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Messaggi

da Vaticannews.va:


Rito ambrosiano

Da Evangelizo.org:

Gi 6 Feb : Libro dell’Ecclesiastico 36,24-28.
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Chi si procura una sposa, possiede il primo dei beni, un aiuto adatto a lui e una colonna d'appoggio. Dove non esiste siepe, la proprietà è saccheggiata, ove non c'è moglie, l'uomo geme randagio. Chi si fida di un ladro armato che corre di città in città? Così dell'uomo che non ha un nido e che si corica là dove lo coglie la notte.

Gi 6 Feb : Salmi 128(127),1-5.
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Canto delle ascensioni.

Beato l'uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie. Vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai d'ogni bene. La tua sposa come vite feconda nell'intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d'ulivo intorno alla tua mensa. Così sarà benedetto l'uomo che teme il Signore. Ti benedica il Signore da Sion! Possa tu vedere la prosperità di Gerusalemme per tutti i giorni della tua vita.

Gi 6 Feb : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,33-44.
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Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i discepoli dicendo: «Questo luogo è solitario ed è ormai tardi; congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano comprarsi da mangiare». Ma egli rispose: «Voi stessi date loro da mangiare».

Gli dissero: «Dobbiamo andar noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». Ma egli replicò loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere».

E accertatisi, riferirono: «Cinque pani e due pesci». Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull'erba verde. E sedettero tutti a gruppi e gruppetti di cento e di cinquanta. Presi i cinque pani e i due pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai discepoli perché li distribuissero; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono e si sfamarono, e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.

Gi 6 Feb : Catechismo della Chiesa cattolica
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"Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi" (Rm 8,34), è presente in molti modi alla sua Chiesa: nella sua parola, nella preghiera della Chiesa, "dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20), nei poveri, nei malati, nei prigionieri, nei sacramenti di cui egli è l'autore, nel sacrificio della Messa e nella persona del ministro.

Ma "soprattutto [è presente] sotto le specie eucaristiche" (Vaticano II SC 7).

Il modo della presenza di Cristo sotto le specie eucaristiche è unico.

… Nel Santissimo Sacramento dell'Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo…” (Concilio di Trento).

"Tale presenza si dice "reale" non per esclusione, quasi che le altre non siano "reali", ma per antonomasia, perché è sostanziale, e in forza di essa Cristo, Dio e uomo, tutto intero si fa presente" (S.

Paolo VI).

… Il culto dell'Eucaristia: ...

"La Chiesa cattolica professa questo culto di adorazione al sacramento eucaristico non solo durante la Messa, ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione" (Paolo VI).

… È oltremodo conveniente che Cristo abbia voluto rimanere presente alla sua Chiesa in questa forma davvero unica.

Poiché stava per lasciare i suoi nel suo aspetto visibile, … ha voluto che noi avessimo il memoriale dell'amore con il quale ci ha amati "sino alla fine" (Gv 13,1), fino al dono della propria vita.

Nella sua presenza eucaristica, infatti, egli rimane misteriosamente in mezzo a noi come colui che ci ha amati e che ha dato se stesso per noi (Gal 2,20)…, sotto i segni che esprimono e comunicano questo amore.

Me 5 Feb : Libro dell’Ecclesiastico 33,7-15.
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Perché un giorno è più importante d'un altro? Eppure la luce di ogni giorno dell'anno viene dal sole. Essi sono distinti secondo il pensiero del Signore che ha variato le stagioni e le feste. Alcuni giorni li ha nobilitati e santificati, altri li ha lasciati nel numero dei giorni ordinari. Anche gli uomini provengono tutti dalla polvere e dalla terra fu creato Adamo. Ma il Signore li ha distinti nella sua grande sapienza, ha assegnato loro diversi destini. Alcuni li ha benedetti ed esaltati, altri li ha santificati e avvicinati a sé, altri li ha maledetti e umiliati e li ha scacciati dalle loro posizioni. Come l'argilla nelle mani del vasaio che la forma a suo piacimento, così gli uomini nelle mani di colui che li ha creati, per retribuirli secondo la sua giustizia. Di fronte al male c'è il bene, di fronte alla morte, la vita; così di fronte al pio il peccatore. Considera perciò tutte le opere dell'Altissimo; due a due, una di fronte all'altra.

Me 5 Feb : Salmi 111(110),1-6.
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Alleluia.

Renderò grazie al Signore con tutto il cuore, nel consesso dei giusti e nell'assemblea. Grandi le opere del Signore, le contemplino coloro che le amano. Le sue opere sono splendore di bellezza, la sua giustizia dura per sempre. Ha lasciato un ricordo dei suoi prodigi: pietà e tenerezza è il Signore. Egli dà il cibo a chi lo teme, si ricorda sempre della sua alleanza. Mostrò al suo popolo la potenza delle sue opere, gli diede l'eredità delle genti.

Me 5 Feb : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,30-34.
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Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò».

Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Me 5 Feb : San Giovanni Maria Vianney
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Figli miei, non è poca cosa la Parola di Dio! Le prime parole di nostro Signore agli apostoli furono: "Andate ed insegnate" per farci vedere che l'insegnamento viene prima di tutto.

Cosa ci ha fatto conoscere la nostra religione? Sono gli insegnamenti che abbiamo sentiti.

Chi ci dà l'obbrobrio del peccato, chi ci fa percepire la bellezza della virtù e ci ispira il desiderio del cielo? Gli insegnamenti. Figli miei, perché siamo così ciechi ed ignoranti? Perché non ascoltiamo la Parola di Dio.

Con una persona istruita, c'è sempre una speranza.

Può certo smarrirsi in ogni sorta di cattive strade, ma si può sempre sperare che tornerà al Buon Dio presto o tardi, fosse anche solo al momento della morte.

Mentre una persona non istruita nella religione è come un malato in agonia; non conosce né la grandezza del peccato, né la bellezza della sua anima, né il prezzo della virtù; e continua a vivere peccando.

Una persona istruita ha sempre due guide che camminano davanti a lei: il consiglio e l'ubbidienza.

Ma 4 Feb : Libro dell’Ecclesiastico 39,12-22.
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Esporrò ancora le mie riflessioni, ne sono pieno come la luna a metà mese. Ascoltatemi, figli santi, e crescete come una pianta di rose su un torrente. Come incenso spandete un buon profumo, fate fiorire fiori come il giglio, spargete profumo e intonate un canto di lode; benedite il Signore per tutte le opere sue. Magnificate il suo nome; proclamate le sue lodi con i vostri canti e le vostre cetre; così direte nella vostra lode: "Quanto sono magnifiche tutte le opere del Signore! Ogni sua disposizione avrà luogo a suo tempo!".

Non c'è da dire: "Che è questo? Perché quello?".

Tutte le cose saranno indagate a suo tempo. Alla sua parola l'acqua si ferma come un cumulo, a un suo detto si aprono i serbatoi delle acque. A un suo comando si realizza quanto egli vuole; nessuno può ostacolare il suo aiuto. Ogni azione umana è davanti a lui, non è possibile nascondersi ai suoi occhi. Il suo sguardo passa da un'eternità all'altra, nulla è straordinario davanti a lui. Non c'è da dire: "Che è questo? Perché quello?" poiché tutte le cose sono state create per un fine. La sua benedizione si diffonde come un fiume e irriga come un'inondazione la terra.

Ma 4 Feb : Salmi 33(32),4.8-15.
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Poiché retta è la parola del Signore e fedele ogni sua opera. Tema il Signore tutta la terra, tremino davanti a lui gli abitanti del mondo, perché egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste. Il Signore annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli. Ma il piano del Signore sussiste per sempre, i pensieri del suo cuore per tutte le generazioni. Beata la nazione il cui Dio è il Signore, il popolo che si è scelto come erede. Il Signore guarda dal cielo, egli vede tutti gli uomini. Dal luogo della sua dimora scruta tutti gli abitanti della terra, lui che, solo, ha plasmato il loro cuore e comprende tutte le loro opere.

Ma 4 Feb : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,1-6a.
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Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga.

E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?».

E si scandalizzavano di lui. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E non vi potè operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando.

Ma 4 Feb : San Bonaventura
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Il Signore Gesù, tornato dal Tempio e da Gerusalemme a Nazareth con i suoi genitori, vi dimorò con loro fino al suo trentesimo anno e «stava loro sottomesso» (Lc 2,51).

Non troviamo nulla nelle Scritture che egli abbia fatto durante quel tempo, e questo ci sorprende molto.

(...) Eppure sta' attento e vedrai chiaramente che, pur non facendo nulla, ha fatto meraviglie.

Ognuno dei suoi atti infatti rivela il suo mistero.

E come agiva con potenza, così tacque con potenza, ha vissuto nel ritiro e nell'oscurità con potenza.

Il sovrano Maestro, che sta per insegnarci le vie della vita, comincia fin dalla sua giovinezza a fare delle opere di potenza, pur in modo stupendo, ignoto e inaudito, apparendo cioè agli occhi degli uomini inutile, ignorante e vivendo nell'umiltà.

(...) Teneva sempre di più a questo modo di vivere allo scopo di essere ritenuto da tutti un essere umile e insignificante; era stato annunciato dal profeta che diceva in nome suo: «Io sono verme, non uomo» (Sal 22,7).

Guarda dunque ciò che faceva, non facendo nulla.

Si rendeva spregevole(...); credi forse che questa sia poca cosa? Certo, non ne aveva bisogno lui, mentre ne avevamo bisogno noi.

Non conosco nulla di più difficile o di più grande.

Mi sembrano giunti al più alto grado coloro che di tutto cuore e senza fingere possiedono se stessi al punto da non ricercare altro che essere disprezzati, non contare nulla e vivere in un abbassamento estremo.

Si tratta di una vittoria più grande della conquista di una città.

(...)


Rito romano

Da Evangelizo.org:

Gi 6 Feb : Lettera agli Ebrei 12,18-19.21-24.
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Fratelli, voi non vi siete accostati a un luogo tangibile e a un fuoco ardente, né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano che Dio non rivolgesse più a loro la parola; Lo spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: Ho paura e tremo. Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza.

Gi 6 Feb : Salmi 48(47),2-3a.3b-4.9.10-11.
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Grande è il Signore e degno di ogni lode nella città del nostro Dio. Il suo monte santo, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra. Dio nei suoi baluardi è apparso fortezza inespugnabile. Come avevamo udito, così abbiamo visto nella città del Signore degli eserciti, nella città del nostro Dio; Dio l'ha fondata per sempre. Ricordiamo, Dio, la tua misericordia dentro il tuo tempio. Come il tuo nome, o Dio, così la tua lode si estende sino ai confini della terra; è piena di giustizia la tua destra.

Gi 6 Feb : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,7-13.
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In quel tempo Gesù chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche. E diceva loro: «Entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo. Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi, a testimonianza per loro». E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano.

Gi 6 Feb : Papa Francesco
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Viviamo poi in un momento di crisi che tocca vari settori dell'esistenza, non solo quello dell’economia, della finanza, della sicurezza alimentare, dell’ambiente, ma anche quello del senso profondo della vita e dei valori fondamentali che la animano.

Anche la convivenza umana è segnata da tensioni e conflitti che provocano insicurezza e fatica di trovare la via per una pace stabile.

In questa complessa situazione, dove l'orizzonte del presente e del futuro sembrano percorsi da nubi minacciose, si rende ancora più urgente portare con coraggio in ogni realtà il Vangelo di Cristo, che è annuncio di speranza, di riconciliazione, di comunione, annuncio della vicinanza di Dio, della sua misericordia, della sua salvezza, annuncio che la potenza di amore di Dio è capace di vincere le tenebre del male e guidare sulla via del bene.

L’uomo del nostro tempo ha bisogno di una luce sicura che rischiara la sua strada e che solo l’incontro con Cristo può donare.

Portiamo a questo mondo, con la nostra testimonianza, con amore, la speranza donata dalla fede! La missionarietà della Chiesa non è proselitismo, bensì testimonianza di vita che illumina il cammino, che porta speranza e amore.

La Chiesa - lo ripeto ancora una volta - non è un’organizzazione assistenziale, un’impresa, una ONG, ma è una comunità di persone, animate dall'azione dello Spirito Santo, che hanno vissuto e vivono lo stupore dell’incontro con Gesù Cristo e desiderano condividere questa esperienza di profonda gioia, condividere il Messaggio di salvezza che il Signore ci ha portato.

E’ proprio lo Spirito Santo che guida la Chiesa in questo cammino.

Vorrei incoraggiare tutti a farsi portatori della buona notizia di Cristo.

(...)

Me 5 Feb : Lettera agli Ebrei 12,4-7.11-15.
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Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato. e avete già dimenticato l'esortazione a voi rivolta come a figli: Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio. È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite e raddrizzate le vie storte per i vostri passi, perché il piede zoppicante non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire. Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore, vigilando che nessuno venga meno alla grazia di Dio.

Non spunti né cresca alcuna radice velenosa in mezzo a voi e così molti ne siano infettati;

Me 5 Feb : Salmi 103(102),1-2.13-14.17-18a.
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Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici. Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono. Perché egli sa di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere. Ma la grazia del Signore è da sempre, dura in eterno per quanti lo temono; la sua giustizia per i figli dei figli, per quanti custodiscono la sua alleanza.

Me 5 Feb : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,1-6.
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In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga.

E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?».

E si scandalizzavano di lui. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E non vi potè operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando.

Me 5 Feb : San Bonaventura
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Il Signore Gesù, tornato dal Tempio e da Gerusalemme a Nazareth con i suoi genitori, vi dimorò con loro fino al suo trentesimo anno e «stava loro sottomesso» (Lc 2,51).

Non troviamo nulla nelle Scritture che egli abbia fatto durante quel tempo, e questo ci sorprende molto.

(...) Eppure sta' attento e vedrai chiaramente che, pur non facendo nulla, ha fatto meraviglie.

Ognuno dei suoi atti infatti rivela il suo mistero.

E come agiva con potenza, così tacque con potenza, ha vissuto nel ritiro e nell'oscurità con potenza.

Il sovrano Maestro, che sta per insegnarci le vie della vita, comincia fin dalla sua giovinezza a fare delle opere di potenza, pur in modo stupendo, ignoto e inaudito, apparendo cioè agli occhi degli uomini inutile, ignorante e vivendo nell'umiltà.

(...) Teneva sempre di più a questo modo di vivere allo scopo di essere ritenuto da tutti un essere umile e insignificante; era stato annunciato dal profeta che diceva in nome suo: «Io sono verme, non uomo» (Sal 22,7).

Guarda dunque ciò che faceva, non facendo nulla.

Si rendeva spregevole(...); credi forse che questa sia poca cosa? Certo, non ne aveva bisogno lui, mentre ne avevamo bisogno noi.

Non conosco nulla di più difficile o di più grande.

Mi sembrano giunti al più alto grado coloro che di tutto cuore e senza fingere possiedono se stessi al punto da non ricercare altro che essere disprezzati, non contare nulla e vivere in un abbassamento estremo.

Si tratta di una vittoria più grande della conquista di una città.

(...)

Ma 4 Feb : Lettera agli Ebrei 12,1-4.
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Fratelli, circondati da un così gran nugolo di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede.

Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato.

Ma 4 Feb : Salmi 22(21),26b-27.28.30.31-32.
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Sei tu la mia lode nella grande assemblea scioglierò i miei voti devanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano: "Viva il loro cuore per sempre". Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a lui tutte le famiglie dei popoli. A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere.

E io vivrò per lui, Servirà il Signore la mia discendenza; si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: "Ecco l'opera del Signore!".

Ma 4 Feb : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 5,21-43.
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In quel tempo, essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva». Gesù andò con lui.

Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello.

Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata.

Và in pace e sii guarita dal tuo male». Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta.

Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!». E non permise a nessuno di seguirlo fuorchè a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». Ed essi lo deridevano.

Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni.

Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.

Ma 4 Feb : Sant'Ambrogio
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Prima di risuscitare una giovane morta, Gesù comincia col guarire la donna affetta da emorragia, e lo fa per portarci alla fede.

Il flusso si è fermato per farci capire: quando Gesù si avvicina all'una, l'altra è già guarita.

Nello stesso modo, celebriamo la risurrezione storica del Signore, che seguì la sua Passione, allo scopo di credere alla nostra vita eterna.

(...) I servi di Giairo che vengono a dirgli: «Non disturbare il Maestro » non credono ancora nella risurrezione predetta nella Legge e compiuta nel Vangelo.

Perciò Gesù prende con sé soltanto pochi testimoni della risurrezione che sta per compiersi: infatti non un gran numero ha creduto subito alla risurrezione.

La folla deride Gesù quando egli dichiara: «La bambina non è morta, ma dorme».

Coloro che non credono lo deridono.

Piangano i loro morti, coloro che li credono morti.

Quanti hanno fede nella risurrezione vedono la morte non come una fine, ma come un riposo.

(...) E Gesù, presa la mano della bambina, la guarì; poi ordinò di darle da mangiare.

E' una garanzia della vita, affinché si possa credere che non è un'illusione, ma proprio la realtà.

Beata colei la cui mano è tenuta dalla Sapienza! Piaccia a Dio che anche la nostra venga tenuta, nelle nostre azioni.

La giustizia tenga la mia mano; il Verbo di Dio la tenga; Egli mi introduca nel luogo nascosto dove dimora.

Distolga il mio spirito dall'errore, e così riconduca colui che ha salvato e ordini di darmi da mangiare, poiché il pane del cielo è il Verbo di Dio (Gv 6,32).

Questa Sapienza che ha deposto sull'altare il cibo del Corpo e del Sangue del Figlio di Dio ha dichiarato: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato» ( Pr 9, 5).


Santa Marta

Omelie di Papa Francesco da Santa Marta, via 'cosa resta del giorno':

Discorsi e omelie di Papa Francesco

Ai Membri dell’Ordine della Professione di Ostetrica delle Province di Catanzaro, Cosenza, Crotone e Vibo Valentia (6 Feb 2025)
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Discorso consegnato

Care sorelle e cari fratelli, buongiorno!

Sono particolarmente contento di accogliervi, ostetriche, medici ginecologi e operatori sanitari dalla Calabria.

La vostra è una professione bellissima, una vocazione e un inno alla vita, tanto più importante in questo momento storico.

In effetti, in Italia, e anche in altri Paesi, sembra si sia perso l’entusiasmo per la maternità e la paternità; le si guarda come fonte di difficoltà e di problemi, più che come lo spalancarsi di un nuovo orizzonte di creatività e di felicità.

E questo – lo sappiamo – dipende molto dal contesto sociale e culturale.

Per questo voi, come Ordine professionale, vi siete dati un obiettivo programmatico: invertire la tendenza della denatalità.

Bravi! Mi congratulo con voi.

E allora vorrei riflettere con voi su tre ambiti complementari e interdipendenti della vostra vita e della vostra missione: la professionalità, la sensibilità umana e, per chi crede, la preghiera.

Primo: la professionalità.

Il continuo miglioramento delle competenze è parte non solo del vostro codice deontologico, ma anche di un cammino di santità laicale (cfr Omelia nella Messa con alcune Canonizzazioni, 15 maggio 2022).

La competenza è lo strumento con cui potete esercitare al meglio la carità che vi è affidata, sia nell’accompagnamento ordinario delle future mamme, sia affrontando situazioni critiche e dolorose.

In tutti questi casi la presenza di professionisti preparati dona serenità e, nelle situazioni più gravi, può salvare la vita.

Secondo: la sensibilità umana.

In un momento cruciale dell’esistenza come quello della nascita di un figlio o di una figlia, ci si può sentire vulnerabili, fragili, e perciò più bisognosi di vicinanza, di tenerezza, di calore.

Fa tanto bene, in tali circostanze, avere accanto persone sensibili e delicate.

Vi raccomando perciò di coltivare, oltre all’abilità professionale, anche un grande senso di umanità, che confermi «nell’animo dei genitori il desiderio e la gioia per la nuova vita, sbocciata dal loro amore» (S.

Giovanni Paolo II, Discorso alle ostetriche, 26 gennaio 1980) e concorra ad «assicurare al bambino una nascita sana e felice» (ivi).

E veniamo al terzo punto: la preghiera.

È una medicina nascosta ma efficace che chi crede ha a disposizione, perché cura l’anima.

A volte sarà possibile condividerla con i pazienti; in altre circostanze, la si potrà offrire a Dio con discrezione e umiltà, nel proprio cuore, rispettando il credo e il cammino di tutti.

Sempre però, con la preghiera, si contribuirà a rafforzare quella «ammirabile collaborazione dei genitori, della natura e di Dio, dalla quale viene alla luce un nuovo essere umano ad immagine e somiglianza del Creatore», come disse il Venerabile Pio XII (Discorso all’Unione Cattolica Italiana Ostetriche, 29 ottobre 1951).

Vi incoraggio perciò a sentire nei confronti delle mamme, dei papà e dei bambini che Dio mette sulla vostra strada, la responsabilità di pregare anche per loro, specialmente nella Santa Messa, nell’Adorazione eucaristica e nell’orazione semplice e quotidiana.

Care sorelle e cari fratelli, grazie per il tanto bene che fate ogni giorno! Continuate a svolgere la vostra missione con entusiasmo e generosità.

Benedico voi, il vostro lavoro e le vostre famiglie.

E vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare anche per me.

A Sacerdoti e Monaci delle Chiese Autocefale Orientali (6 Feb 2025)
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Discorso consegnato

Cari fratelli,

«Quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!» (Sal 133,1).

Con queste parole del Salmista, vi do il benvenuto e esprimo la mia gioia per questa visita di voi giovani sacerdoti e monaci delle Chiese Ortodosse Orientali, armena, copta, etiopica, eritrea, malankarese e siriaca.

Saluto fraternamente l’Arcivescovo Khajag Barsamian e il Vescovo Barnaba El-Soryani, che vi accompagnano.

E, attraverso di voi, desidero salutare i venerabili e cari fratelli Capi delle Chiese Ortodosse Orientali.

Questa è la quinta visita di studio per giovani sacerdoti e monaci ortodossi orientali organizzata dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

Visite simili per sacerdoti cattolici sono state preparate dal Catholicossato armeno di Etchmiadzin e dalla Chiesa Ortodossa Sira Malankarese.

Sono molto grato per questo “scambio di doni”, promosso dalla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali, perché permette di affiancare il dialogo della carità al dialogo della verità.

La vostra visita ha una rilevanza particolare nell’anno in cui si celebra il 17° centenario del Concilio di Nicea, il primo Concilio ecumenico, che professò il Simbolo della fede comune a tutti i cristiani.

Vorrei quindi riflettere con voi sul termine “Simbolo”, che ha una forte dimensione ecumenica, nel suo triplice significato.

In senso teologico, per Simbolo s’intende l’insieme delle principali verità della fede cristiana, che si completano e si armonizzano tra loro.

In questo senso, il Credo niceno, che espone sinteticamente il mistero della nostra salvezza, è innegabile e ineguagliabile.

Tuttavia, il Simbolo ha anche un significato ecclesiologico: infatti, oltre alle verità, unisce anche i credenti.

Nell’antichità, la parola greca symbolon indicava la metà di una tessera spezzata in due da presentare come segno di riconoscimento.

Il Simbolo è quindi segno di riconoscimento e di comunione tra i credenti.

Ognuno possiede la fede come “simbolo”, che trova la sua piena unità solo assieme agli altri.

Abbiamo dunque bisogno gli uni degli altri per poter confessare la fede, ed è per questo che il Simbolo niceno, nella sua versione originale, usa il plurale “noi crediamo”.

Andando oltre in questa immagine, direi che i cristiani ancora divisi sono come dei “cocci” che devono ritrovare l’unità nella confessione dell’unica fede.

Portiamo il Simbolo della nostra fede come un tesoro in vasi d’argilla (cfr 2Cor 4,7).

Così arriviamo al terzo significato del Simbolo, quello spirituale.

Non dobbiamo mai dimenticare che il Credo è soprattutto una preghiera di lode che ci unisce a Dio: l’unione con Dio passa necessariamente attraverso l’unità tra noi cristiani, che proclamiamo la stessa fede.

Se il diavolo divide, il Simbolo unisce! Come sarebbe bello che, ogni volta che proclamiamo il Credo, ci sentissimo uniti ai cristiani di tutte le tradizioni! La proclamazione della fede comune, difatti, richiede prima di tutto che ci amiamo gli uni gli altri, come la liturgia orientale invita a fare prima della recita del Credo: «Amiamoci gli uni gli altri, affinché in unità di spirito, professiamo la nostra fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo».

Cari fratelli, auspico che la vostra presenza diventi un “simbolo” della nostra comunione visibile, mentre perseveriamo nella ricerca di quella piena unità che il Signore Gesù ha ardentemente desiderato (cfr Gv 17,21).

Vi assicuro il mio ricordo nella preghiera, per ciascuno di voi e per le vostre Chiese, e conto anche sulla vostra per me e per il mio ministero.

Il Signore vi benedica e la Madre di Dio vi protegga.

Ed ora vorrei proporvi di proclamare insieme il Credo di Nicea, ognuno nella propria lingua.

[Credo…]

Udienza Generale del 5 Feb 2025 - Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. I. L’infanzia di Gesù. 4. «E beata colei che ha creduto» (Lc 1,45). La Visitazione e il Magnificat
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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.
 

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025.

Gesù Cristo nostra speranza. I.

L’infanzia di Gesù. 4. «E beata colei che ha creduto» (Lc 1,45). La Visitazione e il Magnificat

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Contempliamo oggi la bellezza di Gesù Cristo nostra speranza nel mistero della Visitazione.

La Vergine Maria fa visita a Santa Elisabetta; ma è soprattutto Gesù, nel grembo della madre, a visitare il suo popolo (cfr Lc 1,68), come dice Zaccaria nel suo inno di lode.

Dopo lo stupore e la meraviglia per quanto le è stato annunciato dall’Angelo, Maria si alza e si mette in viaggio, come tutti i chiamati della Bibbia, perché «l’unico atto col quale l’uomo può corrispondere al Dio che si rivela è quello della disponibilità illimitata» (H.U.

von Balthasar, Vocazione, Roma 2002, 29).

Questa giovane figlia d’Israele non sceglie di proteggersi dal mondo, non teme i pericoli e i giudizi altrui, ma va incontro agli altri.

Quando ci si sente amati, si sperimenta una forza che mette in circolo l’amore; come dice l’apostolo Paolo, «l’amore del Cristo ci possiede» (2Cor 5,14), ci spinge, ci muove.

Maria avverte la spinta dell’amore e va ad aiutare una donna che è sua parente, ma è anche un’anziana che accoglie, dopo lunga attesa, una gravidanza insperata, faticosa da affrontare alla sua età.

Ma la Vergine va da Elisabetta anche per condividere la fede nel Dio dell’impossibile e la speranza nel compimento delle sue promesse.

L’incontro tra le due donne produce un impatto sorprendente: la voce della “piena di grazia” che saluta Elisabetta provoca la profezia nel bambino che l’anziana porta in grembo e suscita in lei una duplice benedizione: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!» (Lc 1,42).

E anche una beatitudine: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (v.

45).

Dinanzi al riconoscimento dell’identità messianica del suo Figlio e della sua missione di madre, Maria non parla di sé ma di Dio e innalza una lode piena di fede, di speranza e di gioia, un cantico che risuona ogni giorno nella Chiesa durante la preghiera dei Vespri: il Magnificat (Lc 1,46-55).

Questa lode al Dio salvatore, sgorgata dal cuore della sua umile serva, è un solenne memoriale che sintetizza e compie la preghiera d’Israele.

È intessuta di risonanze bibliche, segno che Maria non vuole cantare “fuori dal coro” ma sintonizzarsi con i padri, esaltando la sua compassione verso gli umili, quei piccoli che Gesù nella sua predicazione dichiarerà «beati» (cfr Mt 5,1-12).

La massiccia presenza del motivo pasquale fa del Magnificat anche un canto di redenzione, che ha per sfondo la memoria della liberazione d’Israele dall’Egitto.

I verbi sono tutti al passato, impregnati di una memoria d’amore che accende di fede il presente e illumina di speranza il futuro: Maria canta la grazia del passato ma è la donna del presente che porta in grembo il futuro.

La prima parte di questo cantico loda l’azione di Dio in Maria, microcosmo del popolo di Dio che aderisce pienamente all’alleanza (vv.

46-50); la seconda spazia sull’opera del Padre nel macrocosmo della storia dei suoi figli (vv.

51-55), attraverso tre parole-chiave: memoria –  misericordia – promessa.

Il Signore, che si è chinato sulla piccola Maria per compiere in lei “grandi cose” e renderla madre del Signore, ha iniziato a salvare il suo popolo a partire dall’esodo, ricordandosi della benedizione universale promessa ad Abramo (cfr Gen 12,1-3).

Il Signore, Dio fedele per sempre, ha fatto scorrere un flusso ininterrotto di amore misericordioso «di generazione in generazione» (v.

50) sul popolo fedele all’alleanza, e ora manifesta la pienezza della salvezza nel Figlio suo, inviato a salvare il popolo dai suoi peccati.

Da Abramo a Gesù Cristo e alla comunità dei credenti, la Pasqua appare così come la categoria ermeneutica per comprendere ogni liberazione successiva, fino a quella realizzata dal Messia nella pienezza dei tempi.

Cari fratelli e sorelle, chiediamo oggi al Signore la grazia di saper attendere il compimento di ogni sua promessa; e di aiutarci ad accogliere nelle nostre vite la presenza di Maria.

Mettendoci alla sua scuola, possiamo tutti scoprire che ogni anima che crede e spera «concepisce e genera il Verbo di Dio» (S.

Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca 2, 26).

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Saluti

Je salue cordialement les groupes de pèlerins de langue française, venus de France et de Belgique, en particulier le diocèse de Bordeaux, les Collèges Stanislas et La Rochefoucauld de Paris, le Centre Madeleine Daniélou et les étudiants du Loiret et de Bruxelles.

Demandons au Seigneur de renforcer notre foi dans l’accomplissement de ses promesses et mettons-nous à l’école de Marie, en cultivant un cœur disponible pour Dieu et les frères pour rendre notre monde plus joyeux et plus fraternel.

Que Dieu vous bénisse.

[Saluto cordialmente i gruppi di pellegrini francofoni provenienti dalla Francia e dal Belgio, in particolare la diocesi di Bordeaux, i collegi Stanislas e La Rochefoucauld di Parigi, il Centro Madeleine Daniélou e gli studenti di Loiret e di Bruxelles.

Chiediamo al Signore di rafforzare la nostra fede nel compimento delle sue promesse e seguiamo la scuola di Maria, coltivando un cuore aperto a Dio e ai fratelli, per rendere il nostro mondo più gioioso e più fraterno.

Dio vi benedica.]

I greet the English-speaking pilgrims and visitors, especially those coming from Ireland, Indonesia, Malaysia, the Philippines and the United States, and offer my good wishes that the Jubilee will be for all of you a season of spiritual renewal and growth in the joy of the Gospel.  Upon you and your families I gladly invoke God’s blessings of wisdom, strength and peace.

[Saluto i pellegrini di lingua inglese, specialmente quelli provenienti da Irlanda, Indonesia, Malaysia, le Filippine e Stati Uniti, con l’augurio che il Giubileo sia per voi un’occasione di rinnovamento spirituale e di crescita nella gioia del Vangelo.

Su voi e sulle vostre famiglie invoco di cuore i doni divini di sapienza, di forza e di pace.]

Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, nach dem Beispiel Marias wollen auch wir Christus zu den Menschen unserer Zeit bringen und in ihnen die Hoffnung und Freude wecken, die Elisabet und ihr Kind bei dieser Begegnung erfüllte.

Denken wir an das Große, das der Herr auch an uns tun möchte!

[Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, seguendo l’esempio di Maria, portiamo anche noi Cristo agli uomini del nostro tempo, suscitando in loro la speranza e la gioia che hanno riempito Elisabetta e il suo figlio durante questo incontro.

Pensiamo alle grandi cose che il Signore vuole fare anche per noi!]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

En este Año jubilar, los invito a elevar a Dios el canto del Magníficat, como María, recordando con gratitud las grandes cosas que Él ha hecho en nuestra vida.

Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los proteja.

Muchas gracias.

我向讲中文的人们致以诚挚的问候。亲爱的弟兄姐妹们,我敦促你们永远做和平的缔造者。我降福大家!

[Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua cinese.

Cari fratelli e sorelle, vi esorto ad essere sempre costruttori di pace.

A tutti la mia benedizione!]

Saúdo cordialmente todos os fiéis de língua portuguesa.

Irmãos e irmãs, peçamos ao Senhor que o exemplo de Maria nos torne arautos da esperança na realização das promessas divinas, aprendendo a sua disponibilidade para o serviço a todos os necessitados.

Que a Mãe de Deus vos proteja sempre!

[Saluto cordialmente tutti i fedeli di lingua portoghese.

Fratelli e sorelle, chiediamo al Signore che l’esempio di Maria ci faccia araldi della speranza nel compimento delle promesse divine, imparando da Lei la disponibilità per il servizio a quanti hanno bisogno.

La Madre di Dio vi custodisca sempre!]

أُحيِّي المُؤْمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العَرَبِيَّة.

المَسِيحيُّ مَدعُوٌ إلى أنْ يَشهَدَ للإنجيلِ لكي يَبنِيَ عالَمًا جديدًا بالوَداعَة، وبالعَطايا والمواهبِ الَّتي نالَها.

بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِنْ كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba.

Il cristiano è chiamato a testimoniare il Vangelo per edificare con mitezza, attraverso i doni e i carismi ricevuti, un mondo nuovo.

Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

Pozdrawiam pielgrzymów z Polski.

Zachęcam was do modlitwy za kapłanów i osoby konsekrowane, którzy posługują w krajach ubogich i ogarniętych wojną, zwłaszcza na Ukrainie, Bliskim Wschodzie i w Demokratycznej Republice Konga.

Dla wielu ludzi ta obecność jest dowodem na to, że Bóg nieustannie o nich pamięta.

Z serca wam błogosławię!

[Saluto i pellegrini polacchi.

Vi incoraggio a pregare per i sacerdoti e i consacrati che svolgono il loro ministero nei Paesi poveri e in guerra, specialmente in Ucraina, in Medio Oriente e nella Repubblica Democratica del Congo.

Per molti questa presenza è la prova che Dio si ricorda sempre di loro.

Vi benedico di cuore!]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, saluto il pellegrinaggio della Diocesi di Mazara del Vallo con il Vescovo Mons.

Angelo Giurdanella; saluto i fedeli di Sant’Angelo all’Esca, l’oratorio Benedetto XVI di Buccinasco e gli alunni della scuola San Paolo di Pogliano Milanese.

Auspico che la visita alle tombe degli Apostoli susciti un rinnovato desiderio di adesione a Cristo e di testimonianza nelle vostre comunità.

E pensiamo ai Paesi che soffrono la guerra: la martoriata Ucraina, Israele, Palestina … Tanti Paesi che stanno soffrendo lì.

Ricordiamo gli sfollati della Palestina e preghiamo per loro.

Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati, agli anziani e agli sposi novelli.

Come esorta l'apostolo Paolo, vi incoraggio ad essere lieti nella speranza, forti nelle tribolazioni, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli (cfr Rm 12, 12-13).

A tutti la mia benedizione!

Al Pellegrinaggio promosso dalla Conferenza Episcopale della Scandinavia (3 Feb 2025)
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Eminenza,
cari Fratelli Vescovi,
cari amici!

Sono lieto di salutare tutti voi, provenienti da Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia e Islanda, in occasione del vostro pellegrinaggio a Roma, organizzato dalla Conferenza Episcopale dei Paesi Nordici.

Prego affinché, attraverso questa esperienza del camminare insieme come fratelli e sorelle in Cristo, i vostri cuori si rafforzino nella fede, nella speranza e nell’amore, perché questi sono tre elementi essenziali della vita cristiana, tre modi in cui lo Spirito Santo ci guida nel nostro cammino, nel nostro pellegrinaggio, perché noi siamo dei pellegrini (cfr Catechesi, 24 aprile 2024).

Il motto di questo Giubileo, come ben sapete, è “Pellegrini di speranza”.

Prego perciò che la vostra speranza si rafforzi durante questi giorni.

Sicuramente siete già consapevoli dei segni di speranza presenti nei vostri Paesi d’origine, perché la Chiesa, nelle vostre terre, sebbene piccola, cresce in numero.

Cresce sempre.

Possiamo ringraziare Dio Onnipotente, perché i semi di fede, piantati e irrigati lì da generazioni di pastori e persone perseveranti, stanno dando i loro frutti.

Né questo deve sorprenderci, perché il Signore è sempre fedele alle sue promesse!

Mentre visitate i vari luoghi santi della Città Eterna, in particolare le tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, prego anche che la vostra fede nel Signore Gesù e la vostra consapevolezza di appartenere a Lui e gli uni agli altri nella comunione della Chiesa, sia nutrita e approfondita.

In questo modo, con la mente e il cuore più pienamente in sintonia con la grazia trasformante di Cristo, potrete tornare nei vostri Paesi pieni del gioioso entusiasmo di condividere il grande dono che avete ricevuto, perché, come dice San Paolo, siamo stati creati in Cristo per compiere opere buone (cfr Ef 2,8-10).

Di fatto non c’è “opera” più grande che trasmettere agli altri il messaggio di salvezza del Vangelo, e noi siamo chiamati a farlo soprattutto per quelli che si trovano ai margini.

Pensiamo ad esempio a chi è solo e isolato – tanta gente è isolata, sola –, nel cuore e nelle periferie delle vostre comunità e nei territori più remoti.

Peraltro, questo compito è affidato a ciascuno di voi, qualunque sia la vostra età, stato di vita o capacità.

Anche quelli che tra voi sono anziani, malati o in qualche modo in difficoltà hanno la nobile vocazione di testimoniare l’amore compassionevole del Padre.

Tornando a casa, dunque, ricordate che il pellegrinaggio non si conclude, ma sposta il suo obiettivo sul quotidiano cammino del discepolato e sulla chiamata a perseverare nel compito dell’evangelizzazione.

In proposito, vorrei incoraggiare le vostre vivaci comunità cattoliche a cooperare con gli altri fratelli cristiani, perché in questi tempi difficili, segnati dalla guerra in Europa e nel mondo, la nostra famiglia umana ha tanto bisogno di una testimonianza unitaria di quella riconciliazione, guarigione e pace che può venire solo da Dio.

Allo stesso modo, nei vostri contesti multiculturali, siete chiamati a dialogare e lavorare insieme agli appartenenti ad altre religioni, molti dei quali migranti, che avete accolto così bene nelle vostre società.

Ricordo, infatti, di averlo visto in prima persona durante la mia visita in Svezia nel 2016.

E per noi Paesi latinoamericani, nei tempi delle dittature – Brasile, Uruguay, Cile, Argentina –: sono andati lì i nostri fratelli e sorelle che fuggivano dalle dittature.

Continuate ad essere fari di accoglienza e di solidarietà fraterna!

Infine, una parola ai pellegrini più giovani tra voi.

Nell’ambito degli eventi di quest’anno, il 27 aprile celebreremo la Canonizzazione del Beato Carlo Acutis.

Questo giovane santo dei nostri tempi e per i nostri tempi mostra a voi, e a tutti noi, quanto sia possibile nel mondo d’oggi per i giovani seguire Gesù, condividere i suoi insegnamenti con gli altri e così trovare la pienezza della vita nella gioia, nella libertà e nella santità.

Permettetemi allora di ripetervi, e per favore condividete con i vostri giovani amici a casa queste parole del Papa: «Lo Spirito Santo vi spinga [...].

La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede.

Ne abbiamo bisogno!» (Esort.

Ap.

Christus vivit, 299).

Cari amici, con queste brevi riflessioni vi auguro ogni bene per il vostro pellegrinaggio e per la vostra vita, e vi affido all’intercessione di Maria, Madre della Chiesa.

Vi benedico di cuore.

E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Ai Leaders Mondiali partecipanti al Summit sui Diritti dei Bambini (3 Feb 2025)
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Discorso del Santo Padre

Ringraziamento

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Maestà,
cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Saluto i Signori Cardinali e le Personalità qui presenti, in occasione dell’Incontro mondiale sui diritti dei bambini dal titolo “Amiamoli e proteggiamoli”.

Vi ringrazio di aver accolto l’invito e sono fiducioso che, mettendo in comune le vostre esperienze e competenze, voi potrete aprire nuove vie per soccorrere e proteggere i bambini i cui diritti ogni giorno vengono calpestati e ignorati.

Ancora oggi, la vita di milioni di bambini è segnata dalla povertà, dalla guerra, dalla privazione della scuola, dall’ingiustizia e dallo sfruttamento.

I bambini e gli adolescenti dei Paesi più poveri, o lacerati da tragici conflitti, sono costretti ad affrontare prove terribili.

Anche il mondo più ricco non è immune da ingiustizie.

Là dove, grazie a Dio, non si soffre per la guerra o la fame, esistono tuttavia le periferie difficili, nelle quali i piccoli sono spesso vittime di fragilità e problemi che non possiamo sottovalutare.

Infatti, in misura assai più rilevante che in passato, le scuole e i servizi sanitari devono fare i conti con bambini già provati da tante difficoltà, con giovani ansiosi o depressi, con adolescenti che imboccano le strade dell’aggressività o dell’autolesionismo.

Inoltre, secondo la cultura efficientista, l’infanzia stessa, come la vecchiaia, è una “periferia” dell’esistenza.

Sempre più frequentemente chi ha la vita davanti non riesce a guardarla con atteggiamento fiducioso e positivo.

Proprio i giovani, che nella società sono segni di speranza, faticano a riconoscere la speranza in sé stessi.

Questo è triste e preoccupante.

«D’altronde, quando il futuro è incerto e impermeabile ai sogni, quando lo studio non offre sbocchi e la mancanza di un lavoro o di un’occupazione sufficientemente stabile rischiano di azzerare i desideri, è inevitabile che il presente sia vissuto nella malinconia e nella noia» (Bolla Spes non confundit, 12).

Non è accettabile ciò che purtroppo negli ultimi tempi abbiamo visto quasi ogni giorno, cioè bambini che muoiono sotto le bombe, sacrificati agli idoli del potere, dell’ideologia, degli interessi nazionalistici.

In realtà, nulla vale la vita di un bambino.

Uccidere i piccoli significa negare il futuro.

In alcuni casi i minori stessi sono costretti a combattere sotto l’effetto di droghe.

Anche nei Paesi dove non c’è la guerra, la violenza tra bande criminali diventa altrettanto micidiale per i ragazzi e spesso li lascia orfani ed emarginati.

Anche l’individualismo esasperato dei Paesi sviluppati è deleterio per i più piccoli.

A volte essi vengono maltrattati o addirittura soppressi da chi li dovrebbe proteggere e nutrire; sono vittime di liti, del disagio sociale o mentale e delle dipendenze dei genitori.

Molti bambini muoiono da migranti nel mare, nel deserto o nelle tante rotte dei viaggi di disperata speranza.

Molti altri soccombono per mancanza di cure o per diversi tipi di sfruttamento.

Sono situazioni differenti, ma di fronte alle quali ci poniamo la stessa domanda: come è possibile che la vita di un bambino debba finire così?

No.

Non è accettabile e dobbiamo resistere all’assuefazione.

L’infanzia negata è un grido silenzioso che denuncia l’iniquità del sistema economico, la criminalità delle guerre, la mancanza di cure mediche e di educazione scolastica.

La somma di queste ingiustizie pesa soprattutto sui più piccoli e più deboli.

Nell’ambito delle Organizzazioni internazionali viene chiamata “crisi morale globale”.

Oggi siamo qui per dire che non vogliamo che tutto questo diventi una nuova normalità.

Non possiamo accettare di abituarci.

Alcune dinamiche mediatiche tendono a rendere l’umanità insensibile, provocando un indurimento generale delle mentalità.

Rischiamo di perdere ciò che è più nobile nel cuore umano: la pietà, la misericordia.

Più di una volta abbiamo condiviso questa preoccupazione con alcuni tra voi che sono rappresentanti di comunità religiose.

Oggi più di quaranta milioni di bambini sono sfollati a causa dei conflitti e circa cento milioni sono senza fissa dimora.

C’è il dramma della schiavitù infantile: circa centosessanta milioni di bambini sono vittime del lavoro forzato, della tratta, di abusi e sfruttamenti di ogni tipo, inclusi i matrimoni obbligati.

Ci sono milioni di bambini migranti, talvolta con le famiglie ma spesso soli: il fenomeno dei minori non accompagnati è sempre più frequente e grave.

Molti altri minori vivono in un limbo per non essere stati registrati alla nascita.

Si stima che circa centocinquanta milioni di bambini “invisibili” non abbiano esistenza legale.

Questo è un ostacolo per accedere all’istruzione o all’assistenza sanitaria, ma soprattutto per loro non c’è protezione della legge e possono essere facilmente maltrattati o venduti come schiavi.

E questo succede! Ricordiamo i piccoli Rohinghya, che spesso fanno fatica a farsi registrare, i bambini indocumentados al confine con gli Stati Uniti, prime vittime di quell’esodo della disperazione e della speranza di migliaia che salgono dal Sud verso gli USA, e tanti altri.

Purtroppo, questa storia di oppressione dei bambini si ripete: se interroghiamo gli anziani, i nonni e le nonne, sulla guerra vissuta quando erano piccoli, emerge dalla loro memoria la tragedia: il buio – tutto è scuro durante la guerra, i colori quasi scompaiono –, gli odori ripugnanti, il freddo, la fame, la sporcizia, la paura, la vita randagia, la perdita dei genitori, della casa, l’abbandono, ogni tipo di violenza.

Io sono cresciuto con i racconti della prima guerra mondiale, fatti da mio nonno, e questo mi ha aperto gli occhi e il cuore sull’orrore della guerra.

Guardare con gli occhi di chi ha vissuto la guerra è il modo migliore per capire l’inestimabile valore della vita.

Ma anche ascoltare i bambini che oggi vivono nella violenza, nello sfruttamento o nell’ingiustizia serve a rafforzare il nostro “no” alla guerra, alla cultura dello scarto e del profitto, in cui tutto si compra e si vende senza rispetto né cura per la vita, soprattutto quella piccola e indifesa.

In nome di questa logica dello scarto, in cui l’essere umano si fa onnipotente, la vita nascente è sacrificata mediante la pratica omicida dell’aborto.

L’aborto sopprime la vita dei bambini e recide la fonte della speranza di tutta la società.

Sorelle e fratelli, è importante ascoltare: dobbiamo renderci conto che i bambini piccoli osservano, capiscono e ricordano.

E con i loro sguardi e i loro silenzi ci parlano.

Ascoltiamoli!

Cari amici, vi ringrazio e vi incoraggio a valorizzare al massimo, con l’aiuto di Dio, l’opportunità di questo incontro.

Prego perché il vostro contributo possa aiutare a costruire un mondo migliore per i bambini, e quindi per tutti! Mi dà speranza il fatto che siamo qui, tutti insieme, per mettere al centro i bambini, i loro diritti, i loro sogni, la loro domanda di futuro.

Grazie a tutti voi e che Dio vi benedica!

* * *

Chiusura del Summit sui Diritti dei Bambini - Ringraziamento

Desidero esprimervi di cuore la mia gratitudine al termine di questo Incontro sui diritti dei bambini.

Grazie a voi le sale del Palazzo Apostolico oggi sono diventate un “osservatorio” aperto sulla realtà dell’infanzia nel mondo intero, un’infanzia che purtroppo è spesso ferita, sfruttata, negata.

La vostra presenza, la vostra esperienza e la vostra compassione hanno dato vita a un osservatorio e soprattutto a un “laboratorio”: in diversi gruppi tematici avete elaborato proposte per la tutela dei diritti dei bambini, considerandoli non come dei numeri, ma come dei volti.

Tutto questo dà gloria a Dio, e a Lui noi lo affidiamo, perché il suo Santo Spirito lo renda fecondo e fruttuoso.

Padre Faltas ha detto una parola, una frase che mi piace tanto: “I bambini ci guardano”.

È stata anche il titolo di un film famoso.

I bambini ci guardano: ci guardano per vedere come noi andiamo avanti nella vita.

Da parte mia, per dare continuità a questo impegno e promuoverlo in tutta la Chiesa, ho intenzione di preparare una Lettera, un’Esortazione, non so, dedicata ai bambini.

 

Grazie ancora a tutti! Grazie a tutti e a ciascuno di voi.

 

Angelus, 2 Feb 2025
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Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Oggi il Vangelo della liturgia (Lc 2,22-40) ci parla di Maria e Giuseppe che portano il bambino Gesù al Tempio di Gerusalemme.

Secondo la Legge lo presentano nella dimora di Dio, per ricordare che la vita viene dal Signore.

E mentre la Santa Famiglia compie ciò che nel popolo d’Israele si faceva sempre, di generazione in generazione, succede qualcosa che non era accaduto mai.

Due anziani, Simeone e Anna, profetizzano riguardo a Gesù: ambedue lodano Dio e parlano del bambino «a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (v.

38).

Le loro voci commosse risuonano tra le vecchie pietre del Tempio, annunciando il compimento delle attese d’Israele.

Davvero Dio è presente in mezzo al suo popolo: non perché abiti tra quattro mura, ma perché vive come uomo tra gli uomini.

È questa la novità di Gesù.

Nella vecchiaia di Simeone e Anna accade la novità che cambia la storia del mondo.

Dal canto loro, Maria e Giuseppe si stupivano delle cose che sentivano (cfr v.

33).

Quando Simeone prende in braccio il bambino, infatti, lo chiama in tre modi bellissimi, che meritano una riflessione.

Tre modi, tre nomi che gli dà.

Gesù è la salvezza; Gesù è la luce; Gesù è segno di contraddizione.

Anzitutto Gesù è la salvezza.

Così dice Simeone, pregando Dio: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli» (vv.

30-31).

Questo sempre ci lascia stupiti: la salvezza universale concentrata in uno solo! Sì, perché in Gesù abita tutta la pienezza di Dio, del suo Amore (cfr Col 2,9).

Secondo aspetto: Gesù è «luce per illuminare le genti» (v.

32).

Come sole che sorge sul mondo, questo bambino lo riscatterà dalle tenebre del male, del dolore e della morte.

Quanto abbiamo bisogno, anche oggi, di luce, di questa luce!

Infine, il bambino abbracciato da Simeone è segno di contraddizione «affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» (v.

35).

Gesù rivela il criterio per giudicare tutta la storia e il suo dramma, e anche la vita di ognuno di noi.

E qual è questo criterio? È l’amore: chi ama vive, chi odia muore.

Gesù è la salvezza, Gesù è la luce e Gesù è il segno di contraddizione.

Illuminati da questo incontro con Gesù, possiamo allora chiederci: io che cosa attendo nella mia vita? Qual è la mia grande speranza? Il mio cuore desidera vedere il volto del Signore? Aspetto la manifestazione del suo disegno di salvezza per l’umanità?

Preghiamo insieme Maria, madre purissima, perché ci accompagni nelle luci e nelle ombre della storia, ci accompagni sempre all’incontro con il Signore.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Oggi, in Italia, si celebra la Giornata per la Vita, sul tema «Trasmettere la vita, speranza per il mondo». Mi unisco ai Vescovi italiani nell’esprimere riconoscenza alle tante famiglie che accolgono volentieri il dono della vita e nell’incoraggiare le giovani coppie a non aver timore di mettere al mondo dei figli.

E saluto il Movimento per la Vita italiano, che compie 50 anni.

Auguri!

Si terrà domani in Vaticano il Summit internazionale sui diritti dei bambini, intitolato “Amiamoli e proteggiamoli”, che ho avuto la gioia di promuovere e al quale parteciperò.

È una occasione unica per portare al centro dell’attenzione del mondo le questioni più urgenti che riguardano la vita dei piccoli.

Vi invito a unirvi nella preghiera per la sua buona riuscita.

E a proposito del valore primario della vita umana, ribadisco il “no” alla guerra, che distrugge, distrugge tutto, distrugge la vita e induce a disprezzarla.

E non dimentichiamo che sempre la guerra è una sconfitta.

In questo Anno giubilare, rinnovo l’appello, specialmente ai Governanti di fede cristiana, affinché si metta il massimo impegno nei negoziati per porre fine a tutti i conflitti in corso.

Preghiamo per la pace nella martoriata Ucraina, in Palestina, Israele, Libano, Myanmar, Sudan, Nord Kiwu.

Saluto tutti voi, provenienti dall’Italia e da altre parti del mondo.

Saluto in particolare i fedeli di Valencia, Barcellona, Siviglia; gli alunni dell’Istituto “Rodríguez Moñino” di Badajoz, Spagna, e quelli dell’“École de Provence” di Marsiglia; il gruppo parrocchiale da Nanterre e quelli da Polonia, Croazia, Bulgaria e India.

Saluto i ragazzi dell’Immacolata.

Saluto i fedeli di Cantù, Vighizzolo, Seregno e Cologno Monzese; l’Unitalsi della Diocesi di Camerino-San Severino Marche; gli Scout di Nola e i membri del Serra Club International.

Saluto i ministranti della comunità pastorale Regina degli Apostoli, diocesi di Milano.

A tutti auguro una buona domenica.

Per favore non dimenticatevi di pregare per me.

Buon pranzo e arrivederci!

Presentazione del Signore – Primi Vespri (1° Feb 2025)
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«Ecco io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7).

Con queste parole l’autore della Lettera agli Ebrei manifesta la piena adesione di Gesù al progetto del Padre.

Oggi le leggiamo nella festa della Presentazione del Signore, Giornata mondiale della Vita Consacrata, durante il Giubileo della speranza, in un contesto liturgico caratterizzato dal simbolo della luce.

E tutti voi, sorelle e fratelli che avete scelto la via dei consigli evangelici, vi siete consacrati, come «Sposa davanti allo Sposo […] avvolta dalla sua luce» (S.

Giovanni Paolo II, Esort.

Ap.

Vita consecrata, 15); vi siete consacrati a quello stesso disegno luminoso del Padre che risale alle origini del mondo.

Esso avrà il suo pieno compimento alla fine dei tempi, ma già ora si rende visibile attraverso «le meraviglie che Dio opera nella fragile umanità delle persone chiamate» (ivi, 20).

Riflettiamo allora su come, per mezzo dei voti di povertà, castità e obbedienza, che avete professato, anche voi potete essere portatori di luce per le donne e gli uomini del nostro tempo.

Primo aspetto: la luce della povertà.

Essa ha le sue radici nella vita stessa di Dio, eterno e totale dono reciproco del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (ivi, 21).

Esercitando così la povertà, la persona consacrata, con un uso libero e generoso di tutte le cose, si fa per esse portatrice di benedizione: manifesta la loro bontà nell’ordine dell’amore, respinge tutto ciò che può offuscarne la bellezza – egoismo, cupidigia, dipendenza, l’uso violento e a scopi di morte – e abbraccia invece tutto ciò che la può esaltare: sobrietà, la generosità, la condivisione, la solidarietà.

E Paolo lo dice: «Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3,22-23).

Questo è la povertà.

Il secondo elemento è la luce della castità.

Anche questa ha origine nella Trinità e manifesta un «riflesso dell’amore infinito che lega le tre Persone divine» (Vita consecrata, 21).

La sua professione, nella rinuncia all’amore coniugale e nella via della continenza, ribadisce il primato assoluto, per l’essere umano, dell’amore di Dio, accolto con cuore indiviso e sponsale (cfr 1Cor 7,32-36), e lo indica come fonte e modello di ogni altro amore.

Lo sappiamo, noi stiamo vivendo in un mondo spesso segnato da forme distorte di affettività, in cui il principio del “ciò che piace a me” – quel principio – spinge a cercare nell’altro più la soddisfazione dei propri bisogni che la gioia di un incontro fecondo.

È vero.

Ciò genera, nelle relazioni, atteggiamenti di superficialità e precarietà, egocentrismo, edonismo, immaturità e irresponsabilità morale, per cui si sostituiscono lo sposo e la sposa di tutta la vita con il partner del momento, i figli accolti come dono con quelli pretesi come “diritto” o eliminati come “disturbo”.

Sorelle, fratelli, in un contesto di questo tipo, a fronte del «crescente bisogno di limpidezza interiore nei rapporti umani» (Vita consecrata, 88) e di umanizzazione dei legami fra i singoli e le comunità, la castità consacrata ci mostra – mostra all’uomo e alla donna del ventunesimo secolo – una via di guarigione dal male dell’isolamento, nell’esercizio di un modo di amare libero e liberante, che accoglie e rispetta tutti e non costringe né respinge nessuno.

Che medicina per l’anima è incontrare religiose e religiosi capaci di una relazionalità matura e gioiosa di questo tipo! Sono un riflesso dell’amore divino (cfr Lc 2,30-32).

A tal fine, però, è importante, nelle nostre comunità, prendersi cura della crescita spirituale e affettiva delle persone, già dalla formazione iniziale, anche in quella permanente, perché la castità mostri davvero la bellezza dell’amore che si dona, e non prendano piede fenomeni deleteri come l’inacidimento del cuore o l’ambiguità delle scelte, fonte di tristezza, insoddisfazione e causa, a volte, in soggetti più fragili, dello svilupparsi di vere e proprie “doppie vite”.

La lotta contro la tentazione della doppia vita è quotidiana.

È quotidiana.

E veniamo al terzo aspetto: la luce dell’obbedienza.

Anche di questa ci parla il testo che abbiamo ascoltato, presentandoci, nel rapporto tra Gesù e il Padre, la «bellezza liberante di una dipendenza filiale e non servile, ricca di senso di responsabilità e animata dalla reciproca fiducia» (Vita consecrata, 21).

È proprio la luce della Parola che si fa dono e risposta d’amore, segno per la nostra società, in cui si tende a parlare tanto ma ascoltare poco: in famiglia, al lavoro e specialmente sui social, dove ci si possono scambiare fiumi di parole e di immagini senza mai incontrarsi davvero, perché non ci si mette veramente in gioco l’uno per l’altro.

E questa è una cosa interessante.

Tante volte, nel dialogo quotidiano, prima che uno finisca di parlare, già esce la risposta.

Non si ascolta.

Ascoltarci prima di rispondere.

Accogliere la parola dell’altro come un messaggio, come un tesoro, anche come un aiuto per me.

L’obbedienza consacrata è un antidoto a tale individualismo solitario, promuovendo in alternativa un modello di relazione improntato all’ascolto fattivo, in cui al “dire” e al “sentire” segue la concretezza dell’“agire”, e questo anche a costo di rinunciare ai miei gusti, ai miei programmi e alle mie preferenze.

Solo così, infatti, la persona può sperimentare fino in fondo la gioia del dono, sconfiggendo la solitudine e scoprendo il senso della propria esistenza nel grande progetto di Dio.

Vorrei concludere richiamando un altro punto: il “ritorno alle origini”, di cui oggi si parla tanto nella vita consacrata.

Ma non un ritorno all’origine come tornare a un museo, no.

Ritorno proprio all’origine della nostra vita.

In proposito, la Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci ricorda che il primo e più importante “ritorno alle origini” di ogni consacrazione è, per tutti noi, quello a Cristo e al suo “sì” al Padre.

Ci ricorda che il rinnovamento, prima che con le riunioni e le “tavole rotonde” – che si devono fare, sono utili – si fa davanti al Tabernacolo, in adorazione.

Sorelle, fratelli, noi abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione.

Siamo troppo pratici, vogliamo fare le cose, ma … Adorare.

Adorare.

La capacità di adorazione nel silenzio.

E così si riscoprono le proprie Fondatrici e i propri Fondatori anzitutto come donne e uomini di fede, e ripetendo con loro, nella preghiera e nell’offerta: «Ecco io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7).

Grazie tante a voi per la vostra testimonianza.

È un lievito nella Chiesa.

Grazie.

Udienza Giubilare: Sperare è voltarsi. Maria Maddalena (1° Feb 2025)
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Sperare è voltarsi.

Maria Maddalena

Cari fratelli e sorelle,

Il Giubileo è per le persone e per la Terra un nuovo inizio; è un tempo dove tutto va ripensato dentro il sogno di Dio.

E sappiamo che la parola “conversione” indica un cambiamento di direzione.

Tutto si può vedere, finalmente, da un’altra prospettiva e così anche i nostri passi vanno verso mete nuove.

Così sorge la speranza che mai delude.

La Bibbia racconta questo in molti modi.

E anche per noi l’esperienza della fede è stata stimolata dall’incontro conpersone che nella vita hanno saputo cambiare e sono, per così dire, entrate nei sogni Dio.

Infatti, anche se nel mondo c’è tanto male, noi possiamo distinguere chi è diverso: la sua grandezza, che coincide spesso con la piccolezza, ci conquista.

Nei Vangeli, la figura di Maria Maddalena emerge per questo su tutte le altre.

Gesù l’ha guarita con la misericordia (cfr Lc 8,2) e lei è cambiata.

Sorelle e fratelli, la misericordia cambia, la misericordia cambia il cuore.

E Maria Maddalena, la misericordia l’ha riportata nei sogni di Dio e ha dato nuove mete al suo cammino.

Il Vangelo di Giovanni racconta il suo incontro con Gesù Risorto in un modo che ci fa pensare.

Più volte è ripetuto che Maria si voltò.

L’Evangelista sceglie bene le parole! In lacrime, Maria guarda dapprima dentro il sepolcro, quindi si volta: il Risorto non è dalla parte della morte, ma dalla parte della vita.

Può essere scambiato per una delle persone che incontriamo ogni giorno.

Poi, quando sente pronunciare il proprio nome, il Vangelo dice che di nuovo Maria si volta.

È così che cresce la sua speranza: ora vede il sepolcro, ma non più come prima.

Può asciugare le sue lacrime, perché ha ascoltato il proprio nome: solo il suo Maestro lo pronuncia così.

Il mondo vecchio sembra ci sia ancora, ma non c’è più.

Quando noi sentiamo che lo Spirito Santo agisce nel nostro cuore e sentiamo che il Signore ci chiama per nome, sappiamo distinguere la voce del Maestro?

Cari fratelli e sorelle, da Maria Maddalena, che la tradizione chiamò “apostola degli apostoli”, impariamo la speranza.

Si entra nel mondo nuovo convertendosi più di una volta.

Il nostro cammino è un costante invito a cambiare prospettiva.

Il Risorto ci porta nel suo mondo, passo dopo passo, a condizione che non pretendiamo di sapere già tutto.

Chiediamoci oggi: io so voltarmi a guardare le cose diversamente, con uno sguardo diverso? Ho il desiderio di conversione?

Un io troppo sicuro, troppo orgoglioso ci impedisce di riconoscere Gesù Risorto: anche oggi, infatti, il suo aspetto è quello di persone comuni che rimangono facilmente alle nostre spalle.

Persino quando piangiamo e ci disperiamo, lo lasciamo alle spalle.

Invece di guardare nel buio del passato, nel vuoto di un sepolcro, da Maria Maddalena impariamo a voltarci verso la vita.

Lì il nostro Maestro ci attende.

Lì il nostro nome è pronunciato.

Perché nella vita reale c’è un posto per noi, sempre e dovunque.

C’è un posto per te, per me, per ciascuno.

Nessuno può prenderlo, perché è stato pensato da sempre per noi.

È brutto, come si dice nel parlato volgare, è brutto lasciare la sedia vuota.

Questo posto è per me, se io non ci vado… Ognuno può dire: io ho un posto, io sono una missione! Pensate questo: qual è il mio posto? Qual è la missione che il Signore mi dà? Che questo pensiero ci aiuti a prendere un atteggiamento coraggioso nella vita.

Grazie.

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Saluto

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini presenti in quest’Aula e a quelli collegati dalla Basilica Vaticana.

Oggi sono tanti e dobbiamo fare in due posti, ma collegati.

Sono lieto di accogliere i fedeli delle Diocesi di Capua e di Caserta.

Sono venuti a Roma, con il loro Pastore Mons.

Pietro Lagnese, anche per ricambiare la visita che ho avuto la gioia di compiere a Caserta il 26 luglio del 2014.

Saluto con affetto il pastore Giovanni Traettino, grande amico; saluto i sacerdoti, le persone consacrate, gli operatori pastorali, le famiglie e tutti voi, con un deferente pensiero per le Autorità civili.

Desidero rinnovare il mio ringraziamento per la calorosa accoglienza che mi avete riservato in quella circostanza.

Il ricordo di quell’evento, carico di significato ecclesiale e spirituale, ravvivi in ciascuno la volontà di approfondire la vita di fede e di essere sempre testimoni di speranza e operatori di pace.

Il mio pensiero va ora al pellegrinaggio della Diocesi di Sulmona-Valva, con il Vescovo Mons.

Michele Fusco, e ai seminaristi di Bergamo.

Cari fratelli e sorelle, vi incoraggio a comprendere e accogliere sempre più l’amore di Dio, sorgente e motivo della nostra vera gioia.

Saluto altresì i Seminaristi di Bergamo e li esorto a porre sempre Gesù al centro della vita.

A tutti la mia benedizione!

Inaugurazione dell'Anno Giudiziario del Tribunale della Rota Romana (31 Gen 2025)
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Cari Prelati Uditori!

L’inaugurazione dell’Anno Giudiziario del Tribunale della Rota Romana mi offre l’opportunità di rinnovare l’espressione del mio apprezzamento e della mia gratitudine per il vostro lavoro.

Saluto cordialmente Mons.

Decano e tutti voi che prestate il vostro servizio in questo Tribunale.

Ricorre quest’anno il decimo anniversario dei due Motu Proprio Mitis Iudex Dominus IesusMitis et Misericors Iesus, con i quali ho riformato il processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio.

Mi sembra opportuno cogliere questa tradizionale occasione di incontro con voi per richiamare lo spirito che ha permeato tale riforma, da voi applicata con competenza e solerzia a favore di tutti i fedeli.

La necessità di modificare le norme relative al processo di nullità era stata manifestata dai Padri sinodali riuniti nell’Assemblea straordinaria del 2014, formulando la richiesta di rendere i processi più accessibili e agili (cfr Relatio Synodi 2014, 48).

I Padri sinodali esprimevano in tal modo l’impellenza di portare a termine la conversione pastorale delle strutture, già auspicata nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (cfr n.

27).

Era quanto mai opportuno che quella conversione toccasse pure l’amministrazione della giustizia, perché essa rispondesse nel modo migliore a quanti si rivolgono alla Chiesa per fare luce sulla propria situazione coniugale (cfr Discorso al Tribunale della Rota Romana, 23 gennaio 2015).

Ho voluto che al centro della riforma ci fosse il vescovo diocesano.

A lui infatti spetta la responsabilità di amministrare la giustizia nella Diocesi, sia come garante della vicinanza dei tribunali e della vigilanza su di essi, sia come giudice che deve decidere personaliter nei casi in cui la nullità risulta manifesta, ossia mediante il processus brevior quale espressione della sollecitudine per la salus animarum.

Pertanto ho sollecitato l’inserimento dell’attività dei tribunali nella pastorale diocesana, incaricando i vescovi di assicurare che i fedeli siano a conoscenza dell’esistenza del processo come possibile rimedio alla situazione di bisogno in cui si trovano.

Rattrista a volte venire a sapere che i fedeli ignorano l’esistenza di questa via.

Inoltre, è importante «che venga assicurata la gratuità delle procedure, perché la Chiesa […] manifesti l’amore gratuito di Cristo dal quale tutti siamo stati salvati» (Proemio, VI).

In particolare, la sollecitudine del vescovo si attua nel garantire per legge la costituzione nella propria diocesi del tribunale, dotato di persone – chierici e laici – ben formate, adatte a questa funzione; e assicurandosi che svolgano il loro lavoro con giustizia e diligenza.

L’investimento nella formazione di tali operatori – formazione scientifica, umana e spirituale – va sempre a beneficio dei fedeli, che hanno diritto a un’attenta considerazione delle loro istanze, anche quando dovessero ricevere un riscontro negativo.

Ha guidato la riforma – e deve guidare la sua applicazione – la preoccupazione della salvezza delle anime (cfr Mitis Iudex, Proemio).

Ci interpellano il dolore e la speranza di tanti fedeli che cercano chiarezza riguardo alla verità della loro condizione personale e, di conseguenza, riguardo alla possibilità di una piena partecipazione alla vita sacramentale.

Per tanti che hanno «vissuto un’esperienza matrimoniale infelice, la verifica della validità o meno del matrimonio rappresenta un’importante possibilità; e queste persone vanno aiutate a percorrere il più agevolmente possibile questa strada» (Discorso ai partecipanti al Corso promosso dalla Rota Romana, 12 marzo 2016).

Le norme che stabiliscono le procedure devono garantire alcuni diritti e principi fondamentali, precipuamente il diritto di difesa e la presunzione di validità del matrimonio.

Lo scopo del processo non è quello «di complicare inutilmente la vita ai fedeli né tanto meno di esacerbarne la litigiosità, ma solo di rendere un servizio alla verità» (Benedetto XVI, Discorso alla Rota Romana, 28 gennaio 2006).

Mi viene in mente quanto disse San Paolo VI, dopo aver portato a termine la riforma operata col Motu Proprio Causas matrimoniales.

Egli osservava «come nelle semplificazioni […] introdotte nella trattazione delle cause matrimoniali si voglia rendere tale esercizio più agevole, e perciò più pastorale, senza che ciò abbia da recare pregiudizio ai criteri di verità e di giustizia, ai quali un processo deve onestamente attenersi, nella fiducia che la responsabilità e la sapienza dei Pastori vi siano religiosamente e più direttamente impegnate» (Discorso alla Rota Romana, 30 gennaio 1975).

Anche la recente riforma ha voluto favorire «non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi, non meno che una giusta semplicità, affinché, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio» (Mitis Iudex, Proemio).

Infatti, per evitare che, a causa di procedure troppo complesse, si verifichi il detto “summum ius summa iniuria” (Cicerone, De Officiis I,10,33), ho soppresso la necessità della doppia sentenza conforme e ho incoraggiato a decidere più velocemente le cause in cui la nullità risulti manifesta, mirando al bene dei fedeli e desiderando portare pace alle loro coscienze.

È evidente – ma ci tengo a ribadirlo in questa sede – che la riforma interpella in modo forte la vostra prudenza nell’applicare le norme.

E questo «richiede due grandi virtù: la prudenza e la giustizia, che devono essere informate dalla carità.

C’è un’intima connessione tra prudenza e giustizia, poiché l’esercizio della prudentia iuris mira alla conoscenza di ciò che è giusto nel caso concreto» (Discorso alla Rota Romana, 25 gennaio 2024).

Ogni protagonista del processo si avvicina alla realtà coniugale e familiare con venerazione, perché la famiglia è riflesso vivente della comunione d’amore che è Dio Trinità (cfr Amoris laetitia, 11).

Inoltre, i coniugi uniti nel matrimonio hanno ricevuto il dono dell’indissolubilità, che non è una meta da raggiungere con il loro sforzo, né tantomeno un limite alla loro libertà, ma una promessa di Dio, la cui fedeltà rende possibile quella degli esseri umani.

Il vostro lavoro di discernimento sull’esistenza o meno di un valido matrimonio è un servizio alla salus animarum, in quanto permette ai fedeli di conoscere e accettare la verità della propria realtà personale.

Infatti, «ogni sentenza giusta di validità o nullità del matrimonio è un apporto alla cultura dell’indissolubilità sia nella Chiesa che nel mondo» (S.

Giovanni Paolo II, Discorso alla Rota Romana, 29 gennaio 2002).

Cari fratelli, la Chiesa vi affida un compito di grande responsabilità, ma prima ancora di grande bellezza: aiutare a purificare e ripristinare le relazioni interpersonali.

Il contesto giubilare in cui ci troviamo riempie di speranza il vostro lavoro, della speranza che non delude (cfr Rm 5,5).

Invoco su tutti voi, peregrinantes in spem, la grazia di una gioiosa conversione e la luce per accompagnare i fedeli verso Cristo, che è il Giudice mite e misericordioso.

Vi benedico di cuore, e vi chiedo per favore di pregare per me.

Grazie!

A Formatori e seminaristi delle Diocesi spagnole di Valencia, Orihuela-Alicante, Segorbe-Castellón, Mallorca, Menorca e Ibiza (30 Gen 2025)
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Cari fratelli nell’episcopato,
cari seminaristi e formatori
della Provincia Ecclesiastica di Valencia,

non è facile esprimervi il mio sentimento pensando alle festività natalizie indubbiamente atipiche con quell’esperienza vissuta di “Dio [che] si è fatto fango” in voi.

Un dolore e un lutto che, nonostante la loro durezza, ci aprono alla speranza poiché, obbligandoci a toccare il fondo e a lasciare indietro tutto ciò che sembrava sostenerci, ci permettono di andare oltre.

Non è qualcosa che possiamo fare da soli, è un’oscurità immensa quella che voi avete vissuto e state vivendo.

E penso all’aiuto disinteressato di tante persone, agli sguardi pieni di dedizione della gente, che sono stati capaci di illuminarci con la tenerezza di Dio.

In questo campo che voi siete chiamati a lavorare.

La DANA non è un fenomeno atipico che speriamo semplicemente non si ripeta, è l’estrapolazione di ciò che vive ogni essere umano che deve affrontare una perdita e si sente solo, disorientato e bisognoso di sostegno per poter andare avanti.

Gesù lo dice chiaramente: “perché mi ha unto — perché voi siete unti — per guarire quelli che hanno il cuore rotto, per predicare un anno di grazia del Signore” (cfr.

Is 61, 1; Lc 4, 18).

Siamo già in questo Anno di Grazia, che ho voluto dedicare alla speranza, e che voi vivrete in tutta la sua forza meditando queste parole.

A volte ho detto che “speranza” non è “ottimismo”, “ottimismo” è un’espressione light, la speranza è un’altra cosa.

Non possiamo prendere alla leggera la sofferenza delle persone e cercare di consolarle con frasi di circostanza e buonismo.

La nostra speranza ha un nome, Gesù, quel Dio che non ha provato disgusto per il nostro fango e che, invece di salvarci dal fango, si è fatto fango per noi.

Ed essere sacerdote è essere un altro Cristo, è farsi fango nel pianto del popolo, e quando vedrete persone spezzate, perché a Valencia ci sono persone spezzate, persone che hanno perso la vita a pezzi, offrite loro pezzi, pezzi di voi stessi, come fa Cristo nell’Eucaristia Per favore, donatevi gratuitamente, perché tutto ciò che avete lo avete ricevuto gratuitamente, non dimenticatevi della gratuità, e per favore vi chiedo di pregare per me.

Grazie.

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L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXV n.

24, giovedì 30 gennaio 2025, p.

2.

Udienza Generale del 29 Gen 2025 - Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. I. L’infanzia di Gesù. 3. «Lo chiamerai Gesù» (Mt 1,21). L’annuncio a Giuseppe
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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.
 

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025.

Gesù Cristo nostra speranza. I. L’infanzia di Gesù. 3.

«Lo chiamerai Gesù» (Mt 1,21).

L’annuncio a Giuseppe

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Continuiamo oggi a contemplare Gesù nel mistero delle sue origini raccontato dai Vangeli dell’infanzia.

Se Luca ci permette di farlo nella prospettiva della madre, la Vergine Maria, invece Matteo si pone nella prospettiva di Giuseppe, l’uomo che assume la paternità legale di Gesù, innestandolo sul tronco di Iesse e collegandolo alla promessa fatta a Davide.

Gesù, infatti, è la speranza di Israele che si compie: è il discendente promesso a Davide (cfr 2Sam 7,12; 1Cr 17,11), che rende la sua casa «benedetta per sempre» (2Sam 7,29); è il germoglio che spunta dal tronco di Iesse (cfr Is 11,1), il «germoglio giusto» destinato a regnare da vero re, che sa esercitare il diritto e la giustizia (cfr Ger 23,5; 33,15).

Giuseppe entra in scena nel Vangelo di Matteo come il fidanzato di Maria.

Per gli ebrei il fidanzamento era un vero e proprio legame giuridico, che preparava a ciò che sarebbe accaduto circa un anno dopo, cioè la celebrazione del matrimonio.

Era allora che la donna passava dalla custodia del padre a quella del marito, trasferendosi in casa con lui e rendendosi disponibile al dono della maternità.

È proprio in questo lasso di tempo che Giuseppe scopre la gravidanza di Maria e il suo amore viene messo duramente alla prova.

Di fronte a una situazione simile, che avrebbe comportato la rottura del fidanzamento, la Legge suggeriva due soluzioni possibili: o un atto giuridico di carattere pubblico, come la convocazione della donna in tribunale, oppure un’azione privata come quella della consegna alla donna di una lettera di ripudio.

Matteo definisce Giuseppe come un uomo «giusto» (zaddiq), un uomo che vive della Legge del Signore, che da essa trae ispirazione in ogni occasione della sua vita.

Seguendo pertanto la Parola di Dio, Giuseppe agisce ponderatamente: non si lascia sopraffare da sentimenti istintivi e dal timore di accogliere con sé Maria, ma preferisce farsi guidare dalla sapienza divina.

Sceglie di separarsi da Maria senza clamori, privatamente (cfr Mt 1,19).

E questa è la saggezza di Giuseppe che gli permette di non sbagliarsi e di rendersi aperto e docile alla voce del Signore.

In tal modo Giuseppe di Nazaret richiama alla memoria un altro Giuseppe, figlio di Giacobbe, soprannominato «signore dei sogni» (cfr Gen 37,19), tanto amato dal padre e tanto odiato dai fratelli, che Dio innalzò facendolo sedere alla corte del Faraone.

Ora, che cosa sogna Giuseppe di Nazaret? Sogna il miracolo che Dio compie nella vita di Maria, e anche il miracolo che compie nella sua stessa vita: assumere una paternità capace di custodire, di proteggere e di trasmettere un’eredità materiale e spirituale.

Il grembo della sua sposa è gravido della promessa di Dio, promessa che porta un nome nel quale è data a tutti la certezza della salvezza (cfr At 4,12).

Nel sonno Giuseppe sente queste parole: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa.

Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,20-21).

Di fronte a questa rivelazione, Giuseppe non chiede prove ulteriori, si fida.

Giuseppe si fida di Dio, accetta il sogno di Dio sulla sua vita e su quella della sua promessa sposa.

Così entra nella grazia di chi sa vivere la promessa divina con fede, speranza e amore.

Giuseppe, in tutto questo, non proferisce parola, ma crede, spera e ama.

Non si esprime con “parole al vento”, ma con fatti concreti.

Egli appartiene alla stirpe di quelli che l’apostolo Giacomo chiama quelli che «mettono in pratica la Parola» (cfr Gc 1,22), traducendola in fatti, in carne, in vita.

Giuseppe si fida di Dio e obbedisce: «Il suo essere interiormente vigilante per Dio … diventa spontaneamente obbedienza» (Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù, Milano-Città del Vaticano 2012, 57).

Sorelle, fratelli chiediamo anche noi al Signore la grazia di ascoltare più di quanto parliamo, la grazia di sognare i sogni di Dio e di accogliere con responsabilità il Cristo che, dal momento del nostro battesimo, vive e cresce nella nostra vita.

Grazie!

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Saluti

Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier la Communauté Saint-Martin et le Centre Madeleine Daniélou.

Frères et sœurs, demandons au Seigneur la grâce de savoir écouter, de réaliser les rêves de Dieu et d’accueillir avec responsabilité le Christ qui vit et grandit dans notre vie. Que Dieu vous bénisse !

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare la Communauté Saint-Martin e il Centre Madeleine Daniélou.

Fratelli e sorelle, chiediamo al Signore la grazia di saper ascoltare, di realizzare i sogni di Dio e di accogliere con responsabilità Cristo che vive e cresce nella nostra vita.

Dio vi benedica!]

I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors, especially thosefrom Australia, the United States and Hong Kong.

I greet in particular the faculty and students from the Australian Catholic University and Franciscan University of Stuebenville. With wishes that the present Jubilee of Hope may be for you and your families a time of grace and spiritual renewal, I invoke upon you all the joy and peace of the Lord Jesus.

[Saluto i pellegrini di lingua inglese, specialmente quelli provenienti da Australia, Stati Uniti, Hong Kong.

Rivolgo un saluto particolare alle comunità accademiche dell’Università Cattolica Australiana e dell’Università Francescana di Stuebenville.

Con l’augurio che il presente Giubileo della Speranza sia per voi e per le vostre famiglie un tempo di grazia e di rinnovamento spirituale, invoco su tutti la gioia e la pace del Signore Gesù.]

Liebe Brüder und Schwestern, im heiligen Josef können wir ein vollkommenes Vorbild der Annahme von Gottes Plänen betrachten.

Er möge uns allen helfen, auf die Stimme des Herrn zu hören und das Wort Gottes in die Tat umzusetzen.

[Cari fratelli e sorelle, in San Giuseppe possiamo contemplare un’icona perfetta dell’accoglienza dei progetti di Dio.

Possa egli aiutare ciascuno di noi ad ascoltare la voce del Signore e mettere in pratica la Sua Parola.]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, que son muchos hoy.

Pidamos al Señor, por intercesión de san José, que nos ayude a ser valientes y creativos para irradiar al Cristo que, desde nuestro bautismo, vive y crece en nosotros.

Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

Muchas gracias.

我向讲中文的人们致以亲切的问候。亲爱的兄弟姐妹们,在东亚和世界各地,有许多家庭今天正在庆祝农历新年,这是一个增进家庭关系和友谊联系的机会。借此,我向你们致以新年的祝福,并祈求天主赏赐你们平安、安宁和健康。

[Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua cinese.

Cari fratelli e sorelle, in Asia Orientale e in diverse parti del mondo milioni di famiglie celebrano oggi il capodanno lunare, occasione per vivere con maggiore intensità le relazioni familiari e i rapporti di amicizia.

Con gli auguri per il Nuovo Anno giunga a tutti voi la mia benedizione, mentre invoco per ciascuno dal Signore pace, serenità e salute.]

Queridos peregrinos de língua portuguesa, sede bem-vindos.

Deus não cessa de nos sonhar como homens e mulheres de esperança, de concórdia e de paz, como pessoas que não se deixam abater pelas adversidades.

Desejo a cada um de vós a coragem de vos sonhardes exatamente assim como Deus vos sonha.

Que o Senhor vos abençoe! E obrigado pela presença de tantos brasileiros, que são animados...

[Cari pellegrini di lingua portoghese, benvenuti.

Dio non smette mai di sognarci come uomini e donne di speranza, di concordia e di pace, come gente che non si lascia sopraffare dalle avversità.

Auguro a ciascuno di voi il coraggio di potervi sognare proprio così come Dio vi sogna.

Il Signore vi benedica! E grazie, tanti, tanti brasiliani che sono entusiasti…]

أُحيِّي المُؤْمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العَرَبِيَّة.

لِنَسأَلِ القِدِّيسَ يوسُف، الَّذي أحبَّ يسوعَ بمحبَّةِ الأَب، أنْ يكونَ قريبًا مِن الأطفالِ الكثيرينَ الَّذين ليس لَهُم عائِلَةٌ ويَتَمَنَّوْن أنْ يكونَ لَهُم أَبٌ وأُمّ.

بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِنْ كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba.

Chiediamo a San Giuseppe, che ha amato Gesù con amore di padre, di essere vicino a tanti bambini che non hanno famiglia e desiderano un papà e una mamma.

Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

Pozdrawiam serdecznie Polaków.

W tych dniach wspominamy waszych rodaków, którzy wraz z innymi narodami stali się ofiarami zagłady w niemieckich obozach koncentracyjnych podczas II wojny światowej. Bracia i siostry, bądźcie strażnikami prawdy i pamięci o tej tragedii i jej ofiarach, w tym wielu męczennikach chrześcijańskich.

To przestroga, by nieustannie zabiegać o pokój i bronić godności życia ludzkiego w każdym narodzie i w każdej religii.

Z serca wam błogosławię

[Saluto cordialmente i polacchi.

In questi giorni ricordiamo i vostri connazionali che insieme ai membri delle altre nazioni furono vittime dello sterminio nei campi di concentramento tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Fratelli e sorelle, siate custodi della verità e della memoria di questa tragedia e delle sue vittime, tra cui non pochi martiri cristiani.

È un monito per il costante impegno per la pace e per la difesa della dignità della vita umana in ogni nazione e in ogni religione.

Vi benedico di cuore.]

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APPELLO

Esprimo la mia preoccupazione per l’aggravarsi della situazione securitaria nella Repubblica Democratica del Congo.

Esorto tutte le parti in conflitto ad impegnarsi per la cessazione delle ostilità e per la salvaguardia della popolazione civile di Goma e delle altre zone interessate dalle operazioni militari.

Seguo con apprensione anche quanto accade nella Capitale, Kinshasa, auspicando che cessi quanto prima ogni forma di violenza contro le persone e i loro beni.

Mentre prego per il pronto ristabilimento della pace e della sicurezza, invito le Autorità locali e la Comunità internazionale al massimo impegno per risolvere con mezzi pacifici la situazione di conflitto.  

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, saluto la parrocchia San Michele Arcangelo di Manfredonia, che incoraggio a testimoniare con gioia il Vangelo nella vita di ogni giorno.

Saluto poi l’Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta e il Villaggio educativo di Polizzi Generosa.

E non dimentichiamo di pregare per la pace: Palestina, Israele, Myanmar e tanti Paesi che sono in guerra.

La guerra sempre è una sconfitta! Preghiamo per la pace.

Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati, agli anziani e agli sposi novelli.

Ricorre dopodomani la memoria liturgica di san Giovanni Bosco, sacerdote ed educatore.

Guardate a lui come a un maestro di vita e apprendete dalla sua esperienza spirituale a confidare in ogni circostanza in Dio, Padre misericordioso.

A tutti la mia benedizione!

Messaggio del Santo Padre per la scomparsa di Sua Beatitudine Anastas, Arcivescovo di Tirana Durrës e di tutta l'Albania (27 Gen 2025)
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A Sua Eminenza GIOVANNI
Metropolita di Korça
“Locum tenens” della Chiesa ortodossa di Albania

Avendo appreso del decesso di Sua Beatitudine Anastas, Arcivescovo di Tirana, Durrës e di tutta l’Albania, desidero esprimere le mie condoglianze a lei, ai Membri del Santo Sinodo e a tutti i sacerdoti, i monaci, le monache e i fedeli laici dell’amata Chiesa ortodossa albanese, insieme all’assicurazione delle mie preghiere perché Dio, nostro Padre misericordioso, gli conceda il premio per le sue fatiche.

La fede della comunità ortodossa albanese è stata certamente incarnata nella vita del nostro caro fratello, il cui zelante servizio pastorale ha aiutato la gente a riscoprirne la ricchezza e la bellezza dopo gli anni di ateismo imposto dallo Stato e di persecuzione.

A tale riguardo, serbo lieti ricordi del mio incontro con Sua Beatitudine in occasione del mio primo viaggio apostolico fuori dall’Italia, e mi sono cari l’abbraccio fraterno e le parole scambiate in tale occasione.

Durante tutta la sua lunga vita e il suo ministero come sacerdote e come vescovo, egli ha sempre manifestato una profonda dedizione al Vangelo, servendo e proclamando il Signore in differenti contesti geografici e culturali, in Grecia, Africa e Albania.

Lo ha fatto seguendo l’esempio di san Paolo, che si dedicò così tanto a Cristo da poter dire “mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1 Cor  9, 22).

Assumendo la responsabilità di guidare la Chiesa ortodossa albanese, ha voluto penetrare nel profondo del cuore di quanti erano affidati alle sue cure, specialmente nelle loro tradizioni e identità, senza mai perdere la comunione con le altre Chiese ortodosse.

Al tempo stesso si è anche impegnato con buona volontà nel dialogo e ha promosso la pacifica coesistenza con altre Chiese e religioni.

Al suo arrivo in Albania, alcuni sacerdoti lo hanno accolto con il saluto pasquale in greco, “Christos Anesti!”.

Lui ha risposto in albanese, manifestando il fervente desiderio di vivere con la sua gente e dare testimonianza dell’amore di Dio, che vince ogni oscurità e oppressione, tra coloro che avevano molto sofferto.

Ora che la sua vita terrena è giunta al termine, prego perché, attraverso la misericordia di Dio Padre Onnipotente, Sua Beatitudine possa lodare in eterno la Santissima Trinità, insieme a tutti i confessori della fede e i pastori che hanno proclamato la parola di salvezza ai popoli ovunque e in ogni tempo.

Roma, San Giovanni in Laterano, 27 gennaio 2025

Francesco

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L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXV n.

24, giovedì 30 gennaio 2025, p.

3.

Ai Vescovi presidenti delle Commissioni di Comunicazione e direttori nazionali degli Uffici di Comunicazione, partecipanti all'Incontro promosso dal Dicastero per la Comunicazione (27 Gen 2025)
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Cari fratelli care sorelle, buongiorno!

Do il benvenuto a voi che nelle Chiese locali svolgete un servizio di responsabilità nel campo della comunicazione.

È bello vedervi qui vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laiche e laici, chiamati a comunicare la vita della Chiesa e uno sguardo cristiano sul mondo.

Comunicare questo sguardo cristiano è bello.

Ci incontriamo oggi, dopo aver celebrato il Giubileo del Mondo della Comunicazione, per fare insieme una verifica e anche un esame di coscienza.

Fermiamoci ancora a riflettere sul modo concreto in cui comunichiamo, animati dalle fede che, come è scritto nella Lettera agli Ebrei (cfr 11,1), è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono.

Domandiamoci allora: in che modo seminiamo speranza in mezzo a tanta disperazione che ci tocca e ci interpella? Come curiamo il virus della divisione, che minaccia anche le nostre comunità? La nostra comunicazione è accompagnata dalla preghiera? O finiamo con il comunicare la Chiesa adottando soltanto le regole del marketing aziendale? Tutte queste domande dobbiamo farcele.

Sappiamo testimoniare che la storia umana non è finita in un vicolo cieco? E come indichiamo una diversa prospettiva verso un futuro che non è già scritto? A me piace questa espressione scrivere il futuro.

Tocca a noi scrivere il futuro.

Sappiamo comunicare che questa speranza non è un’illusione? La speranza non delude mai; ma sappiamo comunicare questo? Sappiamo comunicare che la vita degli altri può essere più bella, anche attraverso di noi? Io posso, da parte mia, dare bellezza alla vita degli altri? E sappiamo comunicare e convincere che è possibile perdonare? È tanto difficile questo!

Comunicazione cristiana è mostrare che il Regno di Dio è vicino: qui, ora, ed è come un miracolo che può essere vissuto da ogni persona, da ogni popolo.

Un miracolo che va raccontato offrendo le chiavi di lettura per guardare oltre il banale, oltre il male, oltre i pregiudizi, oltre gli stereotipi, oltre sé stessi.

Il Regno di Dio è oltre noi.

Il Regno di Dio viene anche attraverso la nostra imperfezione, è bello questo.

Il Regno di Dio viene nell’attenzione che riserviamo agli altri, nella cura attenta che mettiamo nel leggere la realtà.

Viene nella capacità di vedere e seminare una speranza di bene.

E di sconfiggere così il fanatismo disperato.

Questo, che per voi è un servizio istituzionale, è anche vocazione di ogni cristiano, di ogni battezzato.

Ogni cristiano è chiamato a vedere e raccontare le storie di bene che un cattivo giornalismo pretende di cancellare dando spazio solo al male.

Il male esiste, non va nascosto, ma deve smuovere, generare interrogativi e risposte.

Per questo, il vostro compito è grande e chiede di uscire da sé stessi, di fare un lavoro “sinfonico”, coinvolgendo tutti, valorizzando anziani e giovani, donne e uomini; con ogni linguaggio, con la parola, l’arte, la musica, la pittura, le immagini.

Tutti siamo chiamati a verificare come e che cosa comunichiamo.

Comunicare, comunicare sempre.

Sorelle, fratelli, la sfida è grande.

Vi incoraggio pertanto a rafforzare la sinergia fra di voi, a livello continentale e a livello universale.

A costruire un modello diverso di comunicazione, diverso per lo spirito, per la creatività, per la forza poetica che viene dal Vangelo e che è inesauribile.

Comunicare, sempre è originale.

Quando noi comunichiamo, noi siamo creatori di linguaggi, di ponti.

Siamo noi i creatori.

Una comunicazione che trasmette armonia e che è alternativa concreta alle nuove torri di Babele.

Pensate un po’ su questo.

Le nuove torri di Babele: tutti parlano e non si capiscono.

Pensate a questa simbologia.

Vi lascio due parole: insieme e rete.

Insieme.

Solo insieme possiamo comunicare la bellezza che abbiamo incontrato: non perché siamo abili, non perché abbiamo più risorse, ma perché ci amiamo gli uni gli altri.

Da questo ci viene la forza di amare anche i nostri nemici, di coinvolgere anche chi ha sbagliato, di unire ciò che è diviso, di non disperare.

E di seminare speranza.

Questo non dimenticate: seminare speranza.

Che non è lo stesso di seminare ottimismo, no, per niente.

Seminare speranza.

Comunicare, per noi, non è una tattica, non è una tecnica.

Non è ripetere frasi fatte o slogan e neanche limitarsi a scrivere comunicati stampa.

Comunicare è un atto di amore.

Solo un atto di amore gratuito tesse reti di bene.

Ma le reti vanno curate, riparate, ogni giorno.

Con pazienza e con fede.

Rete è la seconda parola su cui vi invito a riflettere.

Perché, in realtà, ne abbiamo smarrito la memoria, come se fosse una parola legata alla civiltà digitale.

E invece è una parola antica.

Ci ricorda, prima di quelle sociali, le reti dei pescatori e l’invito di Gesù a Pietro a diventare pescatore di uomini.

Fare rete dunque è mettere in rete capacità, conoscenze, contributi, per poter informare in maniera adeguata e così essere tutti salvati dal mare della disperazione e della disinformazione.

Questo è già un messaggio, è già di per sé una prima testimonianza.

Pensiamo, allora, a quanto potremmo fare insieme, grazie ai nuovi strumenti dell’era digitale, grazie anche all’intelligenza artificiale, se anziché trasformare la tecnologia in un idolo, ci impegnassimo di più a fare rete.

Vi confesso una cosa: a me preoccupa, più dell’intelligenza artificiale, quella naturale, quell’intelligenza che noi dobbiamo sviluppare.

Quando ci sembra di essere caduti in un abisso, guardiamo oltre, oltre noi stessi.

Nulla è perduto; sempre si può ricominciare, nell’affidarsi gli uni agli altri e tutti insieme a Dio, è il segreto della nostra forza comunicativa.

Fare rete! Essere una rete! Invece di affidarci alle sirene sterili dell’auto-promozione, alla celebrazione delle nostre iniziative, pensiamo a come costruire insieme i racconti della nostra speranza.

Ecco il vostro compito.

La sua radice è antica.

Il miracolo più grande fatto da Gesù per Simone e gli altri pescatori delusi e stanchi non è tanto quella rete piena di pesci, quanto l’averli aiutati a non essere preda della delusione e dello scoraggiamento di fronte alle sconfitte.

Per favore, non cadere in quella tristezza interiore.

Non perdere il senso dell’umorismo che è saggezza, saggezza di tutti i giorni.

Sorelle, fratelli, la nostra rete è per tutti.

Per tutti! La comunicazione cattolica non è qualcosa di separato, non è solo per i cattolici.

Non è un recinto dove rinchiudersi, una setta per parlare fra noi, no! La comunicazione cattolica è lo spazio aperto di una testimonianza che sa ascoltare e intercettare i segni del Regno.

È il luogo accogliente di relazioni vere.

Chiediamoci: sono così i nostri uffici, le relazioni fra noi? La nostra rete è la voce di una Chiesa che solo uscendo da sé stessa ritrova sé stessa e le ragioni della propria speranza.

La Chiesa deve uscire da sé stessa.

A me piace pensare a quel passo dell’Apocalisse, quando Signore dice: «Io sto alla porta e busso» (3,20).

Questo lo dice per entrare.

Ma adesso, tante volte il Signore bussa da dentro perché noi, i cristiani, lo facciamo uscire! E noi tante volte prendiamo il Signore soltanto per noi.

Dobbiamo fare uscire il Signore – bussa alla porta per uscire – e non averlo un po’ “schiavizzato” per i nostri servizi.

I nostri uffici, le relazioni fra noi, la nostra rete, sono proprio di una Chiesa in uscita?

Grazie, grazie per il vostro lavoro! Andate avanti con coraggio, con la gioia di evangelizzare.

Vi benedico tutti di cuore.

E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Grazie!

Angelus, 26 Gen 2025
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Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

L’Evangelista Luca in questa domenica ci presenta Gesù nella sinagoga di Nazaret, il paese dove era cresciuto.

Gesù legge il passo del profeta Isaia che annuncia la missione evangelizzatrice e liberatrice del Messia e poi, nel silenzio generale, dice: “Oggi questa Scrittura si è realizzata” (cfr Lc 4,21).

Immaginiamo la sorpresa e lo sconcerto dei concittadini di Gesù, i quali lo conoscevano come il figlio del falegname Giuseppe e non avrebbero mai immaginato che Egli potesse presentarsi come il Messia.

È stato uno sconcerto.

Eppure è proprio così: Gesù proclama che, con la sua presenza, è giunto «l’anno di grazia del Signore» (v.

19).

È il lieto annuncio per tutti e in modo speciale per i poveri, per i prigionieri, per i ciechi, per gli oppressi, così dice il Vangelo (cfr v.

18).

Quel giorno, a Nazaret, Gesù pose i suoi interlocutori di fronte alla scelta sulla sua identità e missione.

Nessuno, nella sinagoga, poté fare a meno di interrogarsi: Lui è soltanto il figlio del falegname che si arroga un ruolo che non gli appartiene, oppure è veramente il Messia, inviato a salvare il popolo dal peccato?

L’Evangelista ci dice che i nazaretani non riuscirono a riconoscere in Gesù il consacrato del Signore.

Pensavano di conoscerlo troppo bene e questo, invece di facilitare l’apertura della loro mente e del loro cuore, li bloccava, come un velo che oscura la luce.

Sorelle e fratelli, questo avvenimento, con le dovute analogie, succede anche per noi oggi.

Anche noi siamo interpellati dalla presenza e dalle parole di Gesù; anche noi siamo chiamati a riconoscere in Lui il Figlio di Dio, il nostro Salvatore.

Ma può capitarci, come allora ai suoi compaesani, di pensare che noi lo conosciamo già, che di Lui sappiamo già tutto, siamo cresciuti con Lui, a scuola, in parrocchia, al catechismo, in un Paese di cultura cattolica… E così per noi è una Persona vicina, anzi, “troppo” vicina.

Ma proviamo a chiederci: avvertiamo l’autorità unica con cui parla Gesù di Nazaret? Riconosciamo che Lui è portatore di un annuncio di salvezza che nessun altro può darci? E io, mi sento bisognoso di questa salvezza? Sento che anch’io in qualche modo sono povero, prigioniero, cieco, oppresso? Allora, solo allora, “l’anno di grazia” sarà per me!

Rivolgiamoci fiduciosi a Maria, Madre di Dio e Madre nostra, perché ci aiuti a riconoscere Gesù.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Il conflitto in corso in Sudan, iniziato nell’aprile 2023, sta causando la più grave crisi umanitaria nel mondo, con conseguenze drammatiche anche nel Sud Sudan.

Sono vicino alle popolazioni di entrambi i Paesi e le invito alla fraternità, alla solidarietà, ad evitare ogni sorta di violenza e a non lasciarsi strumentalizzare.

Rinnovo l’appello alle parti in guerra in Sudan affinché cessino le ostilità e accettino di sedere a un tavolo di negoziati.

Esorto la comunità internazionale a fare tutto il possibile per far arrivare gli aiuti umanitari necessari agli sfollati ed aiutare i belligeranti a trovare presto strade per la pace.

Guardo con preoccupazione alla situazione della Colombia, in particolare nella regione del Catatumbo, dove gli scontri tra gruppi armati hanno provocato tante vittime civili e più di trentamila sfollati.

Esprimo la mia vicinanza a loro e prego.

Si celebra oggi la Giornata mondiale dei malati di lebbra.

Incoraggio quanti operano in favore dei colpiti da questa malattia a proseguire il loro impegno, aiutando anche chi guarisce a reinserirsi nella società.

Non siano emarginati!

Domani ricorre la Giornata Internazionale di Commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto: ottant’anni dalla liberazione del Campo di concentramento di Auschwitz.

L’orrore dello sterminio di milioni di persone ebree e di altre fedi avvenuto in quegli anni non può essere né dimenticato né negato.

Ricordo la brava poetessa ungherese Edith Bruck, che abita a Roma.

Lei ha sofferto tutto questo.

Oggi, se volete, potete ascoltarla nel programma “Che tempo che fa”.

È una brava donna.

Ricordiamo anche tanti cristiani, tra i quali numerosi martiri.

Rinnovo il mio appello affinché tutti collaborino a debellare la piaga dell’antisemitismo, insieme ad ogni forma di discriminazione e persecuzione religiosa.

Costruiamo insieme un mondo più fraterno, più giusto, educando i giovani ad avere un cuore aperto a tutti, nella logica della fraternità, del perdono e della pace.

E saluto tutti voi provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo, in particolare saluto i giornalisti e gli operatori della Comunicazione che hanno vissuto in questi giorni il loro Giubileo: li esorto ad essere sempre narratori di speranza.

Saluto poi i polacchi, specialmente quelli di Zabno; gli alunni dell’Istituto “Zurbará” di Badajoz (Spagna), i fedeli di Siquirres (Costa Rica), il gruppo di ragazze quinceañeras di Panamá.

Saluto i pellegrini dell’Unità Pastorale di Busto Garolfo e Olcella, arcidiocesi di Milano.

E accolgo con gioia voi, ragazzi e ragazze dell’Azione Cattolica, delle parrocchie e delle scuole cattoliche di Roma.

Siete venuti al termine della “Carovana della Pace”, durante la quale avete riflettuto sulla presenza di Gesù nella vostra vita, testimoniando ai vostri coetanei la bellezza dell’accoglienza e della fraternità.

E adesso ascoltiamo questi bravi ragazzi, che vogliono dirci qualche cosa… Avanti! Forte!

[lettura del messaggio]

Adesso lui [il ragazzo che legge] ha detto una parola molto bella [il ragazzo la rilegge: “Così riuscirebbero a far star zitte le armi”].

È bravo il ragazzo! Salutatemi tutti i ragazzi e le ragazze.

A tutti auguro una buona domenica.

E per favore non dimenticatevi di pregare per me.

Buon pranzo e arrivederci!

Da della Parola di Dio - Giubileo del Mondo della Comunicazione (26 Gen 2025)
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Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci annuncia il compimento di una profezia traboccante di Spirito Santo.

E chi la compie è Colui che viene «con la potenza dello Spirito» (Lc 4,14): è Gesù, il Salvatore.

La Parola di Dio è viva: attraverso i secoli cammina con noi, e per la potenza dello Spirito Santo opera nella storia.

Il Signore, infatti, è sempre fedele alla sua promessa, che mantiene per amore degli uomini.

Proprio così dice Gesù nella sinagoga di Nazaret: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21).

Sorelle e fratelli, che felice coincidenza! Nella Domenica della Parola di Dio, ancora agli inizi del Giubileo, viene proclamata questa pagina del Vangelo di Luca, nella quale Gesù si rivela come il Messia «consacrato con l’unzione» (v.

18) e mandato a «proclamare l’anno di grazia del Signore» (v.

19)! Gesù è la Parola Vivente, in cui tutte le Scritture trovano pieno compimento.

E noi, nell’oggi della santa Liturgia, siamo suoi contemporanei: anche noi, pieni di stupore, apriamo il cuore e la mente ad ascoltarlo, perché «è Lui che parla quando nella Chiesa si leggono le sacre Scritture» (Conc.

Vat.

II, Cost.

Sacrosanctum Concilium, 7).

Ho detto una parola: stupore.

Quando noi sentiamo il Vangelo, le parole di Dio, non si tratta soltanto di ascoltarle, di capirle, no.

Devono arrivare al cuore, e produrre quello che ho detto: “stupore”.

La Parola di Dio sempre ci stupisce, sempre ci rinnova, entra nel cuore e ci rinnova sempre.

E in questo atteggiamento di fede gioiosa siamo invitati ad accogliere la profezia antica come uscita dal Cuore di Cristo, soffermandoci sulle cinque azioni che caratterizzano la missione del Messia: una missione unica e universale; unica, perché Lui, solo Lui, la può compiere; universale, perché vuole coinvolgere tutti.

Anzitutto, Egli viene «mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (v.

18).

Ecco il “vangelo”, la buona notizia che Gesù proclama: il Regno di Dio è vicino! E quando Dio regna, l’uomo è salvato.

Il Signore viene a visitare il suo popolo, prendendosi cura dell’umile e del misero.

Questo Vangelo è parola di compassione, che ci chiama alla carità, a rimettere i debiti del prossimo e a un generoso impegno sociale.

Non dimentichiamo che il Signore è vicino, misericordioso e compassionevole.

Vicinanza, misericordia e compassione sono lo stile di Dio.

Lui è così: misericordioso, vicino, compassionevole.

La seconda azione del Cristo è «proclamare ai prigionieri la liberazione» (v.

18).

Fratelli, sorelle, il male ha i giorni contati, perché il futuro è di Dio.

Con la forza dello Spirito, Gesù ci redime da ogni colpa e libera il nostro cuore, lo libera da ogni catena interiore, portando nel mondo il perdono del Padre.

Questo Vangelo è parola di misericordia, che ci chiama a diventare testimoni appassionati di pace, di solidarietà, di riconciliazione.

La terza azione, con la quale Gesù compie la profezia, è donare «ai ciechi la vista» (v.

18).

Il Messia ci apre gli occhi del cuore, spesso abbagliati dal fascino del potere e dalla vanità: malattie dell’anima, che impediscono di riconoscere la presenza di Dio e che rendono invisibili i deboli e i sofferenti.

Questo Vangelo è parola di luce, che ci chiama alla verità, alla testimonianza della fede e alla coerenza della vita.

La quarta azione è «rimettere in libertà gli oppressi» (v.

18).

Nessuna schiavitù resiste all’opera del Messia, che ci rende fratelli nel suo nome.

Le carceri della persecuzione e della morte vengono spalancate dall’amorevole potenza di Dio; perché questo Vangelo è parola di libertà, che ci chiama alla conversione del cuore, all’onestà del pensiero e alla perseveranza nella prova.

Infine, la quinta azione: Gesù è inviato «a proclamare l’anno di grazia del Signore» (v.

19).

Si tratta di un tempo nuovo, che non consuma la vita, ma la rigenera.

È un Giubileo, come quello che abbiamo iniziato, preparandoci con speranza all’incontro definitivo col Redentore.

Il Vangelo è parola di gioia, che ci chiama all’accoglienza, alla comunione e al cammino, da pellegrini, verso il Regno di Dio.

Attraverso queste cinque azioni, Gesù ha già compiuto la profezia di Isaia.

Realizzando la nostra liberazione, ci annuncia che Dio si fa vicino alla nostra povertà, ci redime dal male, illumina i nostri occhi, spezza il giogo delle oppressioni e ci fa entrare nel giubilo di un tempo e di una storia in cui Egli si fa presente, per camminare con noi e condurci alla vita eterna.

La salvezza che Egli ci dona non è ancora attuata pienamente, lo sappiamo; e tuttavia guerre, ingiustizie, dolore, morte non avranno l’ultima parola.

Il Vangelo è infatti parola viva e certa, che mai delude.

Il Vangelo non delude mai.

Fratelli e sorelle, nella domenica dedicata in modo speciale alla Parola di Dio, ringraziamo il Padre per aver rivolto a noi il suo Verbo, fatto uomo per la salvezza del mondo.

Questo è l’evento del quale parlano tutte le Scritture, che hanno come veri autori gli uomini e lo Spirito Santo (cfr Conc.

Vat.

II, Cost.

dogm.

Dei Verbum, 11).

Tutta la Bibbia fa memoria di Cristo e della sua opera e lo Spirito la attualizza nella nostra vita e nella storia.

Quando noi leggiamo le Scritture, quando le preghiamo e le studiamo, non riceviamo solo informazioni su Dio, bensì accogliamo lo Spirito che ci ricorda tutto ciò che Gesù ha detto e ha fatto (cfr Gv 14,26).

Così il nostro cuore, infiammato dalla fede, attende nella speranza l’avvento di Dio.

Fratelli, sorelle, dobbiamo essere più abituati alla lettura delle Scritture.

A me piace consigliare che tutti abbiano un piccolo Vangelo, un piccolo Nuovo Testamento tascabile, e lo portino nella borsa, lo portino sempre con sé, per prenderlo durante la giornata e leggerlo.

Un brano, due brani… E così, durante la giornata, c’è questo contatto con il Signore.

Un Vangelo piccolino è sufficiente.

Rispondiamo con ardore al lieto annuncio di Cristo! Il Signore, infatti, non ci ha parlato come a muti ascoltatori, ma come a testimoni, chiamandoci ad evangelizzare in ogni tempo in ogni luogo.

Da tante parti del mondo sono venuti qui oggi quaranta fratelli e sorelle per ricevere il ministero del lettorato.

Grazie! Siamo loro grati e preghiamo per loro.

Preghiamo tutti per voi.

Impegniamoci tutti a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a mettere in libertà gli oppressi e a proclamare l’anno di grazia del Signore.

Allora sì, sorelle e fratelli, trasformeremo il mondo secondo la volontà di Dio, che lo ha creato e redento per amore.

Grazie!

Solennità della Conversione di San Paolo Apostolo - Celebrazione dei Secondi Vespri (25 Gen 2025)
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Gesù arriva nella casa delle sue amiche, Marta e Maria, quando il loro fratello Lazzaro è già morto da quattro giorni.

Ogni speranza sembra ormai perduta, al punto che le prime parole di Marta esprimono il suo dolore insieme al rammarico perché Gesù è arrivato tardi: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto» (Gv 11,21).

E allo stesso tempo, però, l’arrivo di Gesù accende nel cuore di Marta la luce della speranza e la conduce a una professione di fede: «Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà» (v.

22).

È quell’atteggiamento di lasciare sempre la porta aperta, mai chiusa! E Gesù, infatti, le annuncia la risurrezione dalla morte non soltanto come un evento che si verificherà alla fine dei tempi, ma come qualcosa che accade già nel presente, perché Lui stesso è risurrezione e vita.

E poi le rivolge una domanda: «Credi questo?» (v.

26).

Quella domanda è anche per noi, per te, per me: “Credi questo?”.

Soffermiamoci anche su questo interrogativo: «Credi questo?» (v.

26).

È una domanda breve ma impegnativa.

Questo tenero incontro tra Gesù e Marta, che abbiamo ascoltato nel Vangelo, ci insegna che, anche nei momenti di desolazione, non siamo soli e possiamo continuare a sperare.

Gesù dona vita, anche quando sembra che ogni speranza sia svanita.

Dopo una perdita dolorosa, una malattia, una delusione amara, un tradimento subito o altre esperienze difficili, la speranza può vacillare; ma se ciascuno di noi può vivere momenti di disperazione o incontrare persone che hanno perso la speranza, il Vangelo ci dice che con Gesù la speranza rinasce sempre, perché dalle ceneri della morte Egli sempre ci rialza.

Gesù ci rialza sempre, ci dona la forza di riprendere il cammino, di ricominciare.

Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo mai: la speranza non delude! La speranza non delude mai! La speranza è quella corda alla quale noi siamo aggrappati con l’ancora sulla spiaggia.

E questo non delude mai! Questo è importante anche per la vita delle Comunità cristiane, delle nostre Chiese e delle nostre relazioni ecumeniche.

A volte siamo sopraffatti dalla fatica, siamo scoraggiati per i risultati del nostro impegno, ci sembra che anche il dialogo e la collaborazione tra di noi siano senza speranza, quasi destinati alla morte e, tutto ciò, ci fa sperimentare la stessa angoscia di Marta; ma il Signore viene.

Crediamo noi questo? Crediamo che Lui è risurrezione e vita? Che raccoglie le nostre fatiche e sempre ci dona la grazia di riprendere insieme il cammino?  Crediamo questo?

Questo messaggio di speranza è al centro del Giubileo che abbiamo iniziato.

L’Apostolo Paolo, di cui oggi ricordiamo la conversione a Cristo, dichiarava ai cristiani di Roma: «La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).

Tutti – tutti! – abbiamo ricevuto lo stesso Spirito, e questo è il fondamento del nostro cammino ecumenico.

C’è lo Spirito che ci guida in questo cammino.

Non sono cose pratiche per capirci meglio.

No, c’è lo Spirito, e noi dobbiamo andare sotto la guida di questo Spirito.

E questo Anno giubilare della speranza, celebrato dalla Chiesa cattolica, coincide con un anniversario di grande significato per tutti i cristiani: il 1700° anniversario del primo grande Concilio ecumenico, il Concilio di Nicea.

Questo Concilio si impegnò a preservare l’unità della Chiesa in un momento molto difficile, e i Padri conciliari approvarono all’unanimità il Credo che molti cristiani recitano ancora oggi ogni domenica durante l’Eucaristia.

Questo Credo è una professione di fede comune, che va oltre a tutte le divisioni che nel corso dei secoli hanno ferito il Corpo di Cristo.

L’anniversario del Concilio di Nicea rappresenta dunque un anno di grazia; rappresenta anche una opportunità per tutti i cristiani che recitano lo stesso Credo e credono nello stesso Dio: riscopriamo le radici comuni della fede, custodiamo l’unità! Sempre avanti! Quell’unità che tutti noi vogliamo trovare, che accada.

Non vi viene in mente quello che diceva un grande teologo ortodosso, Ioannis Zizioulas: “Io so quando sarà la data dell’unità piena: il giorno dopo il giudizio finale”? Ma nel frattempo dobbiamo camminare insieme, lavorare insieme, pregare insieme, amarci insieme.

E questo è molto bello!

Cari fratelli e sorelle, questa fede che condividiamo è un dono prezioso, ma è anche una sfida.

L’anniversario, infatti, non deve essere celebrato solo come “memoria storica”, ma anche come impegno a testimoniare la crescente comunione tra di noi.

Dobbiamo fare in modo di non lasciarcela sfuggire, di costruire legami solidi, di coltivare l’amicizia reciproca, di essere tessitori di comunione e di fraternità.

In questa Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani possiamo vivere l’anniversario del Concilio di Nicea anche come un richiamo a perseverare nel cammino verso l’unità.

Provvidenzialmente, quest’anno, la Pasqua sarà celebrata nello stesso giorno nei calendari gregoriano e giuliano, proprio durante questo anniversario ecumenico.

Rinnovo il mio appello affinché questa coincidenza serva da richiamo a tutti i cristiani a compiere un passo decisivo verso l’unità, intorno a una data comune, una data per la Pasqua (cfr Bolla Spes non confundit, 17); e la Chiesa Cattolica è disposta ad accettare la data che tutti vogliono fare: una data dell’unità.

Sono grato al Metropolita Policarpo, in rappresentanza del Patriarcato Ecumenico, all’Arcivescovo Ian Ernest, in rappresentanza della Comunione Anglicana e che conclude il suo prezioso servizio per cui gli sono molto grato – gli auguro il meglio per quando torna alla sua terra – e ai rappresentanti di altre Chiese che partecipano a questo sacrificio di lode serale.

È importante pregare insieme, e la vostra presenza qui questa sera è fonte di gioia per tutti.

Saluto anche gli studenti sostenuti dal Comitato per la Collaborazione Culturale con le Chiese Ortodosse e Ortodosse Orientali presso il Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, i partecipanti alla visita di studio dell’Istituto Ecumenico Bossey del Consiglio Ecumenico delle Chiese, e i molti altri gruppi ecumenici e pellegrini che sono giunti a Roma per questa celebrazione.

Ringrazio il coro, che ci dà un ambiente di preghiera tanto bello.

Che ognuno di noi, come San Paolo, possa trovare la propria speranza nel Figlio di Dio incarnato e offrirla agli altri, ovunque la speranza sia svanita, le vite siano state spezzate o i cuori siano stati sopraffatti dalle avversità (cfr Omelia nella Messa della notte di Natale, 24 dicembre 2024).

In Gesù la speranza è sempre possibile.

Egli sostiene anche la speranza del nostro cammino comune verso di Lui.

E ritorna ancora la domanda fatta a Marta e stasera rivolta a noi: “Tu credi questo?”.

Ci crediamo nella comunione tra di noi? Crediamo che la speranza non delude?

Care sorelle, cari fratelli, questo è il tempo di confermare la nostra professione di fede nell’unico Dio e trovare in Cristo Gesù la via dell’unità.

Nell'attesa che il Signore “torni nella gloria per giudicare i vivi e i morti” (cfr Credo niceno), non stanchiamoci mai di testimoniare, davanti a tutti i popoli, l’unigenito Figlio di Dio, fonte di ogni nostra speranza.

A Giornalisti e Comunicatori partecipanti al Giubileo della Comunicazione (25 Gen 2025)
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Parole a braccio del Santo Padre

Discorso del Santo Padre consegnato

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Parole a braccio

Care sorelle e cari fratelli, buongiorno! E grazie tante di essere venuti!

Nelle mani ho un discorso di nove pagine.

A quest’ora, con lo stomaco che incomincia a muoversi, leggere nove pagine sarebbe una tortura.

Io darò questo al Prefetto.

Che sia lui a comunicarlo a voi.

Volevo soltanto dire una parola sulla comunicazione.

Comunicare è uscire un po’ da sé stessi per dare del mio all’altro.

E la comunicazione non solo è l’uscita, ma anche l’incontro con l’altro.

Saper comunicare è una grande saggezza, una grande saggezza!

Sono contento di questo Giubileo dei comunicatori.

Il vostro lavoro è un lavoro che costruisce: costruisce la società, costruisce la Chiesa, fa andare avanti tutti, a patto che sia vero.

“Padre, io sempre dico le cose vere…” – “Ma tu, sei vero? Non solo le cose che tu dici, ma tu, nel tuo interiore, nella tua vita, sei vero?”.

È una prova tanto grande.

Comunicare quello che fa Dio con il Figlio, e la comunicazione di Dio con il Figlio e lo Spirito Santo.

Comunicare una cosa divina.

Grazie di quello che voi fate, grazie tante! Sono contento.

E adesso vorrei salutarvi, e prima di tutto dare la benedizione.

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Discorso consegnato

Care sorelle e cari fratelli, buongiorno!

Ringrazio tutti voi di essere venuti in tanti e da tanti Paesi diversi, da lontano e da vicino.

È davvero bello vedervi tutti qui.

Ringrazio gli ospiti che hanno parlato prima di me – Maria Ressa, Colum McCann e Mario Calabresi – e ringrazio il maestro Uto Ughi per il dono della musica, che è una via di comunicazione e di speranza.

Questo nostro incontro è il primo grande appuntamento dell’Anno Santo dedicato a un “mondo vitale”, il mondo della comunicazione.

Il Giubileo si celebra in un momento difficile della storia dell’umanità, con il mondo ancora ferito da guerre e violenze, dallo spargimento di tanto sangue innocente.

Per questo voglio prima di tutto dire grazie a tutti gli operatori della comunicazione che mettono a rischio la propria vita per cercare la verità e raccontare gli orrori della guerra.

Desidero ricordare nella preghiera tutti coloro che hanno sacrificato la vita in quest’ultimo anno, uno dei più letali per i giornalisti [1].

Preghiamo in silenzio per i vostri colleghi che hanno firmato il loro servizio con il proprio sangue.

Voglio poi ricordare insieme a voi anche tutti coloro che sono imprigionati soltanto per essere stati fedeli alla professione di giornalista, fotografo, video operatore, per aver voluto andare a vedere con i propri occhi e aver cercato di raccontare ciò che hanno visto.

Sono tanti! [2] Ma in questo Anno Santo, in questo giubileo del mondo della comunicazione, chiedo a chi ha potere di farlo che vengano liberati tutti i giornalisti ingiustamente incarcerati.

Sia aperta anche per loro una “porta” attraverso la quale possano tornare in libertà, perché la libertà dei giornalisti fa crescere la libertà di tutti noi.

La loro libertà è libertà per ognuno di noi.

Chiedo – come ho fatto più volte e come hanno fatto prima di me anche i miei predecessori – che sia difesa e salvaguardata la libertà di stampa e di manifestazione del pensiero insieme al diritto fondamentale a essere informati.

Un’informazione libera, responsabile e corretta è un patrimonio di conoscenza, di esperienza e di virtù che va custodito e va promosso.

Senza questo, rischiamo di non distinguere più la verità dalla menzogna; senza questo, ci esponiamo a crescenti pregiudizi e polarizzazioni che distruggono i legami di convivenza civile e impediscono di ricostruire la fraternità.

Quella del giornalista è più che una professione.

È una vocazione e una missione.

Voi comunicatori avete un ruolo fondamentale per la società oggi, nel raccontare i fatti e nel modo in cui li raccontate.

Lo sappiamo: il linguaggio, l’atteggiamento, i toni, possono essere determinanti e fare la differenza tra una comunicazione che riaccende la speranza, crea ponti, apre porte, e una comunicazione che invece accresce le divisioni, le polarizzazioni, le semplificazioni della realtà.

La vostra è una responsabilità peculiare.

Il vostro è un compito prezioso.

I vostri strumenti di lavoro sono le parole e le immagini.

Ma prima di esse lo studio e la riflessione, la capacità di vedere e di ascoltare; di mettervi dalla parte di chi è emarginato, di chi non è visto né ascoltato e anche di far rinascere – nel cuore di chi vi legge, vi ascolta, vi guarda – il senso del bene e del male e una nostalgia per il bene che raccontate e che, raccontando, testimoniate.

Vorrei, in questo incontro speciale, approfondire il dialogo con voi.

E sono grato di poterlo fare a partire dai pensieri e dalle domande che hanno condiviso poco fa due vostri colleghi.

Maria, tu hai parlato dell’importanza del coraggio per avviare il cambiamento che la storia ci chiede, il cambiamento necessario per superare la menzogna e l’odio.

È vero, per avviare i cambiamenti ci vuole coraggio.

La parola coraggio deriva dal latino cor, cor habeo, che vuol dire “avere cuore”.

Si tratta di quella spinta interiore, di quella forza che nasce dal cuore che ci abilita ad affrontare le difficoltà e le sfide senza farci sopraffare dalla paura.

Con la parola coraggio possiamo ricapitolare tutte le riflessioni delle Giornate Mondiali delle Comunicazioni Sociali degli ultimi anni, fino al Messaggio che porta la data di ieri: ascoltare con il cuore, parlare con il cuore, custodire la sapienza del cuore, condividere la speranza del cuore.

In questi ultimi anni è stato dunque proprio il cuore a dettarmi la linea guida per la nostra riflessione sulla comunicazione.

Vorrei per questo aggiungere al mio appello per la liberazione dei giornalisti un altro “appello” che ci riguarda tutti: quello per la “liberazione” della forza interiore del cuore.

Di ogni cuore! Raccogliere l’appello non spetta ad altri che a noi.

La libertà è il coraggio di scegliere.

Cogliamo l’occasione del Giubileo per rinnovare, per ritrovare questo coraggio.

Il coraggio di liberare il cuore da ciò che lo corrompe.

Rimettiamo il rispetto per la parte più alta e nobile della nostra umanità al centro del cuore, evitiamo di riempirlo di ciò che marcisce e lo fa marcire.

Le scelte di ognuno di noi contano ad esempio per espellere quella “putrefazione cerebrale” causata dalla dipendenza dal continuo scrolling, “scorrimento”, sui social media, definita dal Dizionario di Oxford come parola dell’anno.

Dove trovare la cura per questa malattia se non nel lavorare, tutti insieme, alla formazione, soprattutto dei giovani?

Abbiamo bisogno di un’alfabetizzazione mediatica, per educarci ed educare al pensiero critico, alla pazienza del discernimento necessario alla conoscenza; e per promuovere la crescita personale e la partecipazione attiva di ognuno al futuro delle proprie comunità.

Abbiamo bisogno di imprenditori coraggiosi, di ingegneri informatici coraggiosi, perché non sia corrotta la bellezza della comunicazione.

I grandi cambiamenti non possono essere il risultato di una moltitudine di menti addormentate, ma prendono inizio piuttosto dalla comunione dei cuori illuminati.

Un cuore così è stato quello di San Paolo.

La Chiesa celebra proprio oggi la sua conversione.

Il cambiamento avvenuto in quest’uomo è stato così decisivo da segnare non solo la sua storia personale ma quella di tutta la Chiesa.

E la metamorfosi di Paolo è stata causata dall’incontro a tu per tu con Gesù risorto e vivo.

La forza per incamminarsi su una strada di cambiamento trasformativo è generata sempre dalla comunicazione diretta tra le persone.

Pensate a quanta forza di cambiamento si nasconde potenzialmente nel vostro lavoro ogni volta che mettete in contatto realtà che – per ignoranza o per pregiudizio – si contrappongono! La conversione, in Paolo, è derivata dalla luce che lo avvolse e dalla spiegazione che poi gli diede Anania, a Damasco.

Anche il vostro lavoro può e deve rendere questo servizio: trovare le parole giuste per quei raggi di luce che riescono a colpire il cuore e ci fanno vedere le cose diversamente.

E qui vorrei agganciarmi al tema del potere trasformativo della narrazione, del racconto e dell’ascolto delle storie, che ha evidenziato Colum.

Torniamo ancora un attimo alla conversione di Paolo.

L’evento è narrato negli Atti degli Apostoli per ben tre volte (9,1-19; 22,1-21; 26,2-23), ma il nucleo rimane sempre l’incontro personale di Saulo con Cristo; il modo di raccontare cambia, ma l’esperienza fondante e trasformativa rimane invariata.

Raccontare una storia corrisponde all’invito a fare un’esperienza.

Quando i primi discepoli si erano avvicinati a Gesù chiedendogli «Maestro, dove dimori?» (Gv 1,38), Egli non rispose dando loro l’indirizzo di casa, ma disse: «Venite e vedrete» (v.

39).

Le storie rivelano il nostro essere parte di un tessuto vivo; l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri.

[3] Non tutte le storie sono buone e tuttavia anche queste vanno raccontate.

Il male va visto per essere redento; ma occorre raccontarlo bene per non logorare i fili fragili della convivenza.

In questo Giubileo faccio quindi un altro appello a voi qui riuniti e ai comunicatori di tutto il mondo: raccontate anche storie di speranza, storie che nutrono la vita.

Il vostro storytelling sia anche hopetelling.

Quando raccontate il male, lasciate spazio alla possibilità di ricucire ciò che è strappato, al dinamismo di bene che può riparare ciò che è rotto.

Seminate interrogativi.

Raccontare la speranza significa vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto, significa permettere di sperare anche contro ogni speranza.

[4] Significa accorgersi dei germogli che spuntano quando la terra è ancora coperta dalle ceneri.

Raccontare la speranza significa avere uno sguardo che trasforma le cose, le fa diventare ciò che potrebbero, che dovrebbero essere.

Vuol dire far camminare le cose verso il loro destino.

È questo il potere delle storie.

Ed è questo che vi incoraggio a fare: raccontare la speranza, condividerla.

Questa è – come direbbe San Paolo – la vostra “buona battaglia”.

Grazie, cari amici! Benedico di cuore tutti voi e il vostro lavoro.

E per favore, non dimenticatevi pregare per me.

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[1] Secondo il rapporto annuale della Federazione internazionale dei giornalisti sono più di 120.

[2] Secondo Reporter Senza Frontiere sono più di 500.

In un comunicato stampa pubblicato a fine 2024, RSF sottolinea che “l'incarcerazione rimane uno dei mezzi preferiti da coloro che minano la libertà di stampa”.

[3] Cfr «Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria» (Es 10,2).

La vita si fa storia, Messaggio per la 54ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2020.

[4] Cfr Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori.

Messaggio per la 59ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2025.

Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2025
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Missionari di speranza tra le genti

Cari fratelli e sorelle!

Per la Giornata Missionaria Mondiale dell’anno giubilare 2025, il cui messaggio centrale è la speranza (cfr Bolla Spes non confundit, 1), ho scelto questo motto: “Missionari di speranza tra le genti”.

Esso richiama ai singoli cristiani e alla Chiesa, comunità dei battezzati, la vocazione fondamentale di essere, sulle orme di Cristo, messaggeri e costruttori della speranza.

Auguro a tutti un tempo di grazia con il Dio fedele che ci ha rigenerato in Cristo risorto «per una speranza viva» (cfr 1Pt 1,3-4); e desidero ricordare alcuni aspetti rilevanti dell’identità missionaria cristiana, affinché possiamo lasciarci guidare dallo Spirito di Dio e ardere di santo zelo per una nuova stagione evangelizzatrice della Chiesa, inviata a rianimare la speranza in un mondo su cui gravano ombre oscure (cfr Lett.

enc.

Fratelli tutti, 9-55).

1.

Sulle orme di Cristo nostra speranza

Celebrando il primo Giubileo ordinario del Terzo Millennio dopo quello del Duemila, teniamo lo sguardo rivolto a Cristo che è il centro della storia, «lo stesso ieri e oggi e per sempre» (Eb 13,8).

Egli, nella sinagoga di Nazaret, dichiarò il compiersi della Scrittura nell’“oggi” della sua presenza storica.

Si rivelò così come l’Inviato dal Padre con l’unzione dello Spirito Santo per portare la Buona Notizia del Regno di Dio e inaugurare «l’anno di grazia del Signore» per tutta l’umanità (cfr Lc 4,16-21).

In questo mistico “oggi” che perdura sino alla fine del mondo, Cristo è il compimento della salvezza per tutti, particolarmente per coloro la cui unica speranza è Dio.

Egli, nella su vita terrena, «passò beneficando e risanando tutti» dal male e dal Maligno (cfr At 10,38), ridonando ai bisognosi e al popolo la speranza in Dio.

Inoltre, sperimentò tutte le fragilità umane, tranne quella del peccato, attraversando pure momenti critici, che potevano indurre a disperare, come nell’agonia del Getsemani e sulla croce.

Gesù però affidava tutto a Dio Padre, obbedendo con fiducia totale al suo progetto salvifico per l’umanità, progetto di pace per un futuro pieno di speranza (cfr Ger 29,11).

Così è diventato il divino Missionario della speranza, modello supremo di quanti lungo i secoli portano avanti la missione ricevuta da Dio anche nelle prove estreme.

Tramite i suoi discepoli, inviati a tutti i popoli e accompagnati misticamente da Lui, il Signore Gesù continua il suo ministero di speranza per l’umanità.

Egli si china ancora oggi su ogni persona povera, afflitta, disperata e oppressa dal male, per versare «sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza» (Prefazio “Gesù buon samaritano”).

Obbediente al suo Signore e Maestro e con il suo stesso spirito di servizio, la Chiesa, comunità dei discepoli-missionari di Cristo, prolunga tale missione, offrendo la vita per tutti in mezzo alle genti.

Pur dovendo affrontare, da un lato, persecuzioni, tribolazioni e difficoltà e, dall’altro, le proprie imperfezioni e cadute a causa delle debolezze dei singoli membri, essa è costantemente spinta dall’amore di Cristo a procedere unita a Lui in questo cammino missionario e a raccogliere, come Lui e con Lui, il grido dell’umanità, anzi, il gemito di ogni creatura in attesa della redenzione definitiva.

Ecco la Chiesa che il Signore chiama da sempre e per sempre a seguire le sue orme: «non una Chiesa statica, [ma] una Chiesa missionaria, che cammina con il Signore lungo le strade del mondo» (Omelia nella Messa conclusiva dell’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 27 ottobre 2024).

Sentiamoci perciò ispirati anche noi a metterci in cammino sulle orme del Signore Gesù per diventare, con Lui e in Lui, segni e messaggeri di speranza per tutti, in ogni luogo e circostanza che Dio ci dona di vivere.

Che tutti i battezzati, discepoli-missionari di Cristo, facciano risplendere la sua speranza in ogni angolo della terra!

2.

I cristiani, portatori e costruttori di speranza tra le genti

Seguendo Cristo Signore, i cristiani sono chiamati a trasmettere la Buona Notizia condividendo le concrete condizioni di vita di coloro che incontrano e diventando così portatori e costruttori di speranza.

Infatti, «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (Gaudium et spes1).

Questa celebre affermazione del Concilio Vaticano II, che esprime il sentire e lo stile delle comunità cristiane in ogni epoca, continua a ispirarne i membri e li aiuta a camminare con i loro fratelli e sorelle nel mondo.

Penso in particolare a voi, missionari e missionarie ad gentes, che, seguendo la chiamata divina, siete andati in altre nazioni per far conoscere l’amore di Dio in Cristo.

Grazie di cuore! La vostra vita è una risposta concreta al mandato di Cristo Risorto, che ha inviato i discepoli ad evangelizzare tutti i popoli (cfr Mt 28,18-20).

Così voi richiamate la vocazione universale dei battezzati a diventare, con la forza dello Spirito e l’impegno quotidiano, missionari tra le genti della grande speranza donataci dal Signore Gesù.

L’orizzonte di questa speranza supera le realtà mondane passeggere e si apre a quelle divine, che già pregustiamo nel presente.

Infatti, come ricordava San Paolo VI, la salvezza in Cristo, che la Chiesa offre a tutti come dono della misericordia di Dio, non è solo «immanente, a misura dei bisogni materiali o anche spirituali che […] si identificano totalmente con i desideri, le speranze, le occupazioni, le lotte temporali, ma altresì una salvezza che oltrepassa tutti questi limiti per attuarsi in una comunione con l’unico Assoluto, quello di Dio: salvezza trascendente, escatologica, che ha certamente il suo inizio in questa vita, ma che si compie nell’eternità» (Esort.

ap.

Evangelii nuntiandi, 27).

Animate da una speranza così grande, le comunità cristiane possono essere segni di nuova umanità in un mondo che, nelle aree più “sviluppate”, mostra sintomi gravi di crisi dell’umano: diffuso senso di smarrimento, solitudine e abbandono degli anziani, difficoltà di trovare la disponibilità al soccorso di chi ci vive accanto.

Sta venendo meno, nelle nazioni più avanzate tecnologicamente, la prossimità: siamo tutti interconnessi, ma non siamo in relazione.

L’efficientismo e l’attaccamento alle cose e alle ambizioni ci inducono ad essere centrati su noi stessi e incapaci di altruismo.

Il Vangelo, vissuto nella comunità, può restituirci un’umanità integra, sana, redenta.

Rinnovo pertanto l’invito a compiere le azioni indicate nella Bolla di indizione del Giubileo (nn.

7-15), con particolare attenzione ai più poveri e deboli, ai malati, agli anziani, agli esclusi dalla società materialista e consumistica.

E a farlo con lo stile di Dio: con vicinanza, compassione e tenerezza, curando la relazione personale con i fratelli e le sorelle nella loro concreta situazione (cfr Esort.

ap.

Evangelii gaudium, 127-128).

Spesso, allora, saranno loro a insegnarci a vivere con speranza.

E attraverso il contatto personale potremo trasmettere l’amore del Cuore compassionevole del Signore.

Sperimenteremo che «il Cuore di Cristo […] è il nucleo vivo del primo annuncio» (Lett.

enc.

Dilexit nos, 32).

Attingendo da questa fonte, infatti, si può offrire con semplicità la speranza ricevuta da Dio (cfr 1Pt 1,21), portando agli altri la stessa consolazione con cui siamo consolati da Dio (cfr 2Cor 1,3-4).

Nel Cuore umano e divino di Gesù Dio vuole parlare al cuore di ogni persona, attirando tutti al suo Amore.

«Noi siamo stati inviati a continuare questa missione: essere segno del Cuore di Cristo e dell’amore del Padre, abbracciando il mondo intero» (Discorso ai partecipanti all’Assemblea generale delle Pontificie Opere Missionarie, 3 giugno 2023).

3.

Rinnovare la missione della speranza

Davanti all’urgenza della missione della speranza oggi, i discepoli di Cristo sono chiamati per primi a formarsi per diventare “artigiani” di speranza e restauratori di un’umanità spesso distratta e infelice.

A tal fine, occorre rinnovare in noi la spiritualità pasquale, che viviamo in ogni celebrazione eucaristica e soprattutto nel Triduo Pasquale, centro e culmine dell’anno liturgico.

Siamo battezzati nella morte e risurrezione redentrice di Cristo, nella Pasqua del Signore che segna l’eterna primavera della storia.

Siamo allora “gente di primavera”, con uno sguardo sempre pieno di speranza da condividere con tutti, perché in Cristo «crediamo e sappiamo che la morte e l’odio non sono le ultime parole» sull’esistenza umana (cfr Catechesi, 23 agosto 2017).

Perciò, dai misteri pasquali, che si attuano nelle celebrazioni liturgiche e nei sacramenti, attingiamo continuamente la forza dello Spirito Santo con lo zelo, la determinazione e la pazienza per lavorare nel vasto campo dell’evangelizzazione del mondo.

«Cristo risorto e glorioso è la sorgente profonda della nostra speranza, e non ci mancherà il suo aiuto per compiere la missione che Egli ci affida» (Esort.

ap.

Evangelii gaudium, 275).

In Lui viviamo e testimoniamo quella santa speranza che è «un dono e un compito per ogni cristiano» (La speranza è una luce nella notte, Città del Vaticano 2024, 7).

I missionari di speranza sono uomini e donne di preghiera, perché «la persona che spera è una persona che prega», come sottolineava il Venerabile Cardinale Van Thuan, che ha mantenuto viva la speranza nella lunga tribolazione del carcere grazie alla forza che riceveva dalla preghiera perseverante e dall’Eucaristia (cfr F.X.

Nguyen Van Thuan, Il cammino della speranza, Roma 2001, n.

963).

Non dimentichiamo che pregare è la prima azione missionaria e al contempo «la prima forza della speranza» (Catechesi, 20 maggio 2020).

Rinnoviamo perciò la missione della speranza a partire dalla preghiera, soprattutto quella fatta con la Parola di Dio e particolarmente con i Salmi, che sono una grande sinfonia di preghiera il cui compositore è lo Spirito Santo (cfr Catechesi, 19 giugno 2024).

I Salmi ci educano a sperare nelle avversità, a discernere i segni di speranza e ad avere il costante desiderio “missionario” che Dio sia lodato da tutti i popoli (cfr Sal 41,12; 67,4).

Pregando teniamo accesa la scintilla della speranza, accesa da Dio in noi, perché diventi un grande fuoco, che illumina e riscalda tutti attorno, anche con azioni e gesti concreti ispirati dalla preghiera stessa.

Infine, l’evangelizzazione è sempre un processo comunitario, come il carattere della speranza cristiana (cfr Benedetto XVI, Lett.

enc.

Spe Salvi, 14).

Tale processo non finisce con il primo annuncio e con il battesimo, bensì continua con la costruzione delle comunità cristiane attraverso l’accompagnamento di ogni battezzato nel cammino sulla via del Vangelo.

Nella società moderna, l’appartenenza alla Chiesa non è mai una realtà acquisita una volta per tutte.

Perciò l’azione missionaria di trasmettere e formare la fede matura in Cristo è «il paradigma di ogni opera della Chiesa» (Esort.

ap.

Evangelii gaudium, 15), un’opera che richiede comunione di preghiera e di azione.

Insisto ancora su questa sinodalità missionaria della Chiesa, come pure sul servizio delle Pontificie Opere Missionarie nel promuovere la responsabilità missionaria dei battezzati e sostenere le nuove Chiese particolari.

Ed esorto tutti voi, bambini, giovani, adulti, anziani, a partecipare attivamente alla comune missione evangelizzatrice con la testimonianza della vostra vita e con la preghiera, con i vostri sacrifici e la vostra generosità.

Grazie di cuore di questo!

Care sorelle e cari fratelli, rivolgiamoci a Maria, Madre di Gesù Cristo nostra speranza.

A Lei affidiamo l’auspicio per questo Giubileo e per gli anni futuri: «Possa la luce della speranza cristiana raggiungere ogni persona, come messaggio dell’amore di Dio rivolto a tutti! E possa la Chiesa essere testimone fedele di questo annuncio in ogni parte del mondo!» (Bolla Spes non confundit, 6).

Roma, San Giovanni in Laterano, 25 gennaio 2025, festa della Conversione di San Paolo, Apostolo.

FRANCESCO

Ai Rettori dei Seminari Magri di Francia (25 Gen 2025)
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Cari Rettori,

sono lieto di accogliervi in ​​occasione del vostro pellegrinaggio giubilare, durante il quale vi siete riuniti per riflettere sulla formazione sacerdotale.

Questa è un cammino di discernimento in cui voi svolgete un ruolo essenziale.

Siete come l’anziano sacerdote Eli che disse al giovane Samuele: «Se ti chiamerà, dirai: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”» (1 Sam 3,9).

Voi siete la presenza rassicurante, la bussola per i giovani affidati alle vostre cure.

San Paolo VI ha affermato che «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri, è perché sono testimoni» (Udienza Generale, 2 ottobre 1974).

Ciò vale sicuramente per i formatori nei seminari.

La loro testimonianza coerente di vita cristiana avviene all’interno di una comunità educativa, i cui membri sono, nel seminario, il vescovo, i sacerdoti e i religiosi, i professori, il personale.

Questa comunità, però, si estende là dove il seminarista viene inviato: alle parrocchie, ai movimenti, alle famiglie.

La formazione comunitaria è quindi unitaria, toccando tutte le dimensioni della persona e orientando verso la missione.

Affinché il seminario possa dare questa testimonianza e diventare uno spazio favorevole alla crescita del futuro sacerdote, è importante avere cura della qualità e dell’autenticità delle relazioni umane che vi si vivono, simili a quelle di una famiglia, con tratti di paternità e fraternità.

Solo in questo clima può instaurarsi la fiducia reciproca, indispensabile per un buon discernimento.

Il seminarista potrà allora essere sé stesso, senza paura d’essere giudicato in modo arbitrario; essere autentico nei rapporti con gli altri; collaborare pienamente alla propria formazione per scoprire, accompagnato dai formatori, la volontà del Signore per la sua vita e rispondere liberamente.

I candidati che si presentano al seminario sono, oggi più che mai, molto diversi gli uni dagli altri.

Alcuni sono molto giovani, altri hanno già una lunga esperienza di vita; alcuni hanno una fede radicata da molto tempo e matura, per altri è molto recente; provengono da contesti sociali e familiari diversi, da culture diverse; soprattutto, hanno avvertito la chiamata all’interno dei molti movimenti spirituali che la Chiesa oggi conosce.

È certamente una grande sfida proporre una formazione umana, spirituale, intellettuale e pastorale a una comunità così diversificata.

Il vostro compito non è facile.

Ecco perché l’attenzione al percorso di ciascuno così come l’accompagnamento personale sono più che mai indispensabili.

Ecco perché è importante che le équipes di formazione accettino questa diversità, che sappiano accoglierla e accompagnarla. Non abbiate paura della diversità! Non abbiatene paura, è un dono! L’educazione all’accoglienza dell’altro, così com’è, sarà la garanzia, per il futuro, di un presbiterio fraterno e unito nell’essenziale.

L’obiettivo del seminario è chiaro: «formare discepoli missionari “innamorati” del Maestro, pastori “con l’odore delle pecore”, che vivano in mezzo a esse per servirle e portare loro la misericordia di Dio» (RFIS, n. 3).

Ciò suppone un certo numero di criteri, sui quali è impossibile transigere, per conferire l’ordinazione.

Il seminario, tuttavia, non dovrebbe cercare di formare cloni che la pensino tutti allo stesso modo, con gli stessi gusti e le stesse opzioni.

La grazia del sacramento mette radici in tutto ciò che arricchisce la personalità unica di ciascuno, personalità che deve essere rispettata, per produrre frutti di vari sapori, dei quali la stessa varietà del Popolo di Dio ha bisogno.

Tra i punti ai quali è importante prestare attenzione, vorrei semplicemente evidenziarne tre.

Il primo è quello di aver cura che nel candidato si formi una vera libertà interiore. Non abbiate paura di questa libertà! Le sfide che gli si presenteranno nel corso della sua vita richiedono che egli sappia, illuminato dalla fede e mosso dalla carità, giudicare e decidere con la propria testa, a volte controcorrente o correndo rischi, senza allinearsi a risposte preconfezionate, preconcetti ideologici o al pensiero unico del momento.

Che maturino il pensiero e che maturino il cuore e che maturino le mani! Le tre cose devono andare in coerenza: quello che si pensa, quello che si sente e quello che si fa.

I tre linguaggi: quello della mente, del cuore e delle mani.

Che ci sia coerenza tra questi.

Il secondo punto riguarda la maturazione nel candidato di un’umanità equilibrata e capace di relazioni umane.

Il sacerdote dev’essere portato alla tenerezza, alla vicinanza e alla compassione.

Questi sono i tre attributi di Dio: tenerezza vicinanza e compassione.

Dio è vicino, è tenero, è compassionevole.

Un seminarista che non sia capace di questo, non va.

È importante! Non c’è bisogno d’insistere sul pericolo rappresentato da personalità troppo deboli e rigide, o da disordini di carattere affettivo.

D’altronde, l’uomo perfetto non esiste e la Chiesa è composta da membra fragili e da peccatori che possono sempre sperare di progredire; il vostro discernimento su questo punto dev’essere tanto prudente quanto paziente, illuminato dalla speranza. Non abbiate paura delle debolezze e dei limiti dei vostri seminaristi! Non condannateli troppo in fretta e sappiate accompagnarli.

Quello che si chiamava il martirio della pazienza: accompagnare.

Il terzo punto è il deciso orientamento della vocazione sacerdotale alla missione.

Il sacerdote è per la missione.

Un sacerdote che faccia “monsieur l’abbé” non è per la missione.

Questo non va.

Il sacerdote è sempre per la missione.

Sebbene, naturalmente, essere sacerdote comporti una realizzazione personale, non lo si diventa per sé stessi, ma per il Popolo di Dio, per fargli conoscere e amare Cristo.

Il punto di partenza di questa dinamica non può che trovarsi in un amore sempre più profondo e appassionato per Gesù, nutrito da una seria formazione alla vita interiore e dallo studio della Parola di Dio.

È difficile immaginare una vocazione sacerdotale che non abbia una forte dimensione oblativa, di gratuità e di distacco da sé, di sincera umiltà; e questo è da verificare.

Solo Gesù riempie di gioia il suo sacerdote.

Ora, non è raro che, cammin facendo, alcuni finiscano poco a poco per “servire sé stessi”.

State attenti, soprattutto con i soldi.

Mia nonna sempre ci diceva: “Il diavolo entra dalle tasche”.

Per favore, la povertà è una cosa molto bella.

Servire gli altri.

E state attenti al carrierismo, state attenti.

State attenti alla  mondanità, alla gelosia, alla vanità.

Che l’amore per Dio e per la Chiesa non diventino un pretesto per l’autocelebrazione.

Quando tu trovi qualche ecclesiastico che sembra più un pavone che un ecclesiastico è brutto. Che l’amore per Dio e la Chiesa non sia un pretesto: che sia vero.

Cari Rettori, grazie per la vostra visita e per il servizio che offrite alla Chiesa.

Il vostro compito non è facile, ma vi incoraggio a perseverare con fiducia e speranza, sotto la guida dello Spirito Santo e la protezione della Vergine Maria.

Per questo benedico di cuore voi, le vostre comunità.

E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Grazie!

LIX Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2025 - Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori (cf. 1Pt 3,15-16)
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Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori (cfr 1Pt 3,15-16)
 

Cari fratelli e sorelle!

In questo nostro tempo segnato dalla disinformazione e dalla polarizzazione, dove pochi centri di potere controllano una massa di dati e di informazioni senza precedenti, mi rivolgo a voi nella consapevolezza di quanto sia necessario – oggi più che mai – il vostro lavoro di giornalisti e comunicatori.

C’è bisogno del vostro impegno coraggioso nel mettere al centro della comunicazione la responsabilità personale e collettiva verso il prossimo.

Pensando al Giubileo che celebriamo quest’anno come un periodo di grazia in un tempo così travagliato, vorrei con questo mio Messaggio invitarvi ad essere comunicatori di speranza, incominciando da un rinnovamento del vostro lavoro e della vostra missione secondo lo spirito del Vangelo.

Disarmare la comunicazione

Troppo spesso oggi la comunicazione non genera speranza, ma paura e disperazione, pregiudizio e rancore, fanatismo e addirittura odio.

Troppe volte essa semplifica la realtà per suscitare reazioni istintive; usa la parola come una lama; si serve persino di informazioni false o deformate ad arte per lanciare messaggi destinati a eccitare gli animi, a provocare, a ferire.

Ho già ribadito più volte la necessità di “disarmare” la comunicazione, di purificarla dall’aggressività.

Non porta mai buoni frutti ridurre la realtà a slogan.

Vediamo tutti come – dai talk show televisivi alle guerre verbali sui social media – rischi di prevalere il paradigma della competizione, della contrapposizione, della volontà di dominio e di possesso, della manipolazione dell’opinione pubblica.

C’è anche un altro fenomeno preoccupante: quello che potremmo definire della “dispersione programmata dell’attenzione” attraverso i sistemi digitali, che, profilandoci secondo le logiche del mercato, modificano la nostra percezione della realtà.

Succede così che assistiamo, spesso impotenti, a una sorta di atomizzazione degli interessi, e questo finisce per minare le basi del nostro essere comunità, la capacità di lavorare insieme per un bene comune, di ascoltarci, di comprendere le ragioni dell’altro.

Sembra allora che individuare un “nemico” contro cui scagliarsi verbalmente sia indispensabile per affermare sé stessi.

E quando l’altro diventa “nemico”, quando si oscurano il suo volto e la sua dignità per schernirlo e deriderlo, viene meno anche la possibilità di generare speranza.

Come ci ha insegnato don Tonino Bello, tutti i conflitti «trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti» [1].

Non possiamo arrenderci a questa logica.

Sperare, in realtà, non è affatto facile.

Diceva Georges Bernanos che «sperano soltanto coloro che hanno avuto il coraggio di disperare delle illusioni e delle menzogne, nelle quali trovavano una sicurezza e che scambiavano falsamente per speranza.

[…] La speranza è un rischio che bisogna correre.

È il rischio dei rischi» [2].

La speranza è una virtù nascosta, tenace e paziente.

Tuttavia, per i cristiani sperare non è una scelta opzionale, ma una condizione imprescindibile.

Come ricordava Benedetto XVI nell’Enciclica Spe salvi, la speranza non è passivo ottimismo ma, al contrario, una virtù “performativa”, capace cioè di cambiare la vita: «Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova» (n.

2).

Dare ragione con mitezza della speranza che è in noi

Nella Prima Lettera di Pietro (3,15-16) troviamo una sintesi mirabile in cui la speranza viene posta in connessione con la testimonianza e con la comunicazione cristiana: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.

Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto».

Vorrei soffermarmi su tre messaggi che possiamo trarre da queste parole.

«Adorate il Signore, nei vostri cuori»: la speranza dei cristiani ha un volto, il volto del Signore risorto.

La sua promessa di essere sempre con noi attraverso il dono dello Spirito Santo ci permette di sperare anche contro ogni speranza e di vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto.

Il secondo messaggio ci chiede di essere pronti a dare ragione della speranza che è in noi.

È interessante notare che l’Apostolo invita a rendere conto della speranza «a chiunque vi domandi».

I cristiani non sono anzitutto quelli che “parlano” di Dio, ma quelli che riverberano la bellezza del suo amore, un modo nuovo di vivere ogni cosa.

È l’amore vissuto a suscitare la domanda ed esigere la risposta: perché vivete così? Perché siete così?

Nell’espressione di San Pietro troviamo, infine, un terzo messaggio: la risposta a questa domanda sia data «con dolcezza e rispetto».

La comunicazione dei cristiani – ma direi anche la comunicazione in generale – dovrebbe essere intessuta di mitezza, di prossimità: lo stile dei compagni di strada, seguendo il più grande Comunicatore di tutti i tempi, Gesù di Nazaret, che lungo la strada dialogava con i due discepoli di Emmaus facendo ardere il loro cuore per come interpretava gli avvenimenti alla luce delle Scritture.

Sogno per questo una comunicazione che sappia renderci compagni di strada di tanti nostri fratelli e sorelle, per riaccendere in loro la speranza in un tempo così travagliato.

Una comunicazione che sia capace di parlare al cuore, di suscitare non reazioni passionali di chiusura e rabbia, ma atteggiamenti di apertura e amicizia; capace di puntare sulla bellezza e sulla speranza anche nelle situazioni apparentemente più disperate; di generare impegno, empatia, interesse per gli altri.

Una comunicazione che ci aiuti a «riconoscere la dignità di ogni essere umano e [a] prenderci cura insieme della nostra casa comune» (Lett.

enc.

Dilexit nos, 217).

Sogno una comunicazione che non venda illusioni o paure, ma sia in grado di dare ragioni per sperare.

Martin Luther King ha detto: «Se posso aiutare qualcuno mentre vado avanti, se posso rallegrare qualcuno con una parola o una canzone...

allora la mia vita non sarà stata vissuta invano» [3].

Per fare ciò dobbiamo guarire dalle “malattie” del protagonismo e dell’autoreferenzialità, evitare il rischio di parlarci addosso: il buon comunicatore fa sì che chi ascolta, legge o guarda possa essere partecipe, possa essere vicino, possa ritrovare la parte migliore di sé stesso ed entrare con questi atteggiamenti nelle storie raccontate.

Comunicare così aiuta a diventare “pellegrini di speranza”, come recita il motto del Giubileo.

Sperare insieme

La speranza è sempre un progetto comunitario.

Pensiamo per un momento alla grandezza del messaggio di questo anno di grazia: siamo invitati tutti – davvero tutti! – a ricominciare, a permettere a Dio di risollevarci, a lasciare che ci abbracci e ci inondi di misericordia.

Si intrecciano in tutto questo la dimensione personale e quella comunitaria.

Ci si mette in viaggio insieme, si compie il pellegrinaggio con tanti fratelli e sorelle, si attraversa insieme la Porta Santa.

Il Giubileo ha molte implicazioni sociali.

Pensiamo ad esempio al messaggio di misericordia e speranza per chi vive nelle carceri, o all’appello alla vicinanza e alla tenerezza verso chi soffre ed è ai margini.

Il Giubileo ci ricorda che quanti si fanno operatori di pace «saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).

E così ci apre alla speranza, ci indica l’esigenza di una comunicazione attenta, mite, riflessiva, capace di indicare vie di dialogo.

Vi incoraggio perciò a scoprire e raccontare le tante storie di bene nascoste fra le pieghe della cronaca; a imitare i cercatori d’oro, che setacciano instancabilmente la sabbia alla ricerca della minuscola pepita.

È bello trovare questi semi di speranza e farli conoscere.

Aiuta il mondo ad essere un po’ meno sordo al grido degli ultimi, un po’ meno indifferente, un po’ meno chiuso.

Sappiate sempre scovare le scintille di bene che ci permettono di sperare.

Questa comunicazione può aiutare a tessere la comunione, a farci sentire meno soli, a riscoprire l’importanza del camminare insieme.

Non dimenticare il cuore

Cari fratelli e sorelle, di fronte alle vertiginose conquiste della tecnica, vi invito ad avere cura del vostro cuore, cioè della vostra vita interiore.

Che cosa significa questo? Vi lascio alcune tracce.

Essere miti e non dimenticare mai il volto dell’altro; parlare al cuore delle donne e degli uomini al servizio dei quali state svolgendo il vostro lavoro.

Non permettere che le reazioni istintive guidino la vostra comunicazione.

Seminare sempre speranza, anche quando è difficile, anche quando costa, anche quando sembra non portare frutto.

Cercare di praticare una comunicazione che sappia risanare le ferite della nostra umanità.

Dare spazio alla fiducia del cuore che, come un fiore esile ma resistente, non soccombe alle intemperie della vita ma sboccia e cresce nei luoghi più impensati: nella speranza delle madri che ogni giorno pregano per rivedere i propri figli tornare dalle trincee di un conflitto; nella speranza dei padri che migrano tra mille rischi e peripezie in cerca di un futuro migliore; nella speranza dei bambini che riescono a giocare, sorridere e credere nella vita anche fra le macerie delle guerre e nelle strade povere delle favelas.

Essere testimoni e promotori di una comunicazione non ostile, che diffonda una cultura della cura, costruisca ponti e penetri nei muri visibili e invisibili del nostro tempo.

Raccontare storie intrise di speranza, avendo a cuore il nostro comune destino e scrivendo insieme la storia del nostro futuro.

Tutto ciò potete e possiamo farlo con la grazia di Dio, che il Giubileo ci aiuta a ricevere in abbondanza.

Per questo prego e benedico ciascuno di voi e il vostro lavoro.

Roma, San Giovanni in Laterano, 24 gennaio 2025, memoria di San Francesco di Sales.


Francesco

 _____________________________________

 

[1] «La pace come ricerca del volto», in Omelie e scritti quaresimali, Molfetta 1994, 317.

[2] Georges Bernanos, La liberté, pour quoi faire?, Paris 1995, trad.

it.

“A che serve questa libertà”, in Lo spirito europeo e il mondo delle macchine, Milano 1972, 255-256.

[3] Sermone “The Drum Major Instinct”, 4 febbraio 1968.

Ai Presidenti e Direttori della Federazione Automobile Club d'Italia (23 Gen 2025)
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Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

Sono lieto di incontrarvi all’inizio di questo anno giubilare che ci chiede di essere “pellegrini di speranza”.

La cosa più importante nel pellegrinaggio è stabilire la meta e compiere tutti i passi necessari a raggiungerla, senza farsi distrarre lungo il cammino, senza disperdere preziose energie in obiettivi secondari, senza quel girovagare che per scoprire e vedere tutto finisce col dimenticare la meta.

È curioso… delle volte si cade in un labirinto e si dimentica la meta… il girovagare della vita…

Il pellegrinaggio comporta il rischio di sbagliare strada – è vero –, di trovarci in difficoltà o di sentirci perduti.

Il Giubileo può essere allora per ciascuno l’occasione di una ripartenza, il momento giusto per ricalcolare il percorso della propria vita, individuando le tappe fondamentali da non perdere e quelle che invece potrebbero diventare un ostacolo per il raggiungimento della meta.

C’è una verità: noi non siamo fatti per stare fermi, ma siamo sempre in ricerca, in cammino verso la destinazione.

E quello che rimane fermo, il cuore fermo, fa come succede con l’acqua: l’acqua ferma è la prima a imputridirsi.

Ma la destinazione non è una meta qualsiasi, ma una meta di condivisione, di fratellanza e di gioia per quanto possibile in questo mondo, con le sue luci e le sue prove, aperti a una felicità definitiva in compagnia di Gesù, di Maria e di tutti i santi.

Quindi, mai scoraggiarsi, ma ripartire sempre.

È un po’ la mistica nostra del ripartire sempre.

E a questo proposito, vorrei riflettere brevemente su due parole, che diventano vie da percorrere per dare speranza al presente e costruire un futuro degno: educazione e ambiente.

Queste due parole sono importanti.

Partiamo dall’educazione.

C’è bisogno di una cultura del rispetto e della sicurezza stradale, a partire dalle scuole.

I programmi formativi che voi promuovete coinvolgendo gli studenti sono un valido contributo per educare alla cittadinanza attiva.

Assumere comportamenti responsabili, rispettare le norme, essere consapevoli dei rischi aiuta la convivenza civile e il raggiungimento dell’obiettivo “zero vittime sulle strade”.

Questo è un obiettivo chiaro, ed è un programma ma prima di tutto un dovere.

Viaggiare fa rima con imparare, incontrare e non con soffrire, piangere o, addirittura, morire.

Per questo, vi incoraggio ad andare avanti nell’impegno della sensibilizzazione e della formazione: anche questo è un modo per promuovere e difendere la vita.

La seconda parola, strettamente legata a “educazione”, è ambiente.

Il numero dei veicoli, il consumo di energia non rinnovabile e il costo del carburante, l’inquinamento e il traffico sono alcuni dei fattori che hanno un innegabile impatto sulla casa comune e su quanti la abitano.

È in gioco la qualità della vita! Per questo è urgente lavorare per affrontare tali sfide con serietà e determinazione, anche attraverso la creazione di alleanze per incentivare la sostenibilità.

In questo settore, la tecnologia offre già rilevanti opportunità e diversi strumenti, altri certamente verranno messi a disposizione.

Occorre assumere una visione ampia, cercando – come già fate – collaborazioni e azioni comuni che vadano a vantaggio di tutti, rendendo la mobilità davvero sostenibile e accessibile.

Cari amici, da 120 anni siete a servizio dei cittadini, stando al passo con i tempi.

In questo cambiamento d’epoca, continuate a mettere al centro le persone, il loro benessere e la loro sicurezza.

Affido voi, le vostre famiglie e il vostro lavoro a San Cristoforo, patrono degli automobilisti.

Vi benedico, e per favore vi chiedo di pregare per me.

Grazie!

Ai Dirigenti e al Personale dell'Ispettorato di Pubblica Sicurezza "Vaticano" (23 Gen 2025)
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Signor Vice-Capo della Polizia,
Signora Prefetto e Signor Dirigente,
Cari Funzionari e Agenti, benvenuti!

Sono lieto d’incontrare, all’inizio dell’anno, come è consuetudine, tutti voi, dirigenti e personale dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza “Vaticano”.

L’occasione è propizia per augurare a tutti voi e ai vostri familiari un sereno 2025, anno giubilare, nel quale siamo chiamati a volgere lo sguardo a Gesù Cristo, nostra speranza, che si fa pellegrino con noi e che vuole donarci Sé stesso, la sua benedizione e il suo perdono.

Vi invito ad approfittare della Porta Santa aperta nella notte di Natale nella Basilica di San Pietro, come pure di quelle aperte successivamente nelle altre Basiliche Papali di Roma.

Attraversare la Porta Santa non è un atto magico – no, non lo è – è un simbolo, un simbolo cristiano – Gesù stesso dice: «Io sono la porta» (Gv 10,7) –, un segno che esprime il desiderio di ricominciare, e questa è una bella saggezza: ricominciare, ogni giorno ricominciare.

Sempre andare un passo avanti.

Il desiderio di rinnovarsi, e di lasciarsi trovare da Dio.

E chi eventualmente non riconosce di avere il dono della fede, approfitti ugualmente di questo Anno giubilare per andare avanti.

Care donne e cari uomini della Polizia, desidero ringraziarvi per tutto il lavoro che, con dedizione, professionalità e generosità, svolgete per garantire la sicurezza a me, ai miei collaboratori e a tutti i pellegrini e turisti nell’area del Vaticano, come anche in occasione delle mie visite pastorali in Italia.

Grazie! Grazie davvero!

Si tratta di un compito, il vostro, sempre esigente – lo so –, che necessita di prontezza e coraggio e che il più delle volte si svolge nella discrezione, senza essere notati, ma che presuppone abnegazione, cura di ogni dettaglio, pazienza e disponibilità al sacrificio.

La sicurezza infatti è un bene invisibile della cui importanza ci accorgiamo proprio quando, per qualche ragione, essa viene meno, e che si costruisce nel continuo e intelligente impegno di sorveglianza, notte e giorno, per ogni giorno dell’anno.

L’essere umano ferito dal peccato rende indispensabile l’opera di forze pubbliche poste al servizio del bene comune dell’intera comunità, che dispongono degli strumenti idonei a contrastare e fermare chi si accinge a compiere reati e crimini.

Potete essere a buon diritto orgogliosi di vivere e agire al servizio del bene comune – tanto! – e nello stesso tempo rimanere umili, perché questo vi permette di riconoscervi bisognosi di aiuto, di benedizione, di redenzione, e di tenere il vostro cuore aperto alla grazia di Dio.

Cari Agenti e cari Funzionari, sappiate che vi penso spesso e con gratitudine, e prego per voi e per le vostre famiglie.

E quando la domenica i miei segretari vengono a trovarvi per portarvi la cioccolata o qualcosa del genere, è un gesto simbolico, ma un gesto che esprime la mia vicinanza.

Vi ringrazio tanto! La Madonna vi accompagni e San Michele Arcangelo, vostro Patrono, vi protegga.

Vi benedico di cuore.

E vi chiedo, per favore, di pregare per me.

Ai Membri della Fondazione Rete Mondiale di Preghiera del Papa (23 Gen 2025)
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Cari fratelli e care sorelle, benvenuti!

Saluto il nuovo Direttore, Padre Cristóbal Fones, al quale auguro buon lavoro; ed esprimo la mia gratitudine al Padre Fornos – è stato bravo Fornos… bravo, bravo, bravo! Un grande! – per il servizio che ha fatto.

Fornos è stato un “creativo”.

Saluto tutti voi, membri dell’Ufficio internazionale, Coordinatori continentali, Consiglieri di amministrazione, Partner permanenti e, in particolare, coloro che sostengono la Fondazione per assicurare stabilità e slancio all’attività.

Grazie a tutti!

Sono contento che abbiate accolto con gioia l’Enciclica Dilexit nos, sull’amore umano e divino del Cuore di Cristo.

In essa trovate il nutrimento sostanzioso che alimenta la spiritualità del vostro lavoro, del vostro apostolato.

Mi piace che questa spiritualità voi la chiamiate “cammino del Cuore”.

E vorrei leggere questa espressione in un duplice senso: è il cammino di Gesù, del suo Cuore sacro, attraverso il mistero di incarnazione, passione, morte e risurrezione; ed è anche il cammino del nostro cuore, ferito dal peccato, che si lascia conquistare e trasformare dall’amore.

In questo cammino del cuore ci guida, come sempre, la nostra Madre, Maria, che ci precede nel pellegrinaggio della fede e della speranza e lei ci insegna a custodire – custodire – nel cuore le parole e i gesti di Gesù.

Non dimenticare questa parola: custodire.

Questo – lo sapete bene – è opera dello Spirito Santo: non c’è cammino del cuore con Cristo senza l’acqua viva dello Spirito Santo.

Care sorelle e cari fratelli, penso che la Rete Mondiale di Preghiera darà un contributo molto importante al Giubileo, aiutando le persone e le comunità a viverne lo spirito, come un cammino in cui si coniugano inseparabilmente preghiera e compassione, preghiera e vicinanza agli ultimi, preghiera e opere di misericordia.

Grazie, grazie tante!

Andate avanti con gioia, sempre con gioia, collaborando tra di voi.

Vi benedico di cuore.

Grazie!

Udienza Generale del 22 Gen 2025 - Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025. Gesù Cristo nostra speranza. I. L’infanzia di Gesù. 2. L’annuncio a Maria. L’ascolto e la disponibilità (cfr Lc 1,26-38)
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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.
 

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025.

Gesù Cristo nostra speranza.

I.

L’infanzia di Gesù.

2.

L’annuncio a Maria.

L’ascolto e la disponibilità (cfr Lc 1,26-38)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Riprendiamo oggi le catechesi del ciclo giubilare su Gesù Cristo nostra speranza.

All’inizio del suo Vangelo, Luca mostra gli effetti della potenza trasformante della Parola di Dio che giunge non solo tra gli atrii del Tempio, ma anche nella povera abitazione di una giovane, Maria, che, promessa sposa di Giuseppe, vive ancora in famiglia.

Dopo Gerusalemme, il messaggero dei grandi annunci divini, Gabriele, che nel suo nome celebra la forza di Dio, è inviato in un villaggio mai menzionato nella Bibbia ebraica: Nazaret.

A quel tempo era un paesino della Galilea, alla periferia di Israele, zona di confine con i pagani e le loro contaminazioni.

Proprio lì l’angelo reca un messaggio dalla forma e dal contenuto del tutto inauditi, tanto che il cuore di Maria ne viene scosso, turbato.

Al posto del classico saluto “pace a te”, Gabriele si rivolge alla Vergine con l’invito “rallegrati!”, “gioisci!”, un appello caro alla storia sacra, perché i profeti lo usano quando annunciano la venuta del Messia (cfr Sof 3,14; Gl 2,21-23; Zc 9,9).

È l’invito alla gioia che Dio rivolge al suo popolo quando finisce l’esilio e il Signore fa sentire la sua presenza viva e operante.

Inoltre, Dio chiama Maria con un nome d’amore sconosciuto nella storia biblica: kecharitoméne, che significa «riempita dalla grazia divina».

Maria è piena della grazia divina.

Questo nome dice che l’amore di Dio ha già da tempo abitato e continua a dimorare nel cuore di Maria.

Dice quanto lei sia “graziosa” e soprattutto quanto la grazia di Dio abbia compiuto in lei una cesellatura interiore facendone il suo capolavoro: piena di grazia.

Questo soprannome amoroso, che Dio dà solo a Maria, è subito accompagnato da una rassicurazione: “Non temere!”, “Non temere!”, sempre la presenza del Signore ci dà questa grazia di non temere e così lo dice a Maria: “Non temere!”.

“Non temere” dice Dio ad Abramo, a Isacco, a Mosè, nella storia: “Non temere!” (cfr Gen 15,1; 26,24; Dt 31,8).

E lo dice anche a noi: “Non temere, vai avanti.

Non temere!”.

“Padre io ho paura di questo”; “E cosa fai, quando…”; “Mi scusi, padre, le dico la verità: io vado dalla chiromante…”; “Tu vai dalla chiromante?”; “Eh sì: mi faccio leggere la mano…”.

Per favore: non temere! Non temere! Non temere! È bello questo.

“Io sono il tuo compagno di cammino”: e questo Dio lo dice a Maria.

L’«Onnipotente», il Dio dell’«impossibile» (Lc 1,37) è con Maria, è insieme e accanto a lei, è il suo compagno, il suo alleato principale, l’eterno «Io-con-te» (cfr Gen 28,15; Es 3,12; Gdc 6,12).

Poi Gabriele annuncia alla Vergine la sua missione, facendo riecheggiare nel suo cuore numerosi passi biblici riferiti alla regalità e messianicità del bambino che dovrà nascere da lei e che il bambino sarà presentato come compimento delle antiche profezie.

La Parola che viene dall’Alto chiama Maria ad essere la madre del Messia, quel Messia davidico tanto atteso.

È la madre del Messia.

Egli sarà re non alla maniera umana e carnale, ma alla maniera divina, spirituale.

Il suo nome sarà “Gesù”, che significa “Dio salva” (cfr Lc 1,31; Mt 1,21), ricordando a tutti e per sempre che non è l’uomo a salvare, ma solo Dio.

Gesù è Colui che compie queste parole del profeta Isaia:«Non un inviato né un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione (Is 63,9).

Questa maternità scuote Maria dalle fondamenta.

E da donna intelligente qual è, capace cioè di leggere dentro gli avvenimenti (cfr Lc 2,19.51), ella cerca di comprendere, di discernere ciò che sta capitando.

Maria non cerca fuori ma dentro.

perché, come insegna Sant’Agostino, «in interiore homine habitat veritas» (De vera religione 39,72).

E lì, nel profondo del suo cuore aperto, sensibile, sente l’invito a fidarsi di Dio., che ha preparato per lei una speciale “Pentecoste”.

Proprio come all’inizio della creazione (cfr Gen 1,2), Dio vuole “covare” Maria con il suo Spirito, potenza capace di aprire ciò che è chiuso senza violarlo, senza intaccare la libertà umana; vuole avvolgerla nella «nube» della sua presenza (cfr 1Cor 10,1-2) perché il Figlio viva in lei e lei in Lui.

E Maria si accende di fiducia: è «una lampada a molte luci», come dice Teofane nel suo Canone dell’Annunciazione.

Si abbandona, obbedisce, fa spazio: è «una camera nuziale fatta da Dio» (ibid.).

Maria accoglie il Verbo nella propria carne e si lancia così nella missione più grande che sia stata mai affidata a una donna, a una creatura umana.

Si mette al servizio: è piena di tutto, non come una schiava ma come una collaboratrice di Dio Padre, piena di dignità e autorità per amministrare, come farà a Cana, i doni del tesoro divino, perché molti possano attingervi a piene mani.

Sorelle, fratelli, impariamo da Maria, Madre del Salvatore e Madre nostra, a lasciarci aprire l’orecchio dalla divina Parola e ad accoglierla e custodirla, perché trasformi i nostri cuori in tabernacoli della sua presenza, in case ospitali dove accrescere la speranza.

Grazie!

____________________________

Saluti

Je salue cordialement les pèlerins de langue française.

Que le Seigneur ouvre nos oreilles et nos cœurs pour que, à l’école de la Vierge Marie, nous puissions entendre sa parole et celles de frères.

Ainsi nous pourrons par notre attention et notre charité rendre plus fraternel notre monde et lui rendre l’Esperance de la joie.

Que Dieu vous bénisse.

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese.

Il Signore apra i nostri orecchi, e i nostri cuori perché, alla scuola della Vergine Maria, sappiamo ascoltare la sua parola e quella dei fratelli.

In questo modo, attraverso la nostra attenzione e la nostra carità, possiamo rendere il nostro mondo più fraterno e restituirgli la speranza della gioia.

Dio vi benedica.]

I greet the English-speaking pilgrims, especially those coming from Switzerland, the United States,England and offer my cordial good wishes that the Jubilee will be for all of you a season of spiritual renewal and growth in the joy of the Gospel.

In this week of Prayer for Christian Unity, I welcome the ecumenical groups present, as well as those from the Pontifical North American College.

Upon you and your families I gladly invoke God’s blessings of wisdom, strength and peace.

[Saluto i pellegrini di lingua inglese, specialmente quelli provenienti da Svizzera, Stati Uniti, Inghilterra, con auguri che il Giubileo sia per voi un’occasione di rinnovamento spirituale e di crescita nella gioia del Vangelo.  In questa Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani, do il benvenuto ai gruppi ecumenici presenti e a quanti vengono dal Pontificio Collegio Americano del Nord.

Su voi e sulle vostre famiglie invoco di cuore i doni divini di sapienza, di forza e di pace.] 

Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, wir begehen in diesen Tagen die Gebetswoche für die Einheit der Christen.

Diese Einheit ist nicht das Ergebnis unserer Tuns, sondern ein Geschenk, um das wir den Vater bitten müssen, damit die Welt an seinen eingeborenen Sohn, Christus, den Erlöser, glaubt.

[Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, in questi giorni si conclude la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

Questa unità non è il frutto dei nostri sforzi, ma un dono che dobbiamo chiedere al Padre, perché il mondo creda nel suo Figlio unigenito, Cristo Salvatore.]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

Veo que hay algunos.

Pidamos al Señor que nos enseñe a escuchar su Palabra y a responderle con generosidad, como María, transformando nuestros corazones en sagrarios vivos de su presencia y en lugares acogedores para las personas que viven sin esperanza.

Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

Muchas gracias.

我向讲中文的人们致以诚挚的问候。亲爱的兄弟姊妹们,我鼓励你们始终以喜乐來表达你们在基督內的信德。我降福大家。

[Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua cinese.

Cari fratelli e sorelle, vi incoraggio a manifestare sempre con gioia la vostra fede in Cristo.

A tutti la mia benedizione!]

Dou as boas-vindas a todos os peregrinos de língua portuguesa.

Irmãos e irmãs, as palavras que o anjo dirige a Maria são também dirigidas a cada um de nós: “não temas”! Por isso, não tenhais medo: Deus está ao nosso lado e sempre nos acompanha.

Não nos esqueçamos: nunca estamos sós! Que a Mãe de Deus sempre vos guarde!

[Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua portoghese.

Fratelli e sorelle, le parole che l’angelo rivolge a Maria sono rivolte anche a ciascuno di noi: “non temere”! Perciò non temiamo: Dio è accanto a noi e sempre ci accompagna.

Non dimentichiamolo: non siamo mai soli! La Madre di Dio vi custodisca sempre!]

أُحيِّي المُؤْمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العَرَبِيَّة.

لِنُجَدِّدْ مَعًا قَولَنا ”نَعَم“ للهِ ولِمَشِيئَتِه، واثِقِينَ بِه، مِثلَ مَريَم، أنَّه سَيَمنَحُنا حياةً جديدة.

بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِنْ كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba.

Rinnoviamo insieme il nostro ‘si’ al Signore e alla sua volontà, fidandoci di Lui, come Maria, che ci donerà una nuova vita.

Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

Pozdrawiam pielgrzymów z Polski.

W tych dniach okazujecie szczególną wdzięczność waszym babciom i dziadkom, obchodząc ich święto.

Niech będzie ono okazją do budowania i umacniania nowego przymierza pomiędzy pokoleniami.

Proszę was, pamiętajcie także w modlitwie o osobach starszych z Ukrainy, które przeżywają tragedię wojny.

Wam wszystkim, a zwłaszcza babciom i dziadkom z serca błogosławię!

[Saluto i pellegrini polacchi.

In questi giorni esprimete una particolare gratitudine alle vostre nonne e ai vostri nonni celebrando la loro festa.

Sia un’occasione per costruire e rafforzare una nuova alleanza tra generazioni.

Per favore, ricordate anche nelle vostre preghiere le persone anziane dell’Ucraina che stanno vivendo la tragedia della guerra.

Benedico di cuore tutti voi, e in particolare le nonne e i nonni!]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, saluto le Figlie di Maria Immacolata che celebrano il loro Capitolo straordinario, incoraggiandole ad abbandonarsi con fiducia alla volontà di Dio che sempre ci è fedele, sempre.

Saluto poi le parrocchie, le associazioni e le scolaresche, specialmente il liceo Einstein di Teramo.

E voglio che sappiate che il mio cuore è con il popolo di Los Angeles, che ha sofferto così tanto a causa degli incendi che hanno devasto interi quartieri e comunità.

E non sono finiti… Che Nostra Signora di Guadalupe interceda per tutti gli abitanti affinché possano essere testimoni di speranza attraverso la forza della diversità e della creatività per cui sono conosciuti in tutto il mondo.

E non dimentichiamo la martoriata Ucraina.

Non dimentichiamo la Palestina, Israele e il Myanmar.

Preghiamo per la pace.

La guerra è sempre una sconfitta! Ieri ho chiamato, lo faccio tutti i giorni, la parrocchia di Gaza: erano contenti! Lì dentro ci sono 600 persone, tra parrocchia e collegio.

E mi hanno detto: “Oggi abbiamo mangiato lenticchie con pollo”.

Una cosa che in questi tempi non erano abituati a fare: soltanto qualche verdura, qualcosa… Erano contenti! Ma preghiamo per Gaza, per la pace e per tante altri parti del mondo.

La guerra sempre è una sconfitta! Non dimenticate: la guerra è una sconfitta.

E chi guadagna con le guerre? I fabbricanti delle armi.

Per favore, preghiamo per la pace.

Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati, agli anziani e agli sposi novelli.

In questi giorni di preghiera per l’unità dei cristiani vi esorto a invocare Dio, Uno e Trino, per la piena comunione di tutti i discepoli di Cristo.

E a tutti la mia benedizione!

Ai Membri della Hilton Foundation (22 Gen 2025)
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Gentili Signore e Signori, benvenuti, buongiorno, e grazie di questa visita!

Sono lieto di incontrare voi che formate il consiglio di amministrazione della Fondazione Conrad Hilton.

La missione di promuovere la dignità umana è urgente in un’epoca in cui il numero dei poveri e degli esclusi continua ad aumentare.

È curioso… Voi avete scelto di non stare alla finestra, ma di impegnarvi in prima persona con passione e compassione, come il buon Samaritano.

Questa parabola di Gesù ci insegna a farci carico della fragilità degli altri, a farci prossimi e rialzare chi è caduto, per il bene di tutti (cfr Lett.

enc.

Fratelli tutti, 67).

Non dimenticatevi che soltanto in una occasione e in un solo atto della storia è lecito guardare una persona dall’alto in basso, soltanto una volta: per aiutarlo a sollevarsi.

Altrimenti, non si può guardare una persona dall’alto in basso.

Soltanto per aiutarlo a sollevarsi, non dimenticatelo...

Sempre.

La vostra Fondazione ha dimostrato come la generosità e l’impegno possano trasformare le vite di coloro che si trovano in situazioni di vulnerabilità.

Il servizio gratuito nei campi dell’educazione, della salute, dell’assistenza ai rifugiati e della lotta contro la povertà è una testimonianza, una testimonianza concreta di amore e di compassione.

Non dimenticate questa parola: compassione, “patire con”.

Dio è compassionevole, Dio si avvicina a noi e patisce con noi.

E compassione non è buttare una moneta nelle mani dell’altro senza guardarlo negli occhi.

No.

Compassione è avvicinarsi e “patire con”.

Questa parola non dimenticatela: compassione.

Il vostro fondatore, Conrad Nicholson Hilton, vi ha lasciato in eredità il suo sogno, che anima i progetti della Fondazione.

Tra questi ce n’è uno che vi vede molto attivi: è quello del sostegno alle suore.

Conrad Hilton aveva una grande stima delle suore e nel suo testamento ha chiesto alla Fondazione di supportarle nella missione a servizio dei più poveri e degli ultimi.

Una volta, mi diceva uno – era un agnostico – è finito in ospedale, e le suorine lo hanno accudito… Si è convertito per quello.

E ha detto: cosa sarebbe della Chiesa senza le suorine… è bello! E voi lo state facendo con fedeltà e creatività, specialmente per la formazione e per la cura delle sorelle più anziane.

In alcuni Paesi sono vecchiette, ma non bisogna mandarle all’ospizio, no… Io ricordo una volta, in Argentina, in una congregazione – di cui ebbi una suora di origine italiana – è venuta una provinciale che diceva: “No! A 70 anni fuori!”, e le suore morivano di tristezza… Le suore devono lavorare fino alla fine, come possono, fino alla fine.

E se non si fa questo, si fa quell’altro.

Qui ne abbiamo una che ha lavorato sempre con i poveri.

È vecchietta, ma ancora guida, e la lasciano guidare, e così si sente utile.

Per favore le suorine sempre con la gente! So che collaborate con alcuni Dicasteri Vaticani per dare opportunità alle suore di crescere nella professionalità e nella missionarietà.

Grazie!

Si è investito poco in questo, assai meno che nella formazione del clero.

È vero, perché si pensa che le suore, e anche le donne, sono “di seconda classe”.

Si pensa questo… Non dimenticatevi che dal giorno del Giardino dell’Eden comandano loro… Comandano le donne! È importante che le suore possano studiare e formarsi.

Il lavoro alle frontiere, nelle periferie, in mezzo agli ultimi, ha bisogno di persone formate e competenti.

E, mi raccomando, la missione delle suore è di servire gli ultimi, e non di essere le serve di qualcuno.

Questo deve finire, e voi, come Fondazione state aiutando a portare la Chiesa fuori da questa mentalità clericalista.

Ma devo aggiungere anche un’altra cosa: spesso ci si lamenta che non ci sono abbastanza suore nei ruoli di responsabilità, nelle Diocesi, nella Curia e nelle Università.

È vero.

Da una parte, è vero, bisogna superare una mentalità clericale e maschilista.

Grazie a Dio adesso nella Curia abbiamo una Prefetta, del Dicastero per i Religiosi.

Abbiamo una Vice-governatrice dello Stato Vaticano che a marzo diventerà Governatrice.

Abbiamo tre suore nell’équipe di coloro che scelgono i Vescovi, e che danno il voto.

Abbiamo la Sotto-Segretario di Monsignor Piccinotti all’A.P.S.A.: una suora che ha due lauree in economia.

Grazie a Dio le suore stanno avanti e sanno fare meglio degli uomini.

È così… perché hanno quella capacità di fare le cose, le donne, e le suorine.

Ho anche sentito Vescovi dire: io vorrei nominare suore in alcuni uffici della diocesi, ma le loro superiore non le lasciano andare.

No, per favore, lasciatele andare.

Allora dico alle superiore: siate generose, abbiate il respiro della Chiesa universale e di una missione che supera i confini del vostro Istituto.

Cari amici, vi ringrazio per il vostro lavoro instancabile e per il vostro servizio.

Grazie! Insieme possiamo costruire un mondo in cui ogni persona, qualunque sia la sua origine o la sua situazione, possa vivere con dignità.

Insieme possiamo aiutarci ad accendere la speranza nei cuori di chi si sente solo e abbandonato.

Compassione, vicinanza, tenerezza: non dimenticate queste tre parole.

Compassione, vicinanza, tenerezza: sono i tre attributi di Dio.

Dio è compassionevole, Dio è vicino, Dio è tenero.

 Sogno un mondo in cui gli scartati, gli esclusi, le persone emarginate possano essere i protagonisti di un cambiamento sociale di cui abbiamo molto bisogno, per vivere da fratelli e sorelle.

Che Dio vi benedica e la Madonna vi custodisca.

E per favore, pregate per me.

Adesso, così, seduti, vi do la benedizione.

Grazie!

Messaggio del Santo Padre Francesco al 47.mo Presidente degli Stati Uniti d’America Donald J. Trump, in occasione del suo insediamento alla Casa Bianca (20 Gen 2025)
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Onorevole Donald J.

Trump
Presidente degli Stati Uniti d’America
Casa Bianca
Washington

In occasione del Suo insediamento come quarantasettesimo Presidente degli Stati Uniti d’America, porgo un cordiale saluto e l’assicurazione delle mie preghiere affinché Dio Onnipotente Le conceda sapienza, forza e protezione nell'esercizio delle Sue alte funzioni.

Ispirato dagli ideali della Nazione, terra di opportunità e di accoglienza per tutti, spero che sotto la Sua guida il popolo americano prosperi e si impegni sempre nella costruzione di una società più giusta, in cui non ci sia spazio per l'odio, la discriminazione o l’esclusione.

Allo stesso tempo, mentre la nostra famiglia umana affronta numerose sfide, senza contare il flagello della guerra, chiedo a Dio di guidare i Suoi sforzi nella promozione della pace e della riconciliazione tra i popoli.

Con questi sentimenti, invoco su di Lei, sulla Sua famiglia e sull’amato popolo americano l’abbondanza delle benedizioni divine.

FRANCESCO

Alla Comunità dell'Almo Collegio Capranica di Roma (20 Gen 2025)
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Cari seminaristi, diaconi, presbiteri, alunni dell’Almo Collegio Capranica,
Cari formatori,

so che domani, 21 gennaio, sarete in festa, facendo memoria della vostra Patrona, la Santa vergine e martire Agnese.

Sono lieto di incontrarvi in questa vigilia, nei primi giorni dell’Anno giubilare e anche nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

Do a tutti voi il mio benvenuto.

Sei anni fa, il 14 gennaio 2019, ho approvato i nuovi Statuti dell’Almo Collegio Capranica.

Ne confermo la validità e vi esorto a corrispondere agli orientamenti che essi offrono e che vi permettono di maturare la libertà fedele e responsabile chiesta a coloro ai quali è affidato un ministero nella Chiesa.

Siete una comunità di giovani e adulti, motivati dalla fede in Gesù Cristo e dal desiderio di rispondere alla sua chiamata.

I vostri Vescovi vi hanno inviato a Roma per prepararvi al ministero ordinato o perfezionare la vostra formazione nei suoi primi anni.

Ho saputo che venite da trentanove diverse diocesi: ventisei italiane, quattordici non italiane, tra cui un’eparchia della Chiesa Siro-Malabarese.

In questa varietà di provenienze e appartenenze si riflette qualcosa del volto uno e molteplice del santo Popolo fedele di Dio.

Non dimenticare questo: il santo Popolo fedele di Dio, che siamo noi, la Chiesa.

E non dimenticare quello che dice la teologia: il santo Popolo fedele di Dio è “infallibile in credendo”.

Non dimenticatevi questo.

Secoli fa, un mio predecessore ha attribuito al Collegio Capranica la qualifica di “Almo”.

Questo appellativo può essere tradotto, in italiano, con “che nutre” o “che dà vita e mantiene in vita”.

Mi è venuto in mente, a questo proposito, un verso della Commedia di Dante Alighieri.

È quello nel quale l’anima di San Tommaso d’Aquino si riferisce all’Ordine dei Predicatori come a un ambiente «u’ ben s’impingua se non si vaneggia» (Paradiso X, 96): dove ci si nutre bene – letteralmente “si ingrassa”, “s’impingua” – se non si gira a vuoto.

Questo non vale solo per un ordine religioso.

A tante comunità, e quindi anche all’Almo Collegio, è utile ricordare questo verso.

In un contesto come il vostro ci si può “nutrire bene” se non si smarrisce la strada, “vaneggiando”, state attenti a questo! Quand’è che si finisce per “vaneggiare”? Quando si trascurano le relazioni fondamentali, le “vicinanze” che più volte ho avuto modo di richiamare parlando ai seminaristi e ai ministri ordinati.

Le tre vicinanze: vicinanza con Dio, vicinanza con il vescovo e vicinanza con il popolo.

Le tre vicinanze di un prete.

E c’è una quarta: la vicinanza fra voi.

Non dimenticate queste vicinanze!

Abbiate cura della missione alla quale Gesù chiama oggi la Chiesa, in tempi complessi ma sempre raggiunti dalla misericordia divina.

Vivete questa missione con lo stile che opportunamente qualifichiamo come “sinodale”.

Immagino conosciate il Documento Finale della XVI Assemblea del Sinodo dei Vescovi, là dove dice che «la sinodalità è un cammino di rinnovamento spirituale e di riforma strutturale per rendere la Chiesa più partecipativa e missionaria, per renderla cioè più capace di camminare con ogni uomo e ogni donna irradiando la luce di Cristo» (n.

28).

Vi invito calorosamente a sentirvi parte di questo cammino e a promuoverlo fin da ora: in Collegio, nelle Università Pontificie dove studiate, nelle parrocchie di Roma, nella Casa di reclusione di Rebibbia, all’Ospedale Bambin Gesù, luoghi in cui siete presenti per l’esperienza pastorale prevista dal cammino formativo.

È stato il coraggio di San Paolo VI a mettere proprio la sinodalità alla fine del Concilio e aprire il cammino sinodale.

Al Collegio Capranica è anche affidato, da più di un secolo, il servizio liturgico in alcune celebrazioni nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore.

Di tanto in tanto siete coinvolti anche nelle liturgie che celebriamo in San Pietro.

Vi ringrazio di questo e, allo stesso tempo, vi esorto ad avere, nei confronti delle “vicinanze” a cui ho fatto riferimento poco fa, la stessa cura che ponete nella liturgia.

Non c’è liturgia cristiana se ai gesti che compiamo non corrisponde una vita di fede, speranza, carità.

La carità si esprime in modo concreto, non con parole, nel vostro Collegio, anche attraverso un piccolo ma prezioso servizio di assistenza a persone bisognose che sanno di poter trovare in voi un sostegno per affrontare con meno fatica il peso della vita.

Vi aiuti anche questo servizio a non “vaneggiare”, come avviene quando si perde il contatto con chi si trova in situazioni di marginalità e di disagio.

Quando io confesso, domando, quando c’è l’opportunità: “Lei fa elemosina?” – “Sì, sì, la faccio” – “E quando fa l’elemosina, guarda gli occhi della persona e tocca la mano, o butta la moneta e va avanti senza guardare?”.

Non è tanto l’elemosina l’importante, ma quel rapporto con il povero, con Gesù povero lì presente.

Guardare gli occhi, toccare le mani.

Grazie di essere venuti! Benedico tutti voi, gli ex-alunni, coloro che sostengono in tanti modi il Collegio, le vostre famiglie, i vostri Vescovi e le vostre Chiese locali.

E per favore, pregate anche per me, quando vi rivolgete con fiducia all’intercessione di Maria Salus Populi Romani e della giovane vergine martire Agnese.

Grazie tante!

Alla Delegazione Ecumenica dalla Finlandia (20 Gen 2025)
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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!  

Saluto cordialmente ciascuno di voi che, anche quest’anno, siete giunti a Roma come delegazione ecumenica in occasione della festa di Sant’Enrico.

Rivolgo un saluto particolare al nuovo capo della Chiesa Ortodossa finlandese, l’Arcivescovo Elia di Helsinki e di tutta la Finlandia, come pure al Vescovo Raimo Goyarrola della Diocesi di Helsinki, e a Lei, Vescovo Matti Salomäki.

Stimato fratello in Cristo, sono grato per i pensieri e i sentimenti che mi ha manifestato a nome di tutti i partecipanti luterani, cattolici e ortodossi, e per il dono che ha scelto con tanta premura.

Come “pellegrini di speranza”, stiamo camminando insieme in questo Anno Santo 2025.

In questo itinerario di fede siamo confermati dalla Lettera agli Ebrei dove si dice: «Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso» (Eb 10,23).

Camminare in speranza!

Sant’Enrico è, per così dire, un’icona di questa speranza, la quale trova il suo fondamento sicuro e saldo in Dio.

Come messaggero di pace, Sant’Enrico ci esorta a non cessare mai di elevare le nostre preghiere per il dono tanto prezioso quanto fragile della pace.

Dobbiamo pregare per la pace! Allo stesso tempo, il santo Patrono della Finlandia è simbolo dell’unità donata da Dio, perché la sua festa continua a unire i cristiani di diverse Chiese e Comunità ecclesiali nel lodare insieme il Signore.

Il fatto che il vostro pellegrinaggio a Roma sia accompagnato da cori che onorano il Dio Uno e Trino con la loro musica è un bel segno di ecumenismo dossologico.

Grazie al coro, grazie! Chi canta prega due volte! Ringrazio voi, cantori della Cappella Sanctae Mariae, per questo prezioso servizio!

Rimanendo in tema musicale, potremmo dire che il Credo niceno, che tutti condividiamo, è una straordinaria “partitura” di fede.

E questa “sinfonia della verità” è Gesù Cristo stesso, il centro della sinfonia.

Egli è la verità fatta carne: vero Dio e vero uomo, nostro Signore e Salvatore.

Chiunque ascolti questa “sinfonia della verità” – non solo con le orecchie, ma con il cuore – sarà toccato dal mistero di Dio che si protende verso di noi, pieno di amore, nel suo Figlio.

E su questo amore fedele si fonda la speranza che non delude! Non dimenticare mai questo: la speranza non delude.

Perché «né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,38-39).

Testimoniare questo amore incarnato è la nostra vocazione ecumenica, nella comunione di tutti i battezzati.

Per questo, vorrei invitarvi ora ad esprimere con fiducia filiale questa nostra vocazione recitando insieme il Padre Nostro, ognuno nella propria lingua.

E grazie della vostra visita.

[Recita del Padre Nostro]

E Dio ci benedica tutti.

Amen.

Angelus, 19 Gen 2025
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Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Il Vangelo della liturgia di oggi (Gv 2,1-11) ci narra il primo segno di Gesù, quando trasforma l’acqua in vino durante una festa di nozze a Cana di Galilea.

Si tratta di un racconto che anticipa e sintetizza tutta la missione di Gesù: nel giorno della venuta del Messia – così dicevano i profeti – il Signore preparerà «un banchetto di vini eccellenti» (Is 25,6) e «i monti stilleranno il vino nuovo» (Am 9,13); Gesù è lo Sposo che porta il “vino nuovo”.

In questo Vangelo possiamo trovare due cose: la mancanza e la sovrabbondanza.

Da una parte il vino viene a mancare e Maria dice a Suo Figlio: «Non hanno vino» (v.

3); dall’altra parte, Gesù interviene facendo riempire sei grandi anfore e, alla fine, il vino è così abbondante e squisito che il maestro del banchetto domanda allo sposo perché lo ha conservato fino alla fine (v.

10).

Dunque, il segno nostro è sempre la mancanza, ma sempre «il segno di Dio è la sovrabbondanza» e la sovrabbondanza di Cana ne è il segno (cfr Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, vol.

I, 294).

Alla mancanza dell’uomo come risponde Dio? Con la sovrabbondanza (cfr Rm 5,20).

Dio non è tirchio! Quando dà, dà tanto.

Non ti dà un pezzettino, ti dà tanto.

Alle nostre mancanze, il Signore risponde con la sua sovrabbondanza.

Nel banchetto della nostra vita – possiamo dire - a volte ci accorgiamo che il vino viene a mancare: che ci mancano le forze e tante cose.

Succede quando le preoccupazioni che ci affliggono, le paure che ci assalgono o le forze dirompenti del male ci tolgono il gusto della vita, l’ebbrezza della gioia e il sapore della speranza.

Stiamo attenti: dinanzi a questa mancanza, quando il Signore dà, dà la sovrabbondanza.

Sembra una contraddizione: più in noi c’è mancanza, più c’è la sovrabbondanza del Signore.

Perché il Signore vuole fare la festa con noi, una festa che non avrà fine.

Preghiamo allora la Vergine Maria.

Lei, che è la “Donna del vino nuovo” (cfr A.

Bello, Maria, donna dei nostri giorni), interceda per noi e, in questo anno giubilare, ci aiuti a riscoprire la gioia dell’incontro con Gesù.

____________________

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Nei giorni scorsi è stato annunciato che oggi entrerà in vigore il cessate il fuoco a Gaza.

Esprimo gratitudine a tutti i mediatori.

È un bel lavoro questo di mediare perché si faccia la pace.

Grazie ai mediatori! E anche ringrazio tutte le parti coinvolte in questo importante risultato.

Auspico che quanto è stato concordato venga rispettato subito dalle parti e che tutti gli ostaggi possano tornare finalmente a casa e riabbracciare i loro cari.

Prego tanto per loro e per le loro famiglie.

Spero pure che gli aiuti umanitari raggiungano ancora più velocemente e in grande quantità la popolazione di Gaza, che ne ha tanta urgenza.

Sia gli israeliani che i palestinesi hanno bisogno di chiari segni di speranza: auspico che le autorità politiche di entrambi, con l’aiuto della Comunità internazionale, possano raggiungere la giusta soluzione per i due Stati.

Tutti possano dire: sì al dialogo, sì alla riconciliazione, sì alla pace.

E preghiamo per questo: per il dialogo, la riconciliazione e la pace.

Qualche giorno fa è stata annunciata la liberazione di un gruppo di detenuti dalle carceri cubane.

Si tratta di un gesto di grande speranza che concretizza una delle intenzioni di questo anno giubilare.

Auspico che nei prossimi mesi si continui a intraprendere, nelle diverse parti del mondo, iniziative di questo genere, che infondano fiducia al cammino delle persone e dei popoli.

E saluto tutti voi, romani, pellegrini, i ragazzi dell’Immacolata, le Suore di Sant’Agostino provenienti dalla Polonia, il gruppo di fedeli guatemaltechi con l’immagine del Señor de Esquipulas, e gli studenti delle scuole “Pedro Mercedes” di Cuenca e “Juan Pablo II” di Parla, in Spagna, e quelli della Piggott School di Wargrave, Inghilterra.

Saluto i giovani e i missionari del movimento Operazione Mato Grosso; i fedeli dell’Unità pastorale alla Guizza in Padova, quelli di Malgrate, Civate e Lecco Alta e quelli di Locorotondo; come pure il gruppo “Amici speciali” di Este.

In questi giorni di preghiera per l’unità dei cristiani, non cessiamo di invocare da Dio il dono prezioso della piena comunione tra tutti i discepoli del Signore.

E preghiamo sempre per la martoriata Ucraina, per la Palestina, Israele, il Myanmar e per tutte le popolazioni che soffrono per la guerra.

A tutti auguro una buona domenica e per favore non dimenticatevi di pregare per me.

Buon pranzo e arrivederci!

Ai Membri della Fondazione della Guardia Svizzera Pontificia (18 Gen 2025)
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Signora Presidente e membri del Consiglio della Fondazione della Guardia Svizzera Pontificia,
Signor Comandante,
Eccellenze,
cari benefattori!

Do un cordiale benvenuto a tutti voi.

Venticinque anni fa, durante il Grande Giubileo del 2000, fu istituita la Fondazione della Guardia Svizzera Pontificia.

Ora è appena iniziato un altro Anno Giubilare, che coincide felicemente con la celebrazione del vostro 25° anniversario.

È molto bello che lo facciate con un pellegrinaggio a Roma, dove potete rinnovare la professione di fede in Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, presso le tombe degli Apostoli.

A me piace pensare che tutta questa costruzione vaticana è sopra le tombe dei martiri.

Sono stati sepolti qui, qui sotto.

Il vostro prezioso impegno, infatti, dev’essere sempre animato da uno spirito di fede e di carità, perché aiutare la Guardia Svizzera Pontificia significa sostenere il Successore di Pietro nel suo ministero nella Chiesa universale – e anch’io personalmente sono molto grato per il servizio fedele delle guardie.

Nei tempi il lavoro della Guardia Svizzera è molto cambiato, ma la sua finalità rimane sempre quella di proteggere il Papa.

Questo comporta anche di contribuire all’accoglienza di tanti pellegrini provenienti da tutte le parti del mondo che desiderano incontrarlo.

Per questo ci vuole pazienza, e le guardie ne hanno! Questa è una cosa bella di loro: ripetono le cose, spiegano… Una pazienza molto grande.

Complimenti!

La vostra Fondazione supporta le guardie in diversi modi e ambiti: in primo luogo si adopera in favore delle famiglie, soprattutto per quanto riguarda l’educazione e la formazione dei figli negli istituti scolastici appropriati.

A me piace che le guardie si sposino; a me piace che abbiano dei figli, che abbiano una famiglia.

Questo è molto importante, molto importante.

Questo aspetto è diventato tanto più rilevante, in quanto le guardie sposate con figli sono aumentate e il bene delle famiglie è di fondamentale importanza per la Chiesa e la società.

Inoltre, la Fondazione fornisce i mezzi per garantire, migliorare e aggiornare la professionalità e i metodi di lavoro, delle attrezzature e delle infrastrutture.

Infine, offrite una valida assistenza per tutti coloro che, dopo il loro servizio in Vaticano, rientrano in patria.

Io sono in contatto con alcuni di questi, che rimangono molto, molto uniti al Vaticano, alla Chiesa.

A volte chiamano al telefono, inviano qualcosa; quando passano da Roma mi fanno visita.

È un bel contatto che ho.

E tutto questo è necessario perché le guardie possano svolgere il loro prezioso servizio nel modo più efficace e per il bene di tutti.

La cooperazione tra la vostra Fondazione e la Guardia Svizzera Pontificia è esemplare, perché dimostra che nessuna realtà può andare avanti da sola.

È importante collaborare.

Tutti dobbiamo aiutarci e sostenerci a vicenda e questo vale per voi, per le singole comunità, ma anche per la Chiesa intera.

Perciò vorrei cogliere l’occasione di questo incontro con voi per esprimervi la mia viva gratitudine per il generoso sostegno che avete elargito a favore della Guardia Svizzera Pontificia durante questi venticinque anni.

Grazie, grazie tante!E auspico che anche in futuro possiate proseguire il vostro apprezzato lavoro.

Vi chiedo di pregare per me e anch’io vi assicuro il mio ricordo per voi e per le vostre intenzioni.

Adesso volentieri vi darò la benedizione.

 

Alla Delegazione della Fondazione Cattolica (18 Gen 2025)
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Buongiorno e benvenuti!

Sono lieto di incontrarvi all’inizio di quest’anno, nel quale celebriamo il Giubileo della speranza.

Insieme, peregrinantes in spem: camminare come pellegrini nel mondo ci ricorda che non ne siamo padroni, bensì custodi.

Questo ci riguarda tutti: siamo chiamati a prenderci cura della casa comune che il Signore ci ha affidato, cioè a coltivarla e custodirla secondo una regola sapiente e rispettosa; custodire la nostra casa comune.

Il termine “economia” significa proprio questo: una saggia “gestione della casa”, gestire la propria casa, la casa comune, la casa sociale.

A tale proposito, la vostra Fondazione è attiva in molti ambiti sociali.

Ho appreso con piacere le iniziative di solidarietà, di sostegno al volontariato, di formazione culturale e professionale a cui vi dedicate.

Lodo soprattutto quelle a sostegno delle famiglie e dei giovani, in collaborazione con la diocesi di Verona.

L’intraprendenza e la generosità del vostro operato è coerente col nome della Fondazione che rappresentate: Cattolica.

Vi incoraggio perciò ad andare avanti facendo del bene sempre e a tutti.

Facendo non stiamo fermi; fare del bene, e a tutti, fare del bene a tutti.

Un bel programma di vita!

Fare del bene sempre, perché la costanza premia chi opera con fedeltà: lo sapete bene, nel campo delle assicurazioni.

Fare del bene a tutti, cominciando dai più bisognosi, secondo la dottrina sociale della Chiesa, che testimoniate in tante opere di beneficenza.

Non dimentichiamo che il denaro rende di più quando è investito a vantaggio del prossimo.

Questo è importante.

C’è una situazione molto brutta, adesso, sugli investimenti.

In alcuni Paesi gli investimenti che danno più reddito sono le fabbriche delle armi: investire per uccidere.

Sono pazzi! Questo non è a vantaggio della gente.

E quando si fa così, contro o fuori rispetto al vantaggio della gente, il denaro invecchia e appesantisce il cuore, rendendolo duro e sordo alla voce dei poveri.

La prima cosa da scartare per l’egoismo sono i poveri, è curioso questo.

Quando mettiamo la ricchezza a servizio della dignità dell’uomo, non possiamo che averne guadagno, sempre: promuovendo il bene comune, infatti, si migliorano i legami della società cui tutti partecipiamo.

Davanti alle emergenze educative e lavorative, vi esorto a rinnovare di continuo la vostra fiducia nella Provvidenza di Dio, che guida con amore la storia chiamandoci a costruire un futuro secondo giustizia.

Vi benedico di cuore.

E continuate a fare un bel lavoro, a farlo perché questo è seminare futuro, è seminare felicità, è seminare pace.

E pregate per me, non dimenticatevi, ma pregate a favore non contro! Grazie.

 

Alla Comunità del Seminario di Cordoba (Spagna) (17 Gen 2025)
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Caro fratello,
Cari seminaristi e formatori,

È per me una grande gioia darvi il benvenuto in questa casa, alla quale venite come pellegrini di speranza in questo Anno giubilare.

Nel viaggio della vita, la speranza la potremmo identificare come i segnali che ci stanno indicando il cammino.

Il primo segnale è la direzione : verso il cielo, verso l’incontro definitivo con Gesù.

Non nelle prime posizioni, non nei posti più comodi, quelli sono vicoli ciechi, dai quali, se abbiamo la sfortuna di imboccarli, dobbiamo uscire a marcia indietro con fatica e vergogna.

Il secondo segnale sono i pericoli nel cammino .

Voi venite da un luogo bellissimo che prende il nome da san Pelagio e occupa l’antico sito del campo dei martiri.

Come fece allora quel santo bambino, in mezzo al dolore di una guerra, della crudeltà più indegna dell’essere umano, armati dell’elmo della speranza, si può rendere testimonianza, si può perseverare nel cammino del Signore, convinti che Gesù vi sosterrà sempre e vi darà inoltre la forza di essere seminatori di speranza.

Il terzo segnale sono le aree di ristoro .

In questo cammino, che ora vi ha portati a Roma, per attraversare la Porta Santa e visitare le tombe degli Apostoli, abbiamo bisogno di essere sostenuti, di sentire la presenza di Colui che è la nostra unica speranza, Gesù.

Egli si presenta a noi come Maestro, come Signore, si dona a noi come cibo nella sua Parola e nell’Eucaristia, ci ripara quando foriamo in mezzo alla strada e ci accoglie quando la fatica ci vince e dobbiamo fermarci per fare una pausa.

Senza questa speranza, metterci in cammino sarebbe una follia, ma, confidando in Lui, non abbiamo dubbi che arriveremo al porto desiderato.

Tuttavia, non pensate mai che seminare speranza sia dire parole di cortesia od optare per un mieloso buonismo.

Questo cammino è il cammino di Gesù, che porta alla Gerusalemme celeste, passando per quella terrena, abbracciati alla croce, e sostenuti da una miriade di cirenei.

Un cammino in cui non si può avanzare da soli, ma in comunità, guidando, difendendo, assistendo e benedicendo coloro che il Signore ci ha lasciato come compito.

Che in tutto ciò Gesù vi sostenga e la Virgen de la Fuensanta vi custodisca.

_________________________________

L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXV n.

13, venerdì 17 gennaio 2025, p.

2.

Alla Comunità del Collegio Sacerdotale Argentino di Roma (16 Gen 2025)
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Cari sacerdoti, formatori,
signore e signori,

Oggi dovrei essere io ad accompagnarvi nella celebrazione della Santa Messa e nella cena.

Non occorre che vi dica che mi resta la voglia di una grigliata.

Ma, come ben sapete, l’essere pastori ci pone a volte davanti e a volte dietro, secondo i disegni di Colui che è Signore delle nostre vite.

In ogni caso, per non dimenticare gli odori della nostra terra, desidero commentarvi una cosa che ho letto da poco sul Cura Brochero e che mi sembra molto appropriato per voi, che continuate a prepararvi per affrontare l’ardua battaglia del Vangelo.

Ciò che vi riferirò di lui si riferisce alla sua anima sacerdotale, e il primo punto, essenziale, è l’affermazione fatta dai suoi amici che «Brochero non poteva essere altro che sacerdote».

Dobbiamo assumere con fermezza questa identità sacerdotale, permearci del fatto che la nostra vocazione non è un’appendice, un mezzo per altri fini, sebbene pii, come salvarci.

Assolutamente no.

La vocazione è il progetto di Dio nella nostra vita, ciò che Dio vede in noi, ciò che muove il suo sguardo di amore, oserei dire che in un certo modo è l’amore che Lui ha per noi ed è in questo che radica la nostra vera essenza.

E qui il santo Cura Brochero spiega che cosa significa abbracciare “la carriera ecclesiastica” — sapete che è un’espressione che non mi piace, ma che, come la intende Brochero, nel suo desiderio di morire correndo come il cavallo “chesche”, si avvicina di più a quella di san Paolo (cfr.

2 Tm 4, 7) —.

È, ci dice: «lavorare per il bene del prossimo fino all’ultimo [momento] della vita», il dono totale di sé stessi, l’offerta a Dio nel fratello, spendendosi e consumandosi per il Vangelo.

Parallelamente, «Lottare — continua il santo — con i nemici dell’anima, come i puma che combattono sdraiati quando in piedi non possono difendersi».

Ossia, prendersi cura della vita interiore, mantenere acceso il fuoco, con molta umiltà, “sdraiati” perché “in piedi” nella nostra superbia siamo più vulnerabili.

Un’altra nota importante è la fraternità sacerdotale.

In primo luogo con il vescovo, del quale [il sacerdote] si considera un semplice soldato, per emulare le gesta degli eroi [della patria], combattendo accanto a lui, fianco a fianco, fino all’ultima cartuccia.

E con i fratelli sacerdoti desidera condividere tutto ciò che ha, li invita a correggerlo con fiducia e lui lo fa con loro con franchezza, chiedendo loro di condurre una vita di profonda pietà, con una confessione frequente «sia con l’uno sia con l’altro», per condividere così tutta la vita, sia materiale sia spirituale e apostolica.

Infine, e come potrebbe essere altrimenti, l’Eucaristia.

Per quanto arduo fosse il suo compito, Brochero cercò di non tralasciarla mai, arrivando a passare gran parte della notte all’aperto, tra i campi di mais, in attesa che nel rancho, il capanno, si risvegliassero — perché non riteneva opportuno disturbare all’alba — per poter entrare a celebrare.

Quel sacrificato rispetto per il mistero che, lungi da imposizioni, penetrava più di mille parole di stucchevole eloquenza.

Che Gesù vi benedica e la Vergine Santa vi custodisca.

E, dinanzi al Signore sull’altare non vi dimenticate di pregare per me.

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L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXV n.

12, giovedì 16 gennaio 2025, p.

2.

Ai membri della Delegazione proveniente dall’Albania guidata da Sua Grazia Dede Edmond Brahimaj (16 Gen 2025)
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Caro fratello, Haxhi Baba Edmond Brahimaj,
Eccellenze,
cari amici,

do un cordiale benvenuto a questa distinta Delegazione proveniente dall’Albania, e in particolare dalla Comunità Bektashi, e ringrazio il Dicastero per il Dialogo Interreligioso per aver reso possibile questo incontro.

Ogni volta che dei leader religiosi si riuniscono in spirito di mutua stima e si impegnano in favore della cultura dell’incontro, attraverso il dialogo, la comprensione reciproca e la cooperazione, si rinnova e si conferma la nostra speranza in un mondo migliore e più giusto.

Quanto il nostro tempo ha bisogno di tale speranza!

Le relazioni di amicizia tra la Chiesa Cattolica, l’Albania e la Comunità Bektashi sono un bene per tutti noi, e nutro la fiducia che questi legami si rafforzeranno sempre più a servizio della fraternità e della convivenza pacifica tra i popoli.

In questi tempi difficili, tutti siamo chiamati a rifiutare la logica della violenza e della discordia, per abbracciare quella dell’incontro, dell’amicizia e della collaborazione nella ricerca del bene comune.

Di fatto, le nostre convinzioni religiose ci aiutano ad abbracciare più chiaramente questi valori fondamentali, propri della nostra comune umanità, «permettendo all’insieme delle diverse voci di formare un nobile e armonico canto» (Lett.

enc. Fratelli tutti, 283).

In proposito, penso con gratitudine ai molti momenti di incontro fraterno che hanno avuto luogo tra la comunità Bektashi e la Chiesa Cattolica, come la Preghiera per la pace nei Balcani del 1993 e la Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace di Assisi del 2011.

L’inaugurazione del Tempio Bektashi di Tirana, nel 2015, è stata un momento particolarmente fecondo di vicinanza e amicizia.

Sono convinto che la Comunità Bektashi, assieme agli altri musulmani, ai cristiani e a tutti gli altri credenti presenti in Albania, possa servire da ponte di riconciliazione e arricchimento reciproco non solo all’interno del vostro Paese, ma anche tra Oriente e Occidente.

Nonostante le sfide del presente, il dialogo interreligioso ha un ruolo unico nella costruzione di un futuro di riconciliazione, giustizia e pace che i popoli del mondo, e specialmente i giovani, tanto ardentemente desiderano.

Cari amici, vi assicuro le mie preghiere e la mia benedizione per il vostro importante lavoro e per tutto l’amato Popolo albanese.

E chiedo anche a voi, per favore, di pregare per me.

Grazie.

Udienza Generale del 15 Gen 2025 - Catechesi. I più amati dal Padre. 2
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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


Catechesi.

I più amati dal Padre.

2

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nell’udienza precedente abbiamo parlato dei bambini, e anche oggi parleremo dei bambini.

La scorsa settimana ci siamo soffermati su quanto, nella sua opera, Gesù abbia più volte parlato dell’importanza di proteggere, accogliere e amare i più piccoli.

Eppure, ancora oggi nel mondo, centinaia di milioni di minori, pur non avendo l’età minima per sottostare agli obblighi dell’età adulta, sono costretti a lavorare e molti di loro sono esposti a lavori particolarmente pericolosi.

Per non parlare dei bambini e delle bambine che sono schiavi della tratta per prostituzione o pornografia, e dei matrimoni forzati.

E questo è un po’ amaro.

Nelle nostre società, purtroppo, sono molti i modi in cui i bambini subiscono abusi e maltrattamenti.

L’abuso sui minori, di qualunque natura esso sia, è un atto spregevole, è un atto atroce.

Non è semplicemente una piaga della società, no, è un crimine! È una gravissima violazione dei comandamenti di Dio.

Nessun minore dovrebbe subire abusi.

Anche un solo caso è già troppo.

Occorre, dunque, risvegliare le nostre coscienze, praticare vicinanza e concreta solidarietà con i bambini e i ragazzi abusati, e nello stesso tempo costruire fiducia e sinergie tra coloro che si impegnano per offrire ad essi opportunità e luoghi sicuri in cui crescere sereni.

Conosco un Paese in America Latina, dove cresce un frutto speciale, molto speciale, che si chiama arandano [una specie di mirtillo].

Per fare la raccolta dell’arandano ci vogliono mani tenere e la fanno fare ai bambini, li schiavizzano da bambini per la raccolta.

Le povertà diffuse, la carenza di strumenti sociali di supporto alle famiglie, la marginalità aumentata negli ultimi anni insieme con la disoccupazione e la precarietà del lavoro sono fattori che scaricano sui più piccoli il prezzo maggiore da pagare.

Nelle metropoli, dove “mordono” il divario sociale e il degrado morale, ci sono ragazzini impiegati nello spaccio di droga e nelle più disparate attività illecite.

Quanti di questi ragazzini abbiamo visto cadere come vittime sacrificali! A volte tragicamente essi sono indotti a farsi “carnefici” di altri coetanei, oltre che a danneggiare sé stessi, la propria dignità e umanità.

E tuttavia, quando in strada, nel quartiere della parrocchia, queste vite smarrite si offrono al nostro sguardo, spesso guardiamo dall’altra parte.

C’è un caso anche nel mio Paese, un ragazzo chiamato Loan è stato rapito e non si sa dov’è.

E una delle ipotesi è che sia stato mandato per togliere gli organi, per fare trapianti.

E questo si fa, lo sapete bene.

Questo si fa! Alcuni tornano con la cicatrice, altri muoiono.

Per questo io vorrei oggi ricordare questo ragazzo Loan.

Ci costa riconoscere l’ingiustizia sociale che spinge due bambini, magari abitanti dello stesso rione o condominio, a imboccare strade e destini diametralmente opposti, perché uno dei due è nato in una famiglia svantaggiata.

Una frattura umana e sociale inaccettabile: tra chi può sognare e chi deve soccombere.

Ma Gesù ci vuole tutti liberi, felici; e se ama ogni uomo e ogni donna come suo figlio e figlia, ama i più piccoli con tutta la tenerezza del suo cuore.

Perciò ci chiede di fermarci e di prestare ascolto alla sofferenza di chi non ha voce, di chi non ha istruzione.

Combattere lo sfruttamento, in particolare quello minorile, è la strada maestra per costruire un futuro migliore per tutta la società.

Alcuni Paesi hanno avuto la saggezza di scrivere i diritti dei bambini.

I bambini hanno diritti.

Cercate voi stessi su internet quali sono i diritti del bambino.

E allora possiamo chiederci: io cosa posso fare? Prima di tutto dovremmo riconoscere che, se vogliamo sradicare il lavoro minorile, non possiamo esserne complici.

E quando lo siamo? Ad esempio quando acquistiamo prodotti che impiegano il lavoro dei bambini.

Come posso mangiare e vestirmi sapendo che dietro quel cibo o quegli abiti ci sono bambini sfruttati, che lavorano invece di andare a scuola? La consapevolezza su quello che acquistiamo è un primo atto per non essere complici.

Vedere da dove vengono quei prodotti.

Qualcuno dirà che, come singoli, non possiamo fare molto.

È vero, ma ciascuno può essere una goccia che, insieme a tante altre gocce, può diventare un mare.

Occorre però richiamare anche le istituzioni, comprese quelle ecclesiali, e le imprese alla loro responsabilità: possono fare la differenza spostando i loro investimenti verso compagnie che non usano e non permettono il lavoro minorile.

Molti Stati e Organizzazioni Internazionali hanno già emanato leggi e direttive contro il lavoro minorile, ma si può fare di più.

Esorto anche i giornalisti – ci sono qui alcuni giornalisti – a fare la loro parte: possono contribuire a far conoscere il problema e aiutare a trovare soluzioni.

Non abbiate paura, denunciate, denunciate queste cose.

E ringrazio tutti coloro che non si voltano dall’altra parte quando vedono bambini costretti a diventare adulti troppo presto.

Ricordiamo sempre le parole di Gesù: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Santa Teresa di Calcutta, gioiosa operaia nella vigna del Signore, è stata madre delle bambine e dei bambini tra i più disagiati e dimenticati.

Con la tenerezza e l’attenzione del suo sguardo, lei può accompagnarci a vedere i piccoli invisibili, i troppi schiavi di un mondo che non possiamo lasciare alle sue ingiustizie.

Perché la felicità dei più deboli costruisce la pace di tutti.

E con Madre Teresa diamo voce ai bambini:

«Chiedo un luogo sicuro
dove posso giocare.
Chiedo un sorriso
di chi sa amare.
Chiedo il diritto di essere un bambino,
di essere speranza
di un mondo migliore.
Chiedo di poter crescere
come persona.
Posso contare su di te?» (S.

Teresa di Calcutta)

Grazie.

____________________________

Saluti

Je salue cordialement les personnes de langue française, en particulier le groupe de pèlerins de Rouen, le pèlerinage diocésain d’Evreux, et le presbyterium de Tours.  Que le Christ nous enseigne à reconnaitre dans chaque petit un trésor à accueillir et à protéger.

Puissions-nous changer notre monde malheureusement cupide en une société plus humaine et plus fraternelle.

Que Dieu vous bénisse.

[Saluto cordialmente le persone di lingua francese, in particolare il gruppo di pellegrini di Rouen, il pellegrinaggio diocesano di Evreux e il presbiterio di Tours.

Cristo ci insegni a riconoscere in ogni piccolo un tesoro da accogliere e proteggere.

Possiamo trasformare il nostro mondo, purtroppo avido, in una società più umana e più fraterna.

Dio vi benedica.]

I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially those coming from South Korea and the United States.

With fervent prayers that the present Jubilee of Hope be a time of grace and spiritual renewal for you and your families, I invoke upon all of you the joy and peace of the Lord Jesus!

[Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Sud Corea e Stati Uniti.

Con fervidi auguri che questo Giubileo della Speranza sia per voi e per le vostre famiglie un tempo di grazia e di rinnovamento spirituale, invoco su voi tutti la gioia e la pace del Signore Gesù.]

Liebe Brüder und Schwestern, erinnern wir uns daran, dass wir durch die Taufe zu Kindern Gottes geworden sind.

Wenden wir uns also mit erneuertem Vertrauen an den himmlischen Vater.

Wenn wir auf ihn unsere Hoffnung setzen, werden wir nicht enttäuscht werden.

[Cari fratelli e sorelle, ricordiamoci che mediante il battesimo siamo tutti diventati figli di Dio.

Rivolgiamoci dunque con rinnovata fiducia al Padre celeste.

Sperando in Lui, non saremo mai delusi.]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

Pidamos a Jesús, por intercesión de los santos que dedicaron su vida al servicio de los más pequeños, que nos ayude a ser coherentes y valientes testigos del Evangelio.

Que el Señor los bendiga y la Virgen los cuide.

Muchas gracias.

我向讲中文的人们致以诚挚的问候。亲爱的弟兄姐妹们,祝愿你们和你们的家庭和睦相处、生活安宁,我降福大家!

[Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua cinese.

Cari fratelli e sorelle, auguro a voi e alle vostre famiglie di vivere nella concordia e nella serenità.

A tutti la mia benedizione!]

Saúdo os peregrinos de língua portuguesa presentes na audiência de hoje.

Como Jesus em Nazaré, todas as crianças têm o direito de crescer tranquilas e felizes, distantes de qualquer violência e precariedade.

Trabalhemos em conjunto para que, nas nossas sociedades, encontrem lugares seguros e adequados ao seu desenvolvimento.

Que Nossa Senhora e São José vos protejam!

[Saluto i pellegrini di lingua portoghese presenti all’odierna udienza.

Come Gesù a Nazareth, tutti i bambini hanno il diritto di crescere sereni e felici, lontani da ogni violenza e precarietà.

Lavoriamo insieme affinché trovino, nelle nostre società, luoghi sicuri e adatti al loro sviluppo.

La Madonna e San Giuseppe vi custodiscano!]

أُحيِّي المُؤْمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العَرَبِيَّة.

المسيحيُّ مدعُوٌّ إلى أنْ يَهتَمَّ بالصِّغار، ويَمنَحَهُم حياةً هادِئَةً مُطمَئِنَّةً وخالِيَةً مِن أيِّ شكلٍ مِن أشكالِ الاستِغلال.

بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِنْ كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba.

Il cristiano è chiamato a prendersi cura dei più piccoli, a dar loro una vita serena e libera da ogni forma di sfruttamento.

Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

Pozdrawiam Polaków.

Dziękuję małym Kolędnikom Misyjnym, którzy w tych dniach kolędują po waszych domach, by zebrać pomoc dla ubogich dzieci w krajach misyjnych.

Dobrze kolędują i ładnie proszą, gratulacje! Dzięki temu zaangażowaniu, wielu waszych rówieśników, także w krajach ogarniętych wojną, ma szansę otrzymać posiłek, naukę i pomoc medyczną.

Z serca wam błogosławię!

[Un saluto ai polacchi.

Vorrei ringraziare i piccoli Cantori Missionari che, in questi giorni cantando brani natalizi passano di casa in casa per raccogliere fondi per i bambini poveri dei Paesi di missione.

Cantano bene e chiedono bene, complimenti! Grazie a questo impegno, molti vostri coetanei, anche nei Paesi in guerra, hanno la possibilità di avere un pasto, istruzione e assistenza medica.

Vi benedico di cuore!]

* * *

L’altro ieri una frana ha travolto diverse abitazioni nell’area mineraria nello stato di Kachin in Myanmar, provocando vittime, dispersi e ingenti danni.

Sono vicino alla popolazione colpita da questa sciagura e prego per quanti hanno perso la vita e per i loro familiari.

Non manchi a questi nostri fratelli e sorelle che sono nella prova il sostegno e la solidarietà della comunità internazionale.

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, saluto i fedeli della diocesi di Acqui Terme, la Comunità Magnificat Dominum e la parrocchia di Lungavilla.

Accolgo con affetto gli alunni e i docenti della Scuola cattolica paritaria “Highlands Institute” di Roma.

Fate chiasso voi!

E non dimentichiamo la martoriata Ucraina, il Myanmar, la Palestina, Israele, e tanti Paesi che sono in guerra.

Preghiamo per la pace.

La guerra sempre è una sconfitta! E per favore, preghiamo anche per la conversione del cuore dei fabbricanti di armi, perché con il loro prodotto aiutano a uccidere.

Vorrei ringraziare il circo che adesso tornerà per la foto finale.

Il lavoro del circo è un lavoro umano, è un lavoro d’arte, un lavoro di tanto sforzo.

Quando torneranno gli facciamo un bell’applauso!

Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati, agli anziani e agli sposi novelli.

Incoraggio ciascuno a testimoniare con generosità la fede in Cristo, che illumina il cammino della vita.

A tutti la mia benedizione!

Ai Presidenti e Direttori nazionali della Caritas di Latinoameri­ca e dei Caraibi (15 Gen 2025)
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Cari fratelli nell’episcopato,
stimati direttori nazionali
delle Caritas dell’America Latina e dei Caraibi,
signore e signori,

È per me un’enorme soddisfazione ricevervi oggi qui, in quello che è il secondo corso di formazione promosso dalle Caritas dell’America Latina e dei Caraibi.

Lo è perché presuppone il consolidamento di processi che mirano a creare questa cultura della cura che abbiamo voluto chiamare “salvaguardia”.

Nel dizionario della Reale Accademia della Lingua Spagnola questo termine è definito come “custodia, difesa, tutela”, e immagino che tutti voi pensiate a questi concetti quando se ne parla.

Accanto a questa accezione, ne appare però un’altra che ha richiamato fortemente la mia attenzione: «segnale che, in tempo di guerra, su ordine dei comandanti militari, si mette all’entrata dei paesi o alle porte delle case affinché i propri soldati non li danneggino».

Come suppongo sia accaduto anche a voi, mi sono venuti subito in mente i testi del profeta Ezechiele (9,4) e dell’Apocalisse (7,3).

Il Signore chiede al suo angelo: «segna un tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono».

Il Signore chiede a noi, suoi inviati, suoi angeli nel senso di missione, benché non di purezza, di mettere il segno della sua croce benedetta sulla fronte di tutti coloro che vengono nelle nostre Caritas, sospirando e piangendo per le tante ingiustizie, persino abomini, perpetrati contro di loro.

Mettere “virtualmente” questo segno su ogni assistito, su ogni professionista, su ogni essere umano che incontriamo, è riconoscere in lui la sua dignità di fratello in Cristo, di redento dal sangue del Salvatore, è vedere in lui la piaga aperta del Redentore che ci offre la sua mano tesa affinché riconosciamo il mistero della sua incarnazione.

È anche fare proprio l’imperativo ineludibile del Signore che ci ordina: «Non toccate i miei consacrati» (Sal 105,15).

In tal senso la salvaguardia è un termine divino, è Cristo stesso scritto sulla fronte di ogni uomo e di ogni donna e, come in uno specchio, nel cuore di noi che, nella nostra fragilità, vogliamo essere portatori del suo amore, con piccoli gesti di carità e di cura.

Che Gesù premi tutti i vostri sforzi, che lo Spirito Santo guidi i vostri lavori e che la Vergine Santa vi copra con il suo mantello, affinché impariate da lei a portare la cura e la salvaguardia a tutti gli uomini.

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L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXV n.

11, mercoledì 15 gennaio 2025, p.

4.

XXXIIII Giornata Mondiale del Malato, 2025
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«La speranza non delude» (Rm 5,5)
e ci rende forti nella tribolazione

 

Cari fratelli e sorelle!

Celebriamo la XXXIII Giornata Mondiale del Malato nell’Anno Giubilare 2025, in cui la Chiesa ci invita a farci “pellegrini di speranza”.

In questo ci accompagna la Parola di Dio che, attraverso San Paolo, ci dona un messaggio di grande incoraggiamento: «La speranza non delude» (Rm 5,5), anzi, ci rende forti nella tribolazione.

Sono espressioni consolanti, che però possono suscitare, specialmente in chi soffre, alcune domande.

Ad esempio: come rimanere forti, quando siamo toccati nella carne da malattie gravi, invalidanti, che magari richiedono cure i cui costi sono al di là delle nostre possibilità? Come farlo quando, oltre alla nostra sofferenza, vediamo quella di chi ci vuole bene e, pur standoci vicino, si sente impotente ad aiutarci? In tutte queste circostanze sentiamo il bisogno di un sostegno più grande di noi: ci serve l’aiuto di Dio, della sua grazia, della sua Provvidenza, di quella forza che è dono del suo Spirito (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1808).

Fermiamoci allora un momento a riflettere sulla presenza di Dio vicino a chi soffre, in particolare sotto tre aspetti che la caratterizzano: l’incontro, il dono e la condivisione.

1.

L’incontro.

Gesù, quando invia in missione i settantadue discepoli (cfr Lc 10,1-9), li esorta a dire ai malati: «È vicino a voi il regno di Dio» (v.

9).

Chiede, cioè, di aiutare a cogliere anche nell’infermità, per quanto dolorosa e difficile da comprendere, un’opportunità d’incontro con il Signore.

Nel tempo della malattia, infatti, se da una parte sentiamo tutta la nostra fragilità di creature – fisica, psicologica e spirituale –, dall’altra facciamo esperienza della vicinanza e della compassione di Dio, che in Gesù ha condiviso le nostre sofferenze.

Egli non ci abbandona e spesso ci sorprende col dono di una tenacia che non avremmo mai pensato di avere, e che da soli non avremmo mai trovato.

La malattia allora diventa l’occasione di un incontro che ci cambia, la scoperta di una roccia incrollabile a cui scopriamo di poterci ancorare per affrontare le tempeste della vita: un’esperienza che, pur nel sacrificio, ci rende più forti, perché più consapevoli di non essere soli.

Per questo si dice che il dolore porta sempre con sé un mistero di salvezza, perché fa sperimentare vicina e reale la consolazione che viene da Dio, fino a «conoscere la pienezza del Vangelo con tutte le sue promesse e la sua vita» (S.

Giovanni Paolo II, Discorso ai giovani, New Orleans, 12 settembre 1987).

2.

E questo ci porta al secondo spunto di riflessione: il dono.

Mai come nella sofferenza, infatti, ci si rende conto che ogni speranza viene dal Signore, e che quindi è prima di tutto un dono da accogliere e da coltivare, rimanendo «fedeli alla fedeltà di Dio», secondo la bella espressione di Madeleine Delbrêl (cfr La speranza è una luce nella notte, Città del Vaticano 2024, Prefazione).

Del resto, solo nella risurrezione di Cristo ogni nostro destino trova il suo posto nell’orizzonte infinito dell’eternità.

Solo dalla sua Pasqua ci viene la certezza che nulla, «né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio» (Rm 8,38-39).

E da questa “grande speranza” deriva ogni altro spiraglio di luce con cui superare le prove e gli ostacoli della vita (cfr Benedetto XVI, Lett.

enc.

Spe salvi, 27.31).

Non solo, ma il Risorto cammina anche con noi, facendosi nostro compagno di viaggio, come per i discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-53).

Come loro, anche noi possiamo condividere con Lui il nostro smarrimento, le nostre preoccupazioni e le nostre delusioni, possiamo ascoltare la sua Parola che ci illumina e infiamma il cuore e riconoscerlo presente nello spezzare del Pane, cogliendo nel suo stare con noi, pur nei limiti del presente, quell’“oltre” che facendosi vicino ci ridona coraggio e fiducia.

3.

E veniamo così al terzo aspetto, quello della condivisione.

I luoghi in cui si soffre sono spesso luoghi di condivisione, in cui ci si arricchisce a vicenda.

Quante volte, al capezzale di un malato, si impara a sperare! Quante volte, stando vicino a chi soffre, si impara a credere! Quante volte, chinandosi su chi è nel bisogno, si scopre l’amore! Ci si rende conto, cioè, di essere “angeli” di speranza, messaggeri di Dio, gli uni per gli altri, tutti insieme: malati, medici, infermieri, familiari, amici, sacerdoti, religiosi e religiose; là dove siamo: nelle famiglie, negli ambulatori, nelle case di cura, negli ospedali e nelle cliniche.

Ed è importante saper cogliere la bellezza e la portata di questi incontri di grazia e imparare ad annotarseli nell’anima per non dimenticarli: conservare nel cuore il sorriso gentile di un operatore sanitario, lo sguardo grato e fiducioso di un paziente, il volto comprensivo e premuroso di un dottore o di un volontario, quello pieno di attesa e di trepidazione di un coniuge, di un figlio, di un nipote, o di un amico caro.

Sono tutte luci di cui fare tesoro che, pur nel buio della prova, non solo danno forza, ma insegnano il gusto vero della vita, nell’amore e nella prossimità (cfr Lc 10,25-37).

Cari malati, cari fratelli e sorelle che prestate la vostra assistenza ai sofferenti, in questo Giubileo voi avete più che mai un ruolo speciale.

Il vostro camminare insieme, infatti, è un segno per tutti, «un inno alla dignità umana, un canto di speranza» (Bolla Spes non confundit, 11), la cui voce va ben oltre le stanze e i letti dei luoghi di cura in cui vi trovate, stimolando e incoraggiando nella carità «la coralità della società intera» (ibid.), in una armonia a volte difficile da realizzare, ma proprio per questo dolcissima e forte, capace di portare luce e calore là dove più ce n’è bisogno.

Tutta la Chiesa vi ringrazia per questo! Anch’io lo faccio e prego per voi affidandovi a Maria, Salute degli infermi, attraverso le parole con cui tanti fratelli e sorelle si sono rivolti a Lei nel bisogno:

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio.
Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova,
e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.

Vi benedico, assieme alle vostre famiglie e ai vostri cari, e vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me.

Roma, San Giovanni in Laterano, 14 gennaio 2025

 

FRANCESCO

Messaggio del Santo Padre al World Economic Forum 2025 (14 Gen 2025)
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Il tema dell’incontro di quest’anno del Forum economico mondiale, “Collaboration for the Intelligent Age”, offre una buona opportunità per riflettere sull’Intelligenza Artificiale come strumento non solo di cooperazione, ma anche per fare riunire i popoli.

La tradizione cristiana considera il dono dell’intelligenza come un aspetto fondamentale della persona umana creata “a immagine di Dio”.

Al tempo stesso, la Chiesa cattolica è sempre stata protagonista e sostenitrice del progresso della scienza, della tecnologia, delle arti e di altre forme di impresa umana, considerandoli ambiti di «collaborazione dell’uomo e della donna con Dio nel portare a perfezione la creazione visibile» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 378).

L’IA è concepita per imitare l’intelligenza umana che l’ha progettata, suscitando così una serie unica di interrogativi e di sfide.

Diversamente da molte altre invenzioni umane, l’IA è addestrata sui risultati della creatività umana, il che le permette di generare nuovi artefatti con un grado di abilità e una velocità che spesso emulano o superano le capacità umane, suscitando importanti preoccupazioni riguardo al suo impatto sul ruolo dell’umanità nel mondo.

Inoltre, i risultati che l’IA è in grado di conseguire sono quasi indistinguibili da quelli degli esseri umani, sollevando domande riguardo al suo effetto sulla crescente crisi di verità nel forum pubblico.

Inoltre, questa tecnologia è progettata per apprendere e compiere determinate scelte in autonomia, adattandosi a nuove situazioni e fornendo risposte non previste dai suoi programmatori, sollevando quindi importanti interrogativi relativi alla responsabilità etica, la sicurezza umana e le implicazioni più ampie di tali sviluppi per la società.

Mentre L’IA è un conseguimento tecnologico straordinario capace di imitare determinati output associati all’intelligenza umana, questa tecnologia fa «una scelta tecnica tra più possibilità e si basa o su criteri ben definiti o su inferenze statistiche.

L’essere umano, invece, non solo sceglie, ma in cuor suo è capace di decidere» (Discorso alla Sessione del G7 sull’Intelligenza Artificiale, Borgo Egnazia [Puglia], 14 giugno 2024).

Di fatto, l’uso stesso della parola “intelligenza” collegato all’IA è inappropriato, poiché l’IA non è una forma artificiale di intelligenza umana bensì un suo prodotto.

Se usata correttamente, l’IA aiuta la persona umana a realizzare la sua vocazione, in libertà e responsabilità.

Come ogni altra attività umana e ogni sviluppo tecnologico, l’IA deve essere ordinata alla persona umana e diventare parte degli sforzi per conseguire «una maggiore giustizia, una più estesa fraternità e un ordine più umano dei rapporti sociali», che hanno «più valore dei progressi in campo tecnico» (Gaudium et spes, n.

35; cfr.

Catechismo della Chiesa Cattolica, 2293).

Esiste però il pericolo che l’IA venga usata per promuovere il “paradigma tecnocratico”, secondo il quale tutti i problemi del mondo possono essere risolti con i soli mezzi tecnologici.

In questo paradigma, la dignità e la fraternità umana sono spesso subordinate alla ricerca dell’efficienza, come se la realtà, la bontà e la verità emanassero intrinsecamente dal potere tecnologico ed economico.

Tuttavia, la dignità umana non deve mai essere violata a favore dell’effi - cienza.

Gli sviluppi tecnologici che non migliorano la vita di tutti, ma che invece creano o aumentano disuguaglianze e conflitti, non possono essere definiti vero progresso.

Perciò l’IA deve essere messa al servizio di uno sviluppo più sano, più umano, più sociale e più integrale.

Il progresso contrassegnato dalla nascita dell’IA esige una riscoperta dell’importanza della comunità e un rinnovato impegno a prendersi cura dalla casa comune che ci è stata affidata da Dio.

Per gestire le complessità dell’IA, i governi e le aziende devono esercitare la dovuta diligenza e vigilanza.

Devono valutare in modo critico le singole applicazioni dell’IA in particolari contesti al fine di determinare se l’uso della stessa promuove la dignità umana, la vocazione della persona umana e il bene comune.

Come accade per molte tecnologie, gli effetti dei diversi usi dell’IA possono non essere sempre prevedibili dal principio.

Man mano che l’applicazione dell’IA e il suo impatto sociale diventano più evidenti nel tempo, occorre adottare risposte adeguate a tutti i livelli della società, secondo il principio di sussidiarietà, con singoli utilizzatori, famiglie, società civile, aziende, istituzioni, governi e organizzazioni internazionali che si adoperano al livello a loro proprio per assicurare che l’IA sia volta al bene di tutti.

Oggi ci sono importanti sfide e opportunità laddove l’IA viene posta in un quadro di intelligenza relazionale, dove ognuno condivide la responsabilità per il benessere integrale degli altri.

Con questi sentimenti offro i miei oranti buoni auspici per le deliberazioni del Forum e invoco volentieri su tutti i partecipanti un’abbondanza di benedizioni divine.

Dal Vaticano, 14 gennaio 2025

FRANCESCO

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L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXV n.

18, giovedì 23 gennaio 2025, p.

5.

Alla Delegazione Buddista della Mongolia (13 Gen 2025)
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Cari amici,

sono molto lieto di salutare tutti voi, in particolare il Venerabile D.

Javzandorj, Abate del Monastero Gandantegchinlen di Ulaanbaatar, insieme a Sua Eminenza il Cardinale Giorgio Marengo, Prefetto Apostolico di Ulaanbaatar.

La vostra prima visita in Vaticano riveste un significato particolare, perché riflette i rapporti amichevoli e duraturi tra la Santa Sede e il nobile Popolo della Mongolia, amicizia che ho avuto il privilegio di sperimentare durante il mio Viaggio Apostolico nel vostro Paese nel 2023.

Uno dei momenti culminanti di quella visita è stato l'Incontro Interreligioso, in cui abbiamo riflettuto sul profondo anelito spirituale proprio di tutti gli uomini e donne, che possiamo paragonare a una grande unione di fratelli e sorelle che camminano nella vita con gli occhi rivolti al cielo.

Oggi perciò vi do il benvenuto «come fratello di tutti voi, in nome della comune ricerca religiosa» (Discorso per l’Incontro Ecumenico e Interreligioso, Ulaanbaatar, 3 settembre 2023).

A partire dagli anni novanta, il vostro Paese ha attraversato un profondo rinnovamento religioso, per il quale lodo la vostra dedizione e il vostro contributo.

Facendo rivivere le pratiche spirituali tradizionali e integrandole nello sviluppo della nazione, la Mongolia ha recuperato il suo ricco patrimonio religioso, dimostrando al tempo stesso il suo sforzo per una riuscita transizione democratica.

Inoltre il vostro impegno a favore della libertà religiosa e del dialogo tra le differenti confessioni ha coltivato un ambiente di rispetto reciproco per tutte le tradizioni, favorendo una società arricchita non solo dalla prosperità materiale, ma anche da valori essenziali alla solidarietà fraterna.

Promuovendo questi valori, le religioni svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione di una società giusta e coesa.

La vostra visita si svolge all'inizio di quest’Anno Giubilare, che nella tradizione cristiana è un tempo di pellegrinaggio, riconciliazione e speranza.

In un contesto segnato da disastri naturali e conflitti umani, quest’Anno Santo ci richiama all’obiettivo condiviso di costruire un mondo più pacifico, che promuova l’armonia tra i popoli e nei confronti della nostra “casa comune”.

Il desiderio universale della pace sfida tutti noi ad agire concretamente: in particolare, come leader religiosi radicati nei nostri rispettivi insegnamenti, abbiamo la responsabilità di orientare l’umanità a rinunciare alla violenza e ad abbracciare una cultura di pace.

Auspico che il vostro soggiorno a Roma sia piacevole e arricchente e che il vostro incontro con il Dicastero per il Dialogo Interreligioso costituisca un'opportunità per approfondire la cooperazione nel promuovere una società fondata sul dialogo, sulla fraternità, sulla libertà religiosa, sulla giustizia e sull’armonia sociale.

Vi incoraggio a perseverare nel promuovere questi principi e nel rafforzare le relazioni con la Chiesa Cattolica in Mongolia, per il bene della pace e della prosperità di tutti.

A voi e a tutti coloro che rappresentate nei Monasteri Buddisti della Mongolia estendo nella preghiera i miei migliori auguri.

Possiate rimanere saldi nel vostro impegno, attivi nella compassione e gioiosi nella speranza.

Grazie!

 


 

Angelus, 12 Gen 2025, Festa del Battesimo del Signore
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Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

La festa del Battesimo di Gesù, che oggi celebriamo, ci fa pensare a tante cose, anche al nostro Battesimo.

Gesù si unisce al suo popolo, che va a ricevere il battesimo per il perdono dei peccati.

Mi piace ricordare le parole di un inno della liturgia di oggi: Gesù va a farsi battezzare da Giovanni “con l’anima nuda e i piedi nudi”.

E quando Gesù riceve il battesimo si manifesta lo Spirito e avviene l’Epifania di Dio, che rivela il suo volto nel Figlio e fa sentire la sua voce che dice: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (v.

22).

Il volto e la voce.

Prima di tutto il volto.

Nel rivelarsi Padre attraverso il Figlio, Dio stabilisce un luogo privilegiato per entrare in dialogo e in comunione con l’umanità.

È il volto del Figlio amato.

In secondo luogo la voce: «Tu sei il Figlio mio, l’amato» (v.

22).

È questo un altro segno che accompagna la rivelazione di Gesù.

Cari fratelli e sorelle, la festa di oggi ci fa contemplare il volto e la voce di Dio, che si manifestano nell’umanità di Gesù.

E allora chiediamoci: ci sentiamo amati? Io mi sento amato e accompagnato da Dio o penso che Dio è distante da me? Siamo capaci di riconoscere il suo volto in Gesù e nei fratelli? E siamo abituati ad ascoltare la sua voce?

Vi faccio una domanda: ognuno di noi ricorda la data del suo Battesimo? Questo è molto importante! Pensa: in quale giorno io sono stato battezzato o battezzata? E se non lo ricordiamo, arrivando a casa, chiediamo ai genitori, ai padrini la data del Battesimo.

E festeggiamo la data come un nuovo compleanno: quella della nascita nello Spirito di Dio.

Non dimenticatevi! Questo è un lavoro da fare a casa: la data del mio Battesimo.

Affidiamoci alla Vergine Maria, invocando da Lei l’aiuto.

E non dimenticatevi la data del Battesimo!

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Dopo l'Angelus

Sono vicino agli abitanti della Contea di Los Angeles, California, dove nei giorni scorsi sono divampati incendi devastanti.

Prego per tutti voi.

Questa mattina ho avuto la gioia di battezzare alcuni neonati, figli di dipendenti della Santa Sede e della Guardia Svizzera.

Preghiamo per loro, per le loro famiglie.

E vorrei chiedere al Signore, per tutte le giovani coppie, che abbiano la gioia di accogliere il dono dei figli e di portarli al Battesimo.

Nella Basilica di San Giovanni in Laterano, stamani è stato beatificato Don Giovanni Merlini, sacerdote dei Missionari del Preziosissimo Sangue.

Dedito alle missioni al popolo, fu consigliere prudente di tante anime e messaggero di pace.

Invochiamo anche la sua intercessione mentre preghiamo per la pace in Ucraina, in Medio Oriente e nel mondo intero.

Un applauso al nuovo Beato!

Saluto tutti voi, romani e pellegrini, in particolare gli studenti di Olivenza, in Spagna, e i membri della Famiglia dei Discepoli con i laici che lavorano nelle case dell’Opera di Padre Semeria e Padre Minozzi.

E non tralasciamo di pregare per la pace.

Non dimentichiamo che la guerra sempre è una sconfitta.

A tutti auguro una buona domenica.

E per favore non dimenticatevi di pregare per me.

Buon pranzo e arrivederci!

Battesimo del Signore – Santa Messa e Battesimo di alcuni bambini (12 Gen 2025)
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All’inizio della celebrazione:

È importante che i bambini si sentano bene.

Se hanno fame, allattateli, che non piangano.

Se hanno troppo caldo, cambiateli… Ma che si sentano a loro agio, perché oggi comandano loro e noi dobbiamo servirli col Sacramento, con le preghiere.

Adesso incominciamo questa cerimonia tutti insieme.

Oggi, ognuno di voi, genitori, e la Chiesa stessa date il dono più grande, più grande: il dono della fede ai bambini.

Andiamo avanti, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

 

Al posto dell’omelia:

Continuiamo questa cerimonia del Battesimo dei vostri figli.

Chiediamo al Signore che loro crescano nella fede una vera umanità, nella gioia della famiglia.

E adesso continuiamo.

 

Udienza Giubilare: Sperare è ricominciare – Giovanni Battista (11 Gen 2025)
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Sperare è ricominciare – Giovanni Battista

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Molti di voi si trovano qui, a Roma, come “pellegrini di speranza”.

Iniziamo questa mattina le udienze giubilari del sabato, che vogliono idealmente accogliere e abbracciare tutti coloro che da ogni parte del mondo vengono a cercare un nuovo inizio.

Il Giubileo, infatti, è un nuovo inizio, la possibilità per tutti di ripartire da Dio.

Col Giubileo si incomincia una nuova vita, una nuova tappa.

In questi sabati vorrei evidenziare, di volta in volta, qualche aspetto della speranza.

È una virtù teologale.

E in latino virtus vuol dire “forza”.

La speranza è  una forza che viene da Dio.

La speranza non è un’abitudine o un tratto del carattere – che si ha o non si ha –, ma una forza da chiedere.

Per questo ci facciamo pellegrini: veniamo a chiedere un dono, per ricominciare nel cammino della vita.

Stiamo per celebrare la festa del Battesimo di Gesù e questo ci fa pensare a quel grande profeta di speranza che fu Giovanni Battista.

Di lui Gesù disse qualcosa di meraviglioso: che è il più grande fra i nati di donna (cfr Lc 7,28).

Capiamo allora perché tanta gente accorreva da lui, col desiderio di un nuovo inizio, col desiderio di ricominciare.

E il Giubileo ci aiuta in questo.

Il Battista appariva davvero grande, appariva credibile nella sua personalità.

Come noi oggi attraversiamo la Porta santa, così Giovanni proponeva di attraversare il fiume Giordano, entrando nella Terra Promessa come era avvenuto con Giosuè la prima volta, ricominciare, ricevere la terra da capo, come la prima volta.

Sorelle e fratelli, questa è la parola: ricominciare.

Mettiamoci questo in testa e diciamo tutti insieme: “ricominciare”.

Diciamolo insieme: ricominciare! [tutti ripetono più volte] Ecco, non dimenticatevi di questo: ricominciare.

Gesù però, subito dopo quel grande complimento, aggiunge qualcosa che ci fa pensare: «Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui» (v.

28).

La speranza, fratelli e sorelle, è tutta in questo salto di qualità.

Non dipende da noi, ma dal Regno di Dio.

Ecco la sorpresa: accogliere il Regno di Dio ci porta in un nuovo ordine di grandezza.

Di questo il nostro mondo, tutti noi abbiamo bisogno! E noi, cosa dobbiamo fare? [Tutti: “Ricominciare!”] non dimenticatevi questo.

Quando Gesù pronuncia quelle parole, il Battista è in carcere, pieno di interrogativi.

Anche noi portiamo nel nostro pellegrinaggio tante domande, perché sono molti gli “Erode” che ancora contrastano il Regno di Dio.

Gesù, però, ci mostra la strada nuova, la strada delle Beatitudini, che sono la legge sorprendente del Vangelo.

Ci chiediamo, allora: ho dentro di me un vero desiderio di ricominciare? Pensateci, ognuno di voi: dentro di me, voglio ricominciare? Ho voglia di imparare da Gesù chi è veramente grande? Il più piccolo, nel Regno di Dio, è grande.

Perché noi dobbiamo… [Tutti: “Ricominciare!”].

Da Giovanni Battista, allora, impariamo a ricrederci.

La speranza per la nostra casa comune – questa nostra Terra tanto abusata e ferita – e la speranza per tutti gli esseri umani sta nella differenza di Dio.

La sua grandezza è diversa.

E noi ricominciamo da questa originalità di Dio, che è brillata in Gesù e che ora ci impegna a servire, ad amare fraternamente, a riconoscerci piccoli.

E a vedere i più piccoli, ad ascoltarli e a essere la loro voce.

Ecco il nuovo inizio, questo è il nostro giubileo.

E allora noi dobbiamo… [Tutti: “Ricominciare!”].

Grazie.

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Saluti

Je salue cordialement les pèlerins de langue française, et prie Dieu de mettre en vous, durant le Jubilé, un vrai désir de prendre un nouveau départ, en apprenant la grandeur de la petitesse ! Dieu vous bénisse!

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese e prego Dio di infondere in voi, durante il Giubileo, un sincero desiderio di ricominciare, imparando la grandezza della piccolezza! Dio vi benedica!]

I greet the English-speaking pilgrims and offer my cordial good wishes that the Jubilee will be for all of you a season of spiritual renewal and growth in the joy of the Gospel. Upon you and your families I gladly invoke God’s blessings of wisdom, strength and peace.

[Saluto i pellegrini di lingua inglese, con fervidi auguri che il Giubileo sia un’occasione di rinnovamento spirituale e di crescita nella gioia del Vangelo.

Su voi e sulle vostre famiglie invoco di cuore i doni divini di sapienza, di forza e di pace.]

Liebe Brüder und Schwestern, morgen feiern wir das Fest der Taufe des Herrn.

Erinnern wir uns daran, dass wir schon in der Taufe die göttliche Tugend der Hoffnung empfangen haben.

Danken wir für dieses Geschenk und leben wir daraus.

Bitten wir den Heiligen Geist, uns von Tag zu Tag in der Hoffnung wachen zu lassen.

[Cari fratelli e sorelle, domani celebriamo la festa del Battesimo del Signore.

Ricordiamoci che già nel battesimo abbiamo ricevuto la virtù teologale della speranza.

Ringraziamo per questo dono e viviamolo, chiedendo allo Spirito Santo di farci crescere nella speranza di giorno in giorno.]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

Pidamos al Señor que el Año jubilar sea un tiempo de gracia para renovar la adhesión a Jesucristo y ser así profetas de la esperanza que no defrauda.

Que Dios los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

Muchas gracias.

我向讲中文的人们致以诚挚的问候。亲爱的弟兄姐妹们,我鼓励你们坚定对基督的信仰;重申你们按照福音精神生活的努力。我降福大家!

[Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua cinese.

Cari fratelli e sorelle, vi incoraggio a confermare la vostra fede in Cristo e riaffermare il vostro impegno a vivere secondo lo spirito del Vangelo.

A tutti la mia benedizione!]

Saúdo cordialmente os fiéis de língua portuguesa.

Irmãos e irmãs, o Jubileu é a possibilidade de um novo começo para todos.

Que a acolhida do Reino de Deus nos faça peregrinos, peregrinos de esperança e mensageiros da misericórdia do Pai, que perdoa sempre.

Não vos esqueçais disso: Deus perdoa sempre e perdoa tudo! Deus vos abençoe!

[Saluto cordialmente i fedeli di lingua portoghese.

Fratelli e sorelle, il Giubileo è la possibilità di un nuovo inizio per tutti.

L’accoglienza del Regno di Dio ci faccia pellegrini, pellegrini di speranza e messaggeri della misericordia del Padre che perdona sempre.

Non dimenticatevi: Dio perdona sempre e perdona tutto! Dio vi benedica! ]

أُحيِّي المُؤْمِنِينَ النّاطِقِينَ باللُغَةِ العَرَبِيَّة.

الرَّجاءُ هو الخُطوَةُ الأُولَى لِنَبدَأَ مِن جديد، لأنَّ كلَّ فجرٍ جديدٍ يُولَدُ مِن إيمانِنا بغدٍ أفضل.

بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِنْ كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba.

Sperare è il primo passo per ricominciare, perché ogni nuova alba nasce dalla fiducia in un domani migliore.

Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

Pozdrawiam serdecznie polskich pielgrzymów.

Rok Święty jest okazją, by zmienić życie, przewartościować swoje myślenie, zacząć na nowo, ucząc się od Jezusa i pokładając nadzieję w Bogu.

Taki jest też sens jubileuszowych pielgrzymek.

Zachęcam was do obfitego korzystania z łaski Roku Świętego.

Z serca wam błogosławię.

[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi.

L’Anno Santo è un’opportunità per cambiare la propria vita, per rivalutare il proprio pensiero, per ricominciare, imparando da Gesù e riponendo la propria speranza in Dio.

Questo è anche il significato del pellegrinaggio giubilare.

Vi invito a cogliere in abbondanza la grazia dell’Anno Santo.

Vi benedico di cuore.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, saluto i fedeli di Chieti-Vasto accompagnati dal loro Arcivescovo, un grande teologo; i ragazzi “Cavalieri del Graal”; il Volontariato Vincenziano, le Associazioni degli Amici dei Musei Italiani; i gruppi del Municipio V di Roma.

Accolgo con affetto i Funzionari del Gran Consiglio del Canton Ticino.

Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati, agli anziani e agli sposi novelli.

Vi incoraggio a vivere bene l’anno del Giubileo, che offre la possibilità di attingere al tesoro di grazia e di misericordia da Dio affidato alla Chiesa.  E cari fratelli, care sorelle preghiamo per la pace.

Non dimentichiamo mai che la guerra è una sconfitta, sempre! Preghiamo per i Paesi in guerra, che arrivi la pace.

E a tutti la mia benedizione!

Alla Delegazione dei Supermercati "Cooperativa Virgen de las Angustias", Granada (Spagna) (11 Gen 2025)
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Cari fratelli, care sorelle,

È per me un piacere incontrarvi oggi, nella grata occasione del 65° anniversario della fondazione della Cooperativa Virgen de las Angustias.

Ho letto con interesse il lavoro che svolgete come azienda e come fondazione.

Questo binomio mi sembra importante, poiché il primo aiuto che possiamo dare alla società è di valorizzare i beni che abbiamo, con un servizio professionale che risponda ai bisogni reali delle persone e permetta uno sviluppo sostenibile.

È da lì che possiamo offrire il nostro aiuto a quanti, a causa delle calamità naturali, della guerra, della disabilità o dell’esclusione sociale, hanno bisogno di un ulteriore sostegno.

Vi siete proposti di raggiungere entrambi gli obiettivi e mi sembra un bel proposito.

Tutto questo progetto, in realtà, è già delineato, fin dalla fondazione, nella parola COVIRAN, Cooperativa Virgen de las Angustias.

La prima cosa è cooperare, lavorare insieme, unire le forze, creare un mosaico, dove tutti sono importanti, ma al tempo stesso consapevoli che è nel suo insieme che si può percepire la bellezza dell’opera.

In secondo luogo, la Vergine Maria, nostra Madre, il motivo e il modello di questo sforzo, affidarci a Lei in questo tentativo con devozione e, al contempo, imitarla nello spirito che deve presiedere il nostro lavoro.

Quale miglior slogan per un’istituzione come la vostra se non quello che le persone possano dire che le avete trattate “come avrebbe fatto una madre”?

In terzo luogo, le angosce.

Tutti voi conoscete bene l’immagine che domina la Basilica sita in Carrera de la Virgen.

La nostra Madre sta dinanzi a Cristo che giace su una mensa, invece della tradizionale rappresentazione della deposizione dalla Croce in cui Maria abbraccia suo Figlio.

Quella mensa, sulla quale giace Gesù, si presenta a noi come compito, mettendo sul banco del nostro negozio, sulla scrivania del nostro ufficio, il dolore del mondo che Gesù sopportò fino al calvario.

È Lui che serviamo, è Lui che sosteniamo nelle nostre iniziative e lo vogliamo fare come lo fa la sua Madre benedetta, lasciandoci commuovere dal suo dolore.

Che Gesù vi benedica e la Vergine Santa vi custodisca.

Grazie.

__________________________________

L'Osservatore Romano, Edizione Quotidiana, Anno CLXV n.

8, sabato 11 gennaio 2025, p.3.

Ai Bambini ospiti della Clinica di Oncologia Pediatrica di Wrocław (Polonia) (10 Gen 2025)
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Signor Console,
Signora Professoressa,
Signore e Signori operatori sanitari,
caro Padre, cari genitori, carissimi bambini!

Vi do il benvenuto e sono felice che siate riusciti a organizzare questo vostro pellegrinaggio in questo Anno Giubilare, incentrato sulla speranza.

È un Anno in cui Dio vuole concederci grazie speciali.

Mentre venivo a incontrarvi, sentivo una gioia nel cuore perché abbiamo la possibilità di donarci speranza e amore a vicenda, gli uni agli altri.

E c’è anche un altro motivo: voi, cari bambini e ragazzi, per me siete segni di speranza.

E perché? Perché sono sicuro che in voi è presente Gesù.

E dove c’è Lui, c’è la speranza che non delude! Gesù ha preso su di sé le nostre sofferenze, per amore, e allora anche noi, attraverso il suo amore, possiamo unirci a Lui quando soffriamo.

E questa è una prova di amicizia.

Voi lo sapete: quando si è veramente amici, la gioia dell’altro è anche la mia gioia, e il dolore dell’altro è anche il mio dolore.

Una volta Gesù disse ai suoi discepoli: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici» (Gv 15,15).

Anche voi siete amici, voi siete i suoi amici, e potete condividere con Lui gioie e dolori.

E un’altra prova dell’amicizia di Gesù verso di voi è l’amore e la presenza costante dei vostri genitori, è il sorriso gentile e tenero dei medici, degli infermieri, dei fisioterapisti, che vi curano e lavorano per migliorare la vostra salute, perché non perdiate i vostri sogni e le vostre speranze.

Anch’io vi chiamo amici: voi siete amici! E vorrei chiedervi di aiutarmi a servire la Chiesa.

E come? Offrendo, qualche volta, le vostre preghiere, le vostre sofferenze per le intenzioni del Papa.

Vi ringrazio per questo!

E poi vi invito a pregare insieme a me per quei bambini – sono tanti purtroppo! – che non hanno la possibilità di curarsi: sono malati, oppure feriti, e non ci sono medicine, non c’è ospedale, non ci sono medici né infermieri.

Ricordiamoci di loro, siamo loro vicini!

Cari ragazzi, grazie di essere venuti, siete coraggiosi! E così siete testimoni di speranza per noi adulti e per i vostri coetanei.

E grazie a chi vi ha accompagnato: il Console Onorario del Lussemburgo in Polonia, la Signora Professoressa, gli organizzatori di questo pellegrinaggio, i medici, le infermiere, il sacerdote, e soprattutto voi, cari genitori, pellegrini di speranza insieme ai vostri figli.

Vi affido al Cuore di Gesù attraverso il Cuore Immacolato di Maria.

Vi benedico tutti e vi porto nella mia preghiera.

E anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Grazie.

Ai Dirigenti di “Congrès Mission” (10 Gen 2025)
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Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

Benvenuti!

Mi rallegra incontrare voi che siete i volti e i cuori di “Congrès Mission”.

Vi ringrazio per la vostra visita e soprattutto per il vostro fedele impegno al servizio del Vangelo, che è fonte di luce e di speranza in un mondo che ha tanto bisogno.

Mentre vi preparate al vostro grande raduno di Bercy, la Chiesa è da poco entrata in un nuovo anno giubilare che ci invita a essere “pellegrini di speranza”.

Si tratta di una chiamata pressante a rinnovare la nostra vita cristiana, che ci invia in missione: diventare testimoni di una speranza che non delude mai (cfr Rm 5,5), nella «gioia del Vangelo che riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù» (Esort.

ap.

Evangelii gaudium, 1).

La gioia, cari amici, è inseparabile dalla speranza ed è anche inseparabile dalla missione; una gioia che non si riduce all’entusiasmo del momento, ma che nasce dall’incontro con Cristo e ci orienta verso i fratelli.

Essere pellegrini significa camminare insieme nella Chiesa, ma anche avere il coraggio di uscire, di andare incontro agli altri.

E portare la speranza significa offrire al mondo una parola viva, una parola radicata nel Vangelo, che consola e apre strade nuove.

Vi incoraggio a non avere mai paura di “uscire”, perché «la missione è una passione per Gesù ma, allo stesso tempo, è una passione per il suo popolo» (ivi, 268).

Questo significa andare dove gli uomini e le donne vivono le loro gioie e i loro dolori.

È così che voi portate la speranza, sia nelle vostre comunità sia nei luoghi in cui la Chiesa sembra a volte stanca o ritirata.

Grazie per tutto quello che fate, grazie per il vostro dinamismo e il vostro entusiasmo, per la fraternità missionaria che tessete con pazienza e con fede attraverso la Francia.

La Francia, la fille aînée de l’Église.

E i nemici della Francia dicono: sì, la fille aînée de l’Église, mais pas la plus fidèle… questo non è vero! Tanti santi ha la Francia: tanti santi!

Sappiamo che la speranza è spesso messa alla prova.

Il nostro mondo è segnato dalla guerra e da tante ingiustizie, è lacerato dall’individualismo.

Tutto questo genera spesso il dubbio, la paura del futuro e tante volte la disperazione.

Ma noi cristiani portiamo una certezza: Cristo è la nostra speranza.

Lui è la porta della speranza, sempre.

Egli è la buona notizia per questo mondo! E questa speranza – è curioso - non ci appartiene: la speranza non è un possesso da mettere in tasca.

No, non ci appartiene.

È un dono da condividere, una luce da trasmettere.

E se la speranza non si condivide, cade.

Non abbiate paura di rispondere a questa chiamata! Essere missionari significa lasciarsi scuotere dallo Spirito Santo.

Mi raccomando: leggete i primi capitoli degli Atti degli Apostoli e vedete cosa fa lo Spirito Santo.

È lo Spirito che guida la Chiesa, scuote i cuori.

E la speranza nasce qui.

A volte, lasciarsi scuotere dallo Spirito Santo può significare uscire dai nostri schemi abituali e persino accettare di “fare un po’ di confusione”.

Lo Spirito Santo è Maestro.

Ricordo una Messa per i bambini, quando ero parroco nei quartieri di San Miguel, dove quasi duecento bambini venivano alla Messa tutte le domeniche.

Un giorno, era Pentecoste, ho detto ai bambini: “Voi sapete chi è lo Spirito Santo?” “Io, io io…”; “Tu!” “Il paralitico” (ridono) “No! Il Paraclito! Cosa vuol dire?”; “Io, io io…”; “Tu!”; “Quello che fa la confusione!”.

È vero, lo Spirito Santo fa la confusione.

Lo Spirito Santo spinge alla creatività! Guardate la vita dei santi: tutti creativi, perché c’è lo Spirito dentro! Lo Spirito santo ci invita ad annunciare il Vangelo non solo in strutture consolidate, ma ovunque si trovino i nostri fratelli e le nostre sorelle: annunciare il Vangelo nella quotidianità nelle gioie, nelle loro ferite, nelle loro domande.

Il Beato Padre Chevrier diceva: «l’amore per Dio e per il prossimo è il principio, è la linfa vitale di tutto, che deve produrre tutto in noi; quando c’è questo in un’anima, c’è tutto quello che serve.

Vale di più la carità senza esteriorità che un’esteriorità senza carità.

Meglio il disordine con l’amore che l’ordine senza amore» (Le véritable disciple, Sion 2010, 223).

Cari amici, voglio anche incoraggiarvi a stimolare i giovani.

I giovani sono i primi pellegrini della speranza! Hanno sete di significato, di autenticità e di incontri veri.

Ma state attenti, cercate che i giovani si incontrino con gli anziani, perché anche gli anziani sono testimoni della speranza.

I giovani, quando vanno dagli anziani, ricevano qualche missione speciale.

Fate questo lavoro, che è molto importante.

Aiutate i giovani a scoprire Cristo, perché Cristo è la risposta.

Aiutateli a crescere nella fede, a osare scelte coraggiose e a diventare anch’essi discepoli missionari di Gesù, testimoni viventi del Vangelo.

Trasmettete loro l’audacia di sognare un mondo più fraterno e accompagnateli, affinché diventino artigiani di speranza nelle loro famiglie, nelle scuole e nei luoghi di lavoro.

In questa dinamica missionaria, vi esorto a non perdere mai di vista la comunione tra di voi.

L’unità è una testimonianza potente: è dall’amore che abbiamo gli uni per gli altri che il mondo riconosce che siamo discepoli di Gesù.

Prendetevi cura gli uni degli altri, sostenetevi a vicenda nelle vostre fatiche e gioite insieme dei frutti che lo Spirito fa maturare attraverso il vostro impegno.

Vi incoraggio a prepararvi per il grande raduno del novembre 25 e vi assicuro la mia preghiera affinché sia un momento di gioia, di conversione, di rinnovamento per la Chiesa in Francia.

Vi affido alla Vergine Maria, pellegrina premurosa e fedele, che ha portato nel cuore e tra le braccia la speranza del mondo.

Ella vi accompagni e vi guidi in questa missione.

Vi benedico di cuore e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Le Seigneur vous bénisse.

Alla Delegazione dell’Organismo di Gestione dell’Insegnamento Cattolico (OGEC), in Francia (10 Gen 2025)
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Care sorelle, cari fratelli, buongiorno!

Con gioia oggi accolgo voi, promotori del progetto “Écoles de Vie(s)”, accompagnati da Mons.

Philippe Christory, Vescovo di Chartres.

Il vostro progetto di formazione, con al centro il Vangelo e l’insegnamento sociale della Chiesa, mette in luce una verità fondamentale: ogni persona, per quanto fragile, è portatrice di un valore intrinseco e siamo chiamati a “riconoscere ogni individuo come persona unica e insostituibile” (Fratelli tutti, 98).

Ogni vita umana ha una dignità inalienabile.

Con il vostro impegno, voi proclamate che nessuno è inutile, nessuno è indegno, che ogni esistenza è un dono di Dio da accogliere con amore e rispetto.

Grazie!

Questo è ciò che Gesù stesso ci insegna con il suo esempio.

Nel suo ministero è sempre andato incontro ai malati, ai rifiutati, a coloro che erano esclusi dalla società del suo tempo.

E ha toccato i lebbrosi, ha parlato con gli emarginati e ha accolto con amore coloro che sembravano non avere un posto nella società. «Gesù entra in contatto, Gesù entra in contatto diretto con quanti vivono la disabilità, perché essa, come ogni forma di infermità, non è da ignorare e da negare.

Ma Gesù non solo si pone in relazione con essi: Egli cambia anche il senso della loro esperienza; infatti introduce un nuovo sguardo […].

Per Lui ogni condizione umana, anche quella segnata da forti limitazioni, è un invito a tessere un rapporto singolare con Dio che fa rifiorire le persone» (Discorso alla Pontificia Accademie delle Scienze Sociali, 11 aprile 2024).

Questo è importante: il rapporto con Dio sempre fa rifiorire le persone, sempre!

Accogliendo tutti con le loro fragilità e mettendo in relazione un gran numero di attori, voi incarnate quella Chiesa in uscita che ho spesso auspicato, una Chiesa aperta, una Chiesa accogliente, capace di farsi vicina ad ognuno e di curare le ferite di chi soffre, di accarezzare con tenerezza chi è privo di affetto e di rialzare chi è caduto a terra.

Pensate che in una sola situazione è lecito guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a sollevarsi.

I giovani in particolare, malgrado i loro limiti, sono ricchi di potenzialità insospettate.

Siamo chiamati a creare spazi in cui possano esprimersi pienamente.

Dobbiamo fare spazio ai loro sogni, accoglierli e comunicare ad essi speranza.

Il vostro impegno permette loro di scoprire che la loro vita ha un senso e che hanno un ruolo unico da svolgere nella società.

Sono lieto che il vostro progetto si collochi decisamente nella visione dell’educazione proposta nel Patto Educativo Globale: un’educazione integrale che non si limita a trasmettere conoscenze, ma cerca di formare uomini e donne capaci di compassione e amore fraterno.

Così contribuite a un’educazione che prepara il futuro, formando, oltre che professionisti competenti, adulti maturi che saranno gli artigiani di un mondo più bello e più umano, impregnato di Vangelo.

In questo anno giubilare della speranza, vi incoraggio a perseverare con determinazione, perché solo restituendo centralità alla persona umana, integrando le sue dimensioni spirituali, potremo costruire una società veramente giusta e solidale.

La vostra iniziativa è una risposta concreta a questa aspirazione: restituisce alle persone, a tutte le persone, emarginate dalla disabilità o dalla fragilità il loro posto all’interno di una comunità fraterna e gioiosa.

Che il vostro impegno ispiri altre iniziative a favore dei più vulnerabili e che la vostra azione apra prospettive per un’educazione integrale di cui le giovani generazioni hanno urgente bisogno.

La Vergine Maria, Madre della speranza ed educatrice di Gesù, vi accompagni e vi protegga.

Vi benedico di cuore, con tutte le persone che servite, i giovani che formate, tutte le famiglie e tutti coloro che sostengono questo bel progetto.

E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Grazie.

Ai Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno (9 Gen 2025)
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Eccellenze, Signore, Signori,

ci ritroviamo stamani per un momento d’incontro che, al di là del suo carattere istituzionale, vuole anzitutto essere familiare: un momento in cui la famiglia dei popoli si riunisce simbolicamente attraverso la vostra presenza, per scambiarsi un augurio fraterno, lasciando alle spalle le contese che dividono e per riscoprire piuttosto ciò che unisce.

All’inizio di quest’anno, che per la Chiesa cattolica ha una particolare rilevanza, il nostro ritrovarci ha una valenza simbolica speciale, poiché il senso stesso del Giubileo è quello di “fare una sosta” dalla frenesia che contraddistingue sempre più la vita quotidiana, per rinfrancarsi e per nutrirsi di ciò che è veramente essenziale: riscoprirsi figli di Dio e in Lui fratelli, perdonare le offese, sostenere i deboli e i poveri, far riposare la terra, praticare la giustizia e ritrovare speranza.

A ciò sono chiamati tutti coloro che servono il bene comune e esercitano quella forma alta di carità – forse la forma più alta di carità - che è la politica.

Con questo spirito vi accolgo, ringraziando anzitutto Sua Eccellenza l’Ambasciatore George Poulides, Decano del Corpo Diplomatico, per le parole con cui si è fatto interprete dei vostri comuni sentimenti.

A tutti voi porgo un caloroso benvenuto, grato per l’affetto e la stima che i vostri popoli e i vostri governi hanno per la Sede Apostolica e che voi ben rappresentate.

Ne sono una testimonianza le visite di oltre trenta Capi di Stato o di Governo che ho avuto la gioia di ricevere in Vaticano nel 2024, come pure la firma del Secondo Protocollo Addizionale all’Accordo fra la Santa Sede e il Burkina Faso sullo statuto giuridico della Chiesa Cattolica in Burkina Faso e dell’Accordo fra la Santa Sede e la Repubblica Ceca su alcune questioni giuridiche, siglati nel corso dell’anno passato.

Nell’ottobre scorso è stato poi rinnovato per un ulteriore quadriennio l’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei Vescovi, segno della volontà di proseguire un dialogo rispettoso e costruttivo in vista del bene della Chiesa cattolica nel Paese e di tutto il popolo cinese.

Da parte mia, ho inteso ricambiare tale affetto con i viaggi apostolici recentemente compiuti, che mi hanno portato a visitare terre lontane come l’Indonesia, la Papua Nuova Guinea, Timor Leste e Singapore, e più vicine come il Belgio e il Lussemburgo e, infine, la Corsica.

Sebbene siano realtà evidentemente molto diverse tra loro, ogni viaggio è per me l’occasione di poter incontrare e dialogare con popoli, culture ed esperienze religiose differenti, e di portare una parola di incoraggiamento e di conforto, specialmente alle persone più vulnerabili.

A tali viaggi si sommano le tre visite che ho compiuto in Italia a Verona, Venezia e Trieste.

Proprio alle Autorità italiane, nazionali e locali, desidero significare in modo speciale, all’inizio di quest’anno giubilare, l’espressione della mia gratitudine per l’impegno che hanno profuso per preparare Roma al Giubileo.

Il lavoro incessante di questi mesi, che ha recato non pochi disagi, viene ora ripagato dal miglioramento di alcuni servizi e spazi pubblici, così che tutti, cittadini, pellegrini e turisti, possano godere ancor più delle bellezze della Città eterna.

Ai romani, noti per la loro ospitalità, rivolgo un pensiero particolare, ringraziandoli per la pazienza che hanno avuto negli ultimi mesi e per quella che avranno nell’accogliere i numerosi visitatori che giungeranno.

Desidero, altresì, rivolgere un sentito ringraziamento a tutte le Forze dell’ordine, alla Protezione Civile, alle autorità sanitarie e ai volontari che si prodigano quotidianamente per garantire la sicurezza e un sereno svolgimento del Giubileo.

Cari Ambasciatori,

nelle parole del profeta Isaia, che il Signore Gesù fa proprie nella sinagoga di Nazareth all’inizio della sua vita pubblica, secondo il racconto tramandatoci dall’evangelista Luca (4,16-21), troviamo compendiato non solo il mistero del Natale da poco celebrato, ma anche quello del Giubileo che stiamo vivendo.

Il Cristo è venuto «a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di grazia del Signore» (Is 61,1-2a).

Purtroppo, iniziamo questo anno mentre il mondo si trova lacerato da numerosi conflitti, piccoli e grandi, più o meno noti e anche dalla ripresa di esecrabili atti di terrore, come quelli recentemente avvenuti a Magdeburgo in Germania e a New Orleans negli Stati Uniti.

Vediamo pure che in tanti Paesi ci sono sempre più contesti sociali e politici esacerbati da crescenti contrasti.

Siamo di fronte a società sempre più polarizzate, nelle quali cova un generale senso di paura e di sfiducia verso il prossimo e verso il futuro.

Ciò è aggravato dal continuo creare e diffondersi di fake news, che non solo distorcono la realtà dei fatti, ma finiscono per distorcere le coscienze, suscitando false percezioni della realtà e generando un clima di sospetto che fomenta l’odio, pregiudica la sicurezza delle persone e compromette la convivenza civile e la stabilità di intere nazioni.

Ne sono tragiche esemplificazioni gli attentati subiti dal Presidente del Governo della Repubblica Slovacca e dal Presidente eletto degli Stati Uniti d’America.

Tale clima di insicurezza spinge a erigere nuove barriere e a tracciare nuovi confini, mentre altri, come quello che da oltre cinquant’anni divide l’isola di Cipro e quello che da oltre settanta taglia in due la penisola coreana, rimangono saldamente in piedi, separando famiglie e sezionando case e città.

I confini moderni pretendono di essere linee di demarcazione identitarie, dove le diversità sono motivo di diffidenza, sfiducia e paura: «Ciò che proviene di là non è affidabile, perché non è conosciuto, non è familiare, non appartiene al villaggio.

[…] Di conseguenza si creano nuove barriere di autodifesa, così che non esiste più il mondo ed esiste unicamente il “mio” mondo, fino al punto che molti non vengono più considerati esseri umani con una dignità inalienabile e diventano semplicemente “quelli”» [1].

Paradossalmente, il termine confine indica non un luogo che separa, bensì che unisce, “dove si finisce insieme” ( cum-finis), dove si può incontrare l’altro, conoscerlo, dialogare con lui.

Il mio augurio per questo nuovo anno è che il Giubileo possa rappresentare per tutti, cristiani e non, un’occasione per ripensare anche le relazioni che ci legano, come esseri umani e comunità politiche; per superare la logica dello scontro e abbracciare invece la logica dell’incontro; perché il tempo che ci attende non ci trovi vagabondi disperati, ma pellegrini di speranza, ossia persone e comunità in cammino impegnate a costruire un futuro di pace.

D’altronde, di fronte alla sempre più concreta minaccia di una guerra mondiale, la vocazione della diplomazia è quella di favorire il dialogo con tutti, compresi gli interlocutori considerati più “scomodi” o che non si riterrebbero legittimati a negoziare.

È questa l’unica via per spezzare le catene di odio e vendetta che imprigionano e per disinnescare gli ordigni dell’egoismo, dell’orgoglio e della superbia umana, che sono la radice di ogni volontà belligerante che distrugge.

Eccellenze, Signore e Signori,

alla luce di queste brevi considerazioni, vorrei tracciare con voi questa mattina, a partire dalle parole del profeta Isaia, alcuni tratti di una diplomazia della speranza, di cui tutti siamo chiamati a farci araldi, affinché le dense nubi della guerra possano essere spazzate via da un rinnovato vento di pace.

Più in generale, vorrei evidenziare alcune responsabilità che ogni leader politico dovrebbe tenere presente nell’adempiere le proprie responsabilità, che dovrebbero essere indirizzate all’edificazione del bene comune e allo sviluppo integrale della persona umana.

Portare il lieto annuncio ai miseri

In ogni epoca e in ogni luogo, l’uomo è sempre stato allettato dall’idea di poter essere autosufficiente, di poter bastare a sé stesso ed essere artefice del proprio destino.

Ogni qualvolta si lascia dominare da tale presunzione, si trova costretto da eventi e circostanze esterne a scoprire di essere debole e impotente, povero e bisognoso, afflitto da sciagure spirituali e materiali.

In altre parole, scopre di essere misero e di avere bisogno di qualcuno che lo sollevi dalla propria miseria.

Numerose sono le miserie del nostro tempo.

Mai come in quest’epoca l’umanità ha sperimentato progresso, sviluppo e ricchezza e forse mai come oggi si è trovata sola e smarrita, non di rado a preferire gli animali domestici ai figli.

C’è un urgente bisogno di ricevere un lieto annuncio.

Un annuncio che, nella prospettiva cristiana, Dio ci offre nella notte di Natale! Tuttavia, ciascuno – anche chi non è credente – può farsi portatore di un annuncio di speranza e di verità.

D’altronde, l’essere umano è dotato di un’innata sete di verità.

Questa ricerca è una dimensione fondamentale della condizione umana, in quanto ogni persona porta dentro di sé una nostalgia della verità oggettiva e un desiderio inestinguibile di conoscenza.

È sempre stato così, ma nel nostro tempo la negazione di verità evidenti sembra avere il sopravvento.

Alcuni diffidano delle argomentazioni razionali, ritenute strumenti nelle mani di qualche potere occulto, mentre altri ritengono di possedere in modo univoco la verità che si sono auto-costruiti, esimendosi così dal confronto e dal dialogo con chi la pensa diversamente.

Gli uni e gli altri hanno la tendenza a crearsi una propria “verità”, tralasciando l’oggettività del vero.

Queste tendenze possono essere incrementate dai moderni mezzi di comunicazione e dall’intelligenza artificiale, abusati come mezzi di manipolazione della coscienza a fini economici, politici e ideologici.

Il moderno progresso scientifico, specialmente nell’ambito informatico e della comunicazione, porta con sé indubbi vantaggi per l’umanità.

Ci consente di semplificare molti aspetti della vita quotidiana, di rimanere in contatto con le persone care anche se sono fisicamente distanti, di rimanere informati e di aumentare le nostre conoscenze.

Tuttavia, non se ne possono tacere i limiti e le insidie, poiché spesso contribuiscono alla polarizzazione, al restringimento delle prospettive mentali, alla semplificazione della realtà, al rischio di abusi, all’ansia e, paradossalmente, all’isolamento, in particolare attraverso l’uso dei social media e dei giochi online.

L’incremento dell’intelligenza artificiale amplifica le preoccupazioni relative ai diritti di proprietà intellettuale, alla sicurezza del lavoro per milioni di persone, al rispetto della privacy e alla protezione dell’ambiente dai rifiuti elettronici (e-waste).

Quasi nessun angolo del mondo è rimasto inalterato dall’ampia trasformazione culturale determinata dagli incalzanti progressi della tecnologia, ed è sempre più evidente un allineamento a interessi commerciali, che genera una cultura radicata nel consumismo.

Questo sbilanciamento minaccia di sovvertire l’ordine dei valori inerenti alla creazione di relazioni, all’educazione e alla trasmissione dei costumi sociali, mentre i genitori, i parenti più stretti e gli educatori devono rimanere i principali canali di trasmissione della cultura, a vantaggio dei quali i Governi dovrebbero limitarsi a un ruolo di supporto delle loro responsabilità formative.

In quest’ottica si colloca anche l’educazione come alfabetizzazione mediatica, volta ad offrire strumenti essenziali per promuovere le capacità di pensiero critico, per dotare i giovani dei mezzi necessari alla crescita personale e alla partecipazione attiva al futuro delle loro società.

Una diplomazia della speranza è perciò anzitutto una diplomazia della verità.

Laddove viene a mancare il legame fra realtà, verità e conoscenza, l’umanità non è più in grado di parlarsi e di comprendersi, poiché vengono a mancare le fondamenta di un linguaggio comune, ancorato alla realtà delle cose e dunque universalmente comprensibile.

Lo scopo del linguaggio è la comunicazione, che ha successo solo se le parole sono precise e se il significato dei termini è generalmente accettato.

Il racconto biblico della Torre di Babele mostra che cosa succede quando ciascuno parla solo con “la sua” lingua.

Comunicazione, dialogo, e impegno per il bene comune richiedono la buona fede e l’adesione a un linguaggio comune.

Ciò è particolarmente importante nell’ambito diplomatico, specialmente nei contesti multilaterali.

L’impatto e il successo di ogni parola, delle dichiarazioni, risoluzioni e in generale dei testi negoziati dipende da questa condizione.

È un dato di fatto che il multilateralismo è forte ed efficace solo quando si concentra sulle questioni trattate e utilizza un linguaggio semplice, chiaro e concordato.

Risulta quindi particolarmente preoccupante il tentativo di strumentalizzare i documenti multilaterali – cambiando il significato dei termini o reinterpretando unilateralmente il contenuto dei trattati sui diritti umani – per portare avanti ideologie che dividono, che calpestano i valori e la fede dei popoli.

Si tratta infatti di una vera colonizzazione ideologica che, secondo programmi studiati a tavolino, tenta di sradicare le tradizioni, la storia e i legami religiosi dei popoli.

Si tratta di una mentalità che, presumendo di aver superato quelle che considera “le pagine buie della storia”, fa spazio alla cancel culture; non tollera differenze e si concentra sui diritti degli individui, trascurando i doveri nei riguardi degli altri, in particolare dei più deboli e fragili [2].

In tale contesto è inaccettabile, ad esempio, parlare di un cosiddetto “diritto all’aborto” che contraddice i diritti umani, in particolare il diritto alla vita.

Tutta la vita va protetta, in ogni suo momento, dal concepimento alla morte naturale, perché nessun bambino è un errore o è colpevole di esistere, così come nessun anziano o malato può essere privato di speranza e scartato.

Tale approccio risulta particolarmente gravido di conseguenze nell’ambito di diversi organismi multilaterali.

Penso in modo particolare all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, di cui la Santa Sede è membro fondatore, avendo preso parte attiva ai negoziati che, mezzo secolo fa, hanno condotto alla Dichiarazione di Helsinki del 1975.

È quanto mai urgente recuperare lo “spirito di Helsinki”, con il quale gli Stati contrapposti e considerati “nemici” sono riusciti a creare uno spazio d’incontro, e non abbandonare il dialogo come strumento per risolvere i conflitti.

Al contrario, le istituzioni multilaterali, la maggior parte delle quali è sorta al termine della seconda guerra mondiale, ottant’anni fa, non sembrano più in grado di garantire la pace e la stabilità, la lotta contro la fame e lo sviluppo per i quali erano state create, né di rispondere in modo davvero efficace alle nuove sfide del XXI secolo, quali le questioni ambientali, di salute pubblica, culturali e sociali, nonché le sfide poste dall’intelligenza artificiale.

Molte di esse necessitano di essere riformate, tenendo presente che qualsiasi riforma deve essere costruita sui principi di sussidiarietà e solidarietà e nel rispetto di una sovranità paritaria degli Stati, mentre duole constatare che c’è il rischio di una “monadologia” e della frammentazione in like-minded clubs che lasciano entrare solo quanti la pensano allo stesso modo.

Ciononostante, non sono mancati e non mancano segni incoraggianti, laddove c’è la buona volontà di incontrarsi.

Penso al Trattato di pace e di amicizia tra Argentina e Cile, firmato nella Città del Vaticano il 29 novembre 1984, che, con la mediazione della Santa Sede e la buona volontà della Parti, ha posto fine alla disputa del Canale di Beagle, dimostrando che pace e amicizia sono possibili quando due membri della Comunità internazionale rinunciano all’uso della forza e si impegnano solennemente a rispettare tutte le regole del diritto internazionale e a promuovere la cooperazione bilaterale.

Più recentemente, penso ai segnali positivi di una ripresa dei negoziati per ritornare alla piattaforma dell’accordo sul nucleare iraniano, con l’obiettivo di garantire un mondo più sicuro per tutti.

Fasciare le piaghe dei cuori spezzati

Una diplomazia della speranza è pure una diplomazia di perdono, capace, in un tempo pieno di conflitti aperti o latenti, di ritessere i rapporti lacerati dall’odio e dalla violenza, e così fasciare le piaghe dei cuori spezzati delle troppe vittime.

Il mio auspicio per questo 2025 è che tutta la Comunità internazionale si adoperi anzitutto per porre fine alla guerra che da quasi tre anni insanguina la martoriata Ucraina e che ha causato un enorme numero di vittime, inclusi tanti civili.

Qualche segno incoraggiante è apparso all’orizzonte, ma molto lavoro è ancora necessario per costruire le condizioni di una pace giusta e duratura e per sanare le ferite inflitte dall’aggressione.

Allo stesso modo rinnovo l’appello a un cessate-il-fuoco e alla liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza, dove c’è una situazione umanitaria gravissima e ignobile, e chiedo che la popolazione palestinese riceva tutti gli aiuti necessari.

Il mio auspicio è che Israeliani e Palestinesi possano ricostruire i ponti del dialogo e della fiducia reciproca, a partire dai più piccoli, affinché le generazioni a venire possano vivere fianco a fianco nei due Stati, in pace e sicurezza, e Gerusalemme sia la “città dell’incontro”, dove convivono in armonia e rispetto i cristiani, gli ebrei e i musulmani.

Proprio nel giugno scorso, nei giardini vaticani, abbiamo ricordato tutti insieme il decimo anniversario dell’Invocazione per la Pace in Terra Santa che l’8 giugno 2014 vide la presenza dell’allora Presidente dello Stato d’Israele, Shimon Peres, e del Presidente dello Stato di Palestina, Mahmoud Abbas, insieme al Patriarca Bartolomeo I.

Quell’incontro aveva testimoniato che il dialogo è sempre possibile e che non possiamo arrenderci all’idea che l’inimicizia e l’odio tra i popoli abbiano il sopravvento.

Occorre tuttavia rilevare anche che la guerra è alimentata dal continuo proliferare di armi sempre più sofisticate e distruttive.

Reitero stamani l’appello affinché «con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri, così che i loro abitanti non ricorrano a soluzioni violente o ingannevoli e non siano costretti ad abbandonare i loro Paesi per cercare una vita più dignitosa» [3].

La guerra è sempre un fallimento! Il coinvolgimento dei civili, soprattutto bambini, e la distruzione delle infrastrutture non sono solo una disfatta, ma equivalgono a lasciare che tra i due contendenti l’unico a vincere sia il male.

Non possiamo minimamente accettare che si bombardi la popolazione civile o si attacchino infrastrutture necessarie alla sua sopravvivenza.

Non possiamo accettare di vedere bambini morire di freddo perché sono stati distrutti ospedali o è stata colpita la rete energetica di un Paese.

Tutta la Comunità internazionale sembra apparentemente essere d’accordo sul rispetto del diritto internazionale umanitario, tuttavia la sua mancata piena e concreta realizzazione pone delle domande.

Se abbiamo dimenticato cosa c’è alla base, le fondamenta stesse della nostra esistenza, della sacralità della vita, dei principi che muovono il mondo, come possiamo pensare che tale diritto sia effettivo? È necessaria una riscoperta di questi valori, e che essi a loro volta si incarnino in precetti della pubblica coscienza, affinché sia davvero il principio di umanità alla base dell’agire.

Pertanto, auspico che quest’anno giubilare sia un tempo propizio in cui la Comunità internazionale si adoperi attivamente affinché i diritti inviolabili dell’uomo non siano sacrificati a fronte di esigenze militari.

Su tali presupposti, chiedo che si continui a lavorare affinché l’inosservanza del diritto internazionale umanitario non sia più un’opzione.

Sono necessari ulteriori sforzi perché venga dato effetto a quanto discusso anche durante la 34ª Conferenza Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, che ha avuto luogo lo scorso ottobre a Ginevra.

È stato da poco celebrato il 75° Anniversario delle Convenzioni di Ginevra, e rimane indispensabile che le norme e i principi su cui esse si fondano trovino compimento negli ancora troppi teatri di guerra aperti.

Tra questi penso ai diversi conflitti che persistono nel continente africano, in modo particolare nel Sudan, nel Sahel, nel Corno d’Africa, in Mozambico, dove c’è una grave crisi politica in atto, e nelle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo, dove la popolazione è colpita da pesanti carenze sanitarie e umanitarie, aggravate talvolta dalla piaga del terrorismo, che provocano perdite di vite umane e lo sfollamento di milioni di persone.

A ciò si aggiungono gli effetti devastanti delle inondazioni e della siccità, che peggiorano le già precarie condizioni di varie parti dell’Africa.

La prospettiva di una diplomazia del perdono non è però chiamata solo a sanare i conflitti internazionali o regionali.

Essa investe ciascuno della responsabilità di farsi artigiano di pace, perché si possano edificare società realmente pacifiche, in cui le legittime differenze politiche, ma anche sociali, culturali, etniche e religiose costituiscano una ricchezza e non una sorgente di odio e divisione.

Il mio pensiero va in modo particolare al Myanmar, dove la popolazione soffre grandemente a causa dei continui scontri armati, che obbligano la gente a fuggire dalle proprie case e a vivere nella paura.

Duole poi constatare che permangono, specialmente nel continente americano, diversi contesti di acceso scontro politico e sociale.

Penso ad Haiti, dove auspico che si possano quanto prima compiere i passi necessari per ristabilire l’ordine democratico e fermare la violenza.

Penso pure al Venezuela e alla grave crisi politica in cui si dibatte.

Essa potrà essere superata solo attraverso l’adesione sincera ai valori della verità, della giustizia e della libertà, attraverso il rispetto della vita, della dignità e dei diritti di ogni persona – anche di quanti sono stati arrestati in seguito alle vicende dei mesi scorsi –, attraverso il rifiuto di ogni tipo di violenza e, auspicabilmente, l’avvio di negoziati in buona fede e finalizzati al bene comune del Paese.

Penso alla Bolivia, che sta attraversando una preoccupante situazione politica, sociale ed economica; come pure alla Colombia, dove confido che con l’aiuto di tutti si possa superare la molteplicità dei conflitti che hanno lacerato il Paese da troppo tempo.

Penso, infine, al Nicaragua, dove la Santa Sede, che è sempre disponibile a un dialogo rispettoso e costruttivo, segue con preoccupazione le misure adottate nei confronti di persone e istituzioni della Chiesa e auspica che la libertà religiosa e gli altri diritti fondamentali siano adeguatamente garantiti a tutti.

Effettivamente non c’è vera pace se non viene garantita anche la libertà religiosa, che implica il rispetto della coscienza dei singoli e la possibilità di manifestare pubblicamente la propria fede e l’appartenenza ad una comunità.

In tal senso preoccupano molto le crescenti espressioni di antisemitismo, che condanno fortemente e che interessano un sempre maggior numero di comunità ebraiche nel mondo.

Non posso tacere le numerose persecuzioni contro varie comunità cristiane spesso perpetrate da gruppi terroristici, specialmente in Africa e in Asia, e neppure le forme più “delicate” di limitazione della libertà religiosa che si riscontrano talvolta anche in Europa, dove crescono norme legali e prassi amministrative che «limitano o annullano di fatto i diritti che formalmente le Costituzioni riconoscono ai singoli credenti e ai gruppi religiosi» [4].

Al riguardo, desidero ribadire che la libertà religiosa costituisce «un’acquisizione di civiltà politica e giuridica» [5], poiché, quando essa «è riconosciuta, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice, e si rafforzano l’ethos e le istituzioni dei popoli» [6].

I cristiani possono e vogliono contribuire attivamente all’edificazione delle società in cui vivono.

Anche laddove non sono maggioranza nella società, essi sono cittadini a pieno titolo, specialmente in quelle terre in cui abitano da tempo immemorabile.

Mi riferisco in modo particolare alla Siria, che dopo anni di guerra e devastazione, sembra stia percorrendo una via di stabilità.

Auspico che l’integrità territoriale, l’unità del popolo siriano e le necessarie riforme costituzionali non siano compromesse da nessuno, e che la Comunità internazionale aiuti la Siria ad essere terra di convivenza pacifica dove tutti i siriani, inclusa la componente cristiana, possano sentirsi pienamente cittadini e partecipare al bene comune di quella cara Nazione.

Parimenti penso all’amato Libano,auspicando che il Paese, con l’aiuto determinante della componente cristiana, possa avere la necessaria stabilità istituzionale per affrontare la grave situazione economica e sociale, ricostruire il sud del Paese colpito dalla guerra e implementare pienamente la Costituzione e gli Accordi di Taif.

Tutti i libanesi lavorino affinché il volto del Paese dei Cedri non sia mai sfigurato dalla divisione, ma risplenda sempre per il “vivere insieme” e il Libano rimanga un Paese-messaggio di coesistenza e di pace.

Proclamare la libertà degli schiavi

Duemila anni di cristianesimo hanno contribuito a eliminare la schiavitù da ogni ordinamento giuridico.

Ciononostante esistono ancora molteplici forme di schiavitù, a cominciare da quella poco riconosciuta ma assai praticata che interessa il lavoro.

Troppe persone vivono schiave del proprio lavoro, trasformato da mezzo in fine della propria vita, e spesso sono schiave di condizioni lavorative disumane, in termini di sicurezza, orari di lavoro e salario.

Occorre adoperarsi per creare condizioni degne di lavoro e perché il lavoro, di per sé nobile e nobilitante, non diventi un ostacolo per la realizzazione e la crescita della persona umana.

Nello stesso tempo, è necessario garantire che esistano effettive possibilità di lavoro, specialmente laddove una diffusa disoccupazione favorisce il lavoro nero e conseguentemente la criminalità.

Esiste poi l’orribile schiavitù delle tossicodipendenze, che colpisce specialmente i giovani.

È inaccettabile vedere quante vite, famiglie e Paesi, vengono rovinati da tale piaga, che sembra dilagare sempre più, anche per l’avvento di droghe sintetiche spesso mortali, rese ampiamente disponibili dall’esecrabile fenomeno del narcotraffico.

Tra le altre schiavitù del nostro tempo, una delle più tremende è quella praticata dai trafficanti di uomini: persone senza scrupoli, che sfruttano il bisogno di migliaia di persone in fuga da guerre, carestie, persecuzioni o dagli effetti dei cambiamenti climatici e in cerca di un luogo sicuro per vivere.

Una diplomazia della speranza è una diplomazia di libertà, che richiede l’impegno condiviso della Comunità internazionale per eliminare questo miserabile commercio.

In pari tempo, occorre prendersi cura delle vittime di questi traffici, che sono i migranti stessi, costretti a percorrere a piedi migliaia di chilometri in America centrale come nel deserto del Sahara, o ad attraversare il mare Mediterraneo o il canale della Manica in imbarcazioni di fortuna sovraffollate, per poi finire respinti o trovarsi clandestini in una terra straniera.

Dimentichiamo facilmente che ci troviamo davanti a persone che occorre accogliere, proteggere, promuovere e integrare [7].

Con grande sconforto rilevo, invece, che le migrazioni sono ancora coperte da una nube scura di diffidenza, invece di essere considerate una fonte di accrescimento.

Si considerano le persone in movimento solo come un problema da gestire.

Esse non possono venire assimilate a oggetti da collocare, ma hanno una dignità e risorse da offrire agli altri; hanno i loro vissuti, bisogni, paure, aspirazioni, sogni, capacità, talenti.

Solo in questa prospettiva si potranno fare passi avanti per affrontare un fenomeno che richiede un apporto congiunto da parte di tutti i Paesi, anche attraverso la creazione di percorsi regolari sicuri.

Rimane poi cruciale affrontare le cause profonde dello spostamento, affinché lasciare la propria casa per cercarne un’altra sia una scelta e non un “obbligo di sopravvivenza”.

In tale prospettiva, ritengo fondamentale un impegno comune a investire nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, per contribuire a sradicare alcune delle cause che inducono le persone a emigrare.

Proclamare la scarcerazione dei prigionieri

La diplomazia della speranza è infine una diplomazia di giustizia, senza la quale non può esservi pace.

L’anno giubilare è un tempo favorevole per praticare la giustizia, per rimettere i debiti e commutare le pene dei prigionieri.

Non vi è però debito che consenta ad alcuno, compreso lo Stato, di esigere la vita di un altro.

Al riguardo, reitero il mio appello perché la pena di morte sia eliminata in tutte le Nazioni [8], poiché essa non trova oggi giustificazione alcuna tra gli strumenti atti a riparare la giustizia.

D’altra parte, non possiamo dimenticare che in un certo senso siamo tutti prigionieri, perché siamo tutti debitori: lo siamo verso Dio, verso gli altri e anche verso la nostra amata Terra, dalla quale traiamo l’alimento quotidiano.

Come ho richiamato nell’annuale Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, «ciascuno di noi deve in qualche modo sentirsi responsabile per la devastazione a cui è sottoposta la nostra casa comune» [9].

Sempre più la natura sembra ribellarsi all’azione dell’uomo, mediante manifestazioni estreme della sua potenza.

Ne sono un esempio le devastanti alluvioni che si sono verificate in Europa centrale e in Spagna, come pure i cicloni che hanno colpito in primavera il Madagascar e, poco prima di Natale, il Dipartimento francese di Mayotte e il Mozambico.

Non possiamo rimanere indifferenti a tutto ciò! Non ne abbiamo il diritto! Piuttosto, abbiamo il dovere di esercitare il massimo sforzo per la cura della nostra casa comune e di coloro che la abitano e la abiteranno.

Nel corso della COP 29 a Baku sono state adottate decisioni per garantire maggiori risorse finanziarie per l’azione climatica.

Mi auguro che esse consentano la condivisione delle risorse a favore dei molti Paesi vulnerabili alla crisi climatica e sui quali grava il fardello di un debito economico opprimente.

In quest’ottica, mi rivolgo alle nazioni più benestanti perché condonino i debiti di Paesi che mai potrebbero ripagarli.

Non si tratta solo di un atto di solidarietà o magnanimità, ma soprattutto di giustizia, gravata anche da una nuova forma di iniquità di cui oggi siamo sempre più consapevoli: il “debito ecologico”, in particolare tra il Nord e il Sud [10].

Anche in funzione del debito ecologico, è importante individuare modalità efficaci per convertire il debito estero dei Paesi poveri in politiche e programmi efficaci, creativi e responsabili di sviluppo umano integrale.

La Santa Sede è pronta ad accompagnare questo processo nella consapevolezza che non ci sono frontiere o barriere, politiche o sociali, dietro le quali ci si possa nascondere [11].

Prima di concludere, vorrei esprimere in questa sede, il mio cordoglio e la mia preghiera per le vittime e per quanti stanno soffrendo a causa del terremoto che due giorni fa ha colpito il Tibet.

Cari Ambasciatori,

nella prospettiva cristiana il Giubileo è un tempo di grazia.

E come vorrei che questo 2025 fosse veramente un anno di grazia, ricco di verità, di perdono, di libertà, di giustizia e di pace! «Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene» [12] e ciascuno di noi è chiamato a farla fiorire intorno a sé.

È questo il mio più cordiale augurio a tutti voi, cari Ambasciatori, alle vostre famiglie, ai governi e ai popoli che rappresentate: che la speranza fiorisca nei nostri cuori e il nostro tempo trovi la pace che tanto desidera.

Grazie.

 
 

[1] Lett.

enc.

Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 27.

[2] Cfr Discorso alle Autorità civili, ai Rappresentanti delle popolazioni indigene e al Corpo diplomatico, Citadelle de Québec, 27 luglio 2022.

[3] Lett.

enc.

Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 262; cfr S.

Paolo VI, Lett.

enc.

Populorum progressio (26 marzo 1967), 51.

[4] S.

Giovanni Paolo II, Messaggio per la XXI Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1988, n.

2.

[5] Benedetto XVI, Messaggio per la XLIV Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2011, n.

5.

[6] Ibidem.

[7] Discorso ai partecipanti al Forum Internazionale “Migrazioni e pace”, 21 febbraio 2017.

[8] Cfr Messaggio per la LVIII Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2025, n.

11.

[9] Ivi, n.

4.

[10] Cfr Bolla Spes non confundit (9 maggio 2024),16; Lett.

enc.

Laudato si’ (24 maggio 2015), 51.

[11] Cfr Laudato si’, 52.

[12] Bolla Spes non confundit, 1.

Udienza Generale dell'8 Gen 2025 - Catechesi. I più amati dal Padre. 1
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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.
 

Catechesi. I più amati dal Padre.

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Desidero dedicare questa e la prossima catechesi ai bambini e riflettere sulla piaga del lavoro minorile.

Oggi sappiamo volgere lo sguardo verso Marte o verso mondi virtuali, ma facciamo fatica a guardare negli occhi un bambino che è stato lasciato ai margini e che viene sfruttato e abusato.

Il secolo che genera intelligenza artificiale e progetta esistenze multiplanetarie non ha fatto ancora i conti con la piaga dell’infanzia umiliata, sfruttata e ferita a morte.

Pensiamo su questo.

Prima di tutto ci chiediamo: quale messaggio ci dà la Sacra Scrittura sui bambini? È curioso notare come la parola che ricorre maggiormente nell’Antico Testamento, dopo il nome divino di Jahweh, sia il vocabolo ben, cioè “figlio”: quasi cinquemila volte.

«Ecco eredità del Signore sono i figli (ben), è un suo premio il frutto del grembo» (Sal 127,3).

I figli sono un dono di Dio.

Purtroppo, questo dono non sempre è trattato con rispetto.

La Bibbia stessa ci conduce nelle strade della storia dove risuonano i canti di gioia, ma si levano anche le urla delle vittime.

Ad esempio, nel libro delle Lamentazioni leggiamo: «La lingua del lattante si è attaccata al palato per la sete; i bambini chiedevano il pane e non c’era chi lo spezzasse loro» (4,4); e il profeta Naum, ricordando quanto era accaduto nelle antiche città di Tebe e di Ninive, scrive: «I bambini furono sfracellati ai crocicchi di tutte le strade» (3,10).

Pensiamo a quanti bambini, oggi, stanno morendo di fame e di stenti, o dilaniati dalle bombe.

Anche sul neonato Gesù irrompe subito la bufera della violenza di Erode, che fa strage dei bambini di Betlemme.

Un dramma cupo che si ripete in altre forme nella storia.

Ed ecco, per Gesù e i suoi genitori, l’incubo di diventare profughi in un paese straniero, come succede anche oggi a tante persone (cfr Mt 2,13-18), a tanti bambini.

Passata la tempesta, Gesù cresce in un villaggio mai nominato nell’Antico Testamento, Nazaret; impara il mestiere di falegname del suo padre legale, Giuseppe (cfr Mc 6,3; Mt 13,55).

Così «il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui» (Lc 2,40).

Nella sua vita pubblica, Gesù andava predicando per i villaggi insieme ai suoi discepoli.

Un giorno si avvicinano a Lui alcune mamme e gli presentano i loro bimbi perché li benedica; ma i discepoli li rimproverano.

Allora Gesù, rompendo la tradizione che considerava il bambino solo come oggetto passivo, chiama a sé i discepoli e dice: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio».

E così indica i piccoli come modello per gli adulti.

E aggiunge solennemente: «In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come l’accoglie un bambino, non entrerà in esso» (Lc 18,16-17).

In un passo simile, Gesù chiama un bambino, lo mette in mezzo ai discepoli e dice: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18,3).

E poi ammonisce: «Chi invece scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare» (Mt 18,6).

Fratelli e sorelle, i discepoli di Gesù Cristo non dovrebbero mai permettere che i bambini siano trascurati o maltrattati, che vengano privati dei loro diritti, che non siano amati e protetti. I cristiani hanno il dovere di prevenire con impegno e di condannare con fermezza le violenze o gli abusi sui minori.

Ancora oggi, in particolare, sono troppi i piccoli costretti a lavorare.

Ma un bambino che non sorride, un bambino che non sogna non potrà conoscere né fare germogliare i suoi talenti.

In ogni parte della terra ci sono bambini sfruttati da un’economia che non rispetta la vita; un’economia che, così facendo, brucia il nostro più grande giacimento di speranza e di amore.

Ma i bambini occupano un posto speciale nel cuore di Dio, e chiunque danneggia un bambino, dovrà renderne conto a Lui.

Cari fratelli e sorelle, chi si riconosce figlio di Dio, e specialmente chi è inviato a portare agli altri la buona novella del Vangelo, non può restare indifferente; non può accettare che sorelline e fratellini, invece di essere amati e protetti, siano derubati della loro infanzia, dei loro sogni, vittime dello sfruttamento e della marginalità.

Chiediamo al Signore che ci apra la mente e il cuore alla cura e alla tenerezza, e che ogni bambino e ogni bambina possa crescere in età, sapienza e grazia (cfr Lc 2,52), ricevendo e donando amore.

Grazie.

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Saluti

Je salue cordialement les personnes de langue française, particulièrement le les prêtres du diocèse de limoges accompagnés de leur évêque Mgr BOZO.

Demandons la grâce de redécouvrir la place importante que chaque enfant occupe dans le cœur de Dieu, afin de ne pas être complices des abus qui leur sont faits, mais de les condamner fermement.

Que Dieu vous bénisse !

[Rivolgo un cordiale saluto alle persone di lingua francese, in particolare ai sacerdoti della diocesi di Limoges, accompagnati dal loro Vescovo Mons.

Bozo.

Chiediamo la grazia di riscoprire il posto importante che ogni bambino occupa nel cuore di Dio, in modo da non essere complici degli abusi che vengono perpetrati contro di loro, ma condannarli fermamente.

Dio vi benedica!]

I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims, especially those coming from the United States of America and the Philippines.

I pray that each of you, and your families, may cherish the joy of Christmas and draw near in prayer to the Saviour who has come to dwell among us.

God bless you! 

[Saluto i pellegrini di lingua inglese, specialmente quelli provenienti dagli Stati Uniti d’America e dalle Filippine.

Prego affinché ciascuno di voi, con la propria famiglia, possa custodire la gioia del Natale, incontrando nella preghiera il Salvatore che desidera farsi vicino a tutti! Dio vi benedica!]

Liebe Brüder und Schwestern, am Beginn dieses Heiligen Jahres begeben wir uns im Geiste nach Betlehem, um dort wie die Heiligen Drei Könige das Licht der Welt zu schauen, das Wort, das Fleisch geworden ist, um uns zu erlösen und uns das ewige Leben zu schenken.

Kommt, lasset uns anbeten, den König, den Herrn!

[Cari fratelli e sorelle, all’inizio di questo Giubileo ci rechiamo spiritualmente a Betlemme per vedere, come i Magi, la luce del mondo, il Verbo eterno che si è fatto uomo per salvarci e donarci la vita eterna.

Venite adoremus Dominum!]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

Pidamos a Jesús por todos los niños y las niñas del mundo, para que, recibiendo y dando amor, puedan crecer en edad, en sabiduría y en gracia.

Que Dios los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

Muchas gracias.

我向讲中文的人们致以诚挚的问候。亲爱的兄弟姐妹们,愿刚刚开始的禧年对所有人来说都是充满恩典和内在更新的一年。我降福大家!

[Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua cinese.

Cari fratelli e sorelle, il Giubileo da poco iniziato costituisca per tutti un anno di grazia e di rinnovamento interiore.

A tutti la mia benedizione!]

Caros peregrinos de língua portuguesa, a todos vós dou as minhas cordiais boas-vindas.

Lembrai-vos sempre que as crianças são esperança.

Protegei o seu sorriso, que é uma das mais lindas manifestações da ternura de Deus.

Que o Senhor vos abençoe!

[Cari pellegrini di lingua portoghese, a tutti voi rivolgo il mio cordiale benvenuto.

Ricordatevi sempre che i bambini sono speranza.

Proteggete il loro sorriso, che è una delle più belle manifestazioni della tenerezza di Dio.

Il Signore vi benedica!]

أُحيِّي المُؤْمِنِينَ النّاطِقِينَ باللُغَةِ العَرَبِيَّة.

معَ بِدايَةِ السَّنَةِ الجديدة، أتَمَنَّى لكم جميعًا أنْ تَكونَ سنةً يَنمُو فيها السَّلام، السَّلامُ الحقيقيّ والدّائِمُ الَّذي يُريدُه اللهُ لنا.

بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِنْ كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba.

Con l’inizio del nuovo anno, auguro a tutti voi un anno in cui cresca la pace, quella pace vera e duratura che Dio vuole per noi.

Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

Serdecznie pozdrawiam pielgrzymów polskich.

Św.

Jan Paweł II nawoływał do budowania cywilizacji miłości i życia.

Podejmujcie nadal to wezwanie Kościoła jako priorytetowe zadanie.

Chrońcie życie z miłością, na każdym etapie jego rozwoju: od poczęcia do naturalnej śmierci.

Pozwólcie dzieciom wzrastać w mądrości i w łasce.

Z serca Wam błogosławię. 

[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi.

San Giovanni Paolo II esortava a costruire la civiltà dell’amore e della vita.

Continuate a raccogliere questo appello della Chiesa come compito prioritario.

Proteggete la vita con amore, in ogni fase del suo sviluppo: dal concepimento fino alla morte naturale.

Fate crescere i figli nella saggezza e nella grazia.

Vi benedico di cuore.]

* * *

Ringrazio tanto queste donne e uomini che ci hanno fatto ridere con il circo.

Il circo ci fa ridere come dei bambini.

I circensi hanno questa missione, anche da noi: farci ridere e fare cose buone.

Ringrazio tanto tutti voi.

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, saluto i fedeli di Adria e di Alba Adriatica e li incoraggio a vivere in pienezza il cammino della fede nelle rispettive parrocchie.

Accolgo con affetto voi, studenti dell’Istituto Oriani di Faenza, esortandovi ad essere consapevoli testimoni di Cristo tra i vostri coetanei.

E salutiamo il cardinale Gambetti che ricorda il 25.mo anniversario della sua ordinazione.

Il mio pensiero va infine ai giovani, agli ammalati, agli anziani e agli sposi novelli.

In questi giorni, che seguono l’Epifania, continuiamo a meditare sulla manifestazione di Gesù, il Cristo, a tutti i popoli.

La Chiesa invita ogni battezzato, dopo aver adorato la gloria di Dio nel Verbo fatto carne, a rifletterne la luce con la propria vita.

E non dimentichiamo di pregare per la pace.

Non dimentichiamo la martoriata Ucraina; non dimentichiamo Nazareth, Israele.

Non dimentichiamo tutti i Paesi in guerra.

Chiediamo la pace.

E non dimentichiamo che la guerra sempre, sempre, è una sconfitta.

Il Signore benedica tutti.

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