita sociale a causa della disabilità.

    E questo non solo nei Paesi più poveri, dove vive la maggior parte di esse e dove tale condizione le condanna spesso alla miseria, ma anche in contesti di maggior benessere: qui a volte l’handicap è considerato una “tragedia personale” e i disabili sono «“esiliati occulti” che vengono trattati come corpi estranei della società» (Lett.

    enc.

    Fratelli tutti, 98).

    La cultura dello scarto, in effetti, non ha confini.

    Vi è chi presume di poter stabilire, in base a criteri utilitaristici e funzionali, quando una vita ha valore ed è degna di essere vissuta.

    Questo tipo di mentalità può portare a gravi violazioni dei diritti delle persone più deboli, a forti ingiustizie e disuguaglianze là dove ci si lascia guidare prevalentemente dalla logica del profitto, dell’efficienza o del successo.

    Ma c’è anche, nell’odierna cultura dello scarto, un aspetto meno visibile e molto insidioso che erode il valore della persona con disabilità agli occhi della società e ai suoi stessi occhi: è la tendenza che porta a considerare la propria esistenza un peso per sé e per i propri cari.

    Il diffondersi di questa mentalità trasforma la cultura dello scarto in cultura di morte.

    In fondo, «le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani» (ivi, 18).

    Questo è molto importante, i due estremi della vita: i nascituri con disabilità si abortiscono, e agli anziani in fase finale si fa la “dolce morte”, l’eutanasia, un’eutanasia travestita, sempre, ma è eutanasia alla fine.

    Combattere la cultura dello scarto significa promuovere la cultura dell’inclusione – vanno uniti –, creando e rafforzando i legami di appartenenza alla società.

    Gli attori protagonisti di questa azione solidaristica sono coloro che, sentendosi corresponsabili del bene di ciascuno, si adoperano per una maggiore giustizia sociale e per rimuovere le barriere di vario genere che impediscono a tanti di godere dei diritti e delle libertà fondamentali.

    I risultati ottenuti con tali azioni sono maggiormente visibili nei Paesi economicamente più sviluppati.

    In questi Paesi, generalmente, le persone con disabilità hanno diritto a prestazioni sanitarie e sociali, e, sebbene non manchino le difficoltà, sono incluse in molteplici ambiti della vita sociale: da quello educativo a quello culturale, da quello lavorativo a quello sportivo.

    Nei Paesi più poveri tutto ciò dev’essere ancora in gran parte realizzato.

    Pertanto, i governi che si impegnano in tal senso vanno incoraggiati e sostenuti dalla comunità internazionale.

    Allo stesso modo, è doveroso sostenere anche le organizzazioni della società civile, poiché senza la loro capillare azione solidaristica in molto luoghi le persone sarebbero abbandonate a sé stesse.

    Si tratta dunque di costruire una cultura dell’inclusione integrale.

    Il legame di appartenenza diventa ancora più saldo quando le persone con disabilità non sono destinatarie passive, ma partecipano alla vita sociale come protagoniste del cambiamento.

    Sussidiarietà e partecipazione sono i due pilastri di un’effettiva inclusione.

    E in questa luce si comprende bene l’importanza delle associazioni e dei movimenti delle persone con disabilità che promuovono la partecipazione sociale.

    Cari amici, «riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie.

    Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità.

    Qualunque impegno in tale direzione diventa un esercizio alto della carità.

    Infatti, un individuo può aiutare una persona bisognosa ma, quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra nel “campo della più vasta carità, della carità politica”» (ivi, 180).

    Vi ringrazio, fratelli e sorelle, perché dentro questo impegno c’è anche il vostro contributo: di studio e di confronto nell’ambito della comunità scientifica e di sensibilizzazione in diversi ambienti sociali ed ecclesiali.

    Grazie, in particolare, per l’attenzione concreta alle sorelle e ai fratelli con disabilità.

    Di cuore benedico voi e il vostro lavoro.

    E vi chiedo per favore di pregare per me.

    Grazie.

    Ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Commissione Biblica (11 Apr 2024)
    Visita il link

    Sono contento di accogliervi al termine della vostra annuale Assemblea plenaria, nella quale vi siete proposti di approfondire un tema esistenziale, fortemente esistenziale: la malattia e la sofferenza nella Bibbia.

    È una ricerca che riguarda ogni essere umano, in quanto soggetto all’infermità, alla fragilità, alla morte.

    La nostra natura ferita, infatti, porta inscritta in sé anche le realtà del limite e della finitudine, e patisce le contraddizioni del male e del dolore.

    Il tema mi sta molto a cuore: la sofferenza e la malattia sono avversarie da affrontare, ma è importante farlo in modo degno dell’uomo, in modo umano, diciamo così: rimuoverle, riducendole a tabù di cui è meglio non parlare, magari perché danneggiano quell’immagine di efficienza a tutti i costi, utile a vendere e a guadagnare, non è certamente una soluzione.

    Tutti vacilliamo sotto il peso di queste esperienze e occorre aiutarci ad attraversarle vivendole in relazione, senza ripiegarsi su sé stessi e senza che la legittima ribellione si trasformi in isolamento, abbandono o disperazione.

    Sappiamo, anche per la testimonianza di tanti fratelli e sorelle, che il dolore e l’infermità, nella luce della fede, possono diventare fattori decisivi in un percorso di maturazione: il “setaccio della sofferenza” permette infatti di discernere ciò che è essenziale da ciò che non lo è.

    Ma è soprattutto l’esempio di Gesù a indicare la via.

    Egli ci esorta a prenderci cura di chi vive in situazioni di infermità, con la determinazione di sconfiggere la malattia; al tempo stesso, invita delicatamente a unire le nostre sofferenze alla sua offerta salvifica, come seme che porta frutto.

    Concretamente, la nostra visione di fede mi ha suggerito di proporvi qualche spunto di riflessione attorno a due parole decisive: compassione e inclusione.

    La prima, la compassione,indica l’atteggiamento ricorrente e caratterizzante del Signore nei confronti delle persone fragili e bisognose che incontra.

    Vedendo i volti di tanta gente, pecore senza pastore che faticano a orientarsi nella vita (cfr Mc 6,34), Gesù si commuove.

    Ha compassione della folla affamata e sfinita (cfr Mc 8,2) e accoglie senza stancarsi gli ammalati (cfr Mc 1,32), di cui ascolta le richieste: pensiamo ai ciechi che lo supplicano (cfr Mt 20,34) e ai tanti infermi che chiedono guarigione (cfr Lc 17,11-19); è preso da «grande compassione» - dice il Vangelo - per la vedova che accompagna al sepolcro l’unico figlio (cfr Lc 7,13).

    Grande compassione.

    Questa sua compassione si manifesta come vicinanza e porta Gesù a identificarsi con i sofferenti: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36).

    Compassione che porta alla vicinanza.

    Tutto ciò rivela un aspetto importante: Gesù non spiega la sofferenza, ma si piega verso i sofferenti.

    Non si accosta al dolore con incoraggiamenti generici e consolazioni sterili, ma ne accoglie il dramma, lasciandosene toccare.

    La Sacra Scrittura è illuminante in questo senso: non ci lascia un prontuario di parole buone o un ricettario di sentimenti, ma ci mostra volti, incontri, storie concrete.

    Pensiamo a Giobbe, con la tentazione dei suoi amici di articolare teorie religiose che collegano la sofferenza con la punizione divina, ma si infrangono contro la realtà del dolore, testimoniata dalla vita di Giobbe stesso.

    Così la risposta di Gesù è vitale, è fatta di compassione che assume e che, assumendo, salva l’uomo e ne trasfigura il dolore.

    Cristo ha trasformato il nostro dolore facendolo suo fino in fondo: abitandolo, soffrendolo e offrendolo come dono d’amore.

    Non ha dato risposte facili ai nostri “perché”, ma sulla croce ha fatto suo il nostro grande “perché” (cfr Mc 15,34).

    Così, chi assimila la Sacra Scrittura purifica l’immaginario religioso da atteggiamenti sbagliati, imparando a seguire il tragitto indicato da Gesù: toccare con mano la sofferenza umana, con umiltà, mitezz, serenità, per portare, in nome del Dio incarnato, la vicinanza di un sostegno salvifico e concreto.

    Toccare con mano, non teoricamente, con mano.

    E questo ci porta alla seconda parola: inclusione.

    Anche se non è un vocabolo biblico, questa parola esprime bene un tratto saliente dello stile di Gesù: il suo andare in cerca del peccatore, dello smarrito, dell’emarginato, dello stigmatizzato, perché siano accolti nella casa del Padre (cfr Lc 15).

    Pensiamo ai lebbrosi: per Gesù nessuno dev’essere escluso dalla salvezza di Dio (cfr Mc 1,40-42).

    Ma l’inclusione abbraccia anche un altro aspetto: il Signore desidera che si risani la persona tutta intera, spirito, anima e corpo (cfr 1 Ts 5,23).

    A poco infatti gioverebbe una guarigione fisica dal male senza un risanamento del cuore dal peccato (cfr Mc 2,17; Mt 10,28-29).

    C’è una risanazione totale: corpo, anima e spirito.

    Questa prospettiva di inclusione ci porta ad atteggiamenti di condivisione: Cristo, che è passato in mezzo alla gente facendo del bene e curando gli infermi, ha comandato ai suoi discepoli di aver cura dei malati e di benedirli nel suo nome (cfr Mt 10,8; Lc 10,9), condividendo con loro la sua missione di consolazione (cfr Lc 4,18-19).

    Dunque, attraverso l’esperienza della sofferenza e della malattia, noi, come Chiesa, siamo chiamati a camminare insieme a tutti, nella solidarietà cristiana e umana, aprendo, in nome della comune fragilità, opportunità di dialogo e di speranza.

    La parabola del buon Samaritano «ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune» (Lett.

    enc.

    Fratelli tutti, n.

    67).

    Cari fratelli e sorelle, nel lasciarvi questi spunti vi ringrazio per il vostro servizio e vi incoraggio ad approfondire, con rigore critico e spirito fraterno, i temi che state studiando, per irradiare la luce della Scrittura su aspetti delicati che riguardano tutti.

    La Parola di Dio è un antidoto potente nei riguardi di ogni chiusura, astrazione e ideologizzazione della fede: letta nello Spirito in cui è stata scritta, accresce la passione per Dio e per l’uomo, innesca la carità e ravviva lo zelo apostolico.

    Perciò la Chiesa ha la costante necessità di abbeverarsi alle sorgenti della Parola.

    Benedico voi e la vostra missione di dissetare il santo Popolo di Dio con le fresche acque dello Spirito.

    E vi chiedo, per favore, di pregare per me.

    Grazie.

    Udienza Generale del 10 Apr 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 14. La fortezza
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    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    14. La fortezza

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    La catechesi di oggi è dedicata alla terza delle virtù cardinali, vale a dire la fortezza.

    Partiamo dalla descrizione che ne dà il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene.

    Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale.

    La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni» (n.

    1808).

    Così dice il Catechismo della Chiesa Cattolica sulla virtù della fortezza.

    Ecco, dunque, la più “combattiva” delle virtù.

    Se la prima delle virtù cardinali, vale a dire la prudenza, era soprattutto associata alla ragione dell’uomo; e mentre la giustizia trovava la sua dimora nella volontà; questa terza virtù, la fortezza, è spesso legata dagli autori scolastici a ciò che gli antichi chiamavano “appetito irascibile”.

    Il pensiero antico non ha immaginato un uomo senza passioni: sarebbe un sasso.

    E non è detto che le passioni siano necessariamente il residuo di un peccato; però esse vanno educate, vanno indirizzate, vanno purificate con l’acqua del Battesimo, o meglio con il fuoco dello Spirito Santo.

    Un cristiano senza coraggio, che non piega al bene la propria forza, che non dà fastidio a nessuno, è un cristiano inutile.

    Pensiamo a questo! Gesù non è un Dio diafano e asettico, che non conosce le emozioni umane.

    Al contrario.

    Davanti alla morte dell’amico Lazzaro scoppia in pianto; e in certe sue espressioni traspare il suo animo appassionato, come quando dice: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49); e davanti al commercio nel tempio ha reagito con forza (cfr Mt 21,12-13).

    Gesù aveva passione.

    Ma cerchiamo ora una descrizione esistenziale di questa virtù così importante che ci aiuta a portare frutto nella vita.

    Gli antichi – sia i filosofi greci, che i teologi cristiani – riconoscevano nella virtù della fortezza un duplice andamento, uno passivo e un altro attivo.

    Il primo è rivolto dentro noi stessi.

    Ci sono nemici interni che dobbiamo sconfiggere, che vanno sotto il nome di ansia, di angoscia, di paura, di colpa: tutte forze che si agitano nel nostro intimo e che in qualche situazione ci paralizzano.

    Quanti lottatori soccombono prima ancora di iniziare la sfida! Perché non si rendono conto di questi nemici interni.

    La fortezza è una vittoria anzitutto contro noi stessi.

    La maggior parte delle paure che nascono in noi sono irrealistiche, e non si avverano per nulla.

    Meglio allora invocare lo Spirito Santo e affrontare tutto con paziente fortezza: un problema alla volta, come siamo capaci, ma non da soli! Il Signore è con noi, se confidiamo in Lui e cerchiamo sinceramente il bene.

    Allora in ogni situazione possiamo contare sulla Provvidenza di Dio che ci fa da scudo e corazza.

    E poi il secondo movimento della virtù della fortezza, questa volta di natura più attiva.

    Oltre alle prove interne, ci sono nemici esterni, che sono le prove della vita, le persecuzioni, le difficoltà che non ci aspettavamo e che ci sorprendono.

    Infatti, noi possiamo tentare di prevedere quello che ci capiterà, ma in larga parte la realtà è fatta di avvenimenti imponderabili, e in questo mare qualche volta la nostra barca viene sballottata dalle onde.

    La fortezza allora ci fa essere marinai resistenti, che non si spaventano e non si scoraggiano.

    La fortezza è una virtù fondamentale perché prende sul serio la sfida del male nel mondo.

    Qualcuno finge che esso non esista, che tutto vada bene, che la volontà umana non sia talvolta cieca, che nella storia non si dibattano forze oscure portatrici di morte.

    Ma basta sfogliare un libro di storia, o purtroppo anche i giornali, per scoprire le nefandezze di cui siamo un po’ vittime e un po’ protagonisti: guerre, violenze, schiavitù, oppressione dei poveri, ferite mai sanate che ancora sanguinano.

    La virtù della fortezza ci fa reagire e gridare un “no”, un “no” secco a tutto questo.

    Nel nostro confortevole Occidente, che ha un po’ annacquato tutto, che ha trasformato il cammino di perfezione in un semplice sviluppo organico, che non ha bisogno di lotte perché tutto gli appare uguale, avvertiamo talvolta una sana nostalgia dei profeti.

    Ma sono molto rare le persone scomode e visionarie.

    C’è bisogno di qualcuno che ci scalzi dal posto soffice in cui ci siamo adagiati e ci faccia ripetere in maniera risoluta il nostro “no” al male e a tutto ciò che conduce all’indifferenza.

    “No” al male e “no” all’indifferenza; “sì” al cammino, al cammino che ci fa progredire, e per questo bisogna lottare.

    Riscopriamo allora nel Vangelo la fortezza di Gesù, e impariamola dalla testimonianza dei santi e delle sante.

    Grazie!

    ____________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins francophones présents à cette audience, en particulier les groupes des Paroisses et des Écoles venus de Belgique, de la Principauté de Monaco et de France.

    Je vous invite à vous entraîner à la vertu de force pour combattre vos peurs et trouver le courage de manifester votre foi avec enthousiasme.

    Que Dieu vous bénisse tous !

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese presenti a questa udienza, in particolare i gruppi delle parrocchie e delle scuole giunti dal Belgio, dal Principato di Monaco e dalla Francia.

    Vi invito ad allenarvi nella virtù della fortezza per combattere le vostre paure e trovare il coraggio di manifestare la vostra fede con entusiasmo.

    Dio vi benedica tutti!]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Denmark, the Netherlands and the United States of America.

    I also want to convey to the people of Kazakhstan my spiritual closeness at this time, when massive flooding has affected many regions of the country and caused thousands of people to be evacuated from their homes.

    I invite everyone to pray for all who are suffering the effects of this natural disaster.

    Even in times of difficulty, we recall the joy of the risen Christ, and I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father.

    May the Lord bless you all!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Danimarca, Paesi Bassi e Stati Uniti d’America.

    Desidero inoltre trasmettere al popolo del Kazakistan la mia vicinanza spirituale in questo momento, in cui una massiccia alluvione ha colpito molte regioni del Paese e ha causato l'evacuazione di migliaia di persone dalle loro case.

    Invito tutti a pregare per tutti coloro che stanno subendo gli effetti di questo disastro naturale.

    Anche nei momenti di difficoltà, ricordiamo la gioia di Cristo risorto e invoco su di voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre.

    Il Signore vi benedica!]

    Liebe Pilger deutscher Sprache, der Glaube an den auferstandenen Herrn befreit uns aus den Ketten der Angst und des Todes und führt uns zum Leben in Fülle.

    Darum beten wir voller Zuversicht: Jesus, ich vertraue auf dich! Jesus, ich vertraue auf dich!

    [Cari pellegrini di lingua tedesca, la fede nel Signore Risorto ci libera dalle catene della paura e della morte e ci conduce alla pienezza della vita.

    Per questo preghiamo con fiducia: Gesù, confido in te! Gesù, confido in te!]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Que este tiempo pascual aumente en nosotros los dones de la gracia, para que comprendamos mejor la excelencia del bautismo y que la misericordia eterna del Señor, que hemos celebrado el domingo pasado, nos haga crecer más en la virtud de la fortaleza y en las obras de bien.

    Que Dios los bendiga y la Virgen Santa los acompañe.

    Muchas gracias.

    Saúdo os peregrinos de língua portuguesa presentes na audiência de hoje, especialmente os que vieram de Portugal e do Brasil.

    Encorajo-vos a anunciar Jesus ressuscitado, porque Ele, que é a nossa Paz, não nos deu um espírito de timidez, mas de fortaleza.

    Em seu nome vos abençoo, a vós e aos vossos entes queridos!

    [Saluto i pellegrini di lingua portoghese presenti all’odierna udienza, in particolare quelli provenienti dal Portogallo e dal Brasile.

    Vi incoraggio ad annunciare Gesù Risorto, perché Lui, che è la nostra Pace, non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza.

    Nel suo Nome, benedico voi e i vostri cari!]

    أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.

    بِقيامَةِ يسوعَ مِن بينِ الأموات، لمْ يَعُدْ للشَّرِّ سُلطان، ولا يستطيعُ الفشلُ أنْ يَمنَعَنا مِن أنْ نَبدأَ مِن جديد، والموتُ أصبحَ مَعبَرًا لبدايةِ حياةٍ جديدة.

    باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    Con la risurrezione di Gesù, il male non ha più potere, il fallimento non può impedirci di ricominciare e la morte diventa passaggio per l’inizio di una vita nuova.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Serdecznie pozdrawiam Polaków, w szczególności pielgrzymów z diecezji bydgoskiej, przybyłych z okazji 20-lecia jej istnienia.

    W codziennym praktykowaniu cnoty męstwa niech będzie dla nas wszystkich wzorem patron waszej diecezji, błogosławiony bp Michał Kozal, męczennik z Dachau.

    Twierdził on, że: „Od przegranej orężnej bardziej przeraża upadek ducha u ludzi a wątpiący staje się mimo woli sojusznikiem wroga”.

    Z serca wam błogosławię i zawierzam was macierzyńskiej opiece Matki Bożej Pięknej Miłości.

    [Saluto cordialmente i polacchi, in particolare i pellegrini della diocesi di Bydgoszcz, giunti per celebrare il 20° anniversario della sua istituzione.

    Nell’esercizio quotidiano della virtù della fortezza vi sia d’esempio il patrono della vostra diocesi, il beato vescovo Michał Kozal, martire di Dachau.

    Egli affermava che: “Di una sconfitta da arma fa inorridire di più l’abbattimento dello spirito degli uomini e il dubbioso diventa involontariamente alleato del nemico”.

    Vi benedico di cuore e vi affido alla materna protezione della Beata Vergine Maria.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto i sacerdoti, i seminaristi e i fedeli della Sardegna, qui convenuti per la Visita ad limina dei loro Vescovi.

    Saluto i Religiosi Pallottini e le Apostole del Sacro Cuore di Gesù, che affido all’intercessione dei rispettivi fondatori, San Vincenzo Pallotti e la Beata Clelia Merloni.

    Accolgo con gioia i gruppi parrocchiali, tra i quali i fedeli di Montoro, che ricordano un significativo anniversario del patrono San Nicola da Tolentino, la cui effige restaurata benedico volentieri.

    Saluto altresì le Confraternite di Gissi e di Carunchio, l’Associazione Interparlamentare “Cultori dell’Etica” e i Paracadutisti “Folgore” di Livorno, incoraggiando ciascuno a vivere con impegno la propria missione nella Chiesa e nella società.

    Un affettuoso saluto dirigo poi alle Scuole delle Missionarie della Dottrina Cristiana di Roma, Sulmona e L’Aquila, auspicando che l’azione educativa sia sempre sostenuta ed animata dagli ideali cristiani.

    Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli.

    Vi auguro di far crescere nel cuore la luce consolante dell’annuncio pasquale, che invita a rafforzare la fede e la speranza in Gesù, crocifisso e risorto.

    E il mio pensiero va alla martoriata Ucraina e alla Palestina e Israele.

    Che il Signore ci dia la pace! La guerra è dappertutto –  non dimentichiamo il Myanmar – ma chiediamo al Signore la pace e non dimentichiamo questi nostri fratelli e sorelle che soffrono tanto in questi posti di guerra.

    Preghiamo insieme e sempre per la pace.

    Grazie.

    Regina Caeli, 7 Apr 2024
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    Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

    Oggi, seconda domenica di Pasqua, intitolata da San Giovanni Paolo II alla Divina Misericordia, il Vangelo (cfr Gv 20,19-31) ci dice che credendo in Gesù, Figlio di Dio, possiamo avere la vita eterna nel suo nome (v.

    31).

    “Avere la vita”: che cosa significa?

    Tutti vogliamo avere vita, ma ci sono vari modi per farlo.

    Per esempio, c’è chi riduce l’esistenza a una corsa frenetica per godere e possedere tante cose: mangiare e bere, divertirsi, accumulare soldi e roba, provare emozioni forti e nuove, e così via.

    È una strada che a prima vista sembra piacevole, ma che non sazia il cuore.

    Non è così che si “ha la vita”, perché seguendo le strade del piacere e del potere non si trova la felicità.

    Restano infatti senza risposta tanti aspetti dell’esistenza come, ad esempio, l’amore, le esperienze inevitabili del dolore, del limite e della morte.

    E poi rimane inappagato il sogno che ci accomuna tutti: la speranza di vivere per sempre, di essere amati senza fine.

    Oggi il Vangelo dice che questa pienezza di vita, a cui ciascuno di noi è chiamato, si realizza in Gesù: è Lui a darci la pienezza di vita.

    Ma come accedervi, come farne esperienza?

    Guardiamo cosa è accaduto ai discepoli nel Vangelo.

    Stanno attraversando il momento di vita più tragico: dopo i giorni della passione sono chiusi nel Cenacolo, spaventati e scoraggiati.

    Il Risorto si fa loro incontro e per prima cosa mostra le sue piaghe (cfr v.

    20): erano i segni della sofferenza e del dolore, potevano suscitare sensi di colpa, eppure con Gesù diventano i canali della misericordia e del perdono.

    Così i discepoli vedono e toccano con mano che con Gesù la vita vince, sempre, la morte e il peccato sono sconfitti.

    E ricevono il dono del suo Spirito, che dà loro una vita nuova, da figli amati, impastata di gioia, amore e speranza.

    Vi domando una cosa: voi avete speranza? Ognuno si domandi: come va la mia speranza?

    Ecco come fare ogni giorno ad “avere la vita”: basta fissare lo sguardo su Gesù crocifisso e risorto, incontrarlo nei Sacramenti e nella preghiera, riconoscerlo presente, credere in Lui, lasciarsi toccare dalla sua grazia e guidare dal suo esempio, sperimentare la gioia di amare come Lui.

    Ogni incontro con Gesù, un incontro vivo con Lui, ci permette di avere più vita.

    Cercare Gesù, lasciarci incontrare – perché Lui ci cerca! –, aprire il cuore all’incontro con Gesù.

    Chiediamoci però: io credo nella potenza della risurrezione di Gesù, credo che Gesù è risorto? Credo nella sua vittoria sul peccato, sulla paura e sulla morte? Mi lascio coinvolgere nella relazione con il Signore, con Gesù? E mi lascio spingere da Lui ad amare i fratelli e le sorelle e a sperare ogni giorno? Ognuno pensi a questo.

    Maria ci aiuti ad avere una fede sempre più grande in Gesù risorto per “avere la vita” e diffondere la gioia della Pasqua.


    Dopo il Regina Caeli

    Cari fratelli e sorelle!

    Desidero ricordare le persone che sono morte nell’incidente del pullman uscito di strada in Sudafrica alcuni giorni fa.

    Preghiamo per loro e per i familiari.

    Ieri ricorreva la Giornata Internazionale dello Sport per lo Sviluppo e la Pace.

    Tutti sappiamo quanto praticare uno sport possa educare a una socialità aperta, solidale, senza pregiudizi.

    Ma per questo ci vogliono dirigenti e formatori che non puntano solo alla vittoria o al guadagno.

    Promuoviamo uno sport che favorisca l’amicizia sociale e la fraternità!

    Non venga meno la nostra preghiera per la pace, una pace giusta e duratura, in particolare per la martoriata Ucraina e per la Palestina e Israele.

    Lo Spirito del Signore risorto illumini e sostenga quanti lavorano per diminuire la tensione e favorire gesti che rendano possibili i negoziati.

    Che il Signore dia ai dirigenti la capacità di fermarsi un po’ per trattare, per negoziare.

    Rivolgo il mio saluto a tutti voi, romani e pellegrini dell’Italia e di tanti Paesi.

    In particolare saluto gli alunni della Scuola cattolica Mar Qardakh di Erbil, capitale del Kurdistan Iracheno; e i ragazzi di Castellón, Spagna.

    Accolgo con affetto i gruppi di preghiera che coltivano la spiritualità della Divina Misericordia, convenuti oggi al Santuario di Santo Spirito in Sassia.

    Saluto la bocciofila “La Perosina”; il gruppo ACLI di Chieti; i partecipanti alla Conferenza Internazionale per l’abolizione della maternità surrogata; i fedeli di Modugno e di Alcamo; gli alunni della Scuola “San Giuseppe” di Bassano del Grappa e i cresimandi di Sant’Arcangelo di Romagna.

    Saluto i tanti polacchi: vedo le bandiere!

    Auguro a tutti una buona domenica.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci!

    Ai Volontari della Croce Rossa Italiana (6 Apr 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Sono contento di incontrarvi in occasione del 160° anniversario della fondazione della Croce Rossa Italiana.

    Era infatti il 15 giugno 1864 quando a Milano veniva istituito il Comitato dell’Associazione Italiana per il soccorso ai feriti e ai malati in guerra.

    Di fronte alle devastazioni e alle sofferenze causate dalla guerra - anche oggi non dimentichiamo questo! - ci fu un sussulto di umanità che si tradusse in gesti e opere concrete di assistenza e di cura, senza distinzioni di nazionalità, ceto sociale, religione od opinioni politiche.

    Questa corrente di amore non si è mai fermata: oggi, come ieri, la vostra è una presenza efficace e preziosa, specialmente in tutti quei contesti in cui il fragore delle armi soffoca il grido dei popoli, il loro anelito di pace e il loro desiderio di futuro.

    Quella di oggi è un’occasione speciale per esprimervi tanta gratitudine per il servizio che rendete nei contesti bellici e per l’aiuto che ogni giorno prestate a chi è nel bisogno in molteplici situazioni di emergenza.

    Grazie, grazie tante per questo!

    Il vostro impegno, ispirato ai principi di umanità, imparzialità, neutralità, indipendenza, volontariato, unità e universalità, è anche segno visibile che la fraternità è possibile.

    Se si mette al centro la persona, si può dialogare, lavorare insieme per il bene comune, andando oltre le divisioni, abbattendo i muri dell’inimicizia, superando le logiche dell’interesse e del potere che accecano e rendono l’altro un nemico.

    Per il credente ogni persona è sacra.

    Ogni creatura umana è amata da Dio e, per questo, portatrice di diritti inalienabili.

    Animate da questa convinzione, tante persone di buona volontà si incontrano, riconoscendo il valore supremo della vita e, quindi, la necessità di difendere soprattutto i più vulnerabili.

    Su questa realtà dei più vulnerabili vorrei dirvi una cosa: sono i bambini.

    Qui in Italia sono arrivati tanti bambini a causa della guerra in Ucraina.

    Sapete una cosa? Che questi bambini non sorridono, hanno dimenticato la capacità di sorridere.

    È brutto questo per un bambino.

    Pensiamoci.

    Nel ringraziarvi per il vostro servizio insostituibile nelle aree di conflitto e nelle zone colpite da disastri ambientali, nell’ambito della formazione e della salute, così come per quello che fate a favore dei migranti, degli ultimi e dei più vulnerabili, voglio incoraggiarvi a proseguire in questa grande opera di carità che abbraccia l’Italia e il mondo.

    Possa la Croce Rossa restare sempre simbolo eloquente di un amore per i fratelli che non ha confini, né geografici, né culturali, sociali, economici o religiosi.

    Non a caso, lo slogan che avete scelto per celebrare il 160° anniversario è “Ovunque per chiunque”.

    È una cosa universale.

    Si tratta di un’espressione che, mentre racconta un impegno, descrive anche uno stile, un modo di essere e di esserci.

    Ovunque, perché nessun contesto può dirsi libero dalla sofferenza, libero dalle ferite del corpo e dell’anima, sia nelle piccole comunità sia negli angoli più dimenticati della Terra.

    Bisogna globalizzare la solidarietà, operando a livello nazionale e internazionale, perché «riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie – sono realtà! –.

    Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità.

    […] Si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale» (Lett.

    enc.

    Fratelli tutti, 180).

    Per questo, servono norme che garantiscano i diritti umani in ogni luogo, prassi che alimentino la cultura dell’incontro e persone capaci di guardare al mondo con una prospettiva ampia.

    Guardando l’orizzonte.

    Ovunque e per chiunque, perché la nostra è la società dell’io più che del noi, del piccolo gruppo più che di tutti.

    È una società in questo senso egoista.

    La parola “chiunque” ci ricorda che ogni persona ha la sua dignità e merita la nostra attenzione: non possiamo voltarci dall’altra parte o scartarla per le sue condizioni, la sua disabilità, la sua provenienza o il suo status sociale.

    Per questo vi esorto a continuare a stare accanto ai fratelli e alle sorelle che hanno bisogno, con competenza, generosità e dedizione, soprattutto in un tempo in cui crescono, come zizzania, il razzismo e il disprezzo.

    Infatti, «solo coltivando questo modo di relazionarci renderemo possibile l’amicizia sociale che non esclude nessuno e la fraternità aperta a tutti» (ivi, 94).

    Questo slogan – “Ovunque per chiunque” – ricorda la frase che leggiamo nella Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi: «Mi sono fatto tutto per tutti» (9,22).

    L’Apostolo sintetizzava così la sua missione: raggiungere tutti per portare tutti alla gioia del Vangelo.

    Questo è lo stile che anche voi realizzate ogni volta che, con spirito fraterno, intervenite almeno ad alleviare una sofferenza.

    In questo tempo di Pasqua, chiediamo la grazia di essere strumenti di fraternità e di pace, protagonisti nella carità e costruttori di un mondo fraterno e solidale.

    Il Signore benedica voi, volontari e operatori, e benedica le vostre famiglie.

    Io prego per voi; e anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie!

    Ai Membri della Fondazione Sant'Angela Merici, di Siracusa (6 Apr 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Sono felice di incontrarvi e vi ringrazio di essere qui, in occasione dei 50 anni della Fondazione Sant’Angela Merici di Siracusa che, continuando l’ispirazione e l’impegno di Mons.

    Gozzo, si pone quotidianamente a servizio delle persone più fragili.

    La vostra storia, e tutto ciò che nei diversi Centri operativi portate avanti con tanta generosità, si radica in quell’evento che ha segnato la città di Siracusa quando, nel 1953, un quadretto raffigurante la Madonna iniziò a lacrimare nella casa dei coniugi Iannuso.

    Sono le lacrime di Maria, la nostra Madre celeste, per le sofferenze e le pene dei suoi figli.

    Maria piange per i suoi figli che soffrono.

    Sono lacrime che ci parlano della compassione di Dio per tutti noi.

    Dobbiamo pensare a questo: la compassione di Dio.

    Egli, infatti, ha donato a tutti noi la sua Madre, che piange le nostre stesse lacrime per non farci sentire soli nei momenti difficili.

    Allo stesso tempo, attraverso le lacrime della Vergine Santa, il Signore vuole sciogliere i nostri cuori che a volte si sono inariditi nell’indifferenza e induriti nell’egoismo; vuole rendere sensibile la nostra coscienza, perché ci lasciamo toccare dal dolore dei fratelli e ci muoviamo a compassione per loro, impegnandoci a sollevarli, rialzarli, accompagnarli.

    Questa è la ricchezza della vostra storia, queste sono le radici che non dovete smarrire e, soprattutto, questo è il significato della vostra opera.

    La Fondazione, infatti, portando avanti un lavoro quotidiano dove si mescolano professionalità e spirito di sacrificio, esiste per esprimere in gesti concreti le lacrime versate dalla Vergine Maria e nello stesso tempo il suo desiderio materno di asciugare il pianto dei suoi figli.

    E voi, fratelli e sorelle, cercate di fare proprio questo: asciugare le lacrime di chi soffre, accompagnare chi è nel dolore, affiancare i più deboli della società, prendersi cura dei più vulnerabili, accogliere e ospitare chi vive particolari situazioni di fragilità.

    Fratelli e sorelle, il servizio che rendete è prezioso, e vorrei dirvi questo: la fonte della vostra opera è il Vangelo, rimanete attaccati a questa fonte!

    Il Vangelo è la fonte perché Gesù per primo – non dimentichiamolo – si è lasciato toccare fin dentro le viscere dinanzi alle sofferenze di coloro che incontrava e, come ci ricorda l’evangelista Giovanni, per la morte del suo amico Lazzaro «si commosse profondamente» (Gv 11,33).

    Allo stesso tempo, voi siete testimonianza viva di questo Vangelo, della compassione di Gesù, quando vi adoperate per accompagnare chi è nel dolore, proprio come il Signore ha comandato ai suoi discepoli di fare dinanzi alle folle affamate, sfinite e oppresse.

    Gesù infatti ci chiede di non separare mai l’amore per Dio da quello per il prossimo, in particolare per i più poveri.

    Egli ci ricorda che alla fine saremo giudicati non sulle pratiche esteriori ma sull’amore che, come olio di consolazione, avremo saputo versare sulle ferite dei fratelli.

    Egli dice: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

    Carissimi, vi incoraggio a proseguire in questo vostro cammino.

    E chiedo per voi una grazia, che è la più importante di tutte: la grazia di sapersi commuovere, la capacità di piangere con chi piange.

    L’indifferenza, l’individualismo che ci chiude alle sorti di chi ci sta accanto, e quella anestesia del cuore che non ci fa più commuovere davanti ai drammi della vita quotidiana, queste tre cose sono i mali peggiori della nostra società.

    Per favore, non vergognatevi di piangere, di provare commozione per chi soffre; non risparmiatevi nell’esercitare compassione con chi è fragile, perché in queste persone è presente Gesù.

    Andate avanti! E non scoraggiatevi, anzi, ringraziate se il vostro lavoro rimane nascosto ed esige un sacrificio silenzioso e quotidiano: il bene fatto a chi non può ricambiare si espande in modo sorprendente e inatteso, come un piccolo seme nascosto nel terreno che prima o poi fa germogliare una vita nuova.

    La Madonna delle Lacrime vi protegga, vi custodisca e interceda per voi.

    E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Ai Frati Minori della Toscana e de La Verna (5 Apr 2024)
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    Cari fratelli, benvenuti!

    Saluto il Vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, che vi accompagna, e tutti voi.

    Sono felice di incontrarvi, nell’anno in cui si ricorda l’ottavo centenario del dono delle stimmate, che San Francesco ricevette alla Verna il 14 settembre 1224, due anni prima della morte.

    Grazie per aver portato qui la reliquia del suo sangue che sta percorrendo un lungo pellegrinaggio in varie comunità, per ricordare l’importanza della conformazione a «Cristo povero e Crocifisso» (Tommaso da Celano, Vita Seconda, n.

    105).

    E proprio di questa conformazione le stimmate sono uno dei segni più eloquenti che il Signore abbia concesso, lungo il corso dei secoli, a fratelli e sorelle nella fede di varia condizione, stato e provenienza.

    A tutti, nel Popolo santo di Dio, ricordano il dolore sofferto per nostro amore e per la nostra salvezza da Gesù nella sua carne; ma sono anche un segno della vittoria pasquale: è proprio attraverso le piaghe che la misericordia del Crocifisso Risorto, come attraverso dei canali, scorre verso di noi.

    Fermiamoci a riflettere sul significato delle stimmate, dapprima nella vita del cristiano e poi nella vita del francescano.

    Le stimmate nella vita del cristiano.

    Il discepolo di Gesù trova in San Francesco stimmatizzato uno specchio della sua identità.

    Il credente, infatti, non appartiene a un gruppo di pensiero o di azione tenuto insieme dalle sole forze umane, ma ad un Corpo vivente, il Corpo di Cristo che è la Chiesa.

    E questa appartenenza non è nominale, ma reale: è stata impressa nel cristiano dal Battesimo, che ci ha segnati con la Pasqua del Signore.

    Così, nella comunione d’amore della Chiesa, ciascuno di noi riscopre chi è: un figlio amato, benedetto, e riconciliato, inviato per testimoniare i prodigi della grazia ed essere artigiano di fraternità.

    Perciò il cristiano è chiamato a rivolgersi in modo speciale agli “stimmatizzati” che incontra: ai “segnati” dalla vita, che portano le cicatrici di sofferenze e ingiustizie subite o di errori commessi.

    E in questa missione il Santo della Verna è un compagno di cammino, che sostiene e aiuta a non lasciarsi schiacciare da difficoltà, paure e contraddizioni, proprie e altrui.

    È ciò che Francesco ha fatto ogni giorno, dall’incontro con il lebbroso in poi, dimenticando sé stesso nel dono e nel servizio, arrivando perfino, negli ultimi anni, a “disappropriarsi” – questa parola è chiave – disappropriarsi in un certo senso di ciò a cui aveva dato inizio, aprendosi con coraggio e umiltà a vie nuove, docile al Signore e ai fratelli.

    Nella sua povertà di spirito – sottolineiamo questo: Francesco, la povertà di spirito – e nel suo affidamento al Padre ha lasciato a tutti una testimonianza sempre attuale del Vangelo.

    Se vuoi conoscere bene il Cristo addolorato, cerca un francescano.

    E voi, pensate se siete testimoni di questo.

    E veniamo al secondo punto: le stimmate nella vita del francescano.

    Il vostro Santo fondatore vi offre un potente richiamo a fare unità in voi stessi e nella vostra storia.

    Infatti, il Crocifisso che gli appare alla Verna, segnando il suo corpo, è lo stesso che gli si era impresso nel cuore all’inizio della sua “conversione” e che gli aveva indicato la missione di “riparare la sua casa”.

    In questo punto del “riparare”, vorrei inserire la capacità di perdono.

    Voi siete bravi confessori: il francescano ha fama di questo.

    Perdonate tutto, perdonate sempre! Dio non si stanca di perdonare: siamo noi a stancarci di chiedere perdono.

    Perdonate sempre.

    Manica larga, sì, ma perdonate sempre.

    In Francesco, uomo pacificato nel segno della croce, con il quale benediceva i fratelli, le stimmate rappresentano il sigillo dell’essenziale.

    Ciò richiama anche voi a tornare all’essenziale nei vari aspetti del vostro vissuto: nei percorsi formativi, nelle attività apostoliche e nella presenza in mezzo alla gente; ad essere perdonati portatori di perdono, guariti portatori di guarigione, lieti e semplici nella fraternità; con la forza dell’amore che sgorga dal costato di Cristo e che si alimenta nel vostro personale incontro con Lui, da rinnovare ogni giorno con un serafico ardore che bruci il cuore.

    È bello che ripartiate da qui, cari fratelli francescani, in quest’anno giubilare.

    Ripartite da qui, in particolare voi, custodi della Verna.

    Sentitevi chiamati a portare nelle vostre comunità e fraternità, nella Chiesa e nel mondo, un po’ di quell’amore immenso che spinse Gesù a morire in croce per noi.

    L’intimità con Lui, come avvenne per Francesco, vi renda sempre più umili, più uniti, più gioiosi ed essenziali, amanti della croce e attenti ai poveri, testimoni di pace e profeti di speranza in questo nostro tempo che tanto fatica a riconoscere la presenza del Signore.

    Possiate essere sempre più segno e testimonianza, con la vostra vita consacrata, del Regno di Dio che vive e cresce in mezzo agli uomini.

    E c’è una cosa che vorrei dirvi.

    Penso alla mia patria: ci sono dei mangiapreti che quando arriva un prete toccano ferro, perché porta iella, ma mai, mai si fa questo con l’abito francescano! È curioso.

    Mai è insultato un francescano.

    Perché, non si sa.

    Ma il vostro abito fa pensare a San Francesco e alle grazie ricevute.

    Andate avanti così, e non importa se sotto l’abito c’è il blue jeans, non c’è problema, ma andate avanti!

    E proprio per chiedere questa grazia di continua e benefica conversione, vorrei concludere invocando il vostro Serafico Padre con questa preghiera che vi affido, chiedendovi anche di ricordarvi di me davanti al Signore:

    San Francesco,
    uomo piagato dall’amore Crocifisso nel corpo e nello spirito,
    guardiamo a te, decorato delle sacre stimmate,
    per imparare ad amare il Signore Gesù,
    i fratelli e le sorelle con il tuo amore, con la tua passione.
    Con te è più facile contemplare e seguire
    Cristo povero e Crocifisso.
    Donaci, Francesco,
    la freschezza della tua fede,
    la certezza della tua speranza,
    la dolcezza della tua carità.
    Intercedi per noi,
    perché ci sia dolce portare i pesi della vita
    e nelle prove possiamo sperimentare
    la tenerezza del Padre e il balsamo dello Spirito.
    Le nostre ferite siano sanate dal Cuore di Cristo,
    per diventare, come te, testimoni della sua misericordia,
    che continua a guarire e a rinnovare la vita
    di quanti lo cercano con cuore sincero.
    O Francesco, reso somigliante al Crocifisso,
    fa’ che le tue stimmate siano per noi e per il mondo
    segni splendenti di vita e di risurrezione,
    che indichino vie nuove di pace e di riconciliazione.

    Amen.

    E adesso vorrei darvi la benedizione con la reliquia di San Francesco.

    Alla Comunità dei Collegi: Pio Latino Americano; Pio Brasiliano; Messicano (4 Apr 2024)
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    Cari fratelli sacerdoti,

    Come ogni anno ho il piacere di riunirmi con voi, questa volta con i tre Collegi insieme — Pio Brasiliano, Pio Latinoamericano e Messicano —.

    Vorrei trasmettervi la mia riflessione su un tema centrale nella vita dei sacerdoti, l’Amore.

    L’Amore, il primo amore, è quello che ci ha riuniti tutti qui, e mantenerlo vivo è il nostro obbligo principale.

    Qualsiasi vocazione nasce da un amore di predilezione.

    Come per ogni uomo, Dio ci ha chiamati a essere suoi figli e, tra di essi, ci ha affidato un compito particolare, che ci avvicina di più a Lui: donarci per gli altri.

    Sono loro la nostra ragion d’essere, l’obiettivo del nostro amore, poiché in essi realizziamo questo servizio che il Signore ci chiede.

    Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino si presenta ai miei occhi come membro di quel corpo mistico il cui capo è Cristo.

    Agire in persona Christi è essere vera icona di Gesù, è farmi “Veronica” di ogni volto, di ogni lacrima.

    Come? Asciugandole con le mie vesti sacerdotali.

    In primo luogo, con la preghiera, presentando ogni situazione concreta alla presenza di Dio: “Signore, colui che tu ami sta soffrendo” ( cfr.

    Gv 11, 3).

    In secondo luogo, con l’offerta oblativa, eucaristica, di tutto il nostro essere.

    Quando Gesù ci dice: “Potete bere il calice che io sto per bere?” (Mt 20, 22), non cerca una mera disponibilità teorica al martirio, ma una radicale accettazione del fatto che siamo qui per fare la sua volontà e rinunciare alla nostra.

    I nostri studi, il nostro lavoro e il nostro riposo, ogni decisione, sia vitale sia quotidiana, tutto è in funzione di questo servizio.

    In terzo luogo, con l’umiltà, sapendo che sono in cammino, bisognoso di quella preghiera, più ancora di coloro che sono stato chiamato a servire.

    Lo stesso Signore, nel frangente della croce, venne confortato da un angelo (cfr.

    Lc 22, 43).

    Non sottovalutate il potere dell’intercessione di coloro che Dio ha posto sul vostro cammino: dei formatori, dei vostri compagni sacerdoti, del vostro ambiente più prossimo.

    In poche parole, confidate nella preghiera di tutti i membri del Popolo fedele di Dio e non dimenticatevi di pregare per i suoi Pastori, e per me.

    Che Gesù vi benedica e Santa Maria di Guadalupe, Imperatrice dell’America, vi custodisca.

    Grazie. 

    ___________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    77, giovedì 4 aprile 2024, p.

    8.

    Ai Partecipanti al Colloquio promosso dal Dicastero per il Dialogo Interreligioso (4 Apr 2024)
    Visita il link

    Signor Presidente del Senato,
    Eminenza, Eccellenze,
    Autorità del Kazakhstan,
    fratelli e sorelle,

    Vi do il benvenuto in occasione del vostro Colloquio, che vede impegnati il Dicastero per il Dialogo Interreligioso e, da parte kazaka, il Congresso dei Leader delle Religioni Tradizionali e Mondiali, il Senato della Repubblica e il Centro Nursultan Nazarbayev per il Dialogo Interreligioso e tra le Civiltà.

    È per me motivo di gioia vedere in questo evento un primo significativo frutto del Protocollo d’Intesa stipulato tra il Nazarbayev Center e il suddetto Dicastero.

    Questo incontro mi dà l’occasione di fare memoria del VII Congresso dei Leader delle Religioni Tradizionali e Mondiali, al quale ho partecipato nel 2022, recandomi ad Astana.

    Il Congresso è una piattaforma unica e ben sperimentata per il dialogo non solo tra responsabili religiosi, ma anche con il mondo della politica, della cultura, dei mezzi di comunicazione.

    È un’iniziativa meritoria, che ben corrisponde alla vocazione del Kazakhstan a essere Paese dell’incontro.

    Oltre che nel viaggio apostolico, ho avuto modo di manifestare la mia vicinanza al popolo kazako in occasione della visita in Vaticano, lo scorso gennaio, del Signor Presidente della Repubblica, che tanto cortesemente mi aveva accolto nel Paese, e nell’incontro con S.E.

    il Sig.

    Ashimbayev, Presidente del Senato e Capo del Segretariato del Congresso, che partecipa al vostro colloquio come capo della Delegazione kazaka.

    È necessario sostenerci nel coltivare l’armonia tra le religioni, le etnie e le culture, armonia della quale il vostro grande Paese può essere fiero.

    In particolare, sono tre gli aspetti della vostra realtà che vorrei sottolineare: il rispetto delle diversità, l’impegno per la “casa comune” e la promozione della pace.

    Per quanto riguarda il rispetto delle diversità, elemento imprescindibile nella democrazia – che va costantemente promossa –, contribuisce molto a creare armonia il fatto che lo Stato sia “secolare”.

    Parliamo ovviamente di una sana laicità, che non mescola religione e politica, ma le distingue per il bene di entrambe, e che riconosce allo stesso tempo alle religioni il loro ruolo essenziale nella società, a servizio del bene comune.

    Inoltre, pace e armonia sociale sono favorite, nel vostro modello, da un trattamento equo e paritario delle diverse componenti etniche, religiose e culturali per quanto riguarda il lavoro, l’accesso agli uffici pubblici e la partecipazione alla vita politica e sociale del Paese, affinché nessuno si senta discriminato o favorito a motivo della sua specifica identità.

    Circa il secondo punto – l’impegno per la salvaguardia del creato – sottolineo il tema che avete scelto: La nostra casa comune: un dono divino da amare e di cui prendersi cura.

    Tra i documenti di lavoro, oltre alla Laudato si’ e alla Laudate Deum, avete preso in considerazione il testo “2023-2033 Development Concept”, voluto dal Signor Presidente della Repubblica, che offre una visione panoramica del Congresso e delle sue attività nella decade a venire, con speciale attenzione alle questioni ambientali.

    È importante: il rispetto per il creato, infatti, è conseguenza irrinunciabile dell’amore per il Creatore, per i fratelli e le sorelle con cui condividiamo la vita sul pianeta, e in modo particolare per le generazioni future, nei riguardi delle quali siamo chiamati a tramandare un’eredità da custodire, non un debito ecologico da scontare.

    Auspico che la vostra iniziativa costituisca un importante contributo in questo senso.

    Il vostro incontro ha infine una terza dimensione: la promozione della pace.

    Oggi tanti, troppi parlano di guerra: la retorica bellicista è purtroppo tornata di moda.

    È brutto questo! Ma mentre si spargono parole d’odio, le persone muoiono nella brutalità dei conflitti.

    Abbiamo bisogno invece di parlare di pace, di sognare la pace, di dare creatività e concretezza alle attese di pace, che sono le vere aspettative dei popoli e della gente.

    Si faccia ogni sforzo in tal senso, dialogando con tutti.

    Il vostro incontrarvi nel rispetto delle diversità e con l’intento di arricchirvi vicendevolmente sia di esempio a non vedere nell’altro una minaccia, ma un dono e un interlocutore prezioso per la crescita reciproca.

    Cari amici, vi auguro di trascorrere giornate di fraternità, feconde di amicizia e di progetti di bene, e di condividere fruttuosamente i risultati del vostro lavoro.

    Su di voi invoco la benedizione dell’Onnipotente, amante della pace.

    Grazie!

    Udienza Generale del 3 Apr 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 13. La giustizia
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    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    13. La giustizia

    Cari fratelli e sorelle, buona Pasqua, buongiorno!

    Eccoci alla seconda delle virtù cardinali: oggi parleremo della giustizia.

    È la virtù sociale per eccellenza.

    Il Catechismo della Chiesa Cattolica la definisce così: «La virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto» (n.

    1807).

    Questa è la giustizia.

    Spesso, quando si nomina la giustizia, si cita anche il motto che la rappresenta: “unicuique suum” cioè “a ciascuno il suo”.

    È la virtù del diritto, che cerca di regolare con equità i rapporti tra le persone.

    È rappresentata allegoricamente dalla bilancia, perché si propone di “pareggiare i conti” tra gli uomini, soprattutto quando rischiano di essere falsati da qualche squilibrio.

    Il suo fine è che in una società ognuno sia trattato secondo la sua dignità.

    Ma già gli antichi maestri insegnavano che per questo sono necessari anche altri atteggiamenti virtuosi, come la benevolenza, il rispetto, la gratitudine, l’affabilità, l’onestà: virtù che concorrono alla buona convivenza delle persone.

    La giustizia è una virtù per una buona convivenza delle persone.

    Tutti comprendiamo come la giustizia sia fondamentale per la convivenza pacifica nella società: un mondo senza leggi che rispettano i diritti sarebbe un mondo in cui è impossibile vivere, assomiglierebbe a una giungla.

    Senza giustizia, non c’è pace.

    Senza giustizia non c’è pace.

    Infatti, se la giustizia non viene rispettata, si generano conflitti.

    Senza giustizia, si sancisce la legge della prevaricazione del forte sui deboli, e questo non è giusto.

    Ma giustizia è una virtù che agisce tanto nel grande, quanto nel piccolo: non riguarda solo le aule dei tribunali, ma anche l’etica che contraddistingue la nostra vita quotidiana.

    Stabilisce con gli altri rapporti sinceri: realizza il precetto del Vangelo, secondo cui il parlare cristiano dev’essere: «“Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno» (Mt 5,37).

    Le mezze verità, i discorsi sottili che vogliono raggirare il prossimo, le reticenze che occultano i reali propositi, non sono atteggiamenti consoni alla giustizia.

    L’uomo giusto è retto, semplice e schietto, non indossa maschere, si presenta per quello che è, ha un parlare vero.

    Sulle sue labbra si trova spesso la parola “grazie”: sa che, per quanto ci sforziamo di essere generosi, restiamo sempre debitori nei confronti del prossimo.

    Se amiamo, è anche perché siamo stati prima amati.

    Nella tradizione si possono trovare innumerevoli descrizioni dell’uomo giusto.

    Vediamone alcune.

    L’uomo giusto ha venerazione per le leggi e le rispetta, sapendo che esse costituiscono una barriera che protegge gli inermi dalla tracotanza dei potenti.

    L’uomo giusto non bada solo al proprio benessere individuale, ma vuole il bene dell’intera società.

    Dunque non cede alla tentazione di pensare solo a sé stesso e di curare i propri affari, per quanto legittimi, come se fossero l’unica cosa che esiste al mondo.

    La virtù della giustizia rende evidente – e mette nel cuore l’esigenza – che non ci può essere un vero bene per me se non c’è anche il bene di tutti.

    Perciò l’uomo giusto vigila sul proprio comportamento, perché non sia lesivo nei riguardi degli altri: se sbaglia, si scusa.

    L’uomo giusto si scusa sempre.

    In qualche situazione arriva a sacrificare un bene personale per metterlo a disposizione della comunità.

    Desidera una società ordinata, dove siano le persone a dare lustro alle cariche, e non le cariche a dare lustro alle persone.

    Aborrisce le raccomandazioni e non commercia favori.

    Ama la responsabilità ed è esemplare nel vivere e promuovere la legalità.

    Essa, infatti, è la via della giustizia, l’antidoto alla corruzione: quanto è importante educare le persone, in particolare i giovani, alla cultura della legalità! È la via per prevenire il cancro della corruzione e per debellare la criminalità, togliendole il terreno sotto i piedi.

    Ancora, il giusto rifugge comportamenti nocivi come la calunnia, la falsa testimonianza, la frode, l’usura, il dileggio, la disonestà.

    Il giusto mantiene la parola data, restituisce quanto ha preso in prestito, riconosce il corretto salario a tutti gli operai – un uomo che non riconosce il giusto salario agli operai, non è giusto, è ingiusto – si guarda bene dal pronunciare giudizi temerari nei confronti del prossimo, difende la fama e il buon nome altrui.

    Nessuno di noi sa se nel nostro mondo gli uomini giusti siano numerosi oppure rari come perle preziose.

    Ma sono uomini che attirano grazia e benedizioni sia su di sé, sia sul mondo in cui vivono.

    Non sono dei perdenti rispetto a quanti sono “furbi e scaltri”, perché, come dice la Scrittura, «chi ricerca la giustizia e l’amore troverà vita e gloria» (Pr 21,21).

    I giusti non sono moralisti che vestono i panni del censore, ma persone rette che «hanno fame e sete della giustizia» (Mt 5,6), sognatori che custodiscono in cuore il desiderio di una fratellanza universale.

    E di questo sogno, specialmente oggi, abbiamo tutti un grande bisogno.

    Abbiamo bisogno di essere uomini e donne giusti, e questo ci farà felici.

    ________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier: les paroisses et les jeunes venus de France.

    En cette semaine de Pâques, que la lumière du Seigneur Ressuscité nous éclaire dans la rechercher la justice, pour bâtir un monde fraternel.

    Que Dieu vous bénisse.

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare le parrocchie e i giovani francesi.

    In questa settimana di Pasqua, la luce del Signore risorto ci illumini nella ricerca della giustizia, per costruire un mondo fraterno.

    Dio vi benedica.]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from Sweden, Malta, Korea and the United States of America.

    In the joy of the Risen Christ, I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father.

    May the Lord bless you all!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Svezia, Malta, Corea, Canada e Stati Uniti d’America.

    Nella gioia del Cristo Risorto, invoco su di voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre.

    Il Signore vi benedica!]

    Herzlich grüße ich die Pilger deutscher Sprache.

    Jedes Jahr gewährt uns Christus die Freude, seine Auferstehung zu feiern.

    Sein Ostersieg schenke der ganzen Welt Hoffnung und führe uns zum ewigen Leben.

    Euch allen ein gesegnetes Osterfest!

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua tedesca.

    Ogni anno Cristo ci concede la gioia di celebrare la Sua Risurrezione.

    La Sua vittoria pasquale doni speranza al mondo intero e ci conduca alla vita eterna.

    Buona Pasqua a tutti voi!]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Que la luz de Cristo resucitado nos guíe por caminos de justicia y de paz, y la fuerza vivificante de su amor nos haga audaces constructores de un mundo más fraterno y solidario.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Saúdo os peregrinos de língua portuguesa, invocando para todos as consolações e luzes do Espírito de Deus, a fim de que, vencidos pessimismos e desilusões da vida, possam cruzar, juntamente com os seus entes queridos, o limiar da esperança que temos em Cristo ressuscitado.

    Conto com as vossas orações.

    Obrigado!

    [Saluto i pellegrini di lingua portoghese, invocando per tutti le consolazioni e le luci dello Spirito di Dio affinché, vinti i pessimismi e le delusioni della vita, possano attraversare, insieme ai loro cari, la soglia della speranza che abbiamo nel Cristo risorto.

    Conto sulle vostre preghiere.

    Grazie!]

    أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة.

    رجاؤُنا يُدعَى يسوع.

    هو دَخَلَ في قبرِ خَطايانا، ومِن أحلَكِ أعماقِ مَوتِنا، أَيقَظَنا ومَنَحَنا حياةً جديدةً.

    أتمنَّى لكُم جميعًا فِصحًا مجيدًا.

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    La nostra speranza si chiama Gesù.

    Egli è entrato dentro il sepolcro del nostro peccato e dagli abissi più oscuri della nostra morte, ci ha risvegliati e ci ha dato una nuova vita.

    A tutti voi, Buona Pasqua!]

    Pozdrawiam serdecznie Polaków.

    Przypadająca w najbliższych dniach Niedziela Bożego Miłosierdzia przypomina nam o przesłaniu przekazanym za pośrednictwem św.

    Faustyny Kowalskiej.

    Nigdy nie powątpiewajmy o Bożej miłości, lecz wytrwale i z ufnością zawierzajmy Panu nasze życie i świat, prosząc Go w szczególności o sprawiedliwy pokój dla udręczonych przez wojnę narodów.

    Z serca wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente i polacchi.

    La Domenica della Divina Misericordia, che cade nei prossimi giorni, ci ricorda il messaggio trasmesso da Santa Faustina Kowalska.

    Non dubitiamo mai dell'amore di Dio, ma affidiamo con costanza e fiducia la nostra vita e il mondo al Signore, chiedendogli in particolare una pace giusta per le nazioni martoriate dalla guerra.

    Vi benedico di cuore.]

    ________________________________

    APPELLO

    Purtroppo continuano a giungere tristi notizie dal Medio Oriente.

    Torno a rinnovare la mia ferma richiesta di un immediato cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza.

    Esprimo il mio profondo rammarico per i volontari uccisi mentre erano impegnati nella distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza.

    Prego per loro e le loro famiglie.

    Rinnovo l’appello a che sia permesso a quella popolazione civile, stremata e sofferente, l’accesso agli aiuti umanitari e siano subito rilasciati gli ostaggi.

    Si eviti ogni irresponsabile tentativo di allargare il conflitto nella regione e ci si adoperi affinché al più presto possano cessare questa e altre guerre che continuano a portare morte e sofferenza in tante parti del mondo.

    Preghiamo e operiamo senza stancarci perché tacciano le armi e torni a regnare la pace.

    E non dimentichiamo la martoriata Ucraina, tanti morti! Ho nelle mani un rosario e un libro del Nuovo Testamento lasciato da un soldato morto nella guerra.

    Questo ragazzo si chiamava Oleksandr, Alessandro, 23 anni.

    Alessandro leggeva il Nuovo Testamento e i Salmi e aveva sottolineato, nel Libro dei Salmi, il salmo 129: “Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce”.

    Questo ragazzo di 23 anni è morto ad Avdiïvka, nella guerra.

    Ha lasciato davanti una vita.

    E questo è il suo rosario e il suo Nuovo Testamento, che lui leggeva e pregava.

    Io vorrei fare in questo momento un po’ di silenzio, tutti, pensando a questo ragazzo e a tanti altri come lui, morti in questa pazzia della guerra.

    La guerra distrugge sempre! Pensiamo a loro e preghiamo.

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto i Preadolescenti dell’Arcidiocesi di Milano, venuti a Roma per coronare il loro cammino di formazione catechetica mediante la professione di fede presso le tombe degli Apostoli.

    Cari ragazzi – a voi mi rivolgo! –, sappiate testimoniare con l’entusiasmo e la generosità proprie della vostra giovane età la fedeltà al Vangelo seguendo sempre Cristo, luce del mondo.

    Farete questo voi? [Sì!] Non rispondete… più forte! [rispondono: Sì!]

    Accolgo con affetto i Cresimandi delle Diocesi di Treviso, Cremona e Cuneo-Fossano.

    Con la forza dello Spirito Santo, che nella Cresima vi conferma come battezzati, figli di Dio e membri della Chiesa, possiate essere “pietre vive” per costruire la comunità cristiana.

    Saluto altresì il Gruppo della Via Crucis, di Barile esprimendo apprezzamento per l’impegno nella rappresentazione sacra dei misteri della passione di Cristo.

    Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli.

    A ciascuno auguro di accogliere nel cuore la gioia e la pace, doni di Gesù Risorto.

    A tutti la mia Benedizione!

    Regina Caeli, 1° Apr 2024, Lu dell'Angelo
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e Buona Pasqua!

    Oggi, Lunedì dell’Ottava di Pasqua, il Vangelo (cfr Mt 28,8-15) ci mostra la gioia delle donne per la risurrezione di Gesù: esse, dice il testo, abbandonarono il sepolcro con «gioia grande» e «corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli» (v.

    8).

    Questa gioia, che nasce proprio dall’incontro vivo con il Risorto, è un’emozione prorompente, che le spinge a diffondere e raccontare ciò che hanno visto.

    Condividere la gioia è un’esperienza meravigliosa, che impariamo fin da piccoli: pensiamo a un ragazzo che prende un bel voto a scuola e non vede l’ora di mostrarlo ai genitori, o a un giovane che raggiunge i primi successi sportivi, o a una famiglia in cui nasce un bambino.

    Proviamo a ricordare, ciascuno di noi, un momento tanto felice che era persino difficile esprimerlo a parole, ma che abbiamo desiderato raccontare subito a tutti!

    Ecco, le donne, il mattino di Pasqua, vivono quest’esperienza, ma in un modo molto più grande.

    Perché? Perché la risurrezione di Gesù non è solo una notizia stupenda o il lieto fine di una storia, ma qualcosa che cambia la nostra vita completamente e la cambia per sempre! È la vittoria della vita sulla morte, questa è la resurrezione di Gesù.

    È la vittoria della speranza sullo sconforto.

    Gesù ha squarciato il buio del sepolcro e vive per sempre: la sua presenza può riempire di luce qualsiasi cosa.

    Con Lui ogni giorno diventa la tappa di un cammino eterno, ogni “oggi” può sperare in un “domani”, ogni fine in un nuovo inizio, ogni istante è proiettato oltre i limiti del tempo, verso l’eternità.

    Fratelli, sorelle, la gioia della Risurrezione non è qualcosa di lontano.

    È vicinissima, è nostra, perché ci è stata donata nel giorno del Battesimo.

    Da allora anche noi, come le donne, possiamo incontrare il Risorto ed Egli, come a loro, ci dice: «Non temete!» (v 10).

    Fratelli e sorelle, non rinunciamo alla gioia della Pasqua! Ma come alimentare questa gioia? Come hanno fatto le donne: incontrando il Risorto, perché è Lui la fonte di una gioia che non si esaurisce mai.

    Affrettiamoci a cercarlo nell’Eucaristia, nel suo perdono, nella preghiera e nella carità vissuta! La gioia, quando si condivide, aumenta.

    Condividiamo la gioia del Risorto.

    E la Vergine Maria, che nella Pasqua si è rallegrata per il suo Figlio risorto, ci aiuti a esserne testimoni gioiosi.

    Dopo il Regina Caeli

    Cari fratelli e sorelle!

    Rinnovo a tutti gli auguri pasquali e ringrazio di cuore coloro che, in diversi modi, mi hanno inviato messaggi di vicinanza e di preghiera.

    A queste persone, famiglie e comunità giunga il dono della pace del Signore Risorto.

    E vorrei che questo dono della pace arrivasse là dove più ce n’è bisogno: alle popolazioni stremate dalla guerra, dalla fame, da ogni forma di oppressione. 

    E con affetto saluto voi, romani e pellegrini di diversi Paesi!

    Saluto i ragazzi e i sacerdoti della Comunità pastorale Beato Carlo Gnocchi in Inverigo e quelli del Decanato di Appiano Gentile.

    Buon Lunedì dell’Angelo! Continua la gioia della Pasqua! Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci.

    "Urbi et Orbi" - Pasqua 2024
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    Cari fratelli e sorelle, buona Pasqua!

    Oggi risuona in tutto il mondo l’annuncio partito duemila anni fa da Gerusalemme: “Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto!” (cfr Mc 16,6).

    La Chiesa rivive lo stupore delle donne che andarono al sepolcro all’alba del primo giorno della settimana.

    La tomba di Gesù era stata chiusa con una grossa pietra; e così anche oggi massi pesanti, troppo pesanti chiudono le speranze dell’umanità: il masso della guerra, il masso delle crisi umanitarie, il masso delle violazioni dei diritti umani, il masso della tratta di persone umane, e altri ancora.

    Anche noi, come le donne discepole di Gesù, ci chiediamo l’un l’altro: “Chi ci farà rotolare via queste pietre?” (cfr Mc 16,3).

    Ed ecco la scoperta del mattino di Pasqua: la pietra, quella pietra così grande, è stata già fatta rotolare.

    Lo stupore delle donne è il nostro stupore: la tomba di Gesù è aperta ed è vuota! Da qui comincia tutto.

    Attraverso quel sepolcro vuoto passa la via nuova, quella che nessuno di noi ma solo Dio ha potuto aprire: la via della vita in mezzo alla morte, la via della pace in mezzo alla guerra, la via della riconciliazione in mezzo all’odio, la via della fraternità in mezzo all’inimicizia.

    Fratelli e sorelle, Gesù Cristo è risorto, e solo Lui è capace di far rotolare le pietre che chiudono il cammino verso la vita.

    Anzi, Lui stesso, il Vivente, è la Via: la Via della vita, della pace, della riconciliazione, della fraternità.

    Lui ci apre il passaggio umanamente impossibile, perché solo Lui toglie il peccato del mondo e perdona i nostri peccati.

    E senza il perdono di Dio quella pietra non si toglie.

    Senza il perdono dei peccati non si esce dalle chiusure, dai pregiudizi, dai sospetti reciproci, dalle presunzioni che sempre assolvono sé stessi e accusano gli altri.

    Solo Cristo Risorto, donandoci il perdono dei peccati, apre la via per un mondo rinnovato.

    Solo lui ci apre le porte della vita, quelle porte che continuamente chiudiamo con le guerre che dilagano nel mondo.

    Oggi volgiamo anzitutto lo sguardo verso la Città Santa di Gerusalemme, testimone del mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù e a tutte le comunità cristiane della Terra Santa.

    Il mio pensiero va soprattutto alle vittime dei tanti conflitti che sono in corso nel mondo, a cominciare da quelli in Israele e Palestina, e in Ucraina.

    Cristo Risorto apra una via di pace per le martoriate popolazioni di quelle regioni.

    Mentre invito al rispetto dei principi del diritto internazionale, auspico uno scambio generale di tutti i prigionieri tra Russia e Ucraina: tutti per tutti!

    Inoltre, faccio nuovamente appello a che sia garantita la possibilità di accesso agli aiuti umanitari a Gaza, esortando nuovamente a un pronto rilascio degli ostaggi rapiti il 7 ottobre scorso e a un immediato cessate-il-fuoco nella Striscia.

    Non permettiamo che le ostilità in atto continuino ad avere gravi ripercussioni sulla popolazione civile, ormai stremata, e soprattutto sui bambini.

    Quanta sofferenza vediamo negli occhi dei bambini: hanno dimenticato di sorridere quei bambini in quelle terre di guerra! Con il loro sguardo ci chiedono: perché? Perché tanta morte? Perché tanta distruzione? La guerra è sempre un’assurdità, la guerra è sempre una sconfitta! Non lasciamo che venti di guerra sempre più forti spirino sull’Europa e sul Mediterraneo.

    Non si ceda alla logica delle armi e del riarmo.

    La pace non si costruisce mai con le armi, ma tendendo le mani e aprendo i cuori.

    E fratelli e sorelle, non dimentichiamoci della Siria, che da tredici anni patisce le conseguenze di una guerra lunga e devastante.

    Tantissimi morti, persone scomparse, tanta povertà e distruzione aspettano risposte da parte di tutti, anche dalla Comunità internazionale.

    Il mio sguardo va oggi in modo speciale al Libano, da tempo interessato da un blocco istituzionale e da una profonda crisi economica e sociale, aggravate ora dalle ostilità alla frontiera con Israele.

    Il Risorto conforti l’amato popolo libanese e sostenga tutto il Paese nella sua vocazione ad essere una terra di incontro, convivenza e pluralismo.

    Un pensiero particolare rivolgo alla Regione dei Balcani Occidentali, dove si stanno compiendo passi significativi verso l’integrazione nel progetto europeo: le differenze etniche, culturali e confessionali non siano causa di divisione, ma diventino fonte di ricchezza per tutta l’Europa e per il mondo intero.

    Parimenti incoraggio i colloqui tra l’Armenia e l’Azerbaigian, perché, con il sostegno della Comunità internazionale, possano proseguire il dialogo, soccorrere gli sfollati, rispettare i luoghi di culto delle diverse confessioni religiose e arrivare al più presto ad un accordo di pace definitivo.

    Cristo risorto apra una via di speranza alle persone che in altre parti del mondo patiscono violenze, conflitti, insicurezza alimentare, come pure gli effetti dei cambiamenti climatici.

    Il Signore doni conforto alle vittime di ogni forma di terrorismo.

    Preghiamo per quanti hanno perso la vita e imploriamo il pentimento e la conversione degli autori di tali crimini.

    Il Risorto assista il popolo haitiano, affinché cessino quanto prima le violenze che lacerano e insanguinano il Paese ed esso possa progredire nel cammino della democrazia e della fraternità.

    Dia conforto ai Rohingya, afflitti da una grave crisi umanitaria, e apra la strada della riconciliazione in Myanmar lacerato da anni di conflitti interni, affinché si abbandoni definitivamente ogni logica di violenza.

    Il Signore apra vie di pace nel continente africano, specialmente per le popolazioni provate in Sudan e nell’intera regione del Sahel, nel Corno d’Africa, nella Regione del Kivu nella Repubblica Democratica del Congo e nella Provincia di Capo Delgado in Mozambico, e faccia cessare la prolungata situazione di siccità che interessa vaste aree e provoca carestia e fame.

    Il Risorto faccia risplendere la sua luce sui migranti e su coloro che stanno attraversando un periodo di difficoltà economica, offrendo loro conforto e speranza nel momento del bisogno.

    Cristo guidi tutte le persone di buona volontà ad unirsi nella solidarietà, per affrontare insieme le molte sfide che incombono sulle famiglie più povere nella loro ricerca di una vita migliore e della felicità.

    In questo giorno in cui celebriamo la vita che ci è donata nella risurrezione del Figlio, ricordiamoci dell’amore infinito di Dio per ciascuno di noi: un amore che supera ogni limite e ogni debolezza.

    Eppure come è tanto spesso disprezzato il prezioso dono della vita.

    Quanti bambini non possono nemmeno vedere la luce? Quanti muoiono di fame o sono privi di cure essenziali o sono vittime di abusi e violenze? Quante vite sono fatte oggetto di mercimonio per il crescente commercio di essere umani?

    Fratelli e sorelle, nel giorno in cui Cristo ci ha resi liberi dalla schiavitù della morte, esorto quanti hanno responsabilità politiche perché non risparmino sforzi nel combattere il flagello della tratta di esseri umani, lavorando instancabilmente per smantellarne le reti di sfruttamento e portare libertà a coloro che ne sono vittime.

    Il Signore consoli le loro famiglie, soprattutto quelle che attendono con ansia notizie dei loro cari, assicurando loro conforto e speranza.

    Possa la luce della risurrezione illuminare le nostre menti e convertire i nostri cuori, rendendoci consapevoli del valore di ogni vita umana, che deve essere accolta, protetta e amata.

    Buona Pasqua a tutti!

    Veglia Pasquale nella Notte Santa (30 Mar 2024)
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    Le donne vanno al sepolcro alle prime luci dell’alba, ma dentro di sé conservano il buio della notte.

    Pur essendo in cammino, sono ancora ferme: il loro cuore è rimasto ai piedi della croce.

    Annebbiate dalle lacrime del Venerdì Santo, sono paralizzate dal dolore, sono rinchiuse nella sensazione che ormai sia tutto finito, che sopra la vicenda di Gesù sia stata messa una pietra.

    E proprio la pietra è al centro dei loro pensieri.

    Si chiedono infatti: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?» (Mc 16,3).

    Quando arrivano sul luogo, però, la sorprendente potenza della Pasqua le sconvolge: «alzando lo sguardo – dice il testo – osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande» (Mc 16,4).

    Fermiamoci, cari fratelli e sorelle, su questi due momenti, che ci portano alla gioia inaudita della Pasqua: in un primo momento, le donne si chiedono angosciate chi farà rotolare via la pietra; poi, secondo momento, alzando lo sguardo, vedono che essa è già stata fatta rotolare.

    Anzitutto – primo momento – c’è la domanda che assilla il loro cuore spezzato dal dolore: chi ci farà rotolare via la pietra dal sepolcro? Quella pietra rappresentava la fine della storia di Gesù, sepolta nella notte della morte.

    Lui, la vita venuta nel mondo, è stato ucciso; Lui, che ha manifestato l’amore misericordioso del Padre, non ha ricevuto pietà; Lui, che ha sollevato i peccatori dal peso della condanna, è stato condannato alla croce.

    Il Principe della pace, che aveva liberato un’adultera dalla furia violenta delle pietre, giace sepolto dietro una grossa pietra.

    Quel masso, ostacolo insormontabile, era il simbolo di ciò che le donne portavano nel cuore, il capolinea della loro speranza: contro di esso tutto si era infranto, con il mistero oscuro di un tragico dolore che aveva impedito ai loro sogni di realizzarsi.

    Fratelli e sorelle, questo può accadere anche a noi.

    A volte sentiamo che una pietra tombale è stata pesantemente poggiata all’ingresso del nostro cuore, soffocando la vita, spegnando la fiducia, imprigionandoci nel sepolcro delle paure e delle amarezze, bloccando la via verso la gioia e la speranza.

    Sono “macigni della morte” e li incontriamo, lungo il cammino, in tutte quelle esperienze e situazioni che ci rubano l’entusiasmo e la forza di andare avanti: nelle sofferenze che ci toccano e nelle morti delle persone care, che lasciano in noi vuoti incolmabili; li incontriamo nei fallimenti e nelle paure che ci impediscono di compiere quanto di buono abbiamo a cuore; li troviamo in tutte le chiusure che frenano i nostri slanci di generosità e non ci permettono di aprirci all’amore; li troviamo nei muri di gomma dell’egoismo – sono veri muri di gomma –, egoismo e indifferenza, che respingono l’impegno a costruire città e società più giuste e a misura d’uomo; li troviamo in tutti gli aneliti di pace spezzati dalla crudeltà dell’odio e dalla ferocia della guerra.

    Quando sperimentiamo queste delusioni, abbiamo la sensazione che tanti sogni siano destinati ad essere infranti e anche noi ci chiediamo angosciati: chi ci rotolerà la pietra dal sepolcro?

    Eppure, queste stesse donne che avevano il buio nel cuore ci testimoniano qualcosa di straordinario: alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande.

    Ecco la Pasqua di Cristo, ecco la forza di Dio: la vittoria della vita sulla morte, il trionfo della luce sulle tenebre, la rinascita della speranza dentro le macerie del fallimento.

    È il Signore, il Dio dell’impossibile che, per sempre, ha rotolato via la pietra e ha cominciato ad aprire i nostri cuori, perché la speranza non abbia fine.

    Verso di Lui, allora, anche noi dobbiamo alzare lo sguardo.

    E allora - secondo momento – : alziamo lo sguardo a Gesù: Egli, dopo aver assunto la nostra umanità, è disceso negli abissi della morte e li ha attraversati con la potenza della sua vita divina, aprendo uno squarcio infinito di luce per ciascuno di noi.

    Risuscitato dal Padre nella sua, nella nostra carne con la forza dello Spirito Santo, ha aperto una pagina nuova per il genere umano.

    Da quel momento, se ci lasciamo prendere per mano da Gesù, nessuna esperienza di fallimento e di dolore, per quanto ci ferisca, può avere l’ultima parola sul senso e sul destino della nostra vita.

    Da quel momento, se ci lasciamo afferrare dal Risorto, nessuna sconfitta, nessuna sofferenza, nessuna morte potranno arrestare il nostro cammino verso la pienezza della vita.

    Da quel momento, «noi cristiani diciamo che questa storia … ha un senso, un senso che abbraccia ogni cosa, un senso che non è più contaminato da assurdità e oscurità … un senso che noi chiamiamo Dio … Verso di lui confluiscono tutte le acque della nostra trasformazione; esse non sprofondano negli abissi del nulla e dell’assurdità … poiché il suo sepolcro è vuoto e lui, che era morto, si è mostrato come il vivente» (K.

    Rahner, Che cos’è la risurrezione? Meditazioni sul Venerdì santo e sulla Pasqua, Brescia 2005, 33-35).

    Fratelli e sorelle, Gesù è la nostra Pasqua, Lui è Colui che ci fa passare dal buio alla luce, che si è legato a noi per sempre e ci salva dai baratri del peccato e della morte, attirandoci nell’impeto luminoso del perdono e della vita eterna.

    Fratelli e sorelle, alziamo lo sguardo a Lui, accogliamo Gesù, Dio della vita, nelle nostre vite, rinnoviamogli oggi il nostro “sì” e nessun macigno potrà soffocarci il cuore, nessuna tomba potrà rinchiudere la gioia di vivere, nessun fallimento potrà relegarci nella disperazione.

    Fratelli e sorelle, alziamo lo sguardo a Lui e chiediamogli che la potenza della sua risurrezione rotoli via i massi che ci opprimono l’anima.

    Alziamo lo sguardo a Lui, il Risorto, e camminiamo nella certezza che sul fondo oscuro delle nostre attese e delle nostre morti è già presente la vita eterna che Egli è venuto a portare.

    Sorella, fratello, esploda di giubilo il tuo cuore in questa notte, in questa notte santa! Insieme cantiamo la risurrezione di Gesù: «Cantatelo, cantatelo tutti, fiumi e pianure, deserti e montagne … cantate il Signore della vita che sorge dalla tomba, più splendente di mille soli.

    Popoli spezzati dal male e percossi dall’ingiustizia, popoli senza luogo, popoli martiri, allontanate in questa notte i cantori della disperazione.

    L’uomo dei dolori non è più in prigione: ha aperto una breccia nel muro, si affretta a venire presso di voi.

    Nasca nel buio il grido inatteso: è vivo, è risorto! E voi, fratelli e sorelle, piccoli e grandi … voi nella fatica del vivere, voi che vi sentite indegni di cantare … una fiamma nuova traversi il vostro cuore, una freschezza nuova pervada la vostra voce.

    È la Pasqua del Signore – fratelli e sorelle – è la festa dei viventi» (J-Y.

    Quellec, Dieu face nord, Ottignies 1998, 85-86).

    Santa Messa nella Cena del Signore (Casa Circondariale Femminile di Rebibbia, 28 Mar 2024)
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    In questo momento della cena, due episodi attirano la nostra attenzione.

    La lavanda dei piedi di Gesù: Gesù si umilia, e con questo gesto ci fa capire quello che aveva detto: «Io non sono venuto per essere servito, ma per servire» (cfr Mc 10,45).

    Ci insegna il cammino del servizio.

    L’altro episodio – triste – è il tradimento di Giuda che non è capace di portare avanti l’amore, e poi i soldi, l’egoismo lo portano a questa cosa brutta.

    Ma Gesù perdona tutto.

    Gesù perdona sempre.

    Soltanto chiede che noi chiediamo il perdono.

    Una volta, ho sentito una vecchietta, saggia, una vecchietta nonna, del popolo … Ha detto così: «Gesù non si stanca mai di perdonare: siamo noi a stancarci di chiedere perdono».

    Chiediamo oggi al Signore la grazia di non stancarci.

    Sempre, tutti noi abbiamo piccoli fallimenti, grandi fallimenti: ognuno ha la propria storia.

    Ma il Signore ci aspetta sempre, con le braccia aperte, e non si stanca mai di perdonare.

    Adesso faremo lo stesso gesto che ha fatto Gesù: lavare i piedi.

    È un gesto che attira l’attenzione sulla vocazione del servizio.

    Chiediamo al Signore che ci faccia crescere, tutti noi, nella vocazione del servizio.

    Grazie.

    Santa Messa del Crisma (28 Mar 2024)
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    «Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (Lc 4,20).

    Colpisce sempre questo passaggio del Vangelo, che porta a visualizzare la scena: a immaginare quel momento di silenzio in cui tutti gli sguardi erano concentrati su Gesù, in un misto di meraviglia e di diffidenza.

    Sappiamo tuttavia come andò a finire: dopo che Gesù ebbe smascherato le false aspettative dei suoi compaesani, essi «si riempirono di sdegno» (Lc 4,28), uscirono e lo cacciarono fuori della città.

    I loro occhi avevano fissato Gesù, ma i loro cuori non erano disposti a cambiare sulla sua parola.

    Così persero l’occasione della vita.

    Ma nella sera di oggi, Giovedì santo, avviene un incrocio di sguardi alternativo.

    Protagonista è il primo Pastore della nostra Chiesa, Pietro.

    Pure lui all’inizio non prestò fiducia alla parola “smascherante” che il Signore gli aveva rivolto: «Tre volte mi rinnegherai» (Mc 14,30).

    Così “perse di vista” Gesù e lo rinnegò al canto del gallo.

    Ma poi, quando «il Signore si voltò e fissò lo sguardo» su di lui, questi «si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto […] E uscito fuori, pianse amaramente» (Lc 22,61-62).

    I suoi occhi furono inondati di lacrime che, sgorgate da un cuore ferito, lo liberarono da convinzioni e giustificazioni fasulle.

    Quel pianto amaro gli cambiò la vita.

    Le parole e i gesti di Gesù per anni non avevano smosso Pietro dalle sue attese, simili a quelle della gente di Nazaret: anche lui aspettava un Messia politico e potente, forte e risolutore, e di fronte allo scandalo di un Gesù debole, arrestato senza opporre resistenza, dichiarò: «Non lo conosco!» (Lc 22,57).

    Ed è vero, non lo conosceva: cominciò a conoscerlo quando, nel buio del rinnegamento, fece spazio alle lacrime della vergogna, alle lacrime del pentimento.

    E lo conoscerà davvero quando, «addolorato che per la terza volta gli domandasse: “Mi vuoi bene?”», si lascerà pienamente attraversare dallo sguardo di Gesù.

    Allora dal «non lo conosco» passerà a dire: «Signore, tu conosci tutto» (Gv 21,17).

    Cari fratelli sacerdoti, la guarigione del cuore di Pietro, la guarigione dell’Apostolo, la guarigione del Pastore avvengono quando, feriti e pentiti, ci si lascia perdonare da Gesù: passano attraverso le lacrime, il pianto amaro, il dolore che consente di riscoprire l’amore.

    Per questo ho sentito di condividere con voi, qualche pensiero su un aspetto della vita spirituale piuttosto tralasciato, ma essenziale; lo ripropongo oggi con una parola forse desueta, ma che credo ci faccia bene riscoprire: la compunzione.

    La parola evoca il pungere: la compunzione è “una puntura sul cuore”, una trafittura che lo ferisce, facendo sgorgare le lacrime del pentimento.

    Un episodio, che riguarda ancora San Pietro, ci aiuta.

    Egli, trafitto dallo sguardo e dalle parole di Gesù risorto, nel giorno di Pentecoste, purificato e infuocato dallo Spirito, proclamò agli abitanti di Gerusalemme: «Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (cfr At 2,36).

    Gli ascoltatori avvertirono insieme il male che avevano compiuto e la salvezza che il Signore elargiva loro, e «all’udire queste cose – dice il testo – si sentirono trafiggere il cuore» (At 2,37).

    Ecco la compunzione: non un senso di colpa che butta a terra, non una scrupolosità che paralizza, ma è una puntura benefica che brucia dentro e guarisce, perché il cuore, quando vede il proprio male e si riconosce peccatore, si apre, accoglie l’azione dello Spirito Santo, acqua viva che lo smuove facendo scorrere le lacrime sul volto.

    Chi getta la maschera e si lascia guardare da Dio nel cuore riceve il dono di queste lacrime, le acque più sante dopo quelle del Battesimo [1].

    Cari fratelli sacerdoti, oggi vi auguro questo.

    Occorre però comprendere bene che cosa significhi piangere su noi stessi.

    Non significa piangerci addosso, come spesso siamo tentati di fare.

    Ciò avviene, ad esempio, quando siamo delusi o preoccupati per le nostre attese andate a vuoto, per la mancanza di comprensione da parte degli altri, magari dei confratelli e dei superiori.

    Oppure quando, per uno strano e insano piacere dell’animo, amiamo rimestare nei torti ricevuti per auto-commiserarci, pensando di non aver ricevuto ciò che meritavamo e immaginando che il futuro non potrà che riservarci continue sorprese negative.

    Questa – ci insegna San Paolo – è la tristezza secondo il mondo, opposta a quella tristezza secondo Dio [2].

    Piangere su noi stessi, invece, è pentirci seriamente di aver rattristato Dio col peccato; è riconoscere di essere sempre in debito e mai in credito; è ammettere di aver smarrito la via della santità, non avendo tenuto fede all’amore di Colui che ha dato la vita per me [3].

    È guardarmi dentro e dolermi della mia ingratitudine e della mia incostanza; è meditare con tristezza le mie doppiezze e falsità; è scendere nei meandri della mia ipocrisia, l’ipocrisia clericale, cari fratelli, quella ipocrisia nella quale scivoliamo tanto, tanto…State attenti alla ipocrisia clericale.

    Per poi, rialzare lo sguardo al Crocifisso e lasciarmi commuovere dal suo amore che sempre perdona e risolleva, che non lascia mai deluse le attese di chi confida in Lui.

    Così le lacrime continuano a scendere e purificano il cuore.

    La compunzione, infatti, richiede fatica ma restituisce pace; non provoca angoscia, ma alleggerisce l’anima dai pesi, perché agisce nella ferita del peccato, disponendoci a ricevere proprio lì la carezza del Signore che trasforma il cuore quando è «contrito e affranto» (Sal 51,19), ammorbidito dalle lacrime.

    La compunzione è dunque l’antidoto alla sclerocardia, quella durezza del cuore tanto denunciata da Gesù (cfr Mc 3,5; 10,5).

    Il cuore, infatti, senza pentimento e pianto, si irrigidisce: dapprima diventa abitudinario, poi insofferente per i problemi e indifferente alle persone, quindi freddo e quasi impassibile, come avvolto da una scorza infrangibile, e infine cuore di pietra.

    Ma, come la goccia scava la pietra, così le lacrime lentamente scavano i cuori induriti.

    Si assiste così al miracolo della tristezza, della buona tristezza che conduce alla dolcezza.

    Capiamo allora perché i maestri spirituali insistono sulla compunzione.

    San Benedetto invita ogni giorno a «confessare a Dio con lacrime e gemiti le proprie colpe passate» [4], e afferma che pregando «non saremo esauditi per le nostre parole, ma per la purezza del cuore e per la compunzione che strappa le lacrime» [5].

    E se per San Giovanni Crisostomo una sola lacrima spegne un braciere di colpe [6], l’ Imitazione di Cristo raccomanda: «Abbandonati alla compunzione del cuore», in quanto «per leggerezza di cuore e noncuranza dei nostri difetti spesso non ci rendiamo conto dei guai della nostra anima» [7].

    La compunzione è il rimedio, perché ci riporta alla verità di noi stessi, così che la profondità del nostro essere peccatori riveli la realtà infinitamente più grande del nostro essere perdonati, la gioia di essere perdonato.

    Non stupisce pertanto l’affermazione di Isacco di Ninive: «Colui che dimentica la misura dei propri peccati, dimentica la misura della grazia di Dio nei suoi confronti» [8].

    È vero, cari fratelli e sorelle, ogni nostra rinascita interiore scaturisce sempre dall’incontro tra la nostra miseria e la sua misericordia - si incontrano la nostra miseria e la sua misericordia -, ogni rinascita interiore passa attraverso la nostra povertà di spirito che permette allo Spirito Santo di arricchirci.

    Si comprendono in questa luce le forti affermazioni di tanti maestri spirituali.

    Pensiamo a quelle, paradossali, ancora di Sant’Isacco: «Colui che conosce i propri peccati […] è più grande di colui che con la preghiera risuscita i morti.

    Colui che piange un’ora su se stesso è più grande di chi serve il mondo intero con la contemplazione […].

    Colui al quale è dato di conoscere se stesso è più grande di colui a cui è dato di vedere gli angeli» [9].

    Fratelli, veniamo a noi, sacerdoti, e chiediamoci quanto la compunzione e le lacrime siano presenti nel nostro esame di coscienza e nella nostra preghiera.

    Domandiamoci se, col passare degli anni, le lacrime aumentano.

    Sotto questo aspetto è bene che avvenga il contrario rispetto alla vita biologica, dove, quando si cresce, si piange meno di quando si è bambini.

    Nella vita spirituale, invece, dove conta diventare bambini (cfr Mt 18,3), chi non piange regredisce, invecchia dentro, mentre chi raggiunge una preghiera più semplice e intima, fatta di adorazione e commozione davanti a Dio, quello matura.

    Si lega sempre meno a sé stesso e più a Cristo, e diventa povero in spirito.

    In tal modo si sente più vicino ai poveri, i prediletti di Dio, che prima – come scrive San Francesco nel suo testamento – teneva lontani in quanto era nei peccati, ma la cui compagnia, poi, da amara diventa dolce [10].

    E così chi si compunge nel cuore si sente sempre più fratello di tutti i peccatori del mondo, si sente più fratello, senza parvenza di superiorità o asprezza di giudizio, ma sempre con desiderio di amare e riparare.

    E questa, fratelli cari, è un’altra caratteristica della compunzione: la solidarietà.

    Un cuore docile, affrancato dallo spirito delle Beatitudini, diventa naturalmente incline a fare compunzione per gli altri: anziché adirarsi e scandalizzarsi per il male compiuto dai fratelli, piange per i loro peccati.

    Non si scandalizza.

    Avviene una sorta di ribaltamento, dove la tendenza naturale a essere indulgenti con sé stessi e inflessibili con gli altri si capovolge e, per grazia di Dio, si diventa fermi con sé stessi e misericordiosi con gli altri.

    E il Signore cerca, specialmente tra chi è consacrato a Lui, chi pianga i peccati della Chiesa e del mondo, facendosi strumento di intercessione per tutti.

    Quanti testimoni eroici nella Chiesa ci indicano questa via! Pensiamo ai monaci del deserto, in Oriente e in Occidente; all’intercessione continua, fatta di gemiti e lacrime, di San Gregorio di Narek; all’offerta francescana per l’Amore non amato; a sacerdoti, come il Curato d’Ars, che vivevano di penitenza per la salvezza altrui.

    Cari fratelli, non è poesia questo, questo è sacerdozio!

    Cari fratelli, a noi, suoi Pastori, il Signore non chiede giudizi sprezzanti su chi non crede, ma amore e lacrime per chi è lontano.

    Le situazioni difficili che vediamo e viviamo, la mancanza di fede, le sofferenze che tocchiamo, a contatto con un cuore compunto non suscitano la risolutezza nella polemica, ma la perseveranza nella misericordia.

    Quanto abbiamo bisogno di essere liberi da durezze e recriminazioni, da egoismi e ambizioni, da rigidità e insoddisfazioni, per affidarci e affidare a Dio, trovando in Lui una pace che salva da ogni tempesta! Adoriamo, intercediamo e piangiamo per gli altri: permetteremo al Signore di compiere meraviglie.

    E non temiamo: Lui ci sorprenderà!

    Il nostro ministero ne gioverà.

    Oggi, in una società secolare, corriamo il rischio di essere molto attivi e al tempo stesso di sentirci impotenti, col risultato di perdere l’entusiasmo ed essere tentati di “tirare i remi in barca”, di chiuderci nella lamentela e far prevalere la grandezza dei problemi sulla grandezza di Dio.

    Se ciò avviene, diventiamo amari e pungenti sempre sparlando, sempre trovando qualche occasione per lamentarsi.

    Ma se invece l’amarezza e la compunzione si rivolgono, anziché al mondo, al proprio cuore, il Signore non manca di visitarci e rialzarci.

    Come esorta a fare l’ Imitazione di Cristo: «Non portare dentro di te le faccende degli altri, non impicciarti neppure di quello che fanno le persone più in vista; piuttosto vigila sempre e in primo luogo su di te, e rivolgi il tuo ammonimento particolarmente a te stesso, prima che ad altre persone, anche care.

    Non rattristarti se non ricevi il favore degli uomini; quello che ti deve pesare, rattristare, invece, è la constatazione di non essere del tutto e sicuramente sulla via del bene» [11].

    Da ultimo, vorrei sottolineare un aspetto essenziale: la compunzione non è tanto frutto del nostro esercizio, ma è una grazia e come tale va chiesta nella preghiera.

    Il pentimento è dono di Dio, è frutto dell’azione dello Spirito Santo.

    Per facilitarne la crescita, condivido due piccoli consigli.

    Il primo è quello di non guardare la vita e la chiamata in una prospettiva di efficienza e di immediatezza, legata solo all’oggi e alle sue urgenze e aspettative, ma nell’insieme del passato e del futuro.

    Del passato, ricordando la fedeltà di Dio - Dio è fedele - , facendo memoria del suo perdono, ancorandoci al suo amore; e del futuro, pensando alla meta eterna a cui siamo chiamati, al fine ultimo della nostra esistenza.

    Allargare gli orizzonti, cari fratelli, allargare gli orizzonti aiuta a dilatare il cuore, stimola a rientrare in sé stessi con il Signore e a vivere la compunzione.

    Un secondo consiglio, che viene di conseguenza: riscopriamo la necessità di dedicarci a una preghiera che non sia dovuta e funzionale, ma gratuita, calma e prolungata.

    Fratello, com’è la tua preghiera? Torniamo all’adorazione - ti sei dimenticato di adorare? - e torniamo alla preghiera del cuore.

    Ripetiamo: Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore.

    Sentiamo la grandezza di Dio nella nostra bassezza di peccatori, per guardarci dentro e lasciarci attraversare dal suo sguardo.

    Riscopriremo la sapienza della Santa Madre Chiesa, che ci introduce alla preghiera sempre con l’invocazione del povero che grida: O Dio, vieni a salvarmi.

    Carissimi, torniamo infine a San Pietro e alle sue lacrime.

    L’altare posto sopra la sua tomba non può che farci pensare a quante volte noi, che lì ogni giorno diciamo: «Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi», quante volte deludiamo e rattristiamo Colui che ci ama al punto da fare delle nostre mani gli strumenti della sua presenza.

    È bene pertanto fare nostre quelle parole con cui ci prepariamo sottovoce: «Umili e pentiti accoglici, o Signore», e ancora: «Lavami, o Signore, dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro».

    In tutto, fratelli, ci consola la certezza consegnataci oggi dalla Parola: il Signore, consacrato con l’unzione (cfr Lc 4,18), è venuto «a fasciare le piaghe dei cuori spezzati» (Is 61,1).

    Dunque, se il cuore si spezza potrà essere fasciato e guarito da Gesù.

    Grazie, cari sacerdoti, grazie per il vostro cuore aperto e docile; grazie per le vostre fatiche e grazie per i vostri pianti; grazie perché portate la meraviglia della misericordia – perdonate sempre, siate misericordiosi – e portate questa misericordia, portate Dio ai fratelli e alle sorelle del nostro tempo.

    Cari sacerdoti, Il Signore vi consoli, vi confermi e vi ricompensi.

    Grazie.

    __________________________________________


    [1] «La Chiesa ha l’acqua e le lacrime: l’acqua del Battesimo, le lacrime della Penitenza» (S.

    Ambrogio, Epistula extra collectionem, I, 12).

    [2] «La tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza, mentre la tristezza del mondo produce la morte» ( 2 Cor 7,10).

    [3] Cfr S.

    Giovanni Crisostomo, De compunctione, I, 10.

    [4] Regola, IV,57.

    [5] Ivi, XX,3.

    [6] Cfr De paenitentia, VII,5.

    [7] Cap.

    XXI.

    [8] Discorsi ascetici (III Coll.), XII.

    [9] Discorsi ascetici (I Coll.), XXXIV (vers.

    greca).

    [10] Cfr FF 110.

    [11] Cap.

    XXI.

    Lettera del Santo Padre ai cattolici di Terra Santa (Settimana Santa 2024)
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    Cari fratelli e sorelle,

    da tempo vi penso e ogni giorno prego per voi.

    Ma ora, alla vigilia di questa Pasqua, che per voi sa tanto di Passione e ancora poco di Risurrezione, sento il bisogno di scrivervi per dirvi che vi porto nel cuore.

    Sono vicino a tutti voi, nei vostri vari riti, cari fedeli cattolici sparsi su tutto il territorio della Terra Santa: in particolare a quanti, in questi frangenti, stanno patendo più dolorosamente il dramma assurdo della guerra, ai bambini cui viene negato il futuro, a quanti sono nel pianto e nel dolore, a quanti provano angoscia e smarrimento.

    La Pasqua, cuore della nostra fede, è ancora più significativa per voi che la celebrate nei Luoghi in cui il Signore è vissuto, morto e risorto: non solo la storia, ma neanche la geografia della salvezza esisterebbe senza la Terra che voi abitate da secoli, dove volete restare e dov’è bene che possiate restare.

    Grazie per la vostra testimonianza di fede, grazie per la carità che c’è tra di voi, grazie perché sapete sperare contro ogni speranza.

    Desidero che ciascuno di voi senta il mio affetto di padre, che conosce le vostre sofferenze e le vostre fatiche, in particolare quelle di questi ultimi mesi.

    Insieme al mio affetto, possiate percepire quello di tutti i cattolici del mondo! Il Signore Gesù, nostra Vita, come Buon Samaritano versi sulle ferite del vostro corpo e della vostra anima l’olio della consolazione e il vino della speranza.

    Pensandovi, torna alla memoria il pellegrinaggio che ho compiuto in mezzo a voi dieci anni fa; e faccio mie le parole che San Paolo VI, primo Successore di Pietro pellegrino in Terra Santa, rivolse a tutti i credenti cinquant’anni fa: «Il protrarsi dello stato di tensione nel Medio Oriente, senza che siano compiuti passi conclusivi verso la pace, costituisce un grave e costante pericolo, che minaccia non solo la tranquillità e la sicurezza di quelle popolazioni – e la pace del mondo intero – ma anche certi valori sommamente cari, per diversi motivi, a tanta parte dell’umanità» (Esort.

    Ap.

    Nobis in Animo).

    Cari fratelli e sorelle, la comunità cristiana di Terra Santa non è stata soltanto, lungo i secoli, custode dei Luoghi della salvezza, ma ha costantemente testimoniato, attraverso le proprie sofferenze, il mistero della Passione del Signore.

    E, con la sua capacità di rialzarsi e andare avanti, ha annunciato e continua ad annunciare che il Crocifisso è Risorto, che con i segni della Passione è apparso ai discepoli e salito al cielo, portando al Padre la nostra umanità tormentata ma redenta.

    In questi tempi oscuri, in cui sembra che le tenebre del Venerdì santo ricoprano la vostra Terra e troppe parti del mondo sfigurate dall’inutile follia della guerra, che è sempre e per tutti una sanguinosa sconfitta, voi siete fiaccole accese nella notte; siete semi di bene in una terra lacerata da conflitti.

    Per voi e con voi prego: “Signore, tu che sei la nostra pace (cfr Ef 2,14-22), tu che hai proclamato beati gli operatori di pace (cfr Mt 5,9), libera il cuore dell’uomo dall’odio, dalla violenza e dalla vendetta.

    Noi guardiamo te e seguiamo te, che perdoni, che sei mite e umile di cuore (cfr Mt 11,29).

    Fa’ che nessuno ci rubi dal cuore la speranza di rialzarci e di risorgere con te, fa’ che non ci stanchiamo di affermare la dignità di ogni uomo, senza distinzione di religione, di etnia o di nazionalità, a partire dai più fragili: dalle donne, dagli anziani, dai piccoli e dai poveri”.

    Fratelli, sorelle, voglio dirvi: non siete soli e non vi lasceremo soli, ma rimarremo solidali con voi attraverso la preghiera e la carità operosa, sperando di poter tornare presto da voi come pellegrini, per guardarvi negli occhi e abbracciarvi, per spezzare il pane della fraternità e contemplare quei virgulti di speranza cresciuti dai vostri semi, sparsi nel dolore e coltivati con pazienza.

    So che i vostri Pastori, i religiosi e le religiose vi sono vicini: li ringrazio di cuore per quanto hanno fatto e continuano a fare.

    Cresca e risplenda, nel crogiolo della sofferenza, l’oro dell’unità, anche con i fratelli e le sorelle delle altre Confessioni cristiane, ai quali pure desidero manifestare la mia spirituale vicinanza ed esprimere il mio incoraggiamento.

    Tutti porto nella preghiera.

    Vi benedico e invoco su di voi la protezione della Beata Vergine Maria, figlia della vostra Terra.

    Rinnovo l’invito a tutti i cristiani del mondo a farvi sentire il loro sostegno concreto e a pregare senza stancarsi, perché l’intera popolazione della vostra cara Terra sia finalmente nella pace.

    Fraternamente, 

    Roma, San Giovanni in Laterano, Settimana Santa 2024
     

    FRANCESCO

    Lettera Apostolica in forma di «Motu Proprio» su alcune modifiche relative all'ordinamento giudiziario del Vaticano (27 Mar 2024)
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    L’esperienza maturata nel corso degli ultimi anni in materia di amministrazione della giustizia ha fatto avvertire l’esigenza di una serie di interventi relativi all’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano e, da ultimo, alla dignità professionale e al trattamento economico dei magistrati ordinari del Tribunale e dell’Ufficio del Promotore di giustizia.

    Al fine di integrare e specificare ulteriormente la relativa disciplina, nonché di introdurre modifiche al Regolamento Generale del Fondo Pensioni che, in un’ottica di equità e giustizia, appaiono necessarie al fine di garantire il diritto al trattamento di quiescenza in tutte le sue componenti e comunque denominato, stabilisco quanto segue:

    Art.1

    L’articolo 10 della Legge sull’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano del 16 marzo 2020, n.

    CCCLI, è sostituito dal seguente:

    Articolo 10

    (Cessazione dall’ufficio)

    1.

    I magistrati ordinari cessano dall’ufficio, e conseguentemente dalla carica e dalle funzioni, a conclusione dell’anno giudiziario in cui compiono il settantacinquesimo anno di età.

    2.

    Il Sommo Pontefice può disporre la permanenza nell’ufficio oltre il limite di cui al comma precedente.

    3.

    Nel rispetto del principio di immutabilità del giudice e per assicurare la ragionevole durata del processo, il Sommo Pontefice, per l’anno giudiziario in cui il presidente cessa dall’ufficio, può nominare un presidente aggiunto, il quale coadiuva il presidente nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 7, ha funzioni vicarie, presiede i collegi nei giudizi di prevedibile durata ultrannuale e subentra nella carica al momento della cessazione del presidente.

    4.

    In caso di dimissioni rassegnate prima del termine di cui al comma 1, esse producono la cessazione dall’ufficio solo con la previa accettazione da parte del Sommo Pontefice ed a far data dalla stessa.

    5.

    Il Sommo Pontefice può dispensare in qualunque momento dal servizio, anche temporaneamente, i magistrati che, per constatata inabilità, non siano in grado di adempierlo.

    6.

    Al momento della cessazione, i magistrati ordinari mantengono ogni diritto, assistenza, previdenza e garanzia previsti per i cittadini, nonché tutti i diritti previsti per i dipendenti in servizio.

    Art.

    2

    L’articolo 11 della Legge sull’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano del 16 marzo 2020, n.

    CCCLI, è sostituito dal seguente:

    Articolo 11

    (Inquadramento retributivo, trattamento di quiescenza, responsabilità civile)

    1.

    L’inquadramento retributivo e il trattamento di quiescenza dei magistrati ordinari è disciplinato dalla Legge recante disposizioni per la dignità professionale e il trattamento economico dei magistrati ordinari del tribunale e dell’ufficio del promotore di giustizia dello Stato della Città del Vaticano del 4 dicembre 2023, n.

    DCXXVI.

    2.

    Ai magistrati applicati è corrisposto annualmente un emolumento determinato dal presidente del tribunale tenendo conto dell’attività effettivamente svolta.

    3.

    Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento posto in essere nell’esercizio delle funzioni giudiziarie può agire nelle sole ipotesi di violazione manifesta della legge commesse con dolo o colpa grave ed esclusivamente contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali L’azione per il risarcimento non può, quindi, essere esercitata nei confronti del singolo magistrato, il quale in ogni caso è tenuto indenne dallo Stato anche per le spese di giudizio, rappresentanza e difesa.

    4.

    L’azione di cui al comma precedente può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell’ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno.

    La domanda deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi a decorrere dal momento in cui l’azione è esperibile.

    5.

    Il Presidente del Governatorato può esercitare, a pena di decadenza entro sei mesi dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale, l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato.

    Salvi i fatti commessi con dolo, la misura della rivalsa non può superare una somma pari alla metà di un’annualità dello stipendio percepito dal magistrato al tempo in cui l’azione di risarcimento è proposta, anche se dal fatto è derivato danno a più persone e queste hanno agito con distinte azioni di responsabilità.

    Art.

    3

    L’articolo 17 della Legge sull’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano del 16 marzo 2020, n.

    CCCLI, è sostituito dal seguente:

    Articolo 17

    (Cessazione dall’ufficio e responsabilità civile)

    1.

    I magistrati ordinari cessano dall’ufficio, e conseguentemente dalla carica e dalle funzioni, a conclusione dell’anno giudiziario in cui compiono il settantacinquesimo anno di età.

    2.

    Il Sommo Pontefice può disporre la permanenza nell’ufficio oltre il limite di cui al comma precedente.

    3.

    Nel rispetto del principio di immutabilità del giudice e per assicurare la ragionevole durata del processo, il Sommo Pontefice, per l’anno giudiziario in cui il presidente cessa dall’ufficio, può nominare un presidente aggiunto, il quale coadiuva il presidente nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 7, ha funzioni vicarie, presiede i collegi nei giudizi di prevedibile durata ultrannuale e subentra nella carica al momento della cessazione del presidente.

    4.

    In caso di dimissioni rassegnate prima del termine di cui al comma 1, esse producono la cessazione dall’ufficio solo con la previa accettazione da parte del Sommo Pontefice ed a far data dalla stessa.

    5.

    Il Sommo Pontefice può dispensare in qualunque momento dal servizio, anche temporaneamente, i magistrati che, per constatata inabilità, non siano in grado di adempierlo.

    6.

    In materia di responsabilità civile dei magistrati si applicano le disposizioni di cui all’articolo 11, commi 3, 4 e 5.

    Art.

    4

    L’articolo 22 della Legge sull’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano del 16 marzo 2020, n.

    CCCLI, è sostituito dal seguente:

    Articolo 22

    (Cessazione dall’ufficio e responsabilità civile)

    1.

    I Cardinali giudici a conclusione dell’anno giudiziario in cui compiono l’ottantesimo anno di età cessano dall’ufficio e, conseguentemente, dalla carica e dal servizio.

    2.

    Il Sommo Pontefice può disporre la permanenza nell’ufficio dei Cardinali giudici oltre il limite di cui al comma precedente.

    3.

    Nel rispetto del principio di immutabilità del giudice e per assicurare la ragionevole durata del processo, il Sommo Pontefice, per l’anno giudiziario in cui il presidente cessa dall’ufficio, può nominare un presidente aggiunto, il quale coadiuva il presidente nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 7, ha funzioni vicarie, presiede i collegi nei giudizi di prevedibile durata ultrannuale e subentra nella carica al momento della cessazione del presidente.

    4.

    In caso di dimissioni rassegnate prima del termine di cui al comma 1, esse producono la cessazione dall’ufficio solo con la previa accettazione da parte del Sommo Pontefice ed a far data dalla stessa.

    5.

    Il Sommo Pontefice può dispensare in qualunque momento dal servizio, anche temporaneamente, i magistrati che, per constatata inabilità, non siano in grado di adempierlo.

    6.

    In materia di responsabilità civile dei magistrati si applicano le disposizioni di cui all’articolo 11, commi 3, 4 e 5.

    Art.

    5

    Nell’articolo 5 della Legge recante disposizioni per la dignità professionale e il trattamento economico dei magistrati ordinari del tribunale e dell’ufficio del promotore di giustizia dello Stato della Città del Vaticano del 4 dicembre 2023, n.

    DCXXVI, il comma unico è sostituito dal seguente:

    Fermo restando quanto previsto dall’art.

    10, comma 6 della Legge sull’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano del 16 marzo 2020, n.

    CCCLI, ai magistrati ordinari cessati dall’ufficio è riconosciuto un trattamento di quiescenza consistente in un trattamento di fine servizio ed in un trattamento pensionistico, i quali, in quanto derivanti dalle attività prestate in favore dello Stato della Città del Vaticano, sono dovuti e corrisposti per l’intero ai magistrati ordinari cessati dall’ufficio indipendentemente da ogni eventuale erogazione di analoga natura, comunque denominata, maturata o percepita all’estero.

    Art.

    6

    Sono abrogati l’art.

    35 del Regolamento Generale del Fondo Pensioni e tutte le disposizioni, di qualsiasi rango e natura che ad esso rinviano o fanno riferimento.

    Stabilisco che la presente Lettera Apostolica in forma di “Motu proprio” venga promulgata mediante pubblicazione nel quotidiano L’Osservatore Romano ed entri in vigore il giorno successivo, venendo successivamente inserita nel supplemento degli Acta Apostolicae Sedis.

    Dal Vaticano, il 27 marzo 2024, dodicesimo di Pontificato
     

    FRANCESCO

    Udienza Generale del 27 Mar 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. La pazienza
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    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    La pazienza

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi l’udienza era prevista in Piazza, ma per la pioggia è stata trasferita qui dentro.

    È vero che sarete un po’ ammucchiati, ma almeno saremo non bagnati! Grazie della vostra pazienza.

    Domenica scorsa abbiamo ascoltato il racconto della Passione del Signore.

    Alle sofferenze che subisce, Gesù risponde con una virtù che, pur non contemplata tra quelle tradizionali, è tanto importante: la virtù della pazienza.

    Essa riguarda la sopportazione di ciò che si patisce: non a caso pazienza ha la stessa radice di passione.

    E proprio nella Passione emerge la pazienza di Cristo, che con mitezza e mansuetudine accetta di essere arrestato, schiaffeggiato e condannato ingiustamente; davanti a Pilato non recrimina; sopporta gli insulti, gli sputi e la flagellazione dei soldati; porta il peso della croce; perdona chi lo inchioda al legno e sulla croce non risponde alle provocazioni, ma offre misericordia.

    Questa è la pazienza di Gesù.

    Tutto questo ci dice che la pazienza di Gesù non consiste in una stoica resistenza nel soffrire, ma è il frutto di un amore più grande.

    L’Apostolo Paolo, nel cosiddetto “Inno alla carità” (cfr 1 Cor 13,4-7), congiunge strettamente amore e pazienza.

    Infatti, nel descrivere la prima qualità della carità, utilizza una parola che si traduce con “magnanima”, “paziente”.

    La carità è magnanima, è paziente.

    Essa esprime un concetto sorprendente, che torna spesso nella Bibbia: Dio, di fronte alla nostra infedeltà, si mostra «lento all’ira» (cfr Es 34,6; cfr Nm 14,18): anziché sfogare il proprio disgusto per il male e il peccato dell’uomo, si rivela più grande, pronto ogni volta a ricominciare da capo con infinita pazienza.

    Questo per Paolo è il primo tratto dell’amore di Dio, che davanti al peccato propone il perdono.

    Ma non solo: è il primo tratto di ogni grande amore, che sa rispondere al male col bene, che non si chiude nella rabbia e nello sconforto, ma persevera e rilancia.

    La pazienza che ricomincia.

    Dunque, alla radice della pazienza c’è l’amore, come dice Sant’Agostino: «Uno è tanto più forte a sopportare qualunque male, quanto in lui è maggiore l’amore di Dio» (De patientia, XVII).

    Si potrebbe allora dire che non c’è migliore testimonianza dell’amore di Gesù che incontrare un cristiano paziente.

    Ma pensiamo anche a quante mamme e papà, lavoratori, medici e infermieri, ammalati che ogni giorno, nel nascondimento, abbelliscono il mondo con una santa pazienza! Come afferma la Scrittura, «è meglio la pazienza che la forza di un eroe» (Pr 16,32).

    Tuttavia, dobbiamo essere onesti: siamo spesso carenti di pazienza.

    Nel quotidiano siamo impazienti, tutti.

    Ne abbiamo bisogno come della “vitamina essenziale” per andare avanti, ma ci viene istintivo spazientirci e rispondere al male col male: è difficile stare calmi, controllare l’istinto, trattenere brutte risposte, disinnescare litigi e conflitti in famiglia, al lavoro o nella comunità cristiana.

    Subito viene la risposta, non siamo capaci di essere pazienti.

    Ricordiamo però che la pazienza non è solo una necessità, è una chiamata: se Cristo è paziente, il cristiano è chiamato a essere paziente.

    E ciò chiede di andare controcorrente rispetto alla mentalità oggi diffusa, in cui dominano la fretta e il “tutto subito”; dove, anziché attendere che maturino le situazioni, si spremono le persone, pretendendo che cambino all’istante.

    Non dimentichiamo che la fretta e l’impazienza sono nemiche della vita spirituale.

    Perché? Dio è amore, e chi ama non si stanca, non è irascibile, non dà ultimatum, Dio è paziente, Dio sa attendere.

    Pensiamo al racconto del Padre misericordioso, che aspetta il figlio andato via di casa: soffre con pazienza, impaziente solo di abbracciarlo appena lo vede tornare (cfr Lc 15,21); o pensiamo alla parabola del grano e della zizzania, con il Signore che non ha fretta di sradicare il male prima del tempo, perché nulla vada perduto (cfr Mt 13,29-30).

    La pazienza ci fa salvare tutto.

    Ma, fratelli e sorelle, come si fa ad accrescere la pazienza? Essendo, come insegna San Paolo, un frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22), va chiesta proprio allo Spirito di Cristo.

    Lui ci dà la forza mite della pazienza – è una forza mite la pazienza –, perché «è proprio della virtù cristiana non solo operare il bene, ma anche saper sopportare i mali» (S.

    Agostino, Discorsi, 46,13).

    Specialmente in questi giorni ci farà bene contemplare il Crocifisso per assimilarne la pazienza.

    Un bell’esercizio è anche quello di portare a Lui le persone più fastidiose, domandando la grazia di mettere in pratica nei loro riguardi quell’opera di misericordia tanto nota quanto disattesa: sopportare pazientemente le persone moleste.

    E non è facile.

    Pensiamo se noi facciamo questo: sopportare pazientemente le persone moleste.

    Si comincia dal chiedere di guardarle con compassione, con lo sguardo di Dio, sapendo distinguere i loro volti dai loro sbagli.

    Noi abbiamo l’abitudine di catalogare le persone con gli sbagli che fanno.

    No, non è buono questo.

    Cerchiamo le persone per i loro volti, per il loro cuore e non per gli sbagli!

    Infine, per coltivare la pazienza, virtù che dà respiro alla vita, è bene ampliare lo sguardo.

    Ad esempio, non restringendo il campo del mondo ai nostri guai, come invita a fare l’Imitazione di Cristo: «Occorre dunque che tu rammenti le sofferenze più gravi degli altri, per imparare a sopportare le tue, piccole», ricordando che «non c’è cosa, per quanto piccola, purché sopportata per amore di Dio, che passi senza ricompensa presso Dio» (III, 19).

    E ancora, quando ci sentiamo nella morsa della prova, come insegna Giobbe, è bene aprirsi con speranza alla novità di Dio, nella ferma fiducia che Egli non lascia deluse le nostre attese.

    Pazienza è saper sopportare i mali.

    E qui oggi, in questa udienza, ci sono due persone, due papà: uno israeliano e uno arabo.

    Ambedue hanno perso le loro figlie in questa guerra e ambedue sono amici.

    Non guardano all’inimicizia della guerra, ma guardano l’amicizia di due uomini che si vogliono bene e che sono passati per la stessa crocifissione.

    Pensiamo a questa testimonianza tanto bella di queste due persone che hanno sofferto nelle loro figlie la guerra della Terra Santa.

    Cari fratelli, grazie per la vostra testimonianza!

    _____________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier:  le Club Guerlédan de Rennes.

    Que la contemplation de la Passion du Seigneur nous donne la force de persévérer humblement dans la foi malgré les épreuves de la vie.

    Que Dieu vous bénisse.

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare il Club Guerlédan di Rennes.

    La contemplazione della Passione del Signore ci dia la forza di perseverare umilmente nella fede nonostante le prove della vita.

    Dio vi benedica.]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors participating in today’s Audience, especially the groups from the Philippines, Pakistan, Canada and the United States of America.  As we prepare for the Sacred Triduum, I invoke upon all of you the grace and peace of our Lord Jesus Christ.  God bless you!  

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese che partecipano all’Udienza di oggi, specialmente ai gruppi provenienti da Filippine, Pakistan, Canada e Stati Uniti d’America.

    Preparandoci al Sacro Triduo, invoco su tutti voi la grazia e la pace di nostro Signore Gesù Cristo.

    Dio vi benedica!]

    Einen herzlichen Gruß richte ich an die Pilger deutscher Sprache.

    Die Karwoche recht leben, bedeutet sich immer mehr auf die Logik der Liebe Gottes einzulassen, die Logik der Liebe und der Hingabe.

    Die Feier des Heiligen Triduums stärke uns in der Nachfolge Christi und lasse uns an seinem Ostersieg Anteil erlangen.

    [Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua tedesca.

    Vivere in modo giusto la Settimana Santa, significa entrare sempre più nella logica di Dio, quella dell’amore e del dono di sé.

    La celebrazione del Triduo Santo ci rafforzi nell’imitazione di Cristo e ci renda partecipi della sua vittoria pasquale.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, de manera especial a los participantes en el Encuentro UNIV 2024.

    Los invito a vivir estos días santos contemplando a Cristo crucificado, que con su ejemplo nos enseña a amar y a ser pacientes, en la espera gozosa de la Resurrección.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Dou as boas-vindas a todos os peregrinos de língua portuguesa, de modo particular aos fiéis brasileiros de São Carlos.

    Nos dias do Tríduo Pascal, somos convidados a contemplar, em silêncio orante, o Crucifixo.

    Isto ajudar-nos-á a crescer, à semelhança de Jesus, na humildade e na paciência, das quais o nosso tempo tem tanta necessidade.

    Obrigado.

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua portoghese, in particolare ai fedeli brasiliani di São Carlos.

    Nei giorni del Triduo Pasquale, siamo invitati a contemplare, nel silenzio orante, il Crocifisso.

    Ci aiuterà a crescere nell’umiltà e nella pazienza a somiglianza di Gesù.

    E il nostro tempo ne ha tanto bisogno.

    Grazie.]

    أُحيِّي المُؤمِنِينَ النَّاطِقِينَ بِاللُّغَةِ العَرَبِيَّة.

    باقتِرابِ عيدِ الفِصح، لِنَحمِلْ فِي أذهانِنا وفِي قُلوبِنا آلامَ المرضَى والفُقراءِ والمُهَمَّشِين، ولْنَتَذَكَّرْ ضحايا الحروبِ الأبرِياء، حتَّى يَمنَحَهُم المسيحُ جميعًا، بقِيامَتِهِ مِن بَينِ الأموات، السَّلامَ والتَّعزِيَة.

    باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    Avvicinandosi la festa della Pasqua, portiamo nella mente e nel cuore le sofferenze dei malati, dei poveri e degli emarginati, ricordando anche le vittime innocenti delle guerre, affinché il Cristo, con la sua Resurrezione, conceda a tutti la pace e la consolazione.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Serdecznie pozdrawiam pielgrzymów polskich.

    W tych dniach mocno przemawia do nas prawda o bezgranicznej miłości Boga do grzesznego człowieka.

    Skoro Bóg tyle wycierpiał, by okazać każdemu z nas swoje miłosierdzie, jesteśmy wezwani aby otworzyć nasze serca na tę miłość, okazując także wielką cierpliwość bliźniemu.

    Z serca Wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente i pellegrini polacchi.

    In questi giorni, ci parla con forza la verità dell’amore sconfinato di Dio verso l’uomo peccatore.

    Poiché Dio ha sofferto così tanto per mostrare la sua misericordia a ciascuno di noi, siamo chiamati ad aprire i nostri cuori a questo amore, mostrando anche una grande pazienza verso il prossimo.

    Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana: parrocchie, associazioni e scuole, in particolare agli alunni dell’Istituto Marconi di Gorgonzola e a quelli dell’Istituto Carlo Alberto Dalla Chiesa di Afragola.

    Nell’intenso clima spirituale della Settimana Santa, saluto con affetto i giovani, i malati, gli anziani e gli sposi novelli.

    Invito ciascuno a vivere questi giorni nella preghiera, per aprirsi alla grazia di Cristo Redentore, fonte di gioia e di misericordia.

    Fratelli e sorelle, preghiamo per la pace.

    Che il Signore ci dia la pace nella martoriata Ucraina, che sta soffrendo tanto sotto i bombardamenti; anche in Israele e Palestina, che ci sia la pace nella Terra Santa.

    Che il Signore dia la pace a tutti, come dono della sua Pasqua!

    A tutti la mia Benedizione.

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