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    Rito ambrosiano

    Da Evangelizo.org:

    Ma 19 Mar : Libro dell’Ecclesiastico 44,23g-27.45,1-2a.3d-5d.
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    Il Signore Dio da Giacobbe fece sorgere un uomo di pietà, che riscosse una stima universale e fu amato da Dio e dagli uomini: Mosè, il cui ricordo è benedizione. Lo rese glorioso come i santi e gli mostrò una parte della sua gloria. Lo santificò nella fedeltà e nella mansuetudine; lo scelse fra tutti i viventi. legge di vita e di intelligenza.

    Ma 19 Mar : Salmi 16(15),5-6.8-9.11.
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    Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi, è magnifica la mia eredità. Io pongo sempre innanzi a me il Signore, sta alla mia destra, non posso vacillare. Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra.

    Ma 19 Mar : Lettera agli Ebrei 11,1-2.7-9.13abc.39-40.12,1-2b.
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    La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza. Per fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non si vedevano, costruì con pio timore un'arca a salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e divenne erede della giustizia secondo la fede. Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra. Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi. Anche noi dunque, circondati da un così gran nugolo di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede.

    Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio.

    Ma 19 Mar : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 2,19-23.
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    In quel tempo, morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e và nel paese d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino». Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele. Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi.

    Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

    Ma 19 Mar : Leone XIII
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    Giuseppe era il custode, l’amministratore e il difensore legittimo e naturale della casa divina di cui era il capo.

    Egli ha assunto questi incarichi lungo tutta la sua vita mortale.

    Si è applicato a custodire con un sovrano amore e una sollecitudine quotidiana la sua Sposa e il divino Bambino; ha guadagnato regolarmente con il suo lavoro quanto era necessario all’uno e all’altra per il cibo e il vestito; ha preservato dalla morte il Bambino minacciato dalla gelosia di un re(...); nelle difficoltà dei viaggi e nelle pene dell’esilio, costantemente è stato il compagno, l’aiuto e il sostegno della Vergine e di Gesù. Ora, la divina casa che Giuseppe governava con l’autorità di padre, conteneva le primizie della Chiesa nascente.

    Come la Vergine santissima è la madre di Gesù Cristo, così lei è anche la madre di tutti i cristiani che Ella ha generato al Calvario, in mezzo alle sofferenze supreme del Redentore; anche Gesù Cristo è come il primogenito tra i cristiani che, mediante l’adozione e la redenzione, sono i suoi fratelli (Rm 8,29). Per tali motivi questo beato Patriarca considera che gli sia stata affidata in modo particolare la moltitudine dei cristiani che compongono la Chiesa, cioè questa immensa famiglia sparsa per tutta la terra e sulla quale, perché è lo sposo di Maria e il padre di Gesù Cristo, egli possiede un’autorità paterna.

    È quindi naturale e degno del beato Giuseppe che, come provvedeva un tempo per tutti i bisogni della famiglia di Nazaret e la circondava santamente della sua protezione, egli copra ora del suo patrocinio celeste e difenda la Chiesa di Gesù Cristo.

    Lu 18 Mar : Libro della Genesi 37,2ab.39,1-6b.
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    Questa è la storia della discendenza di Giacobbe.

    Giuseppe all'età di diciassette anni pascolava il gregge con i fratelli.

    Egli era giovane e stava con i figli di Bila e i figli di Zilpa, mogli di suo padre.

    Ora Giuseppe riferì al loro padre i pettegolezzi sul loro conto. Questa è la storia della discendenza di Giacobbe.

    Giuseppe all'età di diciassette anni pascolava il gregge con i fratelli.

    Egli era giovane e stava con i figli di Bila e i figli di Zilpa, mogli di suo padre.

    Ora Giuseppe riferì al loro padre i pettegolezzi sul loro conto. Giuseppe era stato condotto in Egitto e Potifar, consigliere del faraone e comandante delle guardie, un Egiziano, lo acquistò da quegli Ismaeliti che l'avevano condotto laggiù. Allora il Signore fu con Giuseppe: a lui tutto riusciva bene e rimase nella casa dell'Egiziano, suo padrone. Il suo padrone si accorse che il Signore era con lui e che quanto egli intraprendeva il Signore faceva riuscire nelle sue mani. Così Giuseppe trovò grazia agli occhi di lui e divenne suo servitore personale; anzi quegli lo nominò suo maggiordomo e gli diede in mano tutti i suoi averi. Da quando egli lo aveva fatto suo maggiordomo e incaricato di tutti i suoi averi, il Signore benedisse la casa dell'Egiziano per causa di Giuseppe e la benedizione del Signore fu su quanto aveva, in casa e nella campagna. Così egli lasciò tutti i suoi averi nelle mani di Giuseppe e non gli domandava conto di nulla, se non del cibo che mangiava.

    Ora Giuseppe era bello di forma e avvenente di aspetto.

    Lu 18 Mar : Salmi 119(118),121-128.
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    Ho agito secondo diritto e giustizia; non abbandonarmi ai miei oppressori. Assicura il bene al tuo servo; non mi opprimano i superbi. I miei occhi si consumano nell'attesa della tua salvezza e della tua parola di giustizia. Agisci con il tuo servo secondo il tuo amore e insegnami i tuoi comandamenti. Io sono tuo servo, fammi comprendere e conoscerò i tuoi insegnamenti. È tempo che tu agisca, Signore; hanno violato la tua legge. Perciò amo i tuoi comandamenti più dell'oro, più dell'oro fino. Per questo tengo cari i tuoi precetti e odio ogni via di menzogna.

    Lu 18 Mar : Libro de Proverbi 27,23-27b.
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    Preòccupati del tuo gregge, abbi cura delle tue mandrie, perché non sono perenni le ricchezze, né un tesoro si trasmette di generazione in generazione. Si toglie il fieno, apparisce l'erba nuova e si raccolgono i foraggi dei monti; gli agnelli ti danno le vesti e i capretti il prezzo per comprare un campo, le capre latte abbondante per il cibo e per vitto della tua famiglia.

    e per mantenere le tue schiave.

    Lu 18 Mar : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 8,27-33.
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    Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?».

    Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente.

    Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

    Lu 18 Mar : Sant'Agostino
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    Sembra penoso e gravoso il comando dato dal Signore, che cioè, se uno vuole seguirlo, deve rinnegare se stesso.

    Ma non è penoso e gravoso ciò che comanda Colui che aiuta a mettere in pratica ciò che comanda...

    È vero anche ciò che dice lui stesso in persona: "Il mio giogo è dolce e il mio peso leggero" (Mt 11,30).

    Poiché tutto ciò ch'è penoso nei precetti, lo rende dolce la carità.

    Sappiamo quanti sacrifici fa compiere l'amore!...Quante avversità non patiscono, quante condizioni ignominiose e intollerabili non sopportano gli uomini per giungere all'oggetto del loro amore?...

    Perché stupirci se chi ama Cristo e vuole esserne seguace, con l'amarlo rinuncia a se stesso? Se in effetti uno si perde amando se stesso, certamente si ritrova col rinnegare se stesso... Chi può rifiutare di andare con Cristo là dove si trova la somma felicità, la pace suprema e la perpetua tranquillità? È bene seguirlo lassù, ma bisogna vedere per quale via...

    La via ti sembra scabrosa, ti rende pigro, e così ti rifiuti d'andare dietro a lui.

    Va' dietro a lui.

    È scabroso ciò che l'uomo ha reso tale a se stesso, ma sono state ridotte in polvere le asperità che Cristo cancellò tornando al cielo.

    Ora chi non vuol arrivare alla glorificazione? A tutti piace un posto elevato, ma il gradino è l'umiltà.

    Perché alzi il piede al di sopra di te? In tal modo tu vuoi cadere, non già salire.

    Comincia dal gradino [dell'umiltà] e sei già salito.

    Non volevano considerare il gradino dell'umiltà quei due discepoli che dicevano: "Comanda, Signore, che di noi due uno sieda alla tua destra e l'altro alla tua sinistra nel tuo regno".

    Chiedevano un posto elevato ma non vedevano il gradino.

    Il Signore allora mostrò loro il gradino e che cosa rispose loro il Signore? "Siete in grado di bere il calice che io dovrò bere?" (Mc 10,37-38).

    Voi che chiedete l'apice della sublimità, siete in grado di bere il calice dell'umiltà? Ecco perché non disse soltanto: "Rinunci a se stesso e mi segua", ma aggiunse: "Prenda su di sé la sua croce e mi segua".

    Da 17 Mar : Libro del Deuteronomio 6,4a.20-25.
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    Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: Che significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore nostro Dio vi ha date? tu risponderai a tuo figlio: Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente. Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili contro l'Egitto, contro il faraone e contro tutta la sua casa. Ci fece uscire di là per condurci nel paese che aveva giurato ai nostri padri di darci. Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore nostro Dio così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi. La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore Dio nostro, come ci ha ordinato.

    Da 17 Mar : Salmi 105(104),2-3.23-24.43.45.
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    Cantate a lui canti di gioia, meditate tutti i suoi prodigi. Gloriatevi del suo santo nome: gioisca il cuore di chi cerca il Signore. E Israele venne in Egitto, Giacobbe visse nel paese di Cam come straniero. Ma Dio rese assai fecondo il suo popolo, lo rese più forte dei suoi nemici. Fece uscire il suo popolo con esultanza, i suoi eletti con canti di gioia. perché custodissero i suoi decreti e obbedissero alle sue leggi.

    Alleluia.

    Da 17 Mar : Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 5,15-20.
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    Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere la volontà di Dio. E non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.

    Da 17 Mar : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 11,1-53.
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    Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato». All'udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. Poi, disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce». Così parlò e poi soggiunse loro: «Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s'è addormentato, guarirà». Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate.

    Orsù, andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era gia da quattro giorni nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell'ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno.

    Credi tu questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo». Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: «Il Maestro è qui e ti chiama». Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: «Va al sepolcro per piangere là». Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: «Dove l'avete posto?».

    Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?». Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!».

    Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, gia manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra.

    Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario.

    Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: «Che facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione». Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera». Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.

    Da 17 Mar : Sant'Efrem Siro
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    Quando ha chiesto: “Dove l’avete posto?”, nostro Signore ha pianto.

    Le sue lacrime sono state come la pioggia, Lazzaro come il grano, il sepolcro come la terra.

    Ha gridato con voce di tuono, a udire la sua voce la morte ha tremato, Lazzaro è spuntato come grano, è uscito ed ha adorato il Signore che l’aveva risuscitato. Gesù… ha reso la vita a Lazzaro ed è morto al suo posto, poiché, dopo averlo fatto uscire dal sepolcro e averlo preso alla sua mensa, egli stesso è stato sepolto simbolicamente con l’olio che Maria ha versato sul suo capo (Mt 26,7).

    La forza della morte che aveva trionfato da quattro giorni è vinta… perché la morte sapesse che era facile al Signore vincerla il terzo giorno…; la sua promessa è vera: aveva promesso che sarebbe risorto lui pure il terzo giorno (Mt 16,21)… Il Signore ha dunque reso felici Maria e Marta vincendo l’inferno per mostrare che lui pure non sarebbe morto per sempre… Ora, ogni volta che si dirà che è impossibile risorgere il terzo giorno, si guardi a colui che è stato risuscitato il quarto giorno… “Togliete la pietra!” Perché ? colui che ha risuscitato un morto e gli ha reso la vita non avrebbe potuto aprire il sepolcro e rovesciare la pietra ? Lui che diceva ai discepoli: “Se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà” (Mt 17,20), non avrebbe potuto con una parola spostare la pietra che chiudeva l’ingresso del sepolcro? Certo che avrebbe potuto togliere la pietra con la sua parola, lui la cui voce, quando era appeso alla croce, ha spezzato le rocce ed ha aperto i sepolcri (Mt 27,51-52).

    Ma, poiché era amico di Lazzaro, ha detto: “Aprite, sentite il cattivo odore, scioglietelo voi che l’avete avvolto in bende e nel suo sudario, riconoscete colui che avete seppellito”.


    Rito romano

    Da Evangelizo.org:

    Ma 19 Mar : Secondo libro di Samuele 7,4-5a.12-14a.16.
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    In quei giorni, la parola del Signore fu rivolta a Natan: «Và e riferisci al mio servo Davide: Dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre».

    Ma 19 Mar : Salmi 89(88),2-3.4-5.27.29.
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    Canterò senza fine le grazie del Signore, con la mia bocca annunzierò la tua fedeltà nei secoli, perché hai detto: «La mia grazia rimane per sempre»; la tua fedeltà è fondata nei cieli. Ho stretto un'alleanza con il mio eletto, ho giurato a Davide mio servo: stabilirò per sempre la tua discendenza, ti darò un trono che duri nei secoli. Egli mi invocherà: Tu sei mio padre, mio Dio e roccia della mia salvezza. Gli conserverò sempre la mia grazia, la mia alleanza gli sarà fedele.

    Ma 19 Mar : Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 4,13.16-18.22.
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    Fratelli, non in virtù della legge fu data ad Abramo o alla sua discendenza la promessa di diventare erede del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede; Eredi quindi si diventa per la fede, perché ciò sia per grazia e così la promessa sia sicura per tutta la discendenza, non soltanto per quella che deriva dalla legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi. Infatti sta scritto: Ti ho costituito padre di molti popoli; (è nostro padre) davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all'esistenza le cose che ancora non esistono. Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: "Così sarà la tua discendenza." Ecco perché gli fu accreditato come giustizia.

    Ma 19 Mar : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 1,16.18-21.24a.
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    Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore.

    Ma 19 Mar : Leone XIII
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    Giuseppe era il custode, l’amministratore e il difensore legittimo e naturale della casa divina di cui era il capo.

    Egli ha assunto questi incarichi lungo tutta la sua vita mortale.

    Si è applicato a custodire con un sovrano amore e una sollecitudine quotidiana la sua Sposa e il divino Bambino; ha guadagnato regolarmente con il suo lavoro quanto era necessario all’uno e all’altra per il cibo e il vestito; ha preservato dalla morte il Bambino minacciato dalla gelosia di un re(...); nelle difficoltà dei viaggi e nelle pene dell’esilio, costantemente è stato il compagno, l’aiuto e il sostegno della Vergine e di Gesù. Ora, la divina casa che Giuseppe governava con l’autorità di padre, conteneva le primizie della Chiesa nascente.

    Come la Vergine santissima è la madre di Gesù Cristo, così lei è anche la madre di tutti i cristiani che Ella ha generato al Calvario, in mezzo alle sofferenze supreme del Redentore; anche Gesù Cristo è come il primogenito tra i cristiani che, mediante l’adozione e la redenzione, sono i suoi fratelli (Rm 8,29). Per tali motivi questo beato Patriarca considera che gli sia stata affidata in modo particolare la moltitudine dei cristiani che compongono la Chiesa, cioè questa immensa famiglia sparsa per tutta la terra e sulla quale, perché è lo sposo di Maria e il padre di Gesù Cristo, egli possiede un’autorità paterna.

    È quindi naturale e degno del beato Giuseppe che, come provvedeva un tempo per tutti i bisogni della famiglia di Nazaret e la circondava santamente della sua protezione, egli copra ora del suo patrocinio celeste e difenda la Chiesa di Gesù Cristo.

    Lu 18 Mar : Libro di Daniele 13,1-9.15-17.19-30.33-62.
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    In quei giorni, abitava a Babilonia un uomo chiamato Ioakìm, il quale aveva sposato una donna chiamata Susanna, figlia di Chelkìa, di rara bellezza e timorata di Dio. I suoi genitori, che erano giusti, avevano educato la figlia secondo la legge di Mosè. Ioakìm era molto ricco e possedeva un giardino vicino a casa ed essendo stimato più di ogni altro i Giudei andavano da lui. In quell'anno erano stati eletti giudici del popolo due anziani: erano di quelli di cui il Signore ha detto: "L'iniquità è uscita da Babilonia per opera di anziani e di giudici, che solo in apparenza sono guide del popolo". Questi frequentavano la casa di Ioakìm e tutti quelli che avevano qualche lite da risolvere si recavano da loro. Quando il popolo, verso il mezzogiorno, se ne andava, Susanna era solita recarsi a passeggiare nel giardino del marito. I due anziani che ogni giorno la vedevano andare a passeggiare, furono presi da un'ardente passione per lei: persero il lume della ragione, distolsero gli occhi per non vedere il Cielo e non ricordare i giusti giudizi. Mentre aspettavano l'occasione favorevole, Susanna entrò, come al solito, con due sole ancelle, nel giardino per fare il bagno, poiché faceva caldo. Non c'era nessun altro al di fuori dei due anziani nascosti a spiarla. Susanna disse alle ancelle: "Portatemi l'unguento e i profumi, poi chiudete la porta, perché voglio fare il bagno". Appena partite le ancelle, i due anziani uscirono dal nascondiglio, corsero da lei e le dissero: "Ecco, le porte del giardino sono chiuse, nessuno ci vede e noi bruciamo di passione per te; acconsenti e datti a noi. In caso contrario ti accuseremo; diremo che un giovane era con te e perciò hai fatto uscire le ancelle". Susanna, piangendo, esclamò: "Sono alle strette da ogni parte.

    Se cedo, è la morte per me; se rifiuto, non potrò scampare dalle vostre mani. Meglio però per me cadere innocente nelle vostre mani che peccare davanti al Signore!". Susanna gridò a gran voce.

    Anche i due anziani gridarono contro di lei e uno di loro corse alle porte del giardino e le aprì. I servi di casa, all'udire tale rumore in giardino, si precipitarono dalla porta laterale per vedere che cosa stava accadendo. Quando gli anziani ebbero fatto il loro racconto, i servi si sentirono molto confusi, perché mai era stata detta una simile cosa di Susanna. Il giorno dopo, tutto il popolo si adunò nella casa di Ioakìm, suo marito e andarono là anche i due anziani pieni di perverse intenzioni per condannare a morte Susanna. Rivolti al popolo dissero: "Si faccia venire Susanna figlia di Chelkìa, moglie di Ioakìm".

    Mandarono a chiamarla ed essa venne con i genitori, i figli e tutti i suoi parenti. Tutti i suoi familiari e amici piangevano. I due anziani si alzarono in mezzo al popolo e posero le mani sulla sua testa. Essa piangendo alzò gli occhi al cielo, con il cuore pieno di fiducia nel Signore. Gli anziani dissero: "Mentre noi stavamo passeggiando soli nel giardino, è venuta con due ancelle, ha chiuse le porte del giardino e poi ha licenziato le ancelle. Quindi è entrato da lei un giovane che era nascosto, e si è unito a lei. Noi che eravamo in un angolo del giardino, vedendo una tale nefandezza, ci siamo precipitati su di loro e li abbiamo sorpresi insieme. Non abbiamo potuto prendere il giovane perché, più forte di noi, ha aperto la porta ed è fuggito. Abbiamo preso lei e le abbiamo domandato chi era quel giovane, ma lei non ce l'ha voluto dire.

    Di questo noi siamo testimoni". La moltitudine prestò loro fede poiché erano anziani e giudici del popolo e la condannò a morte. Allora Susanna ad alta voce esclamò: "Dio eterno, che conosci i segreti, che conosci le cose prima che accadano, tu lo sai che hanno deposto il falso contro di me! Io muoio innocente di quanto essi iniquamente hanno tramato contro di me". E il Signore ascoltò la sua voce. Mentre Susanna era condotta a morte, il Signore suscitò il santo spirito di un giovanetto, chiamato Daniele, il quale si mise a gridare: "Io sono innocente del sangue di lei!". Tutti si voltarono verso di lui dicendo: "Che vuoi dire con le tue parole?". Allora Daniele, stando in mezzo a loro, disse: "Siete così stolti, Israeliti? Avete condannato a morte una figlia d'Israele senza indagare la verità! Tornate al tribunale, perché costoro hanno deposto il falso contro di lei". Il popolo tornò subito indietro e gli anziani dissero a Daniele: "Vieni, siedi in mezzo a noi e facci da maestro, poiché Dio ti ha dato il dono dell'anzianità". Daniele esclamò: "Separateli bene l'uno dall'altro e io li giudicherò". Separati che furono, Daniele disse al primo: "O invecchiato nel male! Ecco, i tuoi peccati commessi in passato vengono alla luce, quando davi sentenze ingiuste opprimendo gli innocenti e assolvendo i malvagi, mentre il Signore ha detto: Non ucciderai il giusto e l'innocente. Ora dunque, se tu hai visto costei, dì: sotto quale albero tu li hai visti stare insieme?".

    Rispose: "Sotto un lentisco". Disse Daniele: "In verità, la tua menzogna ricadrà sulla tua testa.

    già l'angelo di Dio ha ricevuto da Dio la sentenza e ti spaccherà in due". Allontanato questo, fece venire l'altro e gli disse: "Razza di Cànaan e non di Giuda, la bellezza ti ha sedotto, la passione ti ha pervertito il cuore! Così facevate con le donne d'Israele ed esse per paura si univano a voi.

    Ma una figlia di Giuda non ha potuto sopportare la vostra iniquità. Dimmi dunque, sotto quale albero li hai trovati insieme?".

    Rispose: "Sotto un leccio". Disse Daniele: "In verità anche la tua menzogna ti ricadrà sulla testa.

    Ecco l'angelo di Dio ti aspetta con la spada in mano per spaccarti in due e così farti morire". Allora tutta l'assemblea diede in grida di gioia e benedisse Dio che salva coloro che sperano in lui. Poi insorgendo contro i due anziani, ai quali Daniele aveva fatto confessare con la loro bocca di aver deposto il falso, fece loro subire la medesima pena alla quale volevano assoggettare il prossimo e applicando la legge di Mosè li fece morire.

    In quel giorno fu salvato il sangue innocente.

    Lu 18 Mar : Salmi 23(22),1-3a.3b-4.5.6.
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    Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me.

    Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo.

    Il mio calice trabocca. Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni.

    Lu 18 Mar : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 8,1-11.
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    In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa.

    Tu che ne dici?». Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo.

    Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.

    Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore».

    E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; và e d'ora in poi non peccare più».

    Lu 18 Mar : San Giovanni Paolo II
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    «Dio nessuno l'ha mai visto», scrive san Giovanni per dar maggior rilievo alla verità secondo cui «proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1, 18)....

    Rivelata in Cristo, la verità intorno a Dio «Padre delle misericordie» (2 Cor 1, 3) ci consente di «vederlo» particolarmente vicino all'uomo, soprattutto quando questi soffre, quando viene minacciato nel nucleo stesso della sua esistenza e della sua dignità.

    Ed è per questo che, nell'odierna situazione della Chiesa e del mondo, molti uomini e molti ambienti guidati da un vivo senso di fede si rivolgono, direi, quasi spontaneamente alla misericordia di Dio.

    Essi sono spinti certamente a farlo da Cristo stesso, il quale mediante il suo Spirito opera nell'intimo dei cuori umani.

    Rivelato da lui, infatti, il mistero di Dio «Padre delle misericordie» diventa, nel contesto delle odierne minacce contro l'uomo, quasi un singolare appello che s'indirizza alla Chiesa. Desidero...

    accogliere questo appello; desidero attingere all'eterno ed insieme, per la sua semplicità e profondità, incomparabile linguaggio della rivelazione e della fede, per esprimere proprio con esso ancora una volta dinanzi a Dio ed agli uomini le grandi preoccupazioni del nostro tempo.

    Infatti, la rivelazione e la fede ci insegnano non tanto a meditare in astratto il mistero di Dio come «Padre delle misericordie», ma a ricorrere a questa stessa misericordia nel nome di Cristo e in unione con lui.

    Cristo non ha forse detto che il nostro Padre, il quale «vede nel segreto» (Mt 6,4), attende, si direbbe, continuamente che noi, richiamandoci a lui in ogni necessità, scrutiamo sempre il suo mistero: il mistero del Padre e del suo amore? Desidero quindi che queste considerazioni rendano più vicino a tutti tale mistero e diventino, nello stesso tempo, un vibrante appello della Chiesa per la misericordia di cui l'uomo e il mondo contemporaneo hanno tanto bisogno.

    E ne hanno bisogno anche se sovente non lo sanno.

    Da 17 Mar : Libro di Geremia 31,31-34.
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    "Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Non come l'alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d'Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore.

    Parola del Signore. Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore.

    Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato".

    Da 17 Mar : Salmi 51(50),3-4.12-13.14-15.
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    Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso. Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno.

    Da 17 Mar : Lettera agli Ebrei 5,7-9.
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    Cristo, nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

    Da 17 Mar : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 12,20-33.
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    Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose: «E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo.

    Se uno mi serve, il Padre lo onorerà." Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome».

    Venne allora una voce dal cielo: «L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!». La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono.

    Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Rispose Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me». Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire.

    Da 17 Mar : Beato Columba Marmion
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    Credere è partecipare alla conoscenza che Dio ha di se stesso e di tutte le cose in lui.

    Con l'esercizio di questa virtù la nostra vita è come un riflesso della sua.

    Quando l'anima è piena di fede vede, per così dire, con gli occhi di Dio.

    Ma cosa contempla eternamente il Padre? Suo Figlio.

    Egli conosce e ama tutto in Lui.

    Questo sguardo e questo amore gli sono essenziali.

    Cosa guarda in questo momento? il Verbo, il suo uguale, divenuto uomo per amore. Il Padre stima suo Figlio infinitamente, divinamente, come solo lui può farlo; ecco perché è completamente con lui; tutto ciò che fa ha per fine la sua gloria: "L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!" (Gv 12,28).

    Vuole che suo Figlio sia riconosciuto dalle creature dotate di ragione con la devozione dovuta alla sua divinità.

    Quando lo ha introdotto nel mondo ha voluto che "lo adorino tutti gli angeli" (Eb 1,6).

    Reclama dagli uomini lo stesso omaggio.

    Il Padre vuole "che tutti onorino il Figlio come onorano il Padre" (Gv 5,23).

    E sul Tabor non ha forse voluto da tutti di credere alle parole di Gesù perché erano quelle "del Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento"? Se guardassimo a Cristo con gli occhi del Padre, sarebbe infinito il valore che daremmo alla dignità della sua persona, all'estensione dei suoi meriti, alla potenza della sua grazia.

    Qualunque sia il numero dei nostri peccati e la nostra mancanza, abbiamo in Cristo la possibilità della misericordia infinita che tutto colma.

    Nella nostra miseria siamo ricchi di Cristo (cfr.

    1Co 1,5).

    La sovrabbondanza dei meriti di un Dio è per la Chiesa che lo possiede una fonte che sgorga senza sosta di gratitudine, lode, pace e gioia indicibili.


    Santa Marta

    Omelie di Papa Francesco da Santa Marta, via 'cosa resta del giorno':

    Lo Spirito Santo ci ricorda l’accesso al Padre (17 maggio 2020)

    Discorsi e omelie di Papa Francesco

    Angelus, 17 Mar 2024
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi, quinta Domenica di Quaresima, mentre ci avviciniamo alla Settimana Santa, Gesù nel Vangelo (cfr Gv 12,20-33) ci dice una cosa importante: che sulla Croce vedremo la gloria sua e del Padre (cfr vv.

    23.28).

    Ma com’è possibile che la gloria di Dio si manifesti proprio lì, sulla Croce? Verrebbe da pensare che ciò avvenga nella Risurrezione, non sulla Croce, che è una sconfitta, un fallimento! Invece oggi Gesù, parlando della sua Passione, dice: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato» (v.

    23).

    Cosa vuole dirci?

    Vuole dirci che la gloria, per Dio, non corrisponde al successo umano, alla fama o alla popolarità; la gloria, per Dio, non ha nulla di autoreferenziale, non è una manifestazione grandiosa di potenza cui seguono gli applausi del pubblico.

    Per Dio la gloria è amare fino a dare la vita.

    Glorificarsi, per Lui, vuol dire donarsi, rendersi accessibile, offrire il suo amore.

    E questo è avvenuto in modo culminante sulla Croce, proprio lì, dove Gesù ha dispiegato al massimo l’amore di Dio, rivelandone pienamente il volto di misericordia, donandoci la vita e perdonando i suoi crocifissori.

    Fratelli e sorelle, dalla Croce, “cattedra di Dio”, il Signore ci insegna che la gloria vera, quella che non tramonta mai e rende felici, è fatta di dono e perdono.

    Dono e perdono sono l’essenza della gloria di Dio.

    E sono per noi la via della vita.

    Dono e perdono: criteri molto diversi da ciò che vediamo attorno a noi, e anche in noi, quando pensiamo alla gloria come a qualcosa da ricevere più che da dare; come qualcosa da possedere anziché da offrire.

    No, la gloria mondana passa e non lascia la gioia nel cuore; nemmeno porta al bene di tutti, ma alla divisione, alla discordia, all’invidia.

    E allora possiamo chiederci: qual è la gloria che desidero per me, per la mia vita, che sogno per il mio futuro? Quella di impressionare gli altri per la mia bravura, per le mie capacità o per le cose che possiedo? Oppure la via del dono e del perdono, quella di Gesù Crocifisso, la via di chi non si stanca di amare, fiducioso che ciò testimonia Dio nel mondo e fa risplendere la bellezza della vita? Quale gloria voglio per me? Ricordiamo infatti che, quando doniamo e perdoniamo, in noi risplende la gloria di Dio.

    Proprio lì: quando doniamo e perdoniamo.

    La Vergine Maria, che ha seguito con fede Gesù nell’ora della Passione, ci aiuti ad essere riflessi viventi dell’amore di Gesù.

    Dopo l’Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Ho appreso con sollievo che ad Haiti sono stati liberati un’insegnante e quattro dei sei religiosi dell’Istituto Frères du Sacré-Cœur rapiti lo scorso 23 febbraio.

    Chiedo che siano liberati al più presto gli altri due religiosi e tutte le persone ancora sotto sequestro in quell’amato Paese provato da tanta violenza.

    Invito tutti gli attori politici e sociali ad abbandonare ogni interesse particolare e a impegnarsi in spirito solidale nella ricerca del bene comune, sostenendo una transizione serena verso un Paese che, con l’aiuto della Comunità internazionale, sia dotato di solide istituzioni capaci di riportare l’ordine e la tranquillità tra i suoi cittadini.

    Continuiamo a pregare per le popolazioni martoriate dalla guerra, in Ucraina, in Palestina e in Israele, in Sudan.

    E non dimentichiamo la Siria, un Paese che soffre tanto per la guerra, da tempo.

    Saluto tutti voi che siete venuti da Roma, dall’Italia e da tante parti del mondo.

    In particolare, saluto gli studenti spagnoli della rete di residenze universitarie “Camplus”, i gruppi parrocchiali di Madrid, Pescara, Chieti, Locorotondo e della parrocchia di San Giovanni Leonardi in Roma.

    Saluto la Cooperativa Sociale San Giuseppe di Como, i bambini di Perugia, i giovani di Bologna in cammino verso la Professione di Fede, e i ragazzi della Cresima di Pavia, Iolo di Prato e Cavaion Veronese.

    Accolgo con piacere i partecipanti alla Maratona di Roma, tradizionale festa dello sport e della fraternità.

    Anche quest’anno, per iniziativa di Athletica Vaticana, numerosi atleti sono coinvolti nelle “staffette della solidarietà”, diventando testimoni di condivisione.

    E a tutti auguro una buona domenica.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci!

    Messaggio di cordoglio del Santo Padre per la scomparsa di Sua Santità Neofit, Metropolita di Sofia e Patriarca della Chiesa Ortodossa di Bulgaria (16 Mar 2024)
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    Ho appreso con profonda tristezza della morte del vostro amato Patriarca, Sua Santità Neofit, che è stato un grande testimone della fede della Chiesa ortodossa bulgara, e invio sentite condoglianze a lei, al Santo Sinodo che presiede, e all’intera Chiesa ortodossa bulgara. 

    Sua Santità Neofit ha reso un prezioso servizio al Vangelo e al dialogo e, nonostante le sue molte sofferenze, è rimasto un uomo di umiltà e gioia, un esempio di una vita consacrata al Signore e alla sua Chiesa.

    Poiché il Corpo di Cristo sulla terra — la Chiesa — è la porta d’accesso alla vita del Signore risorto, così per i fedeli cristiani, la morte segna un passaggio da questo mondo alla Vita Eterna.

    Pertanto, è nostra orante speranza che Sua Santità Neofit stia ora vivendo «dove non vi è dolore né affanno né gemito» (Trisàghion per i defunti).

    Assicuro Sua Eminenza, il Santo Sinodo e tutti i membri della Chiesa ortodossa bulgara di un ricordo speciale nelle mie preghiere; che Gesù Cristo — il quale «è risuscitato dai morti.

    Con la sua morte ha vinto la morte, ai morti ha dato la vita» (Tropario di Pasqua) — possa riempire i vostri cuori di consolazione e pace.

    FRANCESCO

    Roma, San Giovanni in Laterano, 15 marzo 2024

     


    ____________________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    63, sabato 16 marzo 2024, p.

    10.

    Ai Dirigenti e al Personale dell'Ospedale Pediatrico "Bambino Gesù" (16 Mar 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti tutti!

    Sono molto contento di incontrarvi, mentre ricordate il primo centenario di fondazione dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.

    Un secolo fa, esso veniva donato alla Santa Sede dalla famiglia Salviati: primo vero ospedale dedicato ai bambini.

    Il dono fu accolto da Pio XI, che vide nell’opera l’espressione della carità del Papa e della Chiesa verso i piccoli infermi, e da allora è conosciuto come “Ospedale del Papa”.

    Fermiamoci allora un momento a riflettere, con riconoscenza, sulla ricchezza di questa istituzione, sviluppatasi in un secolo di storia, sottolineandone tre aspetti: il dono, la cura e la comunità.

    Primo aspetto: il dono.

    Oggi il “Bambino Gesù” è un centro di ricerca e di cura pediatrica tra i più grandi in Europa, punto di riferimento per famiglie che vengono da tutto il mondo.

    Resta però fondamentale, nella sua storia e nella sua vocazione, l’elemento del dono, con i valori di gratuità, generosità, disponibilità e umiltà.

    È bello ricordare, in proposito, il gesto dei figli della duchessa Arabella Salviati che, all’inizio della vostra storia, regalarono alla mamma il loro salvadanaio per realizzare un ospedale per i bambini: esso ci dice che questa grande opera si fonda anche su doni umili, come quello di questi ragazzi a beneficio dei loro coetanei malati.

    E nella stessa ottica fa bene, ai nostri giorni, menzionare la generosità dei molti benefattori grazie a cui si è potuto realizzare, a Passoscuro, un Centro di Cure Palliative per giovanissimi pazienti affetti da malattie inguaribili. 

    Solo in questa luce si può comprendere appieno il valore di ciò che fate, dalle cose più piccole alle più grandi, e si può continuare a sognare per il futuro.

    Pensiamo, ad esempio, alla prospettiva di una nuova sede a Roma, di cui sono state poste recentemente le premesse, con un accordo tra la Santa Sede e lo Stato Italiano.

    Come pure al notevole impegno economico ordinario e straordinario, legato alla tutela e manutenzione di strutture e apparecchiature; alla garanzia di qualità professionale di medici e operatori; alla ricerca scientifica; fino a giungere all’accoglienza di bambini bisognosi provenienti da ogni parte del mondo, offerta senza distinzione di condizione sociale, nazionalità o religione.

    In tutto questo il dono è un elemento indispensabile del vostro essere e del vostro agire.

    Secondo aspetto: la cura.

    La scienza, e di conseguenza la capacità di cura, si può dire il primo dei compiti che caratterizza oggi l’Ospedale Bambino Gesù.

    Essa è la risposta concreta che date alle accorate richieste di aiuto di famiglie che domandano per i loro figli assistenza e, ove possibile, guarigione.

    L’eccellenza nella ricerca biomedica è dunque importante.

    Vi incoraggio a coltivarla con lo slancio di offrire il meglio di voi stessi e con un’attenzione speciale nei confronti dei più fragili, come i pazienti affetti da malattie gravi, rare o ultra-rare.

    Non solo, ma perché la scienza e la competenza non restino privilegio di pochi, vi esorto a continuare a mettere i frutti della vostra ricerca a disposizione di tutti, specialmente là dove ce n’è più bisogno, come fate ad esempio contribuendo alla formazione di medici e infermieri africani, asiatici e mediorientali.

    A proposito di cura, sappiamo che la malattia di un bambino coinvolge tutti i suoi familiari.

    Per questo, è una grande consolazione sapere che sono tante le famiglie seguite dai vostri servizi, accolte in strutture legate all’ospedale e accompagnate dalla vostra gentilezza e vicinanza.

    Questo è un elemento qualificante, che non va mai trascurato, anche se so che a volte lavorate in condizioni difficili.

    Piuttosto sacrifichiamo qualcos’altro, ma non la gentilezza e la tenerezza.

    Non c’è cura senza relazione, prossimità e tenerezza, a tutti i livelli.

    E infine veniamo al terzo punto: la comunità.

    Una delle più belle espressioni che descrivono la missione del “Bambino Gesù” è “Vite che aiutano la vita”.

    È bella, perché parla di una missione portata avanti insieme, con un agire comune in cui trova posto il dono di ciascuno.

    Questa è la vostra vera forza e il presupposto per affrontare anche le sfide più difficili.

    Il vostro infatti non è un lavoro come tanti altri: è una missione, che ognuno esercita in modo diverso.

    Per alcuni essa comporta la dedizione di una vita intera; per altri l’offerta del proprio tempo nel volontariato; per altri ancora il dono del proprio sangue, del proprio latte – per i neonati ricoverati le cui mamme non possono provvederlo –, fino al dono di organi, cellule e tessuti, offerti da persone viventi o prelevati dal corpo di persone decedute.

    L’amore spinge alcuni genitori al gesto eroico di acconsentire alla donazione degli organi dei loro bambini che non ce l’hanno fatta.

    In tutto questo ciò che emerge è un “fare insieme”, dove i diversi doni concorrono al bene dei piccoli pazienti.

    Cari fratelli e sorelle, vi confesso che quando vengo al “Bambino Gesù” provo due sentimenti contrastanti: provo dolore per la sofferenza dei bambini malati e dei loro genitori; ma nello stesso tempo provo una grande speranza, vedendo tutto quello che lì si fa per curarli.

    Grazie! Grazie di tutto questo.

    Andate avanti in quest’opera benedetta.

    Vi benedico di cuore e prego per voi.

    E anche voi, per favore, pregate per me.

    Grazie.

    Adesso darò la benedizione a tutti: ai malati, ai medici, agli infermieri e a tutte le persone che lavorano in questo Ospedale e per questo Ospedale.

    Preghiamo la Madonna perché ci aiuti ad andare avanti.

    Ave o Maria,…

    [Benedizione]

    Ai membri della Fondazione "Mons. Camillo Faresin", di Maragnole di Breganze (Vicenza) (16 Mar 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Sono contento di accogliervi in occasione del ventesimo anniversario della vostra Fondazione.

    Oggi portate qui con voi vent’anni ricchi di iniziative a servizio degli ultimi, percorsi sulle orme di Mons.

    Camillo Faresin, per lungo tempo Vescovo di Guiratinga nel Mato Grosso, esempio di sensibilità missionaria e di fede nella Provvidenza, e anche dei suoi due fratelli: don Santo, pure lui missionario salesiano, e don Giovanni Battista, sacerdote diocesano.

    Vi siete proposti di raccogliere il testimone della loro carità facendone vostra la tenacia e l’ampiezza di vedute nel servire il prossimo.

    E questo vi ha portato a svolgere la vostra opera in Brasile, in Italia e in altre parti del mondo, estendendola a diversi campi: dalla formazione all’assistenza sociale, alla cura sanitaria, all’offerta di condizioni di vita dignitose e di opportunità di lavoro per tante persone.

    Guardando al vostro impegno, vorrei sottolineare e incoraggiare due linee d’azione importanti: lavorare tra gli ultimi e lavorare insieme.

    Primo: lavorare tra gli ultimi.

    Monsignor Faresin e i suoi fratelli erano persone di estrazione umile.

    Hanno imparato il valore della carità e il fervore missionario nel contesto di una famiglia semplice, devota, modesta e dignitosa, una famiglia come tante delle nostre.

    In quell’ambiente hanno saputo cogliere, con la grazia di Dio, un messaggio e un invito per il loro futuro a stare tra gli ultimi per aiutare gli ultimi, e lo hanno fatto con instancabile amore, con generosità e intelligenza, anche tra grandi difficoltà.

    Ricordiamo, in proposito, che il nome del Vescovo Camillo è annoverato, a Gerusalemme, tra quelli del “Giardino dei Giusti”, proprio perché, prima ancora di poter partire per il Brasile, bloccato a Roma a causa della seconda guerra mondiale, non si è lasciato fermare dalle circostanze, prodigandosi con carità e coraggio nell’assistere gli ebrei perseguitati.

    Così è stato per tutta la sua vita, come sacerdote e poi come vescovo, con un impulso irresistibile a farsi vicino ai più sfortunati.

    Fino a quando, terminato il suo mandato episcopale, ha chiesto e ottenuto di poter rimanere fra la sua gente, nel Mato Grosso, fino alla sua morte, come umile servo degli umili, continuando così nel nascondimento, come amico e compagno di cammino, lo stesso ministero che per tanti anni aveva svolto come guida e pastore.

    Quello che ci ha lasciato è un esempio grande da imitare: stare con gli ultimi, sempre! Ma in che modo? Scegliendo e privilegiando, nei vostri progetti, le realtà più povere e disprezzate come luoghi speciali in cui rimanere, e come “terre promesse” verso cui mettervi in marcia e in cui “piantare le vostre tende” per iniziare nuove opere (cfr Dt 1,8).

    E farlo con una presenza concreta e vicina alle comunità che servite, dal di dentro, in loco, lavorando tra i poveri e condividendone il più possibile la vita.

    Solo così, infatti, si sente “il polso” dei bisogni reali dei fratelli e delle sorelle che il Signore mette sulla nostra strada; e soprattutto ci si arricchisce della luce, della forza e della saggezza che vengono dallo stare con Gesù, presente in modo unico nelle membra più sofferenti del suo Corpo.

    E veniamo al secondo punto: lavorare insieme.

    Nelle vostre attività vi esorto a cercare sempre di fare sinergia, tra voi e con altre realtà religiose e associative.

    So che già collaborate, in varie opere, con le Suore Missionarie della Divina Volontà di Bassano del Grappa e con altre organizzazioni.

    È la strada giusta.

    Fare insieme, infatti, è già in sé un annuncio di Vangelo vissuto; e per voi, oltre che un modo intelligente di ottimizzare le risorse, è una via di formazione alla carità e alla comunione.

    Lo avete sottolineato dando a un vostro recente evento questo titolo: Agire insieme per progredire insieme”. Proprio così: agire insieme, infatti, non significa solo fare del bene, ma anche e soprattutto crescere uniti nel bene, gli uni a servizio e sostegno degli altri.

    Fare insieme, infine, è anche un’espressione di fede nella Divina Provvidenza.

    Mons.

    Faresin la definiva “la fonte che maggiormente garantisce le risorse” per le opere che Dio richiede.

    E le risorse più importanti per le opere del Signore non sono le cose, ma siamo noi, messi sapientemente gli uni vicino agli altri perché condividiamo ciò che siamo: la nostra passione, la nostra creatività, le nostre competenze ed esperienze, e anche le nostre debolezze e fragilità.

    Da questo paziente mettere in comune, nella valorizzazione del contributo di ciascuno, vengono frutti di grande dinamicità e concretezza, come testimonia la storia passata e presente della vostra Fondazione.

    Cari fratelli e sorelle, grazie per ciò che fate e per come lo fate; e perché con esso mantenete viva la memoria del cuore pastorale grande e generoso di Mons.

    Camillo Faresin.

    La Madonna vi custodisca nella carità umile e coraggiosa.

    Benedico voi e le vostre famiglie; e vi chiedo, per favore, di pregare per me.

    Ai Partecipanti alla Plenaria del Dicastero per l'Evangelizzazione (Sezione per le questioni fondamentali dell'Evangelizzazione nel mondo) (15 Mar 2024)
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    Cari fratelli e sorelle!

    Sono lieto di dare il benvenuto a voi, Superiori, Membri e Consultori del Dicastero per l’Evangelizzazione – Sezione per le questioni fondamentali nel mondo, riuniti in assemblea plenaria.

    È un momento importante per il confronto che i problemi dell’evangelizzazione comportano, soprattutto se lo sguardo è rivolto alle diverse regioni del mondo, così differenti tra loro per cultura e tradizione.

    Il primo pensiero va alla condizione in cui versano diverse Chiese locali dove il secolarismo dei decenni passati ha creato enormi difficoltà: dalla perdita del senso di appartenenza alla comunità cristiana, all’indifferenza per quanto concerne la fede e i suoi contenuti.

    Sono problemi seri, con cui tanti fratelli ogni giorno devono confrontarsi, ma non bisogna perdersi d’animo.

    Il secolarismo è stato studiato e si sono scritte valanghe di pagine in proposito.

    Conosciamo gli effetti negativi che ha prodotto, ma questo è il tempo favorevole per comprendere quale risposta efficace siamo chiamati a dare alle giovani generazioni perché possano recuperare il senso della vita.

    Il richiamo all’autonomia della persona, avanzato come una delle pretese del secolarismo, non può essere teorizzato come indipendenza da Dio, perché è proprio Dio che garantisce la libertà all’agire personale.

    E riguardo alla nuova cultura digitale, che presenta tanti aspetti interessanti per il progresso dell’umanità – pensiamo alla medicina e alla salvaguardia del creato –, essa porta con sé anche una visione dell’uomo che appare problematica se riferita all’esigenza di verità che alberga in ogni persona, unita all’esigenza di libertà nei rapporti interpersonali e sociali.

    Dunque, la grande problematica che sta davanti a noi è comprendere come superare la rottura che si è determinata nella trasmissione della fede.

    A tale scopo è urgente recuperare un’efficace relazione con le famiglie e con i centri di formazione.

    La fede nel Signore risorto, che è il cuore dell’evangelizzazione, per essere trasmessa richiede un’esperienza significativa vissuta in famiglia e nella comunità cristiana come incontro con Gesù Cristo che cambia la vita.

    Senza questo incontro, reale ed esistenziale, si sarà sempre sottoposti alla tentazione di fare della fede una teoria e non una testimonianza di vita.

    Sempre riguardo alla questione prioritaria della trasmissione della fede, vi ringrazio per il servizio che date nel campo della catechesi.

    E lo fate anche avvalendovi del nuovo Direttorio, da voi elaborato nel 2020.

    Esso è uno strumento valido e può essere efficace, non solo per il rinnovamento della metodologia catechistica, ma direi soprattutto per il coinvolgimento della comunità cristiana nel suo insieme.

    In questa missione, un ruolo specifico è affidato a coloro che hanno ricevuto e riceveranno il ministero di Catechista, per essere rafforzati nel loro impegno al servizio dell’evangelizzazione.

    Auspico che i Vescovi sappiano alimentare e accompagnare le vocazioni a tale ministero, soprattutto tra i giovani, per consentire che sia ridotto il divario tra le generazioni e la trasmissione della fede non appaia come un compito affidato solo alle persone anziane.

    In questo senso, vi incoraggio a trovare le forme perché il Catechismo della Chiesa Cattolica possa continuare ad essere conosciuto, studiato, valorizzato, così che se ne traggano le risposte alle nuove esigenze che si manifestano con il passare dei decenni.

    Un secondo tema che mi preme condividere con voi è la spiritualità della misericordia, come contenuto fondamentale nell’opera di evangelizzazione.

    La misericordia di Dio non viene mai meno e noi siamo chiamati a testimoniarla e a farla, per così dire, circolare nelle vene del corpo della Chiesa.

    Dio è misericordia: questo messaggio perenne è stato rilanciato con forza e modalità rinnovate da San Giovanni Paolo II per la Chiesa e l’umanità all’inizio del terzo millennio.

    La pastorale dei Santuari, che è una vostra competenza, richiede di essere impregnata di misericordia, perché quanti giungono in quei luoghi vi possano trovare delle oasi di pace e serenità.

    Missionari della misericordia, con il loro servizio generoso al Sacramento della Riconciliazione, offrono una testimonianza che dovrebbe aiutare tutti i sacerdoti a riscoprire la grazia e la gioia di essere ministri di Dio che perdona sempre e senza limiti.

    Ministri di Dio che non solo attende ma va incontro, va in cerca, perché è Padre misericordioso, non padrone, è buon Pastore, non mercenario, ed è pieno di gioia quando può accogliere una persona che ritorna, oppure la ritrova mentre va errando nei suoi labirinti (cfr Gv 10; Lc 15).

    Quando l’evangelizzazione è compiuta con l’unzione e lo stile della misericordia trova maggior ascolto, e il cuore si apre con più disponibilità alla conversione.

    Si è toccati, infatti, in ciò di cui sentiamo di avere più bisogno, cioè l’amore puro, gratuito, che è sorgente di vita nuova.

    Il terzo tema che desidero proporvi è la preparazione al Giubileo Ordinario del prossimo anno.

    Sarà un Giubileo in cui dovrà emergere la forza della speranza.

    Tra qualche settimana renderò pubblica la Lettera Apostolica per la sua indizione ufficiale: auspico che quelle pagine possano aiutare molti a riflettere e soprattutto a vivere concretamente la speranza.

    Questa virtù teologale è stata vista poeticamente come la “sorella più piccola” in mezzo alle altre due, fede e carità, ma senza la quale queste due non vanno avanti, non esprimono al meglio sé stesse.

    Il popolo santo di Dio ne ha tanto bisogno! Conosco il grande impegno che quotidianamente il Dicastero sta mettendo nell’organizzazione del prossimo Giubileo.

    Vi ringrazio e sono certo che tanta fatica porterà i suoi frutti.

    L’accoglienza dei pellegrini, comunque, ha bisogno di esprimersi, oltre che nelle opere strutturali e culturali che sono necessarie, anche nel consentire loro di vivere l’esperienza di fede, di conversione e di perdono, incontrando una comunità viva che ne dà testimonianza gioiosa e convinta.

    E non dimentichiamo che questo anno che precede il Giubileo è dedicato alla preghiera.

    Abbiamo bisogno di riscoprire la preghiera come esperienza di stare alla presenza del Signore, di sentirci compresi, accolti e amati da Lui.

    Come ci ha insegnato Gesù, non si tratta di moltiplicare le nostre parole quanto, piuttosto, di dare spazio al silenzio per ascoltare la sua Parola e accoglierla nella nostra vita (cfr Mt 6,5-9).

    Incominciamo noi, fratelli e sorelle, a pregare di più, a pregare meglio, alla scuola di Maria e dei santi e delle sante.

    Vi ringrazio del vostro lavoro di questi giorni e del vostro servizio alla Chiesa.

    Vi benedico di cuore e prego per voi.

    E anche voi, per favore, pregate per me.

    Grazie!

    Ai partecipanti all'Incontro sui popoli indigeni, promosso dalle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali [Casina Pio IV, 14-15 Mar 2024] (14 Mar 2024)
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    Care amiche e cari amici!

    Vi do il benvenuto in occasione del convegno su Il sapere dei popoli indigeni e le scienze.

    Esso intende mettere insieme queste due forme di conoscenza per un approccio più comprensivo, più ricco, più umano ad alcune criticità urgenti, quali i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità, le minacce alla sicurezza alimentare e alla salute, e altre.

    Ringrazio il Cancelliere, Cardinale Turkson, e i Presidenti delle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali per aver promosso questa iniziativa: è un contributo qualificato per riconoscere il grande valore della saggezza dei popoli nativi e favorire uno sviluppo umano integrale e sostenibile.

    Ricordo che anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura – la FAO –, tre anni fa, ha organizzato giornate di studio sui sistemi alimentari indigeni.

    Ne è nata una Piattaforma che riunisce scienziati indigeni e non indigeni, studiosi ed esperti, per stabilire un dialogo volto a garantire la salvaguardia dei sistemi alimentari delle popolazioni originarie.

    Anche in continuità con quell’esperienza, accolgo con apprezzamento la vostra iniziativa che porta avanti tale ricerca.

    Direi anzitutto che questa è un’opportunità per crescere nell’ascolto reciproco: ascoltare le popolazioni indigene, per imparare dalla loro sapienza e dal loro stile di vita, e nello stesso tempo ascoltare gli scienziati, per imparare dai loro studi.

    Inoltre, questo seminario di studio lancia un messaggio ai governi e alle organizzazioni internazionali, perché riconoscano e rispettino la ricchezza della diversità all’interno della grande famiglia umana.

    Nel tessuto dell’umanità ci sono culture, tradizioni, spiritualità, lingue differenti che hanno bisogno di essere protette, perché la loro perdita costituirebbe per tutti noi un impoverimento della conoscenza, dell’identità, della memoria.

    Per questo è necessario che i progetti di ricerca scientifica, e dunque gli investimenti, siano orientati sempre più decisamente alla promozione della fratellanza umana, della giustizia e della pace, così che le risorse possano essere destinate in modo coordinato a rispondere alle sfide urgenti che interessano la casa comune e la famiglia dei popoli.

    Ci rendiamo conto che, per realizzare tale obiettivo, si richiede una conversione, una visione alternativa a quella che oggi spinge il mondo sulla via di una crescente conflittualità.

    Incontri come il vostro vanno in questa direzione: infatti, il dialogo aperto tra i saperi originari e le scienze, tra le comunità di saggezza nativa e quelle scientifiche può contribuire ad affrontare in modo nuovo, più integrale e anche più efficace questioni cruciali come, ad esempio, quelle dell’acqua, del cambiamento climatico, della fame, della biodiversità.

    Questioni che, come ben sappiamo, sono tutte tra loro connesse.

    Grazie a Dio non mancano segnali positivi in tal senso, come l’inclusione da parte delle Nazioni Unite dei saperi indigeni quale componente centrale del Decennio Internazionale delle Scienze per lo Sviluppo Sostenibile.

    Un segno da promuovere e da sostenere, unendo insieme le forze.

    Per questo, nel dialogo tra saperi indigeni e scienza, dobbiamo avere ben chiaro e tenere sempre presente che tutto questo patrimonio di conoscenze va utilizzato per imparare a superare i conflitti in modo non violento e a contrastare la povertà e le nuove forme di schiavitù.

    Dio, Creatore e Padre di tutti gli esseri umani e di tutto ciò che esiste, ci chiama oggi a vivere e a testimoniare la nostra vocazione alla fraternità universale, alla libertà, alla giustizia, al dialogo, all’incontro reciproco, all’amore e alla pace, evitando di alimentare l’odio, i rancori, le divisioni, la violenza e la guerra.

    Dio ci ha fatto custodi e non padroni del pianeta: siamo chiamati tutti a una conversione ecologica (cfr Enc. Laudato si, 216-221), impegnati a salvare la nostra casa comune e a vivere una solidarietà intergenerazionale per salvaguardare la vita delle generazioni future, invece che dissipare le risorse e aumentare le disuguaglianze, lo sfruttamento e la distruzione.

    Cari rappresentanti delle comunità indigene e cari scienziati, vi ringrazio del vostro impegno e vi incoraggio ad attingere dal patrimonio di saggezza dei vostri antenati e dai frutti delle ricerche dei vostri laboratori la linfa vitale per continuare a lavorare insieme per la verità, la libertà, il dialogo, la giustizia e la pace.

    La Chiesa è con voi, alleata dei popoli indigeni e del loro sapere, e alleata della scienza per far crescere nel mondo la fraternità e l’amicizia sociale.

    Vi accompagno con la mia preghiera e, nel rispetto delle convinzioni di ciascuno, invoco su di voi la benedizione di Dio.

    E anche voi, nel modo che vi è proprio, pregate per me.

    Grazie.

    Udienza Generale del 13 Mar 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 11. L'agire virtuoso
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    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    11.

    L'agire virtuoso

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Dopo aver concluso la carrellata sui vizi, è giunto il momento di rivolgere lo sguardo sul quadro simmetrico, che sta in opposizione all’esperienza del male.

    Il cuore dell’uomo può assecondare cattive passioni, può dare ascolto a tentazioni nocive travestite con vesti suadenti, ma può anche opporsi a tutto questo.

    Per quanto ciò possa risultare faticoso, l’essere umano è fatto per il bene, che lo realizza veramente, e può anche esercitarsi in quest’arte, facendo sì che alcune disposizioni divengano in lui o in lei permanenti.

    La riflessione intorno a questa nostra meravigliosa possibilità forma un capitolo classico della filosofia morale: il capitolo delle virtù.

    I filosofi romani la chiamavano virtus, quelli greci aretè.

    Il termine latino evidenzia soprattutto che la persona virtuosa è forte, coraggiosa, capace di disciplina ed ascesi; dunque l’esercizio delle virtù è frutto di una lunga germinazione, che richiede fatica e anche sofferenza.

    La parola greca, aretè, indica invece qualcosa che eccelle, qualcosa che emerge, che suscita ammirazione.

    La persona virtuosa è pertanto quella che non si snatura deformandosi ma è fedele alla propria vocazione, realizza pienamente sé stessa.

    Saremmo fuori strada se pensassimo che i santi siano delle eccezioni dell’umanità: una sorta di ristretta cerchia di campioni che vivono al di là dei limiti della nostra specie.

    I santi, in questa prospettiva che abbiamo appena introdotto riguardo alle virtù, sono invece coloro che diventano pienamente sé stessi, che realizzano la vocazione propria di ogni uomo.

    Che mondo felice sarebbe quello in cui la giustizia, il rispetto, la benevolenza reciproca, la larghezza d’animo, la speranza fossero la normalità condivisa, e non invece una rara anomalia! Ecco perché il capitolo sull’agire virtuoso, in questi nostri tempi drammatici nei quali facciamo spesso i conti con il peggio dell’umano, dovrebbe essere riscoperto e praticato da tutti.

    In un mondo deformato dobbiamo fare memoria della forma con cui siamo stati plasmati, dell’immagine di Dio che in noi è impressa per sempre.

    Ma come possiamo definire il concetto di virtù? Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci offre una definizione precisa e sintetica: «La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene» (N.

    1803).

    Non è dunque un bene improvvisato e un po’ casuale, che piove dal cielo in maniera episodica.

    La storia ci dice che anche i criminali, in un momento di lucidità, hanno compiuto atti buoni; certamente questi atti sono scritti nel “libro di Dio”, ma la virtù è un’altra cosa.

    È un bene che nasce da una lenta maturazione della persona, fino a diventare una sua caratteristica interiore.

    La virtù è un habitus della libertà.

    Se siamo liberi in ogni atto, e ogni volta siamo chiamati a scegliere tra bene e male, la virtù è ciò che ci permette di avere una consuetudine verso la scelta giusta.

    Se la virtù è un dono così bello, subito nasce una domanda: come è possibile acquisirla? La risposta a questa domanda non è semplice, è complessa.

    Per il cristiano il primo aiuto è la grazia di Dio.

    Infatti, in noi battezzati agisce lo Spirito Santo, che lavora nella nostra anima per condurla a una vita virtuosa.

    Quanti cristiani sono arrivati alla santità attraverso le lacrime, constatando di non riuscire a superare certe loro debolezze! Ma hanno sperimentato che Dio ha completato quell’opera di bene che per loro era solo un abbozzo.

    Sempre la grazia precede il nostro impegno morale.

    Inoltre, non si deve mai dimenticare la ricchissima lezione che ci è arrivata dalla saggezza degli antichi, che ci dice che la virtù cresce e può essere coltivata.

    E perché ciò avvenga, il primo dono dello Spirito da chiedere è proprio la sapienza.

    L’essere umano non è libero territorio di conquista di piaceri, di emozioni, di istinti, di passioni, senza poter fare nulla contro queste forze, a volte caotiche, che lo abitano.

    Un dono inestimabile che possediamo è l’apertura mentale, è la saggezza che sa imparare dagli errori per indirizzare bene la vita.

    Poi ci vuole la buona volontà: la capacità di scegliere il bene, di plasmare noi stessi con l’esercizio ascetico, rifuggendo gli eccessi.

    Cari fratelli e sorelle, cominciamo così il nostro viaggio attraverso le virtù, in questo universo sereno che si presenta impegnativo, ma decisivo per la nostra felicità.

    ________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier les nombreux groupes scolaires venus de France.

    Frères et sœurs, en ce temps béni de Carême, tournons-nous vers la Sainte Vierge, Siège de la Sagesse, afin que par son intercession nous nous mettions au service du bien.

    Que Dieu vous bénisse !

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare i numerosi gruppi scolastici venuti dalla Francia.

    Fratelli e sorelle, in questo tempo benedetto di Quaresima, rivolgiamoci alla Madonna, Sede della Sapienza, affinché con la sua intercessione ci aiuti a metterci al servizio del bene.

    Dio vi benedica!]

    I greet all the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from the Netherlands and the United States of America.

    With prayerful good wishes that this Lenten season will be a time of grace and spiritual renewal for you and your families, I invoke upon all of you joy and peace in our Lord Jesus Christ.

    God bless you!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti dai Paesi Bassi e dagli Stati Uniti d’America.

    Con fervidi auguri che questa Quaresima sia per voi e per le vostre famiglie un tempo di grazia e di rinnovamento spirituale, invoco su tutti la gioia e la pace del Signore Gesù.  Dio vi benedica!

    Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, vergessen wir nicht, dass der Herr selbst uns auf dem Pfad der Tugenden begleitet.

    Vertrauen wir also auf seine Hilfe, damit wir in dieser Welt das Gute verbreiten können, dessen sie so sehr bedarf.

    [Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, non dimentichiamoci che il Signore stesso ci accompagna sul sentiero delle virtù.

    Confidiamo dunque nel suo aiuto per poter diffondere nel mondo il bene di cui ha tanto bisogno.]

    El Santo Padre saluda cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Pidamos al Espíritu Santo el don de sabiduría para que nos ayude a tomar decisiones y a ejercitar las virtudes, orientando nuestra vida por el camino del bien.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Queridos peregrinos de língua portuguesa, bem-vindos! O Senhor vos encha de alegria e o Espírito Santo ilumine as decisões da vossa vida, para realizardes fielmente a vontade do Pai celeste.

    Sobre todos vós e vossas famílias e comunidades, vele a Santíssima Mãe da Igreja.

    [Cari pellegrini di lingua portoghese, benvenuti! Il Signore vi ricolmi di gioia e lo Spirito Santo illumini le decisioni della vostra vita, per adempiere fedelmente il volere del Padre celeste.

    Su tutti voi e le vostre famiglie e comunità, vegli la Santissima Madre della Chiesa.]

    أُحيِّي المُؤمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العَرَبِيَّة.

    المسيحيُّ مَدعُوٌّ إلى أنْ يُنَمِّيَ الفضيلةَ في حياتِهِ، لأنَّها تَسمَحُ له ليسَ فقط بأنْ يَعمَلَ أعمالًا صالِحَة، بل لأنْ يُعطِيَ أفضلَ ما فيهِ.

    بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    Il cristiano è chiamato a coltivare nella sua vita la virtù, perché essa gli consente, non soltanto di compiere atti buoni, ma di dare il meglio di sé.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Pozdrawiam serdecznie Polaków.

    W tych dramatycznych czasach, kiedy często spotykamy się z tym, co w człowieku najgorsze, potrzeba na nowo odkryć znaczenie pielęgnowania w sobie trwałej dyspozycji do czynienia dobra.

    Uczcie się tego od waszych Świętych, szukając pomocy w łasce Bożej.

    Z serca wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente i polacchi.

    In questi nostri tempi drammatici, nei quali facciamo spesso i conti con quanto vi è di peggio nella persona umana, è necessario riscoprire l’importanza di coltivare in noi stessi una disposizione abituale e ferma a fare il bene.

    Imparate questo dai vostri Santi, cercando l’aiuto della grazia di Dio.

    Vi benedico di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare alle Capitolari delle Carmelitane Missionarie e alle Apostole del Sacro Cuore di Gesù, che incoraggio a custodire il patrimonio spirituale dei rispettivi Istituti religiosi.

    Saluto i fedeli della parrocchia di Santa Maria Goretti in Frigole, i devoti di Santa Domenica provenienti da diverse località, la Facoltà di Diritto Canonico San Pio X di Venezia: auspico che ciascuno sappia rispondere alla vocazione cristiana offrendo un valido contributo alla crescita armonica della società.

    Un saluto va anche agli Allievi della Scuola Sottufficiali della Marina Militare di Taranto, che esorto a svolgere il servizio con lealtà e generosità.

    Il mio pensiero va infine ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente ai tanti studenti presenti, in particolare all’Istituto Carbone e Rosati di Sora.

    Tutti invito a proseguire con impegno nell’itinerario quaresimale, pronti a compiere gesti di cristiana solidarietà ovunque la Provvidenza vi chiama ad operare.

    E, per favore, perseveriamo nella fervida preghiera per quanti soffrono le terribili conseguenze della guerra.

    Oggi mi hanno portato un rosario e un Vangelo di un giovane soldato morto al fronte: lui pregava con questo.

    Tanti giovani, tanti giovani vanno a morire! Preghiamo il Signore perché ci dia la grazia di vincere questa pazzia della guerra che sempre è una sconfitta.

    A tutti voi la mia Benedizione!

    Messaggio del Santo Padre ai partecipanti al III Congresso Latinoamericano sul tema "Vulnerabilità e abuso" [Panama, 12-14 de Mar 2024] (1° Mar 2024)
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    Stimati congressisti,

    Desidero inviare il mio saluto a voi organizzatori e partecipanti a questo III Congresso Latinoamericano promosso dal CEPROME con il titolo «Vulnerabilità e abuso: verso una visione più ampia della prevenzione» e affidare al Signore i vostri lavori per continuare ad avanzare nello sradicamento del flagello degli abusi in tutti gli ambiti della società.

    Nel mio incontro dello scorso 25 settembre con una delegazione di questo Consiglio, ho evidenziato l’impegno della Chiesa nel vedere in ciascuna delle vittime il volto di Gesù sofferente.

    Ma anche la necessità di porre ai suoi piedi  «la sofferenza che abbiamo ricevuto e causato», pregando «per i peccatori più infelici e disperati, per la loro conversione, affinché possano vedere nell’altro gli occhi di Gesù che li interpellano».

    In quella occasione vi ho invitati, e vi invito anche oggi, a vedere questa problematica con gli occhi di Dio, a stabilire un dialogo con Lui.

    Questo sguardo divinizzato può aiutare la nostra comprensione della vulnerabilità, poiché il Signore ha tratto “forza dalla debolezza, facendo della fragilità la sua propria testimonianza” (cfr.

    Prefazio dei martiri, I).

    Dio ci chiama a un cambiamento assoluto di mentalità sulla nostra concezione delle relazioni privilegiando il minore, il povero, il servitore, l’ignorante rispetto al maggiore, al ricco, al padrone, al colto, in base alla capacità di accogliere la grazia che ci viene data da Dio e di farci noi stessi dono per gli altri.

    Vedere la propria fragilità come una scusa per smettere di essere persone serie e cristiani integri, incapaci di assumere il controllo del proprio destino, creerà persone infantili, risentite, e in nessun modo rappresenta la piccolezza a cui ci invita Gesù.

    Al contrario, la forza di colui che, come san Paolo, si vanta delle proprie debolezze e confida nella grazia del Signore (cfr.

    2 Cor 12, 8-10) è un dono che dobbiamo chiedere in ginocchio per noi e per gli altri.

    Con essa, potremo affrontare le contraddizioni della vita e dare un contributo al bene comune nella vocazione alla quale siamo stati chiamati.

    Riguardo alla prevenzione, i nostri lavori devono senza dubbio mirare a sradicare le situazioni che proteggono chi si fa scudo della sua posizione per imporsi all’altro in modo perverso, ma anche a comprendere perché è incapace di relazionarsi con gli altri in maniera sana.

    Allo stesso modo, non può essere indifferente la ragione per cui alcuni accettano di andare contro la propria coscienza, per timore, o si lasciano abbindolare con false promesse, sapendo nel profondo del loro cuore di essere sulla strada sbagliata.

    Umanizzare i rapporti in ogni società, anche nella Chiesa, significa lavorare con coraggio per formare persone mature, coerenti, che, salde nella loro fede e nei loro principi etici, siano capaci di affrontare il male, rendendo testimonianza alla verità con la maiuscola.

    Una società che non sarà basata su questi presupposti di integrità morale, sarà una società malata, con relazioni umane e istituzionali snaturate dall’egoismo, dalla sfiducia dalla paura e dall’inganno.

    Ma noi affidiamo la nostra debolezza alla forza che il Signore ci dà.  E riconosciamo che «abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi» (2 Cor 4, 7).

    Chiediamo al Re dei martiri questa grazia per essere suoi testimoni nel mondo.

    Che Egli vi benedica e la Vergine Santa vi custodisca.

    E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Roma, San Giovanni in Laterano, 1° marzo 2024

    Francesco

    _________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    60, martedì 12 marzo 2024, p.

    8.

    Angelus, 10 Mar 2024
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    In questa quarta domenica di Quaresima il Vangelo ci presenta la figura di Nicodemo (cfr Gv 3,14-21), un fariseo, «uno dei capi dei Giudei» (Gv 3,1).

    Egli ha visto i segni che Gesù ha compiuto, ha riconosciuto in Lui un maestro mandato da Dio ed è andato a incontrarlo di notte, per non essere visto.

    Il Signore lo accoglie, dialoga con lui e gli rivela di essere venuto non a condannare ma a salvare il mondo (cfr v.

    17).

    Fermiamoci a riflettere su questo: Gesù non è venuto a condannare, ma a salvare.

    È bello, eh!

    Spesso nel Vangelo vediamo Cristo svelare le intenzioni delle persone che incontra, a volte smascherandone atteggiamenti falsi, come con i farisei (cfr Mt 23,27-32), o facendole riflettere sul disordine della loro vita, come con la Samaritana (cfr Gv 4,5-42).

    Davanti a Gesù non ci sono segreti: Egli legge nel cuore, nel cuore di ognuno di noi.

    E questa capacità potrebbe inquietare perché, se usata male, nuoce alle persone, esponendole a giudizi privi di misericordia.

    Nessuno infatti è perfetto, tutti siamo peccatori, tutti sbagliamo, e se il Signore usasse la conoscenza delle nostre debolezze per condannarci, nessuno potrebbe salvarsi.

    Ma non è così.

    Egli infatti non se ne serve per puntarci il dito contro, ma per abbracciare la nostra vita, per liberarci dai peccati e per salvarci.

    A Gesù non interessa farci processi o sottoporci a sentenze; Egli vuole che nessuno di noi vada perduto.

    Lo sguardo del Signore su ognuno di noi non è un faro accecante che abbaglia e mette in difficoltà, ma il chiarore gentile di una lampada amica, che ci aiuta a vedere in noi il bene e a renderci conto del male, per convertirci e guarire con il sostegno della sua grazia.

    Gesù non è venuto a condannare, ma a salvare il mondo.

    Pensiamo a noi, che tante volte, tante volte che condanniamo gli altri; tante volte che ci piace sparlare, cercare pettegolezzi contro gli altri.

    Chiediamo al Signore che ci dia a tutti questo sguardo di misericordia, di guardare agli altri come Lui ci guarda a tutti noi.

    Maria ci aiuti a desiderare il bene gli uni degli altri.

    ___________________

    Dopo Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Due giorni fa si è celebrata la Giornata internazionale della donna.

    Vorrei rivolgere un pensiero ed esprimere la mia vicinanza a tutte le donne, specialmente a quelle la cui dignità non viene rispettata.

    C’è ancora tanto lavoro che ciascuno di noi deve fare perché sia riconosciuta concretamente la pari dignità delle donne.

    Sono le istituzioni, sociali e politiche, che hanno il dovere fondamentale di proteggere e promuovere la dignità di ogni essere umano, offrendo alle donne, portatrici di vita, le condizioni necessarie per poter accogliere il dono della vita e assicurare ai figli un’esistenza degna.

    Seguo con preoccupazione e dolore la grave crisi che colpisce Haiti e i violenti episodi avvenuti negli ultimi giorni.

    Sono vicino alla Chiesa e al caro popolo haitiano, che da anni è provato da molte sofferenze.

    Vi invito a pregare, per intercessione della Madonna del Perpetuo Soccorso, perché cessi ogni sorta di violenza e tutti offrano il loro contributo per far crescere la pace e la riconciliazione nel Paese, con il sostegno rinnovato della Comunità internazionale.

    Stasera i fratelli musulmani inizieranno il Ramadan: esprimo a tutti loro la mia vicinanza.

    Saluto tutti voi che siete venuti da Roma, dall’Italia e da tante parti del mondo.

    In particolare, saluto gli studenti del collegio Irabia-Izaga di Pamplona, i pellegrini di Madrid, Murcia, Malaga e quelli di St.

    Mary’s Plainfield - New Jersey.

    Saluto i ragazzi della Prima Comunione e della Cresima della parrocchia Nostra Signora di Guadalupe e San Filippo Martire in Roma; i fedeli di Reggio Calabria, Quartu Sant’Elena e Castellamonte.

    Accolgo con affetto la comunità cattolica della Repubblica Democratica del Congo a Roma.

    Preghiamo per la pace in questo Paese, come pure nella martoriata Ucraina e in Terra Santa.

    Cessino al più presto le ostilità che provocano immani sofferenze nella popolazione civile.

    Auguro a tutti una buona domenica.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci!

     

    Celebrazione penitenziale e Confessioni (Parrocchia di San Pio V all'Aurelio, 8 Mar 2024)
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    «Possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4): così scrive l’apostolo Paolo ai primi cristiani di questa Chiesa di Roma.

    Ma che cos’è la vita nuova di cui parla? È la vita che nasce dal Battesimo, il quale ci immerge nella morte e nella risurrezione di Gesù e ci fa per sempre figli di Dio, figli della risurrezione destinati alla vita eterna, orientati alle cose di lassù.

    È la vita che ci porta avanti nella nostra identità più vera, quella di essere figli amati del Padre, così che ogni tristezza e ostacolo, ogni fatica e tribolazione non possano prevalere su questa meravigliosa realtà che ci fonda: siamo figli del Dio buono.

    Abbiamo sentito che San Paolo associa alla vita nuova un verbo: camminare.

    Dunque la vita nuova, iniziata nel Battesimo, è un cammino.

    E non c’è pensione, in questo! Nessuno in questo cammino va in pensione, si va sempre avanti.

    E dopo tanti passi nel cammino, forse abbiamo perso di vista la vita santa che scorre dentro di noi: giorno dopo giorno, immersi in un ritmo ripetitivo, presi da mille cose, frastornati da tanti messaggi, cerchiamo ovunque soddisfazioni e novità, stimoli e sensazioni positive, ma dimentichiamo che c’è già una vita nuova che scorre dentro di noi e che, come brace sotto la cenere, attende di divampare e fare luce a tutto quanto.

    Quando noi siamo indaffarati in tante cose, pensiamo allo Spirito Santo che è dentro di noi e ci porta? A me succede tante volte di non pensarci, ed è brutto.

    Essere così, presi da tanti travagli, ci fa dimenticare il vero cammino che stiamo facendo nella vita nuova.

    Dobbiamo cercare le braci sotto la cenere, quella cenere che si è depositata sul cuore e nasconde alla vista la bellezza della nostra anima, la nasconde.

    Allora Dio, che nella vita nuova è nostro Padre, ci appare come un padrone; invece di affidarci a Lui, contrattiamo con Lui; invece di amarlo, lo temiamo.

    E gli altri, anziché essere fratelli e sorelle, in quanto figli dello stesso Padre, ci sembrano ostacoli e avversari.

    C’è una brutta abitudine: quella di trasformare i nostri compagni di cammino in avversari.

    E tante volte lo facciamo.

    I difetti del prossimo ci paiono esagerati e i loro pregi nascosti; quante volte siamo inflessibili con gli altri e indulgenti con noi stessi! Avvertiamo una forza inarrestabile a compiere il male che vorremmo evitare.

    Un problema di tutti, se persino San Paolo scrive, sempre alla comunità di Roma: «Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (7,19).

    Anche lui era un peccatore, e anche noi tante volte facciamo il male che non vogliamo.

    Insomma, annebbiato il volto di Dio, offuscati quelli dei fratelli, sfocata la grandezza che ci portiamo dentro, restiamo in cammino, ma abbiamo bisogno di una segnaletica nuova, abbiamo bisogno di un cambio di passo, di una direzione che ci aiuti a ritrovare la via del Battesimo, cioè a rinnovare la nostra bellezza originaria che è lì sotto le ceneri, rinnovare il senso di andare avanti.

    E quante volte ci stanchiamo di camminare e perdiamo il senso di andare avanti? Restiamo tranquilli, o nemmeno tranquilli, ma fermi.

    Fratelli, sorelle, qual è la via per riprendere il cammino della vita nuova? Per questa Quaresima e per riprendere il cammino, qual è la via? È la via del perdono di Dio.

    Mettete questo nella mente e nel cuore: Dio non si stanca mai di perdonare.

    Avete sentito? Siete capaci di ripeterlo con me? Insieme, tutti: [tutti] Dio non si stanca mai di perdonare.

    Per essere sicuri, un’altra volta: [tutti] Dio non si stanca mai di perdonare.

    Ma qual è il dramma? Che siamo noi a stancarci di chiedere perdono! Ma Lui non si stanca mai di perdonare.

    Non dimentichiamo questo.

    E il perdono divino fa proprio questo: ci rimette a nuovo, come appena battezzati.

    Ci ripulisce dentro, facendoci tornare alla condizione della rinascita battesimale: fa scorrere di nuovo le fresche acque della grazia nel cuore, inaridito dalla tristezza e impolverato dai peccati.

    Il Signore toglie la cenere dalla brace dell’anima, deterge quelle macchie interiori che impediscono di confidare in Dio, di abbracciare i fratelli, di amare noi stessi.

    Lui perdona tutto.

    “Oh Padre, io ho un peccato che sicuramente è imperdonabile”.

    Senti: Dio perdona tutto, perché Lui non si stanca mai di perdonare.

    Il perdono di Dio ci trasforma dentro: ci restituisce una vita e una vista nuova.

    Non a caso nel Vangelo che abbiamo ascoltato Gesù proclama: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8).

    Ci prepara gli occhi per vedere Dio.

    Si vede Dio solo se il cuore viene purificato: purificare il cuore per vedere Dio.

    Ma chi può fare questa purificazione? Il nostro impegno è necessario, ma non basta; non basta, siamo deboli, non possiamo; solo Dio conosce e guarisce il cuore.

    Mettetevi questo bene nella mente: solo Dio è capace di conoscere e guarire il cuore, solo Lui può liberarlo dal male.

    Perché ciò avvenga occorre portargli il nostro cuore aperto e contrito; imitare il lebbroso del Vangelo, che lo prega così: «Se vuoi, puoi purificarmi!» (Mc 1,40).

    È bello questo! “Se tu vuoi, puoi cambiarmi dentro, puoi purificarmi”.

    È una bella preghiera questa, e noi possiamo ripeterla insieme, qui, tutti.

    Insieme: “Signore, se tu vuoi, puoi purificarmi”.

    Un’altra volta: [tutti] “Signore, se tu vuoi, puoi purificarmi”.

    E adesso, in silenzio, ognuno la dica al Signore, guardando ai propri peccati.

    Guardate i peccati, guardate le cose brutte che avete dentro e che avete fatto; in silenzio dite al Signore: “Signore, se tu vuoi, puoi purificarmi”.

    E Lui può.

    Qualcuno pensa: “Ma questo peccato è troppo brutto, il Signore non potrà…”.

    Il Signore perdona tutto, il Signore non si stanca di perdonare.

    Ricordate? Ripetetelo: “Il Signore non si stanca di perdonare”.

    Tutti insieme: [tutti] “Il Signore non si stanca di perdonare”.

    Il Signore vuole questo, perché ci desidera rinnovati, liberi, leggeri dentro, felici e in cammino, non parcheggiati sulle strade della vita.

    Lui sa quanto è facile per noi inciampare, cadere e rimanere a terra, e vuole rialzarci.

    Ho visto un bel dipinto, dove c’è il Signore che si china per rialzare noi.

    E questo fa il Signore ogni volta che noi ci accostiamo alla Confessione.

    Non rattristiamolo, non rimandiamo l’incontro con il suo perdono, perché solo se rimessi in piedi da Lui possiamo riprendere il cammino e vedere la sconfitta del nostro peccato, cancellato per sempre.

    Perché il peccato sempre è una sconfitta, ma Lui vince il peccato, Lui è la vittoria.

    Di più, «nel medesimo istante in cui il peccatore è perdonato, afferrato da Dio e restaurato dalla grazia, il peccato – meraviglia delle meraviglie! – diventa il luogo in cui Dio entra in contatto con l’uomo.

    […] Così Dio si fa conoscere perdonando» (A.

    Louf, Sotto la guida dello Spirito, Magnano 1990, 68-69).

    “Io conosco Dio studiando la catechesi…”.

    Ma non lo conosci soltanto con la mente: soltanto quando il cuore è pentito e vai da Lui, mostrando il tuo cuore sporco, lì conoscerai Dio che perdona.

    “Vai in pace, i peccati ti sono perdonati”.

    Dio si fa conoscere perdonando.

    E «il peccatore, scrutando l’abisso del proprio peccato, scopre da parte sua l’infinito della misericordia» (ibid.) E questa è la ripartenza della vita nuova: cominciata nel Battesimo, riparte dal perdono.

    Non rinunciamo al perdono di Dio, al sacramento della Riconciliazione: non è una pratica di devozione, ma il fondamento dell’esistenza cristiana; non è questione di saper dire bene i peccati, ma di riconoscerci peccatori e di buttarci tra le braccia di Gesù crocifisso per essere liberati; non è un gesto moralistico, ma la risurrezione del cuore.

    Il Signore risorto ci risuscita, tutti noi.

    Andiamo dunque a ricevere il perdono di Dio e noi, che lo amministriamo, sentiamoci dispensatori della gioia del Padre che ritrova il figlio smarrito; sentiamo che le nostre mani, poste sul capo dei fedeli, sono quelle forate di misericordia di Gesù, che trasforma le piaghe del peccato in canali di misericordia.

    E noi che facciamo da confessori, sentiamo che «il perdono e la pace» che proclamiamo sono la carezza dello Spirito Santo sul cuore dei fedeli.

    Cari fratelli, perdoniamo! Cari fratelli sacerdoti, perdoniamo, perdoniamo sempre come Dio che non si stanca di perdonare, e ritroveremo noi stessi.

    Concediamo sempre il perdono a chi lo domanda e aiutiamo chi prova timore ad accostarsi con fiducia al sacramento della guarigione e della gioia.

    Rimettiamo il perdono di Dio al centro della Chiesa! E voi, cari fratelli sacerdoti, non domandate troppo: che dicano, e tu perdona tutto.

    Non andare a indagare, no.

    E ora, prepariamoci ad accogliere la vita nuova, confessiamo al Signore che c’è tanto di vecchio in noi, cose brutte...

    La lebbra del peccato ha macchiato la nostra bellezza e allora diciamo: Gesù, se vuoi, puoi purificarmi! Tutti insieme: [tutti] “Gesù, se vuoi, puoi purificarmi”.

    Dal pensare di non avere bisogno ogni giorno di te: [tutti] Gesù, se vuoi, puoi purificarmi! Dal convivere pacificamente con le mie doppiezze, senza ricercare nel tuo perdono la via della libertà: [tutti] Gesù, se vuoi, puoi purificarmi! Quando ai buoni propositi non seguono i fatti, quando rimando la preghiera e l’incontro con te: [tutti] Gesù, se vuoi, puoi purificarmi! Quando scendo a patti col male, con la disonestà, con la falsità, quando giudico gli altri, li disprezzo e sparlo di loro, recriminando su tutti e tutto: [tutti] Gesù, se vuoi, puoi purificarmi! E quando mi accontento di non fare del male, ma non compio del bene servendo nella Chiesa e nella società: [tutti] Gesù, se vuoi, puoi purificarmi! Sì, Gesù, credo che puoi purificarmi, credo che ho bisogno del tuo perdono.

    Gesù, rinnovami e tornerò a camminare in una vita nuova.

    [tutti] Gesù, se vuoi, puoi purificarmi.

    Ai Partecipanti al Corso sul foro interno promosso dalla Penitenzieria Apostolica (8 Mar 2024)
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    Discorso del Santo Padre consegnato

    Cari fratelli, buongiorno e benvenuti!

    Sono lieto di incontrarvi in occasione dell’annuale Corso sul Foro Interno, organizzato dalla Penitenzieria Apostolica.

    Rivolgo un saluto cordiale al Cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore, al Reggente, Mons.

    Nykiel, ai Prelati, agli Officiali e al Personale della Penitenzieria, ai Collegi dei Penitenzieri ordinari e straordinari delle Basiliche Papali in Urbe, e a tutti voi partecipanti al corso.

    Nel contesto della Quaresima e, in particolare, dell’Anno della preghiera in preparazione al Giubileo, vorrei proporvi di riflettere assieme su un’orazione semplice e ricca, che appartiene al patrimonio del santo Popolo fedele di Dio e che recitiamo durante il rito della Riconciliazione: l’Atto di dolore.

    Nonostante il linguaggio un po’ antico, che potrebbe anche essere frainteso in alcune sue espressioni, questa preghiera conserva tutta la sua validità, sia pastorale che teologica.

    Del resto ne è autore il grande Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, maestro della teologia morale, pastore vicino alla gente e uomo di grande equilibrio, lontano sia dal rigorismo sia dal lassismo.

    Mi soffermerò su tre atteggiamenti espressi nell’Atto di dolore e che penso possano aiutarci a meditare sul nostro rapporto con la misericordia di Dio: pentimento davanti a Dio, fiducia in Lui e proposito di non ricadere.

    Primo: il pentimento.

    Esso non è il frutto di un’autoanalisi né di un  senso psichico di colpa, ma sgorga tutto dalla consapevolezza della nostra miseria di fronte all’amore infinito di Dio, alla sua misericordia senza limiti.

    È questa esperienza infatti a muovere il nostro animo a chiedergli perdono, fiduciosi nella sua paternità, come recita la preghiera: «Mio Dio, mi pento e mi dolgo, con tutto il cuore, dei miei peccati», e più avanti aggiunge: «perché ho offeso Te, infinitamente buono».

    In realtà, nella persona, il senso del peccato è proporzionale proprio alla percezione dell’infinito amore di Dio: più sentiamo la sua tenerezza, più desideriamo di essere in piena comunione con Lui e più ci si mostra evidente la bruttezza del male nella nostra vita.

    Ed è proprio questa consapevolezza, descritta come “pentimento” e “dolore”, che ci spinge a riflettere su noi stessi e sui nostri atti e a convertirci.

    Ricordiamoci che Dio non si stanca mai di perdonarci, e da parte nostra non stanchiamoci mai di chiedergli perdono!

    Secondo atteggiamento: la fiducia.

    Nell’Atto di dolore Dio è descritto come «infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa».

    È bello sentire, sulle labbra di un penitente, il riconoscimento dell’infinita bontà di Dio e del primato, nella propria vita, dell’amore per Lui.

    Amare «sopra ogni cosa», significa infatti mettere Dio al centro di tutto, come luce nel cammino e fondamento di ogni ordine di valori, affidandogli ogni cosa.

    Ed è un primato, questo, che anima ogni altro amore: per gli uomini e per il creato, perché chi ama Dio ama il fratello (cfr 1 Gv 4,19-21) e cerca il suo bene, sempre, nella giustizia e nella pace.

    Terzo aspetto: il proposito.

    Esso esprime la volontà del penitente di non ricadere più nel peccato commesso (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1451), e permette l’importante passaggio dall’attrizione alla contrizione, dal dolore imperfetto a quello perfetto (cfr ivi, 1452-1453).

    Noi manifestiamo questo atteggiamento dicendo: «Propongo, con il tuo santo aiuto, di non offenderti mai più».

    Queste parole esprimono un proposito, non una promessa.

    Infatti, nessuno di noi può promettere a Dio di non peccare più, e ciò che è richiesto per ricevere il perdono non è una garanzia di impeccabilità, ma un proposito attuale, fatto con retta intenzione nel momento della confessione.

    Inoltre, è un impegno che assumiamo sempre con umiltà, come sottolineano le parole «con il tuo santo aiuto».

    San Giovanni Maria Vianney, il Curato d’Ars, usava ripetere che «Dio ci perdona anche se sa che peccheremo di nuovo».

    E del resto, senza la sua grazia, nessuna conversione sarebbe possibile, contro ogni tentazione di pelagianesimo vecchio o nuovo.

    Vorrei infine richiamare alla vostra attenzione la bellissima conclusione della preghiera: «Signore, misericordia, perdonami».

    Qui i termini “Signore” e “misericordia” appaiono come sinonimi, e questo è decisivo! Dio è misericordia (cfr 1 Gv 4,8), la misericordia è il suo nome, il suo volto.

    Ci fa bene ricordarlo, sempre: in ogni atto di misericordia, in ogni atto d’amore, traspare il volto di Dio.

    Carissimi, il compito che vi è affidato nel confessionale è bello e cruciale, perché vi permette di aiutare tanti fratelli e sorelle a sperimentare la dolcezza dell’amore di Dio.

    Vi incoraggio, pertanto, a vivere ogni confessione come un unico e irripetibile momento di grazia, e a donare generosamente il perdono del Signore, con affabilità, paternità e oserei dire anche con tenerezza materna.

    Vi invito a pregare e a impegnarvi perché quest’anno di preparazione al Giubileo possa veder fiorire la misericordia del Padre in molti cuori e in molti luoghi, e così Dio sia sempre più amato, riconosciuto e lodato.

    Vi ringrazio per l’apostolato che svolgete – o che ad alcuni di voi presto verrà affidato –.

    La Madonna, Madre della misericordia, vi accompagni.

    Anch’io vi porto nella mia preghiera e vi benedico di cuore.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Videomessaggio del Santo Padre per il Concierto "Cadena 100 Por La Paz" (7 Mar 2024)
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    Cari fratelli e sorelle,

    Di fronte a tante vittime, distruzione, lacrime in tanti popoli devastati dalla guerra - penso alla martirizzata Ucraina, ma anche alla Palestina, a Israele - vi ringrazio per l’iniziativa di questo concerto di pace.

    Ringrazio gli artisti che hanno unito il talento a tanta generosità per aiutare vittime innocenti, ma soprattutto perché hanno dimostrato che l’arte e la musica possono diventare messaggeri, strumento di pace per costruire ponti.

    Grazie per non esservi voltati dall’altra parte, grazie per esservi impegnati con quanti stanno subendo direttamente gli effetti delle guerre.

    Grazie a “Cadena 100” per averlo organizzato, e a tutti coloro che generosamente forniscono aiuto umanitario a più di 200 famiglie colpite dalla guerra (in Cisgiordania).

    Vi benedico di cuore e, per favore, non smettete di pregare per me.

    Grazie.

    Ai Partecipanti al Congresso Internazionale Interuniversitario (7 Mar 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Rivolgo un cordiale saluto a tutti voi, venuti da vari Paesi per partecipare al Convegno Donne nella Chiesa: artefici dell’umano.

    Grazie per la vostra presenza e per aver organizzato e promosso questo evento.

    Esso valorizza in particolare la testimonianza di santità di dieci donne.

    Le voglio nominare: Giuseppina Bakhita, Magdeleine di Gesù, Elizabeth Ann Seton, Maria MacKillop, Laura Montoya, Kateri Tekakwitha, Teresa di Calcutta, Rafqa Pietra Choboq Ar-Rayès, Maria Beltrame Quattrocchi e Daphrose Mukasanga.

    Tutte loro, in differenti tempi e culture, con stili propri e diversi, e con iniziative di carità, di educazione e di preghiera, hanno dato prova di come il “genio femminile” sappia riflettere in modo unico la santità di Dio nel mondo.

    Anzi, proprio in epoche nelle quali le donne erano maggiormente escluse dalla vita sociale ed ecclesiale, «lo Spirito Santo ha suscitato sante il cui fascino ha provocato nuovi dinamismi spirituali e importanti riforme nella Chiesa».

    Non solo, ma mi preme anche «ricordare tante donne sconosciute o dimenticate le quali, ciascuna a modo suo, hanno sostenuto e trasformato famiglie e comunità con la forza della loro testimonianza» (Esort.

    ap. Gaudete ed exsultate, 12).

    E la Chiesa ha bisogno di questo, perché la Chiesa è donna: figlia, sposa e madre, e chi più della donna può rivelarne il volto? Aiutiamoci, senza forzature e senza strappi, ma con accurato discernimento, docili alla voce dello Spirito e fedeli nella comunione, a individuare vie adeguate perché la grandezza e il ruolo delle donne siano maggiormente valorizzati nel Popolo di Dio.

    Avete scelto un’espressione particolare per intitolare il vostro Convegno, definendo le donne “Artefici dell’umano”.

    Sono parole che richiamano ancora più chiaramente la natura della loro vocazione: quella di essere “artigiane”, collaboratrici del Creatore a servizio della vita, del bene comune, della pace.

    E vorrei sottolineare due aspetti di questa missione, riguardanti lo stile e la formazione.

    Anzitutto lo stile. Il nostro è un tempo lacerato dall’odio, in cui l’umanità, bisognosa di sentirsi amata, è invece spesso sfregiata dalla violenza, dalla guerra e da ideologie che affogano i sentimenti più belli del cuore.

    E proprio in questo contesto, il contributo femminile è più che mai indispensabile: la donna, infatti, sa unire con la tenerezza.

    Santa Teresa di Gesù Bambino diceva di voler essere, nella Chiesa, l’amore.

    E aveva ragione: la donna infatti, con la sua capacità unica di compassione, con la sua intuitività e con la sua connaturale propensione a “prendersi cura”, sa in modo eminente essere, per la società, “intelligenza  e cuore che ama e che unisce”, mettendo amore dove non c’è amore, umanità dove l’essere umano fatica a ritrovare sé stesso.

    Secondo aspetto: la formazione.

    Avete organizzato questo Convegno con la collaborazione di varie realtà accademiche cattoliche.

    E in effetti, nell’ambito della pastorale universitaria, proporre agli alunni, oltre all’approfondimento accademico della dottrina e del messaggio sociale della Chiesa, testimonianze di santità, specialmente al femminile, incoraggia ad elevare lo sguardo, a dilatare l’orizzonte dei sogni e del modo di pensare e a disporsi a seguire alti ideali.

    La santità può così diventare come una linea educativa trasversale in tutto l’approccio al sapere.

    Per questo auspico che i vostri ambienti, oltre ad essere luoghi di studio, di ricerca e di apprendimento, luoghi “informativi”, siano anche contesti “formativi”, dove si aiuta ad aprire la mente e il cuore all’azione dello Spirito Santo.

    Perciò è importante far conoscere i santi, e specialmente le sante, in tutto lo spessore e in tutta la concretezza della loro umanità: così la formazione sarà ancora più capace di toccare ogni persona nella sua integralità e nella sua unicità.

    Un’ultima cosa a proposito della formazione: nel mondo, dove le donne soffrono ancora tante violenze, disparità, ingiustizie e maltrattamenti – e ciò è scandaloso, ancor più per chi professa la fede nel Dio «nato da donna» (Gal 4,4) – c’è una forma grave di discriminazione, che è proprio legata alla formazione della donna.

    Essa è infatti temuta in molti contesti, ma la via per società migliori passa proprio attraverso l’istruzione delle bambine, delle ragazze e delle giovani, di cui beneficia lo sviluppo umano.

    Preghiamo e impegniamoci per questo!

    Care sorelle e fratelli, affido al Signore i frutti del vostro Convegno e vi accompagno con la mia benedizione.

    E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie.

    Ai Membri della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori (7 Mar 2024)
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    Cari fratelli e sorelle!

    Sono lieto di darvi il benvenuto in occasione della vostra Assemblea plenaria.

    Vi ringrazio di cuore per il vostro lavoro, che è molto importante, e anche per la vostra testimonianza personale e collettiva.

    Molti di voi infatti hanno dedicato la loro vita a prendersi cura delle vittime di abusi: è una vocazione coraggiosa, che nasce dal cuore della Chiesa e la aiuta a purificarsi e a crescere.

    Negli ultimi dieci anni il vostro compito di offrire «consiglio e consulenza e altresì proporre le più opportune iniziative per la salvaguardia dei minori e delle persone vulnerabili» (Praedicate Evangelium, art.

    78) si è notevolmente allargato.

    Esso ha assunto una fisionomia più definita, dal momento che vi ho chiesto di concentrarvi nell’aiutare a rendere la Chiesa un luogo sempre più sicuro per i minori e gli adulti più fragili.

    Mi rallegra vedere che oggi siete qui numerosi, come pure poter ascoltare gli aggiornamenti sulle vostre attività.

    Vi esorto a continuare in questo servizio, con spirito di squadra: costruendo ponti e collaborazioni che possano rendere più efficace la vostra cura per gli altri.

    Avete dedicato tempo e impegno a completare il Rapporto Annuale sulle Politiche e le Procedure di Tutela nella Chiesa, che vi ho chiesto di preparare.

    Esso non dovrebbe essere semplicemente un documento in più, ma aiutarci a capire meglio il lavoro che ancora ci attende.

    Di fronte allo scandalo degli abusi e alla sofferenza delle vittime  potremmo scoraggiarci, perché la sfida di ricostruire il tessuto di vite infrante e di guarire il dolore è grande e complessa.

    Ma non deve venire meno il nostro impegno; anzi, vi incoraggio ad andare avanti, perché la Chiesa sia sempre e dappertutto un luogo dove ciascuno possa sentirsi a casa e ogni persona sia ritenuta sacra.

    Per vivere bene questo servizio dobbiamo fare nostri i sentimenti di Cristo: la sua compassione, il suo modo di toccare le ferite dell’umanità, il suo Cuore trafitto d’amore per noi.

    Gesù è Colui che si è fatto vicino; nella sua carne Dio Padre si è avvicinato a noi oltre ogni limite e, così, ci mostra che non è distante dai nostri bisogni e dalle nostre preoccupazioni.

    In Gesù Egli si fa carico delle nostre sofferenze e porta su di sé le nostre piaghe, come afferma il quarto poema del Servo sofferente nel Libro del profeta Isaia (cfr 53,4).

    E anche noi, impariamolo: non possiamo aiutare un altro a portare i suoi pesi senza metterli sulle nostre spalle, senza praticare la vicinanza e la compassione.

    Nel nostro ministero ecclesiale di tutela, la vicinanza alle vittime di abuso non è un concetto astratto: è una realtà molto concreta, fatta di ascolto, di interventi, di prevenzione, di aiuto.

    Siamo chiamati tutti – in particolare le autorità ecclesiastiche – a conoscere direttamente l’impatto degli abusi e a lasciarci scuotere dalla sofferenza delle vittime, ascoltando direttamente la loro voce e praticando quella prossimità che, attraverso scelte concrete, le sollevi, le aiuti e prepari un futuro diverso per tutti.

    La risposta a coloro che hanno subito abusi nasce da questo sguardo del cuore, da questa vicinanza.

    Non deve accadere che questi fratelli e sorelle non vengano accolti e ascoltati, perché questo può aggravare moltissimo la loro sofferenza.

    C’è bisogno di prendersene cura con un impegno personale, così come è necessario che ciò sia portato avanti con l’aiuto di collaboratori competenti.

    Ringrazio voi per tutto quello che fate per accompagnare le vittime e i sopravvissuti.

    Gran parte di questo servizio viene svolto in modo riservato, come è giusto che sia per rispetto delle persone.

    Ma, nello stesso tempo, i suoi frutti dovrebbero diventare visibili: si dovrebbe sapere e vedere il lavoro che fate accompagnando il ministero di tutela delle Chiese locali.

    La vostra vicinanza alle autorità delle Chiese locali le rafforzerà nella condivisione di buone pratiche e nella verifica dell’adeguatezza delle misure che sono state poste in atto.

    Vi ho già chiesto di assicurare la conformità con Vos estis lux mundi, in modo che ci siano mezzi affidabili per accogliere e prendersi cura di vittime e sopravvissuti, come anche per assicurare che l’esperienza e la testimonianza di queste comunità sostenga il lavoro di protezione e prevenzione.

    So che il vostro servizio alle Chiese locali sta già portando grandi frutti e sono incoraggiato nel vedere l’iniziativa Memorare prendere forma, in collaborazione con le Chiese di tanti Paesi del mondo.

    Questo è un modo molto concreto per la Commissione di dimostrare la sua vicinanza alle autorità di queste Chiese, mentre rafforzate gli sforzi esistenti per la tutela.

    Col tempo, ciò darà vita a una rete di solidarietà con le vittime e con coloro che promuovono i loro diritti, specialmente dove le risorse e l’esperienza scarseggiano.

    Cari fratelli e sorelle, grazie per il vostro delicato e importante servizio.

    Le vostre osservazioni ci manterranno in cammino nella giusta direzione, perché la Chiesa continui a impegnarsi con tutte le sue forze nella prevenzione degli abusi, nella loro ferma condanna, nell’attenzione compassionevole verso le vittime e nell’impegno costante per essere luogo ospitale e sicuro.

    Grazie per la vostra perseveranza e per la testimonianza di speranza che offrite.

    Vi benedico di cuore, prego per voi e vi chiedo di pregare per me.

    Messaggio del Santo Padre in occasione del Laboratorio “L’ontologia sociale e il diritto naturale dell’Aquinate in prospettiva. Approfondimenti per e dalle Scienze Sociali”, Patrocinato dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (7 Mar 2024)
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    Mi ha fatto molto piacere apprendere che la Pontificia Accademia di Scienze Sociali abbia scelto di celebrare il 750° anniversario della morte di San Tommaso d’Aquino sponsorizzando un Laboratorio sul tema: “Ontologia sociale e diritto naturale dell’Aquinate in prospettiva.

    Approfondimenti per e dalle Scienze Sociali”.

    Esprimo la mia gratitudine a tutti i partecipanti a questo importante incontro e nella preghiera offro i miei auspici per la fecondità delle vostre discussioni.

    Sicuramente San Tommaso non ha coltivato le scienze sociali così come noi le intendiamo oggi.

    Tuttavia, il suo studio rigoroso delle implicazioni filosofiche e teologiche del dato biblico che l’uomo è creato: «a immagine di Dio» (Gn 1,27), che trovò espressione nei suoi vari scritti, si può dire che abbia contribuito a preparare la strada allo sviluppo di queste scienze moderne.

    L’opera di Tommaso dimostra sia il suo impegno a comprendere la Parola di Dio rivelata in tutte le sue dimensioni, sia, al tempo stesso, la sua notevole apertura a ogni verità accessibile alla ragione umana.

    Il Dottore Angelico era profondamente convinto che, dal momento che Dio è la verità e la luce che illumina ogni comprensione, non ci possa essere alcuna contraddizione di fondo tra la verità rivelata e quella scoperta attraverso la ragione.

    Centrale alla sua comprensione del rapporto tra fede e ragione era la sua convinzione del potere del dono divino della grazia di risanare la natura umana indebolita dal peccato e di elevare la mente attraverso la partecipazione alla conoscenza e all’amore di Dio, e di conseguenza di abilitarci a comprendere e ordinare in modo corretto le nostre vite come singoli e come società.

    Le scienze sociali contemporanee si accostano alle tematiche dell’uomo e al perseguimento dello sviluppo umano attraverso una serie di approcci e metodi che dovrebbero essere fondati nell’irriducibile realtà e dignità della persona umana.

    L’Aquinate è stato in grado di attingere ad una ricca eredità filosofica che ha interpretato attraverso le lenti del Vangelo, allo scopo di affermare che la persona, come «quanto di più nobile si trova in tutto l‘universo» (ST I, q.

    29, a.

    3) [testo in italiano tratto da Somma Teologica, Nuova Edizione in lingua italiana a cura di P.Tito S.

    Centi e P.

    Angelo Z.

    Belloni, 2009, ndt], è il pilastro dell’ordine sociale.

    Creati ad immagine e somiglianza di Dio Unitrino, gli individui sono destinati, attraverso relazioni personali e interpersonali, a vivere, crescere e svilupparsi in comunità.

    Per questa ragione, «è naturale che gli esseri umani vivano in società con molti altri, per procurarsi, con il loro lavoro manuale e fisico, illuminati dalla luce della loro intelligenza e dalla forza della loro volontà, i beni materiali e spirituali per il loro benessere e buon vivere, per la loro felicità» (De regno, B.

    I.

    c.

    1).

    Attingendo da principi già stabiliti da Aristotele, Tommaso così sosteneva che i beni spirituali precedono quelli materiali e che il bene comune della società precede quello degli individui, in quanto l’uomo è per natura un “animale politico”.

    Il suo legame con le opere etiche e politiche dei grandi pensatori classici appare evidente dai suoi commentari, e si riflette specialmente nelle questioni che dedica alla giustizia, in particolare nel suo celebre Trattato sul Diritto (ST I-II, qq.

    90-108).

    Mentre è indubitabile la sua influenza nel dar forma al pensiero morale e giuridico moderno, un recupero della prospettiva filosofica e teologica che ha informato la sua opera può risultare alquanto promettente per la nostra disciplinata riflessione sulle pressanti questioni sociali del nostro tempo.

    L’Aquinate sostiene l’intrinseca dignità e unità della persona umana, che appartiene sia al mondo fisico in virtù del corpo che a quello spirituale in virtù dell’anima razionale: una creatura capace di distinguere tra vero e falso in base al principio di non-contraddizione, ma anche di discernere il bene dal male.

    Questa capacità innata di discernere e di ordinare o disporre atti al loro fine ultimo attraverso l’amore, chiamata tradizionalmente “legge naturale”, come dichiara il Catechismo della Chiesa Cattolica, citando Tommaso: «altro non è che la luce dell'intelligenza infusa in noi da Dio.

    Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare.

    Questa luce o questa legge Dio l'ha donata alla creazione» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1955).

    Oggi è essenziale recuperare una considerazione di questa «inclinazione naturale a conoscere la verità su Dio, e a vivere in società» (ST I-II, q.

    92, a.

    2) al fine di modellare il pensiero sociale e le politiche in modalità che promuovano, anziché impedire, l’autentico sviluppo umano dei singoli e dei popoli.

    Per questo motivo, il mio Predecessore e io abbiamo riaffermato costantemente l’importanza della legge naturale nelle discussioni concernenti le sfide etiche e politiche del nostro tempo.

    Con le parole di Benedetto XVI, «una tale legge morale universale è saldo fondamento di ogni dialogo culturale, religioso e politico e consente al multiforme pluralismo delle varie culture di non staccarsi dalla comune ricerca del vero, del bene e di Dio» (Lett.

    Enc.

    Caritas in Veritate, 59).

    La fiducia di Tommaso in una legge naturale scritta nel cuore dell’uomo può così offrire freschi e validi spunti al nostro mondo globalizzato, dominato dal positivismo giuridico e dalla casistica, anche se continua a cercare solide fondamenta per un giusto e umano ordine sociale.

    Infatti, seguendo Aristotele, Tommaso era ben consapevole della complessità che comporta applicare la legge alle azioni concrete, e perciò enfatizzava l’importanza della virtù di epikeia.

    Con le sue parole: «gli atti umani, che sono oggetto della legge, consistono in fatti contingenti e singolari, che possono variare in infiniti modi […].

    Ma in certi casi osservare queste leggi sarebbe contro la giustizia e contro il bene comune, che è lo scopo della legge».

    Di conseguenza: «è invece un bene seguire ciò che esige il senso della giustizia e il bene comune, trascurando la lettera della legge» (ST II_II, q.

    120, a.

    1).

    Se il Dottore Angelico fonda la sua comprensione della dignità dell’uomo e le esigenze di un’”ontologia sociale” nella natura umana, e dunque nell’ordine della creazione, come pensatore cristiano egli, necessariamente, aggiunge anche che la nostra natura umana, ferita dal peccato, è guarita ed elevata dalla grazia, frutto della redenzione operata da Cristo.

    All’inizio della sua grande Cristologia, la terza parte della Summa Theologiae, Tommaso afferma, in continuità con l’insegnamento delle Scritture e dei Padri della Chiesa, che l’Incarnazione del Figlio di Dio rivela la suprema dignità della natura umana.

    Questa convinzione è stata eloquentemente riaffermata nel nostro tempo dall’insegnamento del Concilio Vaticano II, che cioè: «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a sé stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione» (Cost.

    Past.

    Gaudium et spes, 22).

    La pienezza di grazia presente nell’umanità del Redentore è poi comunicata alle membra del suo Corpo, la Chiesa, a cui tutta l’umanità è chiamata.

    Come Capo di quel Corpo, Cristo distribuisce la sua grazia in vari modi a ciascun membro, a seconda dei suoi unici doni e vocazioni.

    L’intuizione di Tommaso circa questa effusione di grazia redentiva e la varietà dei modi in cui tale grazia è comunicata per l’edificazione del Corpo ha ricche implicazioni per la comprensione delle dinamiche di un solido ordine sociale fondato sulla riconciliazione, sulla solidarietà, sulla giustizia e sulla cura reciproca.

    In questo senso Benedetto XVI poteva affermare che, proprio come oggetto dell’amore di Dio, l’uomo e la donna divengono a loro volta soggetti di carità, chiamati a riflettere tale carità e a tessere reti di carità (cfr Caritas in Veritate, 5) a servizio della giustizia e del bene comune.

    È questa maggiore dinamica di carità ricevuta e donata che ha dato vita alla Dottrina sociale della Chiesa (cfr ibid), che cerca di esplorare come i benefici sociali della Redenzione possano rendersi visibili nella vita di uomini e donne, in quanto esseri sociali la cui individualità è ineluttabilmente immersa in una storia, cultura e tradizione più grande.

    Qui, fa notare Tommaso, vediamo il cuore della vita Cristiana come atto di culto sacerdotale volto alla glorificazione di Dio e alla santificazione del mondo.

    In questa prospettiva, il Dottore Angelico sostiene risolutamente la priorità delle opere di misericordia.

    Con le sue parole: «Noi non esercitiamo il culto verso Dio con sacrifici e con offerte esteriori a vantaggio suo, ma a vantaggio nostro e del prossimo: egli infatti non ha bisogno dei nostri sacrifici, ma vuole che essi gli vengano offerti per la nostra devozione e a vantaggio del prossimo.

    Perciò la misericordia … è un sacrificio a lui più accetto, assicurando esso più da vicino il bene del prossimo» (ST II-II, q.

    30, a.

    4 ad 1).

    Cari amici, in questi anni del mio pontificato ho cercato di privilegiare il gesto della lavanda dei piedi, seguendo l’esempio di Gesù, che nell’Ultima Cena si è tolto il mantello e ha lavato i piedi dei suoi discepoli uno ad uno.

    La lavanda dei piedi è senza dubbio un simbolo eloquente delle Beatitudini proclamate dal Signore nel Discorso della Montagna e della loro concreta espressione in opere di misericordia.

    Con questo gesto, il Signore ha voluto lasciarci: «un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15).

    Di fatto, come insegna l’Aquinate, con un’azione così straordinaria Cristo: «ha mostrato tutte le opere di misericordia» (In Ioan.

    XIII).

    Gesù sapeva che, quando si tratta di ispirare il cuore dell’uomo, gli esempi sono più importanti di un fiume di parole.

    In questi giorni, mentre vi accostate al ricco patrimonio di pensiero religioso, etico e sociale che San Tommaso d’Aquino ci ha lasciato in eredità, ho fiducia che troverete ispirazione e illuminazione per i vostri propri contributi alle varie scienze sociali, nel rispetto dei loro propri metodi e obiettivi.

    Rinnovo i miei buoni auspici per le vostre decisioni e prego affinché ciascuno di voi, nel proprio lavoro e nella propria vita, trovi realizzazione nel nostro comune impegno di contribuire ad un futuro di fraternità, giustizia e pace per tutti i membri della nostra famiglia umana.

    Su ciascuno di voi, e sui vostri cari, invoco di cuore abbondanti benedizioni dal Signore.

    Dal Vaticano, 7 marzo 2024

    FRANCESCO

    Udienza Generale del 6 Mar 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 10. La superbia
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    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    10. La superbia

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Nel nostro percorso di catechesi sui vizi e le virtù, oggi arriviamo all’ultimo dei vizi: la superbia.

    Gli antichi greci la definivano con un  vocabolo che si potrebbe tradurre “eccessivo splendore”.

    In effetti, la superbia è autoesaltazione, presunzione, vanità.

    Il termine compare anche in quella serie di vizi che Gesù elenca per spiegare che il male proviene sempre dal cuore dell’uomo (cfr Mc 7,22).

    Il superbo è uno che pensa di essere molto più di quanto sia in realtà; uno che freme per essere riconosciuto più grande degli altri, vuole sempre veder riconosciuti i propri meriti e disprezza gli altri ritenendoli inferiori.

    Da questa prima descrizione, vediamo come il vizio della superbia sia molto prossimo a quello della vanagloria, che abbiamo già presentato la volta scorsa.

    Però, se la vanagloria è una malattia dell’io umano, essa è ancora una malattia infantile se paragonata allo scempio di cui è capace la superbia.

    Analizzando le follie dell’uomo, i monaci dell’antichità riconoscevano un certo ordine nella sequenza dei mali: si comincia dai peccati più grossolani, come può essere la gola, per approdare ai mostri più inquietanti.

    Di tutti i vizi, la superbia è gran regina.

    Non a caso, nella Divina Commedia, Dante la colloca proprio nella prima cornice del purgatorio: chi cede a questo vizio è lontano da Dio, e l’emendazione di questo male richiede tempo e fatica, più di ogni altra battaglia a cui è chiamato il cristiano.

    In realtà, dentro questo male si nasconde il peccato radicale, l’assurda pretesa di essere come Dio.

    Il peccato dei nostri progenitori, raccontato dal libro della Genesi, è a tutti gli effetti un peccato di superbia.

    Dice loro il tentatore: «Quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio» (Gen 3,5).

    Gli scrittori di spiritualità sono più attenti a descrivere le ricadute della superbia nella vita di tutti i giorni, a illustrare come essa rovini i rapporti umani, a evidenziare come questo male avveleni quel sentimento di fraternità che dovrebbe invece accomunare gli uomini.

    Ecco allora la lunga lista di sintomi che rivelano il cedimento di una persona al vizio della superbia.

    È un male con un evidente aspetto fisico: il superbo è altero, ha una “dura cervice”, cioè, ha un collo rigido, che non si piega.

    È un uomo facile al giudizio sprezzante: per un niente emette sentenze irrevocabili nei confronti degli altri, che gli paiono irrimediabilmente inetti e incapaci.

    Nella sua supponenza, si dimentica che Gesù nei Vangeli ci ha assegnato pochissimi precetti morali, ma su uno di essi si è dimostrato intransigente: non giudicare mai.

    Ti accorgi di avere a che fare con un orgoglioso quando, muovendo a lui una piccola critica costruttiva, o un’osservazione del tutto innocua, egli reagisce in maniera esagerata, come se qualcuno avesse leso la sua maestà: va su tutte le furie, urla, interrompe i rapporti con gli altri in modo risentito.

    C’è poco da fare con una persona ammalata di superbia.

    È impossibile parlarle, tantomeno correggerla, perché in fondo non è più presente a sé stessa.

    Con essa bisogna solo avere pazienza, perché un giorno il suo edificio crollerà.

    Un proverbio italiano recita: “La superbia va a cavallo e torna a piedi”.

    Nei Vangeli Gesù ha a che fare con tanta gente superba, e spesso è andato a stanare questo vizio anche in persone che lo nascondevano molto bene.

    Pietro sbandiera la sua fedeltà a tutta prova: “Se anche tutti ti abbandonassero, io no!” (cfr Mt 26,33).

    Presto farà invece l’esperienza di essere come gli altri, anche lui pauroso davanti alla morte che non immaginava potesse essere così vicina.

    E così il secondo Pietro, quello che non solleva più il mento ma che piange lacrime salate, verrà medicato da Gesù e sarà finalmente adatto a reggere il peso della Chiesa.

    Prima sfoggiava una presunzione che era meglio non sbandierare; ora invece è un discepolo fedele che, come dice una parabola, il padrone può mettere “a capo di tutti i suoi averi” (Lc 12,44).

    La salvezza passa per l’umiltà, vero rimedio ad ogni atto di superbia.

    Nel Magnificat, Maria canta il Dio che con la sua potenza disperde i superbi nei pensieri malati del loro cuore.

    È inutile rubare qualcosa a Dio, come sperano di fare i superbi, perché in fin dei conti Lui ci vuole donare tutto.

    Per questo l’apostolo Giacomo, alla sua comunità ferita da lotte intestine originate dall’orgoglio, scrive così: «Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia» (Gc 4,6).

    Dunque, cari fratelli e sorelle, approfittiamo di questa Quaresima per lottare contro la nostra superbia.

    _____________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier les fidèles du diocèse de Saint-Flour et les confirmands du diocèse de Séez, accompagnés de leurs évêques, ainsi que les nombreux groupes scolaires venus de France.

    Que la Vierge Marie nous apprenne à marcher humblement dans les pas du Christ.

    Que Dieu vous bénisse.

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare i fedeli della diocesi di Saint-Flour e i cresimandi della diocesi di Séez, accompagnati dai loro Vescovi, come pure le numerose scolaresche provenienti dalla Francia.

    Che la Vergine Maria ci insegni a camminare umilmente sulle orme di Cristo.

    Che Dio vi benedica.]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from Wales, Denmark, Switzerland, Indonesia and the United States of America.  Upon all of you and upon your families, I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ.

    God bless you!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza.

    In particolare, saluto i gruppi provenienti da Galles, Danimarca, Svizzera, Indonesia e Stati Uniti d’America.  Su tutti voi e sulle vostre famiglie, invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo.

    Dio vi benedica!]

    Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, die Fastenzeit ist eine gute Gelegenheit, uns unsere Schwäche und Begrenztheit einzugestehen.

    Schreiten wir vertrauensvoll voran, denn der Herr beschenkt die Demütigen mit seiner Gnade.

    [Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, la Quaresima è un tempo propizio per riconoscere la nostra debolezza e i nostri limiti.

    Procediamo fiduciosi perché il Signore ricolma gli umili della sua grazia.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Pidamos a María que nos ayude a proclamar con nuestra vida el Magníficat, para poder ser testigos de la alegría del Evangelio con humildad y sencillez de corazón.

    Que Jesús los bendiga.

    Muchas gracias.

    Caros peregrinos de língua portuguesa, sede bem-vindos.

    Particularmente durante este mês, convido cada um de vós a fixar o olhar em São José.

    A sua humildade e o seu silêncio ajudar-nos-ão a combater contra a tentação da soberba.

    Deus vos abençoe!

    [Cari pellegrini di lingua portoghese, benvenuti! Particolarmente in questo mese, invito ciascuno di voi a rivolgere lo sguardo verso San Giuseppe.

    La sua umiltà e il suo silenzio ci aiuteranno a combattere contro la tentazione della superbia.

    Dio vi benedica!]

    أُحيِّي المُؤمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العَرَبِيَّة، وخاصَّةً شبيبةَ كاريتاس لبنان.

    في مسيرةِ الزَّمنِ الأربعينيّ، المَسِيحيُّ مَدعُوٌ إلى أنْ يُقاوِمَ الكِبرِياءَ بالتَّواضُع، الَّذي هو العِلاجُ الحَقِيقيُّ لكلِّ شكلٍ مِن أشكالِ تمجيدِ الذَّات، والغرور، والمجدِ الباطل.

    بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba, in particolare i giovani della Caritas del Libano.

    Nel cammino quaresimale, il cristiano è chiamato a lottare contro la superbia con l’umiltà, vero rimedio ad ogni forma di autoesaltazione, presunzione e vanità.

    Il Signore benedica tutti e vi protegga da ogni male‎‎‎‏!]

    Serdecznie pozdrawiam pielgrzymów polskich, w szczególności delegację z Podkarpacia, przybyłą w związku z 80.

    rocznicą śmierci błogosławionej rodziny Ulmów.

    Z tej okazji odbędzie się w Ogrodach Watykańskich uroczystość posadzenia jabłoni, zaszczepionej przez błogosławionego Józefa Ulmę.

    Wszystkim z serca błogosławię.

    [Saluto cordialmente i pellegrini polacchi, in particolare la delegazione di Podkarpacie, venuta in occasione dell’80° anniversario dalla morte della beata famiglia Ulma.

    Per la ricorrenza, nei Giardini Vaticani si terrà una cerimonia per la piantumazione del melo innestato dal beato Józef Ulma.

    Benedico tutti di cuore.]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare saluto i fedeli di Scalea, accompagnati dal Vescovo Mons.

    Stefano Rega, che celebrano il giubileo della consacrazione della Chiesa della Santissima Trinità.

    Accolgo con affetto gli allievi, assieme ai loro formatori, del Seminario Interdiocesano di Pisa e gli ex alunni del Pontificio Collegio Lituano di San Casimiro a Roma, che rendono grazie al Signore per i Settantacinque anni della fondazione dell’Istituto: possiate conformare sempre più la vostra vita a Cristo Buon Pastore ed essere annunciatori gioiosi del Vangelo.

    Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli.

    In questi giorni di Quaresima, continuate con coraggio nell’impegno di liberarvi da tutto ciò che maschera la vostra vita per ritornare con tutto il cuore a Dio, che ci ama con amore eterno.

    Ancora una volta, fratelli e sorelle, rinnovo il mio invito a pregare per le popolazioni che soffrono l’orrore della guerra in Ucraina e in Terra Santa, come pure in altre parti del mondo.

    Preghiamo per la pace! Chiediamo al Signore il dono della pace!

    A tutti la mia benedizione.

    Angelus, 3 Mar 2024
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi il Vangelo ci mostra una scena dura: Gesù che scaccia i mercanti dal tempio (cfr Gv 2,13-25), Gesù che allontana i venditori, rovescia i banchi dei cambiavalute e ammonisce tutti dicendo: «Non fate della casa del Padre mio un mercato» (v.

    16).

    Soffermiamoci un po’ sul contrasto tra casa e mercato: si tratta infatti di due modi diversi di porsi davanti al Signore.

    Nel tempio inteso come mercato, per essere a posto con Dio bastava comprare un agnello, pagarlo e consumarlo sulle braci dell’altare.

    Comprare, pagare, consumare, e poi ciascuno a casa sua.

    Nel tempio inteso invece come casa succede il contrario: si va per incontrare il Signore, per stare uniti a Lui, stare uniti ai fratelli, per condividere gioie e dolori.

    Ancora: al mercato si gioca sul prezzo, a casa non si calcola; al mercato si cercano i propri interessi, a casa si dà gratuitamente.

    E Gesù oggi è duro perché non accetta che il tempio-mercato si sostituisca al tempio-casa, non accetta che la relazione con Dio sia distante e commerciale anziché vicina e fiduciosa, non accetta che i banchi di vendita prendano il posto della mensa familiare, che i prezzi vadano al posto degli abbracci e le monete prendano il posto delle carezze.

    E perché Gesù non accetta questo? Perché così si crea una barriera tra Dio e l’uomo e tra fratello e fratello, mentre Cristo è venuto a portare comunione, a portare misericordia, cioè perdono, a portare vicinanza.

    L’invito oggi, anche per il nostro cammino di Quaresima, è a fare in noi e attorno a noi più casa e meno mercato.

    Prima di tutto nei confronti di Dio: pregando tanto, come figli che senza stancarsi bussano fiduciosi alla porta del Padre, non come mercanti avari e diffidenti.

    Dunque, primo, pregando.

    E poi diffondendo fraternità: c’è bisogno di tanta fraternità! Pensiamo al silenzio imbarazzante, isolante, talvolta addirittura ostile che si incontra in tanti luoghi.

    Chiediamoci, allora: prima di tutto, com’è la mia preghiera? È un prezzo da pagare o è il momento dell’abbandono fiducioso, dove non guardo all’orologio? E come sono i miei rapporti con gli altri? So dare senza aspettare il contraccambio? So fare il primo passo per rompere i muri del silenzio e i vuoti delle distanze? Queste domande dobbiamo farle a noi stessi.

    Maria ci aiuti a “fare casa” con Dio, tra noi e attorno a noi.

    ___________________________

    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Porto quotidianamente nel cuore, con dolore, la sofferenza delle popolazioni in Palestina e in Israele, dovuta alle ostilità in corso.

    Le migliaia di morti, di feriti, di sfollati, le immani distruzioni causano dolore, e questo con conseguenze tremende sui piccoli e gli indifesi, che vedono compromesso il loro futuro.

    Mi domando: davvero si pensa di costruire un mondo migliore in questo modo, davvero si pensa di raggiungere la pace? Basta, per favore! Diciamo tutti noi: basta, per favore! Fermatevi! Incoraggio a continuare i negoziati per un immediato cessate-il-fuoco a Gaza e in tutta la regione, affinché gli ostaggi siano subito liberati e tornino dai loro cari che li aspettano con ansia, e la popolazione civile possa avere accesso sicuro ai dovuti e urgenti aiuti umanitari.

    E per favore non dimentichiamo la martoriata Ucraina, dove ogni giorno muoiono tanti.

    C’è tanto dolore là.

    Il 5 marzo ricorre la seconda Giornata internazionale per la consapevolezza sul disarmo e la non proliferazione.

    Quante risorse vengono sprecate per le spese militari che, a causa della situazione attuale, continuano tristemente ad aumentare! Auspico vivamente che la comunità internazionale comprenda che il disarmo è innanzitutto un dovere, il disamo è un dovere morale.

    Mettiamo questo in testa.

    E questo richiede il coraggio da parte di tutti i membri della grande famiglia delle Nazioni di passare dall’equilibrio della paura all’equilibrio della fiducia.

    Saluto tutti voi, romani e pellegrini di vari Paesi.

    In particolare, saluto gli studenti dell’Università Sénior di Vila Pouca de Aguiar, in Portogallo; gli alunni dell’Istituto “Rodríguez Moñino” di Badajoz; e i gruppi parrocchiali dalla Polonia.

    Saluto i cresimandi di Rosolina, in diocesi di Chioggia, con i familiari; i fedeli venuti da Padova, da Azzano Mella, Capriano e Fenili, da Taranto e dalla parrocchia S.

    Alberto Magno in Roma.

    Un saluto affettuoso rivolgo ai giovani ucraini che la Comunità di Sant’Egidio ha convocato sul tema “Vinci il male con il bene.

    Preghiera, poveri, pace”.

    Cari giovani, grazie per il vostro impegno a favore di chi più soffre per la guerra.

    Grazie!

    E auguro a tutti una buona domenica.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci!

     

    I Giornata Mondiale dei Bambini, 2024
    Visita il link

    Care bambine e cari bambini!

    Si avvicina la vostra prima Giornata Mondiale: sarà a Roma il 25 e 26 maggio prossimo.

    Per questo ho pensato di mandarvi un messaggio, sono felice che possiate riceverlo e ringrazio tutti coloro che si adopereranno per farvelo avere.

    Lo rivolgo prima di tutto a ciascuno personalmente, a te, cara bambina, a te, caro bambino, perché «sei prezioso» agli occhi di Dio (Is 43,4), come ci insegna la Bibbia e come Gesù tante volte ha dimostrato.

    Allo stesso tempo questo messaggio lo invio a tutti, perché tutti siete importanti, e perché insieme, vicini e lontani, manifestate il desiderio di ognuno di noi di crescere e rinnovarsi.

    Ci ricordate che siamo tutti figli e fratelli, e che nessuno può esistere senza qualcuno che lo metta al mondo, né crescere senza avere altri a cui donare amore e da cui ricevere amore (cfr Lett.

    enc.

    Fratelli tutti, 95).

    Così tutti voi, bambine e bambini, gioia dei vostri genitori e delle vostre famiglie, siete anche gioia dell’umanità e della Chiesa, in cui ciascuno è come un anello di una lunghissima catena, che va dal passato al futuro e che copre tutta la terra.

    Per questo vi raccomando di ascoltare sempre con attenzione i racconti dei grandi: delle vostre mamme, dei papà, dei nonni e dei bisnonni! E nello stesso tempo di non dimenticare chi di voi, ancora così piccolo, già si trova a lottare contro malattie e difficoltà, all’ospedale o a casa, chi è vittima della guerra e della violenza, chi soffre la fame e la sete, chi vive in strada, chi è costretto a fare il soldato o a fuggire come profugo, separato dai suoi genitori, chi non può andare a scuola, chi è vittima di bande criminali, della droga o di altre forme di schiavitù, degli abusi.

    Insomma, tutti quei bambini a cui ancora oggi con crudeltà viene rubata l’infanzia.

    Ascoltateli, anzi ascoltiamoli, perché nella loro sofferenza ci parlano della realtà, con gli occhi purificati dalle lacrime e con quel desiderio tenace di bene che nasce nel cuore di chi ha veramente visto quanto è brutto il male.

    Miei piccoli amici, per rinnovare noi stessi e il mondo, non basta che stiamo insieme tra noi: è necessario stare uniti a Gesù.

    Da lui riceviamo tanto coraggio: lui è sempre vicino, il suo Spirito ci precede e ci accompagna sulle vie del mondo.

    Gesù ci dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5); sono le parole che ho scelto come tema per la vostra prima Giornata Mondiale.

    Queste parole ci invitano a diventare agili come bambini nel cogliere le novità suscitate dallo Spirito in noi e intorno a noi.

    Con Gesù possiamo sognare un’umanità nuova e impegnarci per una società più fraterna e attenta alla nostra casa comune, cominciando dalle cose semplici, come salutare gli altri, chiedere permesso, chiedere scusa, dire grazie.

    Il mondo si trasforma prima di tutto attraverso le cose piccole, senza vergognarsi di fare solo piccoli passi.

    Anzi, la nostra piccolezza ci ricorda che siamo fragili e che abbiamo bisogno gli uni degli altri, come membra di un unico corpo (cfr Rm 12,5; 1 Cor 12,26).

    E c’è di più.

    Infatti, care bambine e cari bambini, da soli non si può neppure essere felici, perché la gioia cresce nella misura in cui la si condivide: nasce con la gratitudine per i doni che abbiamo ricevuto e che a nostra volta partecipiamo agli altri.

    Quando quello che abbiamo ricevuto lo teniamo solo per noi, o addirittura facciamo i capricci per avere questo o quel regalo, in realtà ci dimentichiamo che il dono più grande siamo noi stessi, gli uni per gli altri: siamo noi il “regalo di Dio”.

    Gli altri doni servono, sì, ma solo per stare insieme.

    Se non li usiamo per questo saremo sempre insoddisfatti e non ci basteranno mai.

    Invece se si sta insieme tutto è diverso! Pensate ai vostri amici: com’è bello stare con loro, a casa, a scuola, in parrocchia, all’oratorio, dappertutto; giocare, cantare, scoprire cose nuove, divertirsi, tutti insieme, senza lasciare indietro nessuno.

    L’amicizia è bellissima e cresce solo così, nella condivisione e nel perdono, con pazienza, coraggio, creatività e fantasia, senza paura e senza pregiudizi.

    E adesso voglio confidarvi un segreto importante: per essere davvero felici bisogna pregare, pregare tanto, tutti i giorni, perché la preghiera ci collega direttamente a Dio, ci riempie il cuore di luce e di calore e ci aiuta a fare tutto con fiducia e serenità.

    Anche Gesù pregava sempre il Padre.

    E sapete come lo chiamava? Nella sua lingua lo chiamava semplicemente Abbà, che significa Papà (cfr Mc 14,36).

    Facciamolo anche noi! Lo sentiremo sempre vicino.

    Ce lo ha promesso Gesù stesso, quando ci ha detto: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).

    Care bambine e cari bambini, sapete che a maggio ci troveremo in tantissimi a Roma, proprio con voi, che verrete da tutto il mondo! E allora, per prepararci bene, vi raccomando di pregare usando le stesse parole che Gesù ci ha insegnato: il Padre nostro.

    Recitatelo ogni mattina e ogni sera, e poi anche in famiglia, con i vostri genitori, fratelli, sorelle e nonni.

    Ma non come una formula, no! Pensando alle parole che Gesù ci ha insegnato.

    Gesù ci chiama e ci vuole protagonisti con Lui di questa Giornata Mondiale, costruttori di un mondo nuovo, più umano, giusto e pacifico.

    Lui, che si è offerto sulla Croce per raccoglierci tutti nell’amore, Lui che ha vinto la morte e ci ha riconciliati col Padre, vuole continuare la sua opera nella Chiesa, attraverso di noi.

    Pensateci, in particolare quelli tra voi che vi preparate a ricevere la Prima Comunione.

    Carissimi, Dio, che ci ama da sempre (cfr Ger 1,5), ha per noi lo sguardo del più amorevole dei papà e della più tenera delle mamme.

    Lui non si dimentica mai di noi (cfr Is 49,15) e ogni giorno ci accompagna e ci rinnova con il suo Spirito.

    Insieme a Maria Santissima e a San Giuseppe preghiamo con queste parole:

    Vieni, Santo Spirito,
    mostraci la tua bellezza
    riflessa nei volti
    delle bambine e dei bambini della terra.
    Vieni Gesù,
    che fai nuove tutte le cose,
    che sei la via che ci conduce al Padre,
    vieni e resta con noi.
    Amen.

    Roma, San Giovanni in Laterano, 2 marzo 2024

    FRANCESCO

    Lettera Apostolica in forma di «Motu proprio» Munus Tribunalis con la quale viene modificata la Lex propria Supremi Tribunalis Signaturae Apostolicae del 21 Giu 2008 (28 Feb 2024)
    Visita il link

    Nell’esercizio della funzione di Supremo Tribunale della Chiesa, la Segnatura Apostolica si pone al servizio del Supremo Ufficio pastorale del Romano Pontefice e della Sua Missione universale nel mondo.

    In questo modo, dirimendo le contese sorte per un atto di potestà amministrativa ecclesiastica, il Supremo Tribunale provvede al giudizio di legittimità sulle decisioni emanate dalle Istituzioni curiali nel loro servizio al Successore di Pietro e alla Chiesa Universale.

    Considerato che il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica osserva non solo la legge universale (cfr.

    can.

    1445 CIC) e la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium (cfr.

    artt.

    194-199 PE), ma è retto anche da una sua propria legge, ultimata la riforma della Curia Romana, ai sensi dell’art.

    250 § 1 PE, si rende necessaria un’armonizzazione dei menzionati testi normativi, adeguando il testo della Lex propria, del 21 giugno 2008 (LPSA).

    Pertanto, dispongo ora quanto segue:

    Art.

    1.

    All’art.

    1 § 2 LPSA, considerato quanto stabilito all’art.

    195 § 1 PE, il termine “chierici” si sostituisce con il termine “presbiteri”, risultando l’articolo in parola così formulato:

    «Coetui Membrorum adscribi quoque possunt aliqui presbyteri, integrae famae, in iure canonico doctores atque eximia doctrina canonica praediti».

    Art.

    2.

    All’art.

    3 LPSA, il termine “Dicastero” si sostituisce con il termine “Tribunale”, risultando l’articolo in parola così formulato:

    «In Tribunali operam praestant Promotor iustitiae, Defensor vinculi, Promotores iustitiae Substituti et Praepositus Cancellariae, necnon congruus Officialium et Adiutorum numerus.

    Eidem adsunt, tamquam consultores, Referendarii».

    Art.

    3.

    All’art.

    32 LPSA, il termine “Dicastero” si sostituisce con il termine “Segnatura Apostolica”, risultando l’articolo in parola così formulato:

    «Signatura Apostolica, praeter munus, quod exercet, Supremi Tribunalis, consulit ut iustitia in Ecclesia recte administretur».

    Art.

    4.

    All’art.

    34 § 1 LPSA, considerato quanto stabilito agli artt.

    12 §§ 1-2 e 197 § 1 PE, l’espressione “emessi dai Dicasteri della Curia Romana” si sostituisce con l’espressione “emessi dalle Istituzioni curiali”, risultando l’articolo in parola così formulato:

    «Signatura Apostolica cognoscit de recursibus, intra terminum peremptorium sexaginta dierum utilium interpositis, adversus actus administrativos singulares sive ab Institutis Curiae Romanae latos sive ab ipsis probatos, quoties contendatur num actus impugnatus legem aliquam in decernendo vel in procedendo violaverit».

    Art.

    5.

    All’art.

    34 § 3 LPSA, considerato quanto stabilito agli artt.

    12 §§ 1-2; 22 e 197 § 3 PE, le espressioni “dai Dicasteri della Curia Romana” e “tra i medesimi Dicasteri” si sostituiscono con le espressioni “dalle Istituzioni curiali” e “tra le medesime Istituzioni”, risultando l’articolo in parola così formulato:

    «Cognoscit etiam de aliis controversiis administrativis, quae a Romano Pontifice vel ab Institutis Curiae Romanae ipsi deferantur necnon de conflictibus competentiae inter eadem Instituta».

    Art.

    6.

    All’art.

    35, 5° LPSA, considerato quanto stabilito all’art.

    198, 5° PE, l’espressione “promuovere e approvare l’istituzione dei tribunali interdiocesani” si sostituisce con l’espressione “approvare l’erezione di tribunali di ogni genere costituiti dai Vescovi di più Diocesi”, risultando l’articolo in parola così formulato:

    «Signaturae Apostolicae quoque est rectae administrationi iustitiae invigilare, et speciatim: [...] 5° approbare erectionem tribunalium cuiusvis generis a pluribus dioecesanis Episcopis constitutorum».

    Art.

    7.

    All’art.

    79 § 1, 1° e 2°; 80; 81 § 1 e 92 § 1 LPSA, considerato quanto stabilito all’art.

    12 §§ 1-2 PE, il termine “Dicastero” si sostituisce con il termine “Istituzione curiale” in tutte le ricorrenze.

    Pertanto, i testi dei rispettivi articoli vengono modificati e risultano così formulati:

    Art.

    79 § 1 LPSA:

    «Secretarius, suo decreto,

    1° iubet notificari competenti Instituto Curiae Romanae omnibusque legitime coram Instituto Curiae Romanae intervenientibus recursum receptum eosdemque invitat ut Patronum constituant per legitimum mandatum;

    2° exquirit ab Instituto Curiae Romanae ut exemplar actus impugnati et omnia acta controversiam respicientia transmittat intra terminum triginta dierum».

    Art.

    80 LPSA:

    «Si Institutum Curiae Romanae sibi Patronum non constituat, Praefectus eum ex officio nominat».

    Art.

    81 § 1 LPSA:

    «Actis Instituti Curiae Romanae receptis, Secretarius recurrentis Patrono, de re certiore facto, decreto terminum praestituit ad exhibendum memoriale, in quo clare indicentur leges, quae violatae asseruntur, recursus illustretur, compleatur vel emendetur, atque forte ad ulteriora documenta exhibenda vel expetenda».

    Art.

    92 § 1 LPSA:

    «Nisi aliud statuatur, sententiam exsecutioni mandare debet, per se vel per alium, Institutum Curiae Romanae, quod actum impugnatum tulerit aut probaverit».

    Art.

    8.

    All’art.

    105 LPSA, considerato quanto stabilito agli artt.

    12 §§ 1-2; 22 e 197 § 3 PE, il termine “Dicasteri” si sostituisce con il termine “Istituzioni curiali”, risultando il titolo del Caput V del Titulus IV modificato in «De conflictibus competentiae inter Instituta Curiae Romanae» e l’articolo in parola così formulato:

    «Orto conflictu competentiae inter Instituta Curiae Romanae, res, iis auditis et praehabito voto Promotoris iustitiae, expeditissime in Congressu dirimitur».

    Quanto deliberato con questa Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio, ordino che abbia fermo e stabile vigore, nonostante qualsiasi cosa contraria, anche se degna di speciale menzione, e che sia promulgato tramite pubblicazione su L’Osservatore Romano, entrando immediatamente in vigore, e quindi pubblicato nel commentario ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis.

    Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 28 febbraio dell’anno 2024, undicesimo del Pontificato.

    FRANCESCO

    Inaugurazione dell'Anno Giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano (2 Mar 2024)
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    Illustri Signore e Signori,
    cari Magistrati!

    Sono lieto di incontrarvi per l’inaugurazione del 95° anno giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano; rivolgo a tutti voi il mio saluto più cordiale.

    Ringrazio per la loro presenza le Autorità civili e militari italiane.

    Saluto il Presidente del Tribunale, il Presidente aggiunto e il Promotore di Giustizia, insieme ai Magistrati e ai collaboratori dei rispettivi uffici; come pure i Presidenti delle Corti d’Appello e di Cassazione.

    Vi ringrazio per il vostro servizio, delicato e impegnativo; e insieme a voi ringrazio per la qualificata collaborazione il Corpo della Gendarmeria.

    In questa occasione desidero riflettere brevemente con voi su una virtù alla quale ripenso più volte seguendo le vicende che interessano l’amministrazione della giustizia, anche nello Stato della Città del Vaticano: mi riferisco al coraggio.

    Per i cristiani questa virtù, che nelle difficoltà, unita alla fortezza, assicura la costanza nella ricerca del bene e rende capaci di affrontare la prova, non rappresenta solo una particolare qualità d’animo caratteristica di alcune persone eroiche.

    È piuttosto un tratto che viene donato e potenziato nell’incontro con Cristo, come frutto dell’azione dello Spirito Santo che chiunque può ricevere, se lo invoca.

    Il coraggio contiene una forza umile, che si appoggia sulla fede e sulla vicinanza di Dio e si esprime in modo particolare nella capacità di agire con pazienza e perseveranza, respingendo i condizionamenti interni ed esterni che ostacolano il compimento del bene.

    Questo coraggio disorienta i corrotti e li mette, per così dire, in un angolo, con il loro cuore chiuso e indurito.

    Anche nelle società ben organizzate, ben regolate e supportate dalle istituzioni, sempre rimane necessario il coraggio personale per affrontare le diverse situazioni.

    Senza questa sana audacia, si rischia di cedere alla rassegnazione e si finisce per trascurare tanti piccoli e grandi soprusi.

    Chi è coraggioso non mira al proprio protagonismo, ma alla solidarietà con i fratelli e le sorelle che portano il peso delle loro paure e debolezze.

    Questo coraggio noi lo vediamo con ammirazione in tanti uomini e donne che vivono prove durissime: pensiamo alle vittime delle guerre, o a quanti sono sottoposti a continue violazioni dei diritti umani, tra i quali i numerosi cristiani perseguitati.

    Davanti a queste ingiustizie, lo Spirito ci dà la forza di non rassegnarci, suscita in noi lo sdegno e il coraggio: lo sdegno di fronte a queste realtà inaccettabili e il coraggio per cercare di cambiarle.

    Signore e Signori, con questo coraggio siamo chiamati ad affrontare anche le difficoltà della vita quotidiana, in famiglia e nella società, a impegnarci per il futuro dei nostri figli, a custodire la casa comune, ad assumerci le nostre responsabilità professionali.

    E ciò vale in modo particolare per l’ambito in cui voi operate, quello dell’amministrazione della giustizia.

    Infatti, insieme alle virtù della prudenza e della giustizia, che devono essere informate dalla carità, e insieme alla necessaria temperanza, il compito di giudicare richiede le virtù della fortezza e del coraggio, senza le quali la sapienza rischia di rimanere sterile.

    Occorre coraggio per andare fino in fondo nell’accertamento rigoroso della verità, ricordando che fare giustizia è sempre un atto di carità, un’occasione di correzione fraterna che intende aiutare l’altro a riconoscere il suo errore.

    Ciò vale pure quando emergono e devono essere sanzionati comportamenti che sono particolarmente gravi e scandalosi, tanto più quando avvengono nell’ambito della comunità cristiana.

    Bisogna avere coraggio mentre si è impegnati per assicurare il giusto svolgimento dei processi e si è sottoposti a critiche.

    La robustezza delle istituzioni e la fermezza nell’amministrazione della giustizia sono dimostrate dalla serenità di giudizio, dall’indipendenza e dall’imparzialità di quanti sono chiamati, nelle varie tappe del processo, a giudicare.

    La miglior risposta sono il silenzio operoso e la serietà dell’impegno nel lavoro, che consentono ai nostri Tribunali di amministrare la giustizia con autorevolezza e imparzialità, garantendo il giusto processo, nel rispetto delle peculiarità dell’ordinamento vaticano.

    Occorre coraggio, infine, per implorare nella preghiera che la luce dello Spirito Santo illumini sempre il discernimento necessario per arrivare all’esito di una sentenza giusta.

    Anche in questo contesto vorrei ricordare che il discernimento si fa “in ginocchio”, implorando il dono dello Spirito Santo, in modo da poter giungere a decisioni che vanno nella direzione del bene delle persone e dell’intera comunità ecclesiale.

    In realtà, come recita la Legge CCCLI sull’ordinamento dello Stato, «amministrare la giustizia non è soltanto una necessità di ordine temporale.

    La virtù cardinale della giustizia, infatti, illumina e sintetizza la finalità stessa del potere giudiziario proprio di ogni Stato, per coltivare la quale è essenziale anzitutto l’impegno personale, generoso e responsabile, di quanti sono investiti della funzione giurisdizionale».

    Tale impegno chiede di essere sostenuto dalla preghiera.

    Non si deve temere di perdere tempo dedicandone ad essa in abbondanza.

    E anche per questo ci vuole coraggio e fortezza d’animo.

    Cari Magistrati del Tribunale e dell’Ufficio del Promotore, vi auguro che nel vostro servizio alla giustizia possiate mantenere sempre, insieme alla prudenza, il coraggio cristiano.

    Prego il Signore affinché rafforzi in voi questa virtù.

    Di cuore benedico voi e il vostro lavoro affidandolo alla Vergine Santa, Speculum iustitiae.

    E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie.

     

    Ai genitori dell'Associazione "Talità kum" di Vicenza (2 Mar 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    Sono contento di questa vostra visita e vi ringrazio di essere qui.

    Saluto Padre Ermes Ronchi, che vi accompagna spiritualmente.

    La prima cosa che desidero è guardarvi in volto, accogliere con le braccia aperte le vostre storie segnate dal dolore e offrire una carezza al vostro cuore, spezzato e trafitto come quello di Gesù sulla croce: un cuore che sanguina, un cuore bagnato dalle lacrime e dilaniato da un pesante senso di vuoto.

    La perdita di un figlio è un’esperienza che non accetta descrizioni teoriche e rigetta la banalità di parole religiose o sentimentali, di sterili incoraggiamenti o frasi di circostanza, che mentre vorrebbero consolare finiscono per ferire ancora di più chi, come voi, ogni giorno affronta una dura battaglia interiore.

    Non dobbiamo scivolare nell’atteggiamento degli amici di Giobbe, i quali offrono uno spettacolo penoso e insensato, tentando di giustificare la sofferenza, addirittura ricorrendo a teorie religiose.

    Piuttosto, siamo chiamati a imitare la commozione e la compassione di Gesù dinanzi al dolore, che lo porta a vivere nella sua stessa carne le sofferenze del mondo.

    Il dolore, specialmente quando è così lancinante e privo di spiegazioni, ha bisogno soltanto di restare aggrappato al filo di una preghiera che grida a Dio giorno e notte, che a volte si esprime nell’assenza delle parole, che non tenta di risolvere il dramma ma, al contrario, abita domande che sempre tornano: “Perché, Signore? Perché è capitato proprio a me? Perché non sei intervenuto? Dove sei, mentre l’umanità soffre e il mio cuore piange una perdita incolmabile?”.

    Fratelli e sorelle, questi interrogativi, che bruciano dentro, inquietano il cuore; allo stesso tempo, però, se ci mettiamo in cammino, come con tanto coraggio e anche con fatica fate voi, sono proprio queste domande sofferte ad aprire spiragli di luce, che danno la forza di andare avanti.

    Infatti, non c’è cosa peggiore che tacitare il dolore, mettere il silenziatore alla sofferenza, rimuovere i traumi senza farci i conti, come spesso induce a fare, nella corsa e nello stordimento, il nostro mondo.

    La domanda che si leva a Dio come un grido, invece, è salutare.

    È preghiera.

    Essa, se costringe a scavare dentro un ricordo doloroso e a piangere la perdita, diventa al contempo il primo passo dell’invocazione e apre a ricevere la consolazione e la pace interiore che il Signore non manca di donare.

    Ce lo racconta il Vangelo, in quel brano da cui vi siete lasciati ispirare per dare un nome al vostro percorso (cfr Mc 5,22-43).

    Ci narra di un padre, capo della sinagoga, con una figlia gravemente ammalata; quell’uomo non rimane chiuso nel proprio dolore, col rischio di cedere alla disperazione, ma corre da Gesù e lo supplica di andare a casa sua.

    E il Signore lascia quello che stava facendo e cammina con lui.

    Il dolore lo interpella, perché la nostra sofferenza scava anche nel cuore di Dio.

    C’è un particolare commovente in questo episodio: il cammino di Gesù con quel papà affranto dal dolore potrebbe interrompersi quando da casa arriva la notizia che non si voleva sentire: «Tua figlia è morta.

    Perché disturbi ancora il maestro?» (v.

    35).

    Gesù avrebbe potuto fermarsi, allargare le braccia e dire: “Non c’è più niente da fare”.

    Invece dice all’uomo: «Non temere, soltanto abbi fede!» (v.

    36) e continua a camminare con lui, fino a entrare nella sua casa, invasa dalla morte.

    E, presa per mano la bambina, le ridona vita, la fa rialzare.

    Questo ci dice una cosa importante: nella sofferenza, la prima risposta di Dio non è un discorso o una teoria, ma è il suo camminare con noi, il suo starci accanto.

    Gesù si è lasciato toccare dal nostro dolore, ha fatto la nostra stessa strada e non ci lascia soli, ma ci libera dal peso che ci opprime portandolo per noi e con noi.

    E come in quell’episodio, il Signore vuole venire nella nostra casa, la casa del nostro cuore e le case delle nostre famiglie sconvolte dalla morte: Lui ci vuole stare vicino, vuole toccare la nostra afflizione, vuole donarci la mano per rialzarci come ha fatto con la figlia di Giàiro.

    Fratelli, sorelle, vi ringrazio perché fate spazio, nel vostro cuore e nelle vostre storie, a questo Vangelo.

    Gesù che cammina con voi, Gesù che entra in casa vostra e si lascia toccare dal dolore e dalla morte, Gesù che vi prende per mano per rialzarvi.

    Egli vuole asciugare le vostre lacrime e vi vuole rassicurare: la morte non ha l’ultima parola.

    Il Signore non lascia senza consolazione.

    Se continuate a portargli lacrime e domande, vi dà una certezza interiore che è fonte di pace: vi fa crescere nella certezza che, con la tenerezza del suo amore, Lui ha preso per mano i vostri figli e anche a loro ha detto, come a quella fanciulla: “Talità kum, alzati!”.

    E vuole prendere per mano pure voi, perché nella luce del Mistero pasquale possiate sentire la sua voce che anche a voi ripete: “Alzatevi, non perdete la speranza, non spegnete la gioia di vivere”.

    Ed è bello pensare che le vostre figlie e i vostri figli, come la figlia di Giàiro, siano stati presi per mano dal Signore; e che un giorno li rivedrete, li riabbraccerete, potrete godere della loro presenza in una luce nuova, che nessuno potrà togliervi.

    Allora vedrete la croce con gli occhi della risurrezione, come fu per Maria e per gli Apostoli.

    Quella speranza, fiorita al mattino di Pasqua, è ciò che il Signore vuole seminare ora nel vostro cuore.

    Io vi auguro di accoglierla, di farla crescere, di custodirla in mezzo alle lacrime.

    E vorrei che sentiste non soltanto l’abbraccio di Dio, ma anche il mio affetto e la vicinanza della Chiesa, che vi vuole bene e desidera accompagnarvi.

    Vi porto nel cuore e vi assicuro la mia preghiera.

    Anche voi, per favore, ricordatevi di pregare per me.

    Grazie.

    Ai Partecipanti al Convegno "Vulnerabilità e comunità tra accoglienza e inclusione" (1° Mar 2024)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e grazie di essere venuti!

    In questi giorni siete stati riuniti alla Fraterna Domus di Sacrofano per la seconda “Cattedra dell’accoglienza”.

    Quello è un luogo adatto! Non solo perché è ampio e attrezzato: è adatto perché è accogliente! È un luogo dove vengono accolte persone anziane, famiglie e ragazzi in difficoltà, migranti.

    Per questo è bello che le sorelle dell’Associazione Fraterna Domus siano un po’ il motore e le animatrici di questa iniziativa.

    Grazie, care sorelle!

    Ho visto il vostro programma di questi giorni: molto ricco e molto interessante.

    Al centro avete messo la vulnerabilità.

    Cioè avete fatto “reagire” – come si direbbe in chimica – l’accoglienza e la vulnerabilità, considerata nelle sue diverse forme.

    Apprezzo questa scelta, tipicamente evangelica, e vorrei lasciarvi alcuni spunti di riflessione e di cammino.

    Prima di tutto: per accogliere i fratelli e le sorelle vulnerabili bisogna che io mi senta vulnerabile e accolto come tale da Cristo.

    Sempre Lui ci precede: si è fatto vulnerabile, fino alla Passione; ha accolto la nostra fragilità perché, grazie a Lui, noi possiamo fare altrettanto.

    San Paolo scrive: “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi” (cfr Rm 15,7).

    Se rimaniamo in Lui, come tralci nella vite, porteremo frutti buoni, anche in questo vasto campo dell’accoglienza.

    Un secondo spunto.

    Gesù ha passato la maggior parte del suo ministero pubblico, specialmente in Galilea, a contatto con i poveri e i malati di ogni genere.

    Questo ci dice che per noi la vulnerabilità non può essere un tema “politicamente corretto”, o una mera organizzazione di pratiche, per quanto buone.

    Lo dico perché purtroppo il rischio c’è, è sempre in agguato, malgrado tutta la buona volontà.

    Specialmente nelle realtà più grandi e strutturate, ma anche in quelle piccole, la vulnerabilità può diventare una categoria, le persone individui senza volto, il servizio una “prestazione” e così via.

    Allora bisogna rimanere ben ancorati al Vangelo, a Gesù, il quale non ha insegnato ai suoi discepoli a pianificare un’assistenza dei malati e dei poveri.

    Gesù ha voluto formare i discepoli a uno stile di vita stando a contatto con i vulnerabili, in mezzo a loro.

    I discepoli hanno visto come Lui incontrava la gente, hanno visto come Lui accoglieva: la sua vicinanza, la sua compassione, la sua tenerezza.

    E dopo la Risurrezione lo Spirito Santo ha impresso in loro questo stile di vita.

    Così, poi, sempre lo Spirito ha formato uomini e donne che sono diventati santi amando le persone vulnerabili come Gesù.

    Alcuni sono canonizzati e sono modelli per tutti noi; ma quanti uomini e donne si sono santificati nell’accoglienza dei piccoli, dei poveri, dei fragili, degli emarginati! Ed è importante, nelle nostre comunità, condividere in semplicità e gratitudine le storie di questi testimoni nascosti del Vangelo.

    Un ultimo spunto vorrei lasciarvi.

    Nel Vangelo i poveri, i vulnerabili, non sono oggetti, sono soggetti, sono protagonisti insieme con Gesù dell’annuncio del Regno di Dio.

    Pensiamo a Bartimeo, il cieco di Gerico (cfr Mc 10,46-52).

    Quel racconto è emblematico, vi invito a rileggerlo spesso perché è ricchissimo.

    Studiando e meditando questo testo si vede che Gesù trova in quell’uomo la fede che cercava: solo Gesù lo riconosce in mezzo alla folla e ai rumori, ascolta il suo grido pieno di fede.

    E quell’uomo, che per la sua fede nel Signore riceve di nuovo la vista, si mette in cammino, segue Gesù e diventa suo testimone, tanto che la sua storia è entrata nei Vangeli.

    Il vulnerabile Bartimeo, salvato dal vulnerabile Gesù, partecipa alla gioia di essere testimone della sua Risurrezione.

    Vi ho citato questo racconto, ma ce ne sarebbero tanti altri, con diversi tipi di vulnerabilità, non solo fisica.

    Pensiamo alla Maddalena: lei, che era tormentata da sette demoni, è diventata la prima testimone di Gesù risorto.

    In sintesi: le persone vulnerabili, incontrate e accolte con la grazia di Cristo e con il suo stile, possono essere una presenza di Vangelo nella comunità credente e nella società.

    Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per il vostro impegno.

    Andate avanti! La Madonna vi accompagni sempre.

    Vi benedico tutti di cuore.

    E vi chiedo per favore di pregare per me.

    Grazie.

    Ai Partecipanti al Convegno Internazionale "Uomo-Donna immagine di Dio. Per una antropologia delle vocazioni" (1° Mar 2024)
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    Parole del Santo Padre prima del discorso

    Buongiorno! Chiedo di leggere, così non mi affatico tanto; ho ancora il raffreddore e mi affatica leggere per un po’.

    Ma vorrei sottolineare una cosa: è molto importante che ci sia questo incontro, questo incontro fra uomini e donne, perché oggi il pericolo più brutto è l’ideologia del gender, che annulla le differenze.

    Ho chiesto di fare studi a proposito di questa brutta ideologia del nostro tempo, che cancella le differenze e rende tutto uguale; cancellare la differenza è cancellare l’umanità.

    Uomo e donna, invece, stanno in una feconda “tensione”.

    Io ricordo di aver letto un romanzo dell’inizio del Novecento, scritto dal figlio dell’Arcivescovo di Canterbury: The Lord of the World.

    Il romanzo parla del futuribile ed è profetico, perché fa vedere questa tendenza di cancellare tutte le differenze.

    È interessante leggerlo, se avete tempo leggetelo, perché lì ci sono questi problemi di oggi; è stato un profeta quell’uomo.

     

    Fratelli e sorelle!

    Sono felice di partecipare a questo Convegno promosso dal Centro di Ricerca e Antropologia delle Vocazioni, durante il quale studiosi di varie parti del mondo, ciascuno a partire dalla propria competenza, si confronteranno sul tema «Uomo-donna immagine di Dio.

    Per un’antropologia delle vocazioni».

    Saluto tutti i partecipanti e ringrazio il Cardinale Ouellet per le sue parole: ancora non siamo santi, ma speriamo di restare sempre in cammino per diventarlo, questa è la prima vocazione che abbiamo ricevuto! E grazie soprattutto perché, qualche anno fa, insieme ad altre persone autorevoli e cercando l’alleanza tra i saperi ha dato vita a questo Centro, per avviare una ricerca accademica internazionale mirata a comprendere sempre meglio il significato e l’importanza delle vocazioni, nella Chiesa e nella società.

    Lo scopo del presente Convegno è anzitutto quello di considerare e valorizzare la dimensione antropologica di ogni vocazione.

    Questo ci rimanda a una verità elementare e fondamentale, che oggi abbiamo bisogno di riscoprire in tutta la sua bellezza: la vita dell’essere umano è vocazione.

    Non dimentichiamolo: la dimensione antropologica, che soggiace ad ogni chiamata nell’ambito della comunità, ha a che fare con una caratteristica essenziale dell’essere umano in quanto tale: quella, cioè, che l’uomo stesso è vocazione.

    Ciascuno di noi, sia nelle grandi scelte che riguardano uno stato di vita, sia nelle numerose occasioni e situazioni in cui esse si incarnano e prendono forma, scopre ed esprime sé stesso come chiamato, come chiamata, come persona che si realizza nell’ascolto e nella risposta, condividendo il proprio essere e i propri doni con gli altri per il bene comune.

    Questa scoperta ci fa uscire dall’isolamento di un io autoreferenziale e ci fa guardare a noi stessi come a una identità in relazione: io esisto e vivo in relazione a chi mi ha generato, alla realtà che mi trascende, agli altri e al mondo che mi circonda, rispetto al quale sono chiamato ad abbracciare con gioia e responsabilità una missione specifica e personale.

    Tale verità antropologica è fondamentale perché risponde pienamente al desiderio di realizzazione umana e di felicità che abita nel nostro cuore.

    Nell’odierno contesto culturale talvolta si tende a dimenticare oppure a oscurare questa realtà, col rischio di ridurre l’essere umano ai suoi soli bisogni materiali o alle sue esigenze primarie, come fosse un oggetto senza coscienza e senza volontà, semplicemente trascinato dalla vita come parte di un ingranaggio meccanico.

    E invece l’uomo e la donna sono creati da Dio e sono immagine del Creatore; essi, cioè, si portano dentro un desiderio di eternità e di felicità che Dio stesso ha seminato nel loro cuore e che sono chiamati a realizzare attraverso una vocazione specifica.

    Per questo in noi abita una sana tensione interiore che mai dobbiamo soffocare: siamo chiamati alla felicità, alla pienezza della vita, a qualcosa di grande a cui Dio ci ha destinato.

    La vita di ognuno di noi, nessuno escluso, non è un incidente di percorso; il nostro stare al mondo non è un mero frutto del caso, ma facciamo parte di un disegno d’amore e siamo invitati ad uscire da noi stessi e a realizzarlo, per noi e per gli altri.

    Per questo motivo, se è vero che ciascuno di noi ha una missione, cioè è chiamato a offrire il proprio contributo per migliorare il mondo e forgiare la società, a me piace sempre ricordare che non si tratta di un compito esterno affidato alla nostra vita, ma di una dimensione che coinvolge la nostra stessa natura, la struttura del nostro essere uomo-donna a immagine e somiglianza di Dio.

    Non soltanto ci è stata affidata una missione, ma ciascuno e ciascuna di noi è una missione: «io sono sempre una missione; tu sei sempre una missione; ogni battezzata e battezzato è una missione.

    Chi ama si mette in movimento, è spinto fuori da sé stesso, è attratto e attrae, si dona all’altro e tesse relazioni che generano vita.

    Nessuno è inutile e insignificante per l’amore di Dio» (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2019).

    Una eminente figura intellettuale e spirituale, il Cardinale Newman, ha parole illuminanti su questo.

    Ne cito alcune: «Io sono creato per fare e per essere qualcuno per cui nessun altro è creato.
    Io occupo un posto mio nei consigli di Dio, nel mondo di Dio:
    un posto da nessun altro occupato.

    Poco importa che io sia ricco o povero, disprezzato o stimato dagli uomini: Dio mi conosce e mi chiama per nome.

    Egli mi ha affidato un lavoro che non ha affidato a nessun altro.

    Io ho la mia missione.

    In qualche modo sono necessario ai suoi intenti».

    E prosegue: «[Dio] non ha creato me inutilmente.

    Io farò del bene, farò il suo lavoro.

    Sarò un angelo di pace, un predicatore della verità nel posto che egli mi ha assegnato
    anche senza che io lo sappia, purché io segua i suoi comandamenti
    e lo serva nella mia vocazione» (J.H.

    Newman, Meditazioni e preghiere, Milano 2002, 38-39).

    Fratelli e sorelle, le vostre ricerche, i vostri studi e in modo speciale queste occasioni di confronto sono tanto necessarie e importanti, perché si diffonda la consapevolezza della vocazione a cui ogni essere umano è chiamato da Dio, in diversi stati di vita e grazie ai suoi molteplici carismi.

    Sono utili altresì per interrogarsi sulle sfide odierne, sulla crisi antropologica in atto e sulla necessaria promozione delle vocazioni umane e cristiane.

    Ed è importante che si sviluppi, anche grazie al vostro contributo, una sempre più efficace circolarità tra le diverse vocazioni, perché le opere che sgorgano dallo stato di vita laicale al servizio della società e della Chiesa, insieme al dono del ministero ordinato e della vita consacrata, possano contribuire a generare la speranza in un mondo sul quale incombono pesanti esperienze di morte.

    Generare questa speranza, porsi al servizio del Regno di Dio per la costruzione di un mondo aperto e fraterno è un compito affidato ad ogni donna e ogni uomo del nostro tempo.

    Grazie per il contributo che voi date in questo senso.

    Grazie per il vostro lavoro di queste giornate.

    Lo affido al Signore nella preghiera, per intercessione di Maria, Icona della vocazione e Madre di ogni vocazione.

    E, per favore, anche voi non dimenticatevi di pregare per me.

    Parole del Santo Padre al termine del discorso

    Vi auguro buon lavoro! E non abbiate paura in questi momenti così ricchi nella vita della Chiesa.

    Lo Spirito Santo ci chiede una cosa importante: fedeltà.

    Ma la fedeltà è in cammino e la fedeltà ci porta spesso a rischiare.

    La “fedeltà da museo” non è fedeltà.

    Andare avanti con il coraggio di discernere e rischiare cercando la volontà di Dio.

    Vi auguro il meglio.

    Coraggio e avanti, senza perdere il senso dell’umorismo!

    Udienza Generale del 28 Feb 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 9. L’invidia e la vanagloria
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    Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

     

    Catechesi.

    I vizi e le virtù.

    9.

    L’invidia e la vanagloria

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi prendiamo in esame due vizi capitali che troviamo nei grandi elenchi che la tradizione spirituale ci ha lasciato: l’invidia e la vanagloria.

    Partiamo dall’invidia.

    Se leggiamo la Sacra Scrittura (cfr Gen 4), essa ci appare come uno dei vizi più antichi: l’odio di Caino nei confronti di Abele si scatena quando si accorge che i sacrifici del fratello sono graditi a Dio.

    Caino era il primogenito di Adamo ed Eva, si era preso la parte più cospicua dell’eredità paterna; eppure, basta che Abele, il fratello minore, riesca in una piccola impresa, che Caino si rabbuia.

    Il volto dell’invidioso è sempre triste: lo sguardo è basso, pare che indaghi in continuazione il suolo, ma in realtà non vede niente, perché la mente è avviluppata da pensieri pieni di cattiveria.

    L’invidia, se non viene controllata, porta all’odio dell’altro.

    Abele sarà ucciso per mano di Caino, che non poteva sopportare la felicità del fratello.

    L’invidia è un male indagato non solo in ambito cristiano: essa ha attirato l’attenzione di filosofi e sapienti di ogni cultura.

    Alla sua base c’è un rapporto di odio e amore: si vuole il male dell’altro, ma segretamente si desidera essere come lui.

    L’altro è l’epifania di ciò che vorremmo essere, e che in realtà non siamo.

    La sua fortuna ci sembra un’ingiustizia: sicuramente – pensiamo – noi avremmo meritato molto di più i suoi successi o la sua buona sorte!

    Alla radice di questo vizio c’è una falsa idea di Dio: non si accetta che Dio abbia la sua “matematica”, diversa dalla nostra.

    Ad esempio, nella parabola di Gesù sui lavoratori chiamati dal padrone ad andare nella vigna alle diverse ore del giorno, quelli della prima ora credono di aver diritto a un salario maggiore di quelli arrivati per ultimi; ma il padrone dà a tutti la stessa paga, e dice: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (Mt 20,15).

    Vorremmo imporre a Dio la nostra logica egoistica, invece la logica di Dio è l’amore.

    I beni che Lui ci dona sono fatti per essere condivisi.

    Per questo San Paolo esorta i cristiani: «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10).

    Ecco il rimedio all’invidia!

    E veniamo al secondo vizio che oggi esaminiamo: la vanagloria.

    Essa va a braccetto con il demone dell’invidia, e insieme questi due vizi sono propri di una persona che ambisce ad essere il centro del mondo, libera di sfruttare tutto e tutti, oggetto di ogni lode e di ogni amore.

    La vanagloria è un’autostima gonfiata e senza fondamenti.

    Il vanaglorioso possiede un “io” ingombrante: non ha empatia e non si accorge che nel mondo esistono altre persone oltre a lui.

    I suoi rapporti sono sempre strumentali, improntati alla sopraffazione dell’altro.

    La sua persona, le sue imprese, i suoi successi devono essere mostrati a tutti: è un perenne mendicante di attenzione.

    E se qualche volta le sue qualità non vengono riconosciute, allora si arrabbia ferocemente.

    Gli altri sono ingiusti, non capiscono, non sono all’altezza.

    Nei suoi scritti Evagrio Pontico descrive l’amara vicenda di qualche monaco colpito dalla vanagloria.

    Succede che, dopo i primi successi nella vita spirituale, si sente già un arrivato, e allora si precipita nel mondo per ricevere le sue lodi.

    Ma non capisce di essere solo agli inizi del cammino spirituale, e che è in agguato una tentazione che presto lo farà cadere.

    Per guarire il vanaglorioso, i maestri spirituali non suggeriscono molti rimedi.

    Perché in fondo il male della vanità ha il suo rimedio in sé stesso: le lodi che il vanaglorioso sperava di mietere nel mondo presto gli si rivolteranno contro.

    E quante persone, illuse da una falsa immagine di sé, sono poi cadute in peccati di cui presto si sarebbero vergognate!

    L’istruzione più bella per vincere la vanagloria la possiamo trovare nella testimonianza di San Paolo.

    L’Apostolo fece sempre i conti con un difetto che non riuscì mai a vincere.

    Per ben tre volte chiese al Signore di liberarlo da quel tormento, ma alla fine Gesù gli rispose: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».

    Da quel giorno Paolo fu liberato.

    E la sua conclusione dovrebbe diventare anche la nostra: «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo» (2 Cor 12,9).

    _________________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier une délégation du Conseil National de Monaco, ainsi que les paroisses et les jeunes venus de France.

    En ce temps de Carême efforçons nous de ne pas nous mettre toujours au centre, mais cherchons plutôt à nous effacer pour laisser la place aux autres, les promouvoir et nous réjouir de leurs qualités et de leurs succès.

    Que Dieu vous bénisse.

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare la delegazione del Consiglio Nazionale di Monaco, così come le parrocchie e i giovani provenienti dalla Francia.

    In questo tempo di Quaresima, sforziamoci di non mettere noi stessi al centro, piuttosto cerchiamo di farci da parte per fare spazio agli altri, promuoverli e gioire delle loro qualità e dei loro successi.

    Che Dio vi benedica tutti.]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Ireland, the Netherland, Norway, Malaysia, Vietnam, and the United States of America.

    I offer a special greeting to the students and professors from Saint Mary’s University, Twickenham, England.

    Upon all of you and upon your families, I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ.

    God bless you!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Irlanda, Paesi Bassi, Norvegia, Malaysia, Vietnam e Stati Uniti d’America.

    Rivolgo un saluto particolare agli studenti e professori della Saint Mary’s University, di Twickenham, Inghilterra.

    Su tutti voi e sulle vostre famiglie, invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo.

    Dio vi benedica!]

    Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, die Fastenzeit ruft uns traditionell zum Almosengeben auf, also unsere Güter mit den bedürftigen Brüdern und Schwestern zu teilen.

    Der Herr stehe euch in jedem guten Werk der Liebe bei!  

    [Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, la Quaresima tradizionalmente ci invita a fare l’elemosina, cioè a condividere i nostri beni con i fratelli bisognosi.

    Il Signore vi sostenga in ogni vostra opera buona di carità!]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Nos vendría bien en esta Cuaresma meditar con frecuencia las “Letanías de la humildad” del cardenal Merry del Val, para combatir los vicios que nos alejan de la vida en Cristo.

    Que Dios los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Saúdo o Instituto «Vidas Raras» e todos os peregrinos de língua portuguesa.

    Confio à Virgem Maria os vossos corações e os vossos passos.

    Encorajo-vos a apostar na beleza do serviço, que engrandece o coração e torna fecundos os vossos talentos.

    De bom grado vos abençoo a vós e aos vossos entes queridos!

    [Saluto l’Istituto “Vidas Raras” e tutti i pellegrini di lingua portoghese.

    Affido alla Vergine Maria i vostri propositi e i vostri passi.

    Vi incoraggio a scommettere sulla bellezza del servizio, che allarga il cuore e rende fecondi i vostri talenti.

    Volentieri benedico voi e i vostri cari!]

    أُحيِّي المُؤمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العَرَبِيَّة.

    في مسيرةِ الزَّمنِ الأربعينيّ، وهي مسيرةُ صلاةٍ وصومٍ ومحبَّة، لِنَشعُرْ بأنَّنَا مَدعُوّونَ إلى أنْ نَختَبِرَ حبَّ اللهِ الَّذي يُجَدِّدُ حَيَاتَنَا.

    بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    Nel percorso quaresimale, che è cammino di preghiera, digiuno e carità, sentiamoci chiamati a sperimentare l’amore di Dio che rinnova la nostra vita.

    Il Signore vi benedica e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Pozdrawiam serdecznie Polaków.

    Zachęcam Was do cierpliwego kontynuowania duchowej pracy i zmagania z tym, co oddala Was od Boga i od siebie nawzajem – w życiu rodzinnym, w życiu społecznym we wspólnotach, w miejscach pracy i spotkań z bliźnimi.

    Zawierzam Was wstawiennictwu Dziewicy Maryi, pokornej Służebnicy Pańskiej, dla której miłość Boga była naczelną regułą życia.

    Z serca Wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente i polacchi.

    Vi incoraggio a continuare con pazienza nel vostro impegno spirituale lottando contro tutto ciò che vi allontana da Dio e dagli altri – nella vita in famiglia, nella comunità e nei luoghi di lavoro e di incontro.

    Vi affido all’intercessione della Vergine Maria, l’umile Ancella del Signore, per la quale la principale regola di vita è amare Dio.

    Vi benedico di cuore.]

    _________________________________________________

    APPELLO

    Il 1° marzo ricorrerà il 25° anniversario dell’entrata in vigore della Convenzione sull’interdizione delle mine antipersona, che continuano a colpire civili innocenti, in particolare bambini, anche molti anni dopo la fine delle ostilità.

    Esprimo la mia vicinanza alle numerose vittime di questi subdoli ordigni, che ci ricordano la drammatica crudeltà delle guerre e il prezzo che le popolazioni civili sono costrette a subire.

    A questo proposito, ringrazio tutti coloro che offrono il loro contributo per assistere le vittime e bonificare le aree contaminate.

    Il loro lavoro è una risposta concreta alla chiamata universale ad essere operatori di pace, prendendoci cura dei nostri fratelli e sorelle.

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto i fedeli provenienti dalle Diocesi dell’Emilia Romagna e di San Marino-Montefeltro, accompagnati dai loro Vescovi.

    Saluto inoltre i gruppi parrocchiali di Gricignano di Aversa e di Isola di Capo Rizzuto, auspicando che la sosta presso le tombe degli Apostoli susciti un rinnovato fervore spirituale.

    Il mio pensiero va infine ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente agli studenti dell’Istituto “Falcone e Borsellino” di Roma e ai ragazzi della Scuola “Giovanni Pascoli” di Fucecchio.

    Il cammino della Quaresima sia occasione per rientrare in sé stessi e rinnovarsi nello spirito.

    Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo i popoli che soffrono a causa della guerra: Ucraina, Palestina, Israele e tanti altri.

    E preghiamo per le vittime dei recenti attacchi contro luoghi di culto in Burkina Faso; come pure per la popolazione di Haiti, dove continuano i crimini e i sequestri delle bande armate.

    A tutti, la mia benedizione!

    Ai Membri del Sinodo della Chiesa Armeno Cattolica (28 Feb 2024)
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    Beatitudine,
    cari Fratelli Vescovi,

    benvenuti! È una gioia accogliervi a Roma, presso la tomba degli Apostoli Pietro e Paolo, proprio a seguito della festosa ricorrenza di San Gregorio di Narek, Dottore della Chiesa.

    Come Vescovi, Successori degli Apostoli, abbiamo la responsabilità di accompagnare il santo Popolo di Dio verso Gesù, Signore e Amico degli uomini, nostro Buon Pastore.

    Per questo nel giorno dell’ordinazione episcopale ci siamo impegnati a custodire la fede, a rafforzare la speranza e a diffondere la carità di Cristo.

    Cari Fratelli, una delle grandi responsabilità del Sinodo è proprio quella di dare alla vostra Chiesa i Vescovi di domani.

    Vi prego di sceglierli con cura, perché siano dediti al gregge, fedeli alla cura pastorale, mai arrivisti.

    Non vanno scelti in base alle proprie simpatie o tendenze, e bisogna stare molto attenti agli uomini che hanno “il fiuto degli affari” o a quelli che “hanno sempre la valigia in mano”, lasciando il popolo orfano.

    Un Vescovo che vede la sua Eparchia come luogo di passaggio verso un’altra più “prestigiosa” dimentica di essere sposato con la Chiesa e rischia – permettetemi l’espressione – di commettere un “adulterio pastorale”.

    Lo stesso accade quando si perde tempo a contrattare nuove destinazioni o promozioni: i Vescovi non si acquistano al mercato, è Cristo a sceglierli come Successori dei suoi Apostoli e Pastori del suo gregge.

    In un mondo pieno di solitudini e distanze, quanti ci sono affidati devono sentire da noi il calore del Buon Pastore, la nostra attenzione paterna, la bellezza della fraternità, la misericordia di Dio.

    I figli del vostro caro popolo hanno bisogno della vicinanza dei loro Vescovi.

    So che in grandissimo numero sono dispersi nel mondo e talvolta in territori molto vasti, dov’è difficile che siano visitati.

    Ma la Chiesa è Madre amorevole e non può che cercare tutti i mezzi possibili per raggiungerli, perché ricevano l’amore di Dio nella loro propria tradizione ecclesiale.

    E non è tanto questione di strutture, le quali sono solo mezzi che aiutano la diffusione del Vangelo; è soprattutto questione di carità pastorale, di cercare e promuovere il bene con sguardo e apertura evangelici: penso anche all’essenzialità di una ancora più stretta collaborazione con la Chiesa armena apostolica.

    Carissimi, in questo tempo santo della Quaresima siamo chiamati a guardare la Croce e a costruire su Cristo, che guarisce le ferite con il perdono e con l’amore.

    Siamo tenuti a intercedere per tutti, con grandezza d’animo e di spirito.

    Come San Gregorio di Narek, che così pregava: Signore, «ricordati […] di quelli che nella stirpe umana sono nostri nemici, ma per il loro bene: compi in loro perdono e misericordia».

    E ancora, con un’attualità profetica impressionante, scriveva: «Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro» (Libro delle Lamentazioni, LXXXIII).

    Voi, Fratelli, insieme con i sacerdoti, i diaconi, le consacrate e i consacrati, e tutti i fedeli della vostra Chiesa, avete una grande responsabilità.

    San Gregorio l’Illuminatore portò la luce di Cristo al popolo armeno ed esso è stato il primo, in quanto tale, ad accoglierla nella storia.

    Dunque voi siete testimoni e, per così dire, “primogeniti” di questa luce, siete un’alba chiamata a irradiare la profezia cristiana in un mondo che spesso preferisce le tenebre dell’odio, della divisione, della violenza, della vendetta.

    Certo – potreste dirmi – la nostra Chiesa non è grande numericamente.

    Ma ricordiamo che Dio ama compiere meraviglie con chi è piccolo.

    E in questo senso, per favore, non si trascuri la cura nei riguardi dei piccoli e dei poveri, mostrando loro l’esempio di una vita evangelica, lontana dai fasti delle ricchezze e dall’arroganza del potere; accogliendo i rifugiati, sostenendo quanti sono nella diaspora come fratelli e sorelle, figli e figlie.

    Vorrei condividere con voi un altro aspetto che avverto come prioritario: pregare molto, anche per custodire quell’ordine interiore che permette di operare in armonia, discernendo le priorità del Vangelo, quelle care al Signore.

    Come ricorda l’antico detto latino: “Conserva l’ordine e l’ordine ti conserverà”.

    I vostri Sinodi siano dunque ben preparati, i problemi studiati con cura e valutati con saggezza; le soluzioni, sempre e solo per il bene delle anime, siano applicate e verificate con prudenza, coerenza e competenza, assicurando soprattutto la piena trasparenza, anche nel campo economico.

    Le leggi vanno conosciute e applicate non per formalismo, ma perché sono strumenti di un’ecclesiologia che permette anche a chi non ha potere di appellarsi alla Chiesa con pieni diritti codificati, evitando gli arbitrii del più forte.

    Ancora un pensiero vorrei confidarvi e affidarvi, a proposito della pastorale vocazionale.

    In un mondo secolarizzato, i seminaristi e quanti si formano nella vita religiosa hanno bisogno, oggi più che mai, di essere ben radicati in una vita cristiana autentica, lontana da ogni “psicologia principesca”.

    Così pure ai sacerdoti, specialmente giovani, occorre la vicinanza dei Pastori, che favoriscano la comunione fraterna tra di loro, perché non si scoraggino davanti alle fatiche e giorno dopo giorno siano sempre più docili alla creatività dello Spirito Santo, per servire il Popolo di Dio con la gioia della carità, non con la rigidità e la ripetitività sterile dei burocrati.

    In tutto, speranza: anche se la messe è molta e gli operai sempre pochi, contiamo sul Signore, che compie prodigi in quanti si fidano di Lui.

    Beatitudine, Fratelli carissimi, come non evocare infine, con le parole ma soprattutto con la preghiera, l’Armenia, in particolare tutti coloro che fuggono dal Nagorno-Karabakh, le numerose famiglie sfollate che cercano rifugio! Tante guerre, tante sofferenze.

    La prima guerra mondiale doveva essere l’ultima e gli Stati si costituirono nella Società delle Nazioni, “primizia” delle Nazioni Unite, pensando che ciò bastasse a preservare il dono della pace.

    Eppure da allora, quanti conflitti e massacri, sempre tragici e sempre inutili.

    Tante volte ho supplicato: “Basta!”.

    Echeggiamo tutti il grido della pace, perché tocchi i cuori, anche quelli insensibili alla sofferenza dei poveri e degli umili.

    E soprattutto preghiamo.

    Lo faccio per voi e per l’Armenia; e voi, per favore, ricordatevi di me!

    Io vi ringrazio per la vostra presenza e per il vostro servizio.

    Prima di darvi la benedizione, vorrei recitare una preghiera, alla quale vi invito ad unirvi, di San Nerses il Grazioso, in attesa di poterlo celebrare, quando Dio vorrà, con i fratelli della Chiesa armena apostolica: «Signore misericordioso: abbi misericordia di tutti coloro che credono in te, dei miei e degli estranei, dei noti e degli ignoti, dei vivi e dei morti: concedi anche ai miei nemici ed avversari il perdono per i torti che mi hanno fatto, e convertili dall’ingiustizia che mostrano verso di me, affinché siano anch’essi degni della tua misericordia.

    Ed abbi misericordia delle tue creature, e di me grandissimo peccatore» (In Fede confesso, le 24 orazioni, XXIII).

    Grazie.

    Messaggio del Santo Padre ai partecipanti all'incontro con le istituzioni e gli organismi di aiuto alla Chiesa in America Latina (26 Feb 2024)
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    Caro Cardinale Robert Prevost,
    Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina (CAL),
    cari responsabili di istituzioni e organismi di aiuto alla Chiesa in America Latina:

    Sono lieto di rivolgermi a voi in questo incontro con le istituzioni e gli organismi di aiuto che promuove questa Pontificia Commissione.

    Vorrei esporre la mia riflessione sul tema della gratuità, che vedo riflesso tra le linee nel programma che Sua Eminenza ha avuto la gentilezza di farmi pervenire.

    Quando compiamo uno sforzo, come nel caso degli aiuti che si destinano alla Chiesa in America Latina, è naturale che pretendiamo un risultato.

    Non ottenerlo potrebbe considerarsi un fallimento o quantomeno ci lascia la sensazione di aver lavorato invano.

    Ma una simile percezione sembrerebbe essere contraria alla gratuità, che evangelicamente si definisce come dare senza aspettarsi nulla in cambio (cfr.

    Lc 6,35).

    Come conciliare le due dinamiche?

    Per approfondire la questione, forse potrebbe essere utile fare un passo indietro, focalizzandoci su ciò che ci chiede Gesù e ci dice il Vangelo, cercando di domandarci, come farebbe un giornalista: Chi dà? Che cosa dà? Dove dà? Come dà? Quando dà? Perché dà? A che fine dà?

    In risposta alla prima domanda — chi dà? — la Scrittura ci spiega che ciò che diamo non è altro che ciò che abbiamo ricevuto gratuitamente (cfr.

    Mt 10,8).

    Dio è Colui che dà e noi siamo solo amministratori di beni ricevuti, perciò non dobbiamo gloriarci (cfr.

    1 Cor 7,4), né esigere un compenso maggiore di quello del proprio salario (cfr.

    1 Tm 5,18), assumendoci con umiltà la responsabilità che questo dono ci richiede (cfr.

    Mt 25,14-30).

    Per la seconda domanda — Che cosa ci dà il Signore? — la risposta è semplice: ci ha dato tutto.

    Ci ha dato la vita, il creato, l’intelligenza e la volontà per essere padroni del nostro destino, la capacità di relazionarci con Lui e con i fratelli.

    Inoltre si è dato a noi infinite volte: facendoci a sua immagine, capaci di amare, dandoci prove del suo amore nel corso della Storia della Salvezza, nel dono di Cristo sulla croce, nella sua presenza nel sacramento dell’Eucaristia, nel dono dello Spirito Santo.

    Pertanto tutto ciò che abbiamo o è di Dio o è prova e pegno del suo amore.

    Se perdiamo questa consapevolezza nel dare e anche nel ricevere, snaturiamo la sua essenza e la nostra.

    Da amministratori solleciti di Dio (cfr.

    Lc 12,42), diventiamo schiavi del denaro (cfr.

    Mt 6,24) e, soggiogati dalla paura di non avere (v.

    25), diamo il cuore al tesoro della falsa sicurezza economica, dell’efficienza amministrativa, del controllo, di una vita senza sussulti (v.

    20).

    Un punto di svolta nella nostra riflessione è vedere dove si dona il Signore, perché ci apre la porta a un cammino concreto.

    Fin dalla creazione, il Signore si è sempre dato a noi, prendendo il nostro fango nelle sue mani, il nostro peccato, la nostra incostanza, mantenendosi fedele nonostante le reiterate infedeltà di Israele, dei discepoli, degli apostoli, con la sua incarnazione, la sua croce, i suoi sacramenti.

    Dio si dà, in una parola, in mezzo al suo Popolo.

    Il nostro dare non può non tener conto di questa verità ineluttabile, che sappiamo essere certa anche nella nostra storia personale e comunitaria.

    Non evitiamo quindi chi è cieco, chi resta a terra sul ciglio della strada, che è coperto di lebbra o di miseria, piuttosto chiediamo al Signore di essere capaci di vedere ciò che impedisce loro di affrontare le proprie difficoltà (cfr.

    Lc 7,5).

    Arriviamo quindi alle domande: come e quando si dà il Signore al suo Popolo? È molto semplice: sempre e totalmente.

    Dio non pone limiti, mille volte pecchiamo, mille volte ci perdona.

    Attende nella solitudine silenziosa del Tabernacolo che torniamo a Lui, mendicante del nostro amore.

    Nella santa Comunione non riceviamo un pezzetto di Gesù, ma tutto Gesù, in corpo e sangue, anima e divinità.

    Questo fa Dio, fino a farsi povero per noi, per arricchirci attraverso la sua povertà (cfr.

    2 Cor 8,9).

    Pertanto, possiamo concludere che la gratuità è imitare il modo in cui Gesù si dona per noi, suo Popolo, sempre e totalmente, nonostante la nostra povertà.

    E perché? Per amore.

    Perché, come direbbe Pascal, l’amore ha le sue ragioni che la ragione non conosce, «è paziente, è benigno...; non è invidioso, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiusti - zia, ma si compiace della verità.

    Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (cfr.

    1 Cor 13,4-7).

    L’amore non ha agenda, non colonizza, ma s’incarna, diventa uno di noi, meticcio, per fare nuove tutte le cose (cfr.

    Ap 21,5).

    Perciò lo sforzo non è inutile, perché c’è un fine.

    Dandoci così, imitiamo Gesù che si è donato per salvare tutti noi.

    Abbracciare la croce non è segno di insuccesso, non è un lavoro vano, è unirci alla missione di Gesù di portare «ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,18).

    È toccare concretamente la ferita di quel fratello, di quella comunità, che ha un nome, che ha un valore infinito per Dio, per dargli luce, rafforzare le sue gambe, mondare la sua miseria, offrendogli l’opportunità di rispondere al progetto di amore che il Signore ha per lui, chiedendo in ginocchio che, giungendo lì, Gesù trovi fede in quella terra (cfr.

    Lc 18,8).

    Cari fratelli e sorelle, affido i vostri lavori alla Santissima Vergine, che Lei vi guidi come fece con i servi nelle nozze di Cana, affinché a tutti giunga il vino nuovo che il Signore ci promette.

    Che Gesù vi benedica.

    E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Roma, San Giovanni in Laterano, 26 febbraio 2024

    FRANCESCO

    ________________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    54, martedì 5 marzo 2024, p.

    8.

    Angelus, 25 Feb 2024
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Il Vangelo di questa seconda domenica di Quaresima ci presenta l’episodio della Trasfigurazione di Gesù (cfr Mc 9,2-10).

    Dopo aver annunciato ai discepoli la sua Passione, Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, sale su un monte alto e lì si manifesta fisicamente in tutta la sua luce.

    Così svela loro il senso di ciò che avevano vissuto insieme fino a quel momento.

    La predicazione del Regno, il perdono dei peccati, le guarigioni e i segni compiuti erano infatti scintille di una luce più grande: la luce di Gesù, la luce che è Gesù.

    E da questa luce i discepoli non dovranno mai più staccare gli occhi, specialmente nei momenti di prova, come quelli ormai vicini della Passione.

    Ecco il messaggio: non staccare mai gli occhi dalla luce di Gesù.

    Un po’ come facevano in passato i contadini che, arando i campi, focalizzavano lo sguardo su un punto preciso davanti a sé e, tenendo gli occhi fissi sulla meta, tracciavano solchi diritti.

    Questo siamo chiamati a fare noi cristiani nel cammino della vita: tenere sempre davanti agli occhi il volto luminoso di Gesù, non staccare mai gli occhi da Gesù.

    Fratelli e sorelle, apriamoci alla luce di Gesù! Lui è amore, Lui è vita senza fine.

    Lungo i sentieri dell’esistenza, a volte tortuosi, cerchiamo il suo volto, pieno di misericordia, di fedeltà, di speranza.

    Ci aiutano a farlo la preghiera, l’ascolto della Parola, i Sacramenti: la preghiera, l’ascolto della Parola e i Sacramenti ci aiutano a tenere gli occhi fissi su Gesù.

    E questo è un buon proposito per la Quaresima: coltivare sguardi aperti, diventare “cercatori di luce”, cercatori della luce di Gesù nella preghiera e nelle persone.

    E allora chiediamoci: nel mio cammino, tengo gli occhi fissi su Cristo che mi accompagna? E per farlo, do spazio al silenzio, alla preghiera, all’adorazione? Infine, vado in cerca di ogni piccolo raggio della luce di Gesù, che si riflette in me e in ogni fratello e sorella che incontro? E io mi ricordo di ringraziare il Signore per questo?

    Maria, splendente della luce di Dio, ci aiuti a tenere fisso lo sguardo su Gesù e a guardarci a vicenda con fiducia e amore.

    ______________________________

    Dopo l’Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Ieri, 24 febbraio, abbiamo ricordato con dolore il secondo anniversario dell’inizio della guerra su vasta scala in Ucraina.

    Quante vittime, feriti, distruzioni, angustie, lacrime in un periodo che sta diventando terribilmente lungo e di cui non si intravvede ancora la fine! È una guerra che non solo sta devastando quella regione d’Europa, ma che scatena un’ondata globale di paura e odio.

    Mentre rinnovo il mio vivissimo affetto al martoriato popolo ucraino e prego per tutti, in particolare per le numerosissime vittime innocenti, supplico che si ritrovi quel po’ di umanità che permetta di creare le condizioni di una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura.

    E, fratelli e sorelle, non dimentichiamoci di pregare per la Palestina, per Israele e per i tanti popoli dilaniati dalla guerra, e di aiutare concretamente chi soffre! Pensiamo a tanta sofferenza, pensiamo ai bambini feriti, innocenti.

    Seguo con preoccupazione l’aumento delle violenze nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo.

    Mi unisco all’invito dei Vescovi a pregare per la pace, auspicando la cessazione degli scontri e la ricerca di un dialogo sincero e costruttivo.

    Destano apprensione i sempre più frequenti rapimenti che si verificano in Nigeria.

    Esprimo al popolo nigeriano la mia vicinanza nella preghiera, auspicando che ci si impegni affinché il dilagare di questi episodi sia arginato il più possibile.

    Sono vicino pure alla popolazione della Mongolia, colpita da un’ondata di freddo intenso, che sta provocando gravi conseguenze umanitarie. Anche questo fenomeno estremo è un segno del cambiamento climatico e dei suoi effetti.

    La crisi climatica è un problema sociale globale, che incide in profondità sulla vita di molti fratelli e sorelle, soprattutto sui più vulnerabili: preghiamo per poter intraprendere scelte sagge e coraggiose per contribuire alla cura del creato.

    Saluto voi, fedeli di Roma e di varie parti del mondo, in modo speciale i pellegrini di Jaén (Spagna), i giovani greco-cattolici rumeni di Parigi, le Comunità Neocatecumenali provenienti dalla Polonia, dalla Romania e dall’Italia.

    Saluto il Pontificio Seminario Campano Interregionale di Posillipo, il Segretariato del Forum Internazionale di Azione Cattolica, gli Scout di Paliano e i cresimati di Lastra Signa, Torre Maina e Gorzano.

    Saluto pure la Federazione Italiana Malattie Rare, il Circolo Culturale “Reggio Ricama”, i membri del Movimento Nonviolento e i volontari dell’Associazione N.O.E.T.A.A.

    E saluto i ragazzi dell’Immacolata.

    A tutti auguro una buona domenica.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci.

    Ai Diaconi della Diocesi di Roma (24 Feb 2024)
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    Discorso del Santo Padre che può essere considerato come consegnato

    Cari fratelli,

    grazie di essere qui.

    Saluto Mons.

    Di Tolve e do il benvenuto a ciascuno di voi, contento di incontrarvi in questo tempo che precede la vostra ordinazione presbiterale.

    Immagino che, pensando a quel giorno, starete già “studiando” il rito dell’ordinazione! Ebbene, la prima domanda che vi verrà posta circa gli impegni che professerete di assumere, recita: «Volete esercitare per tutta la vita il ministero sacerdotale nel grado di presbiteri, come fedeli cooperatori dell’ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo?».

    In queste parole mi sembra di vedere tre elementi essenziali nel ministero: anzitutto essere fedeli cooperatori, poi porvi al servizio del popolo di Dio; infine stare sotto la guida dello Spirito Santo.

    Mi soffermo brevemente su questi tre punti.

    Fedeli cooperatori.

    Uno può avere l’idea che, una volta diventato prete, pastore nel popolo di Dio, sia essenzialmente giunta l’ora di prendere in mano la situazione, attuando in prima persona ciò che aveva desiderato per anni, impostando finalmente le situazioni con il proprio stile e secondo le proprie idee, quelle che ha più care in base alla sua storia personale e al suo cammino.

    Eppure la Santa Madre Chiesa per prima cosa non chiede di essere leader, ma cooperatori, cioè, stando al senso delle parole, coloro che “operano con”.

    Questo “con” è essenziale, perché la Chiesa, come ci ricorda il Concilio, è anzitutto un mistero di comunione.

    E il presbitero è testimone di questa comunione, che implica fraternità, fedeltà e docilità.

    Coristi, insomma, non solisti; fratelli nel presbiterato e preti per tutti, non per il proprio gruppo; ministri sempre in perenne formazione, senza pensare mai di essere autonomi e autosufficienti.

    Quanto è importante oggi continuare la formazione, e non da soli, ma sempre in contatto con chi, chiamato ad accompagnarvi, ha percorso più strada nel ministero; e farlo con apertura di cuore, per non cedere alla tentazione di gestire la vita per conto proprio, diventando così facili prede delle tentazioni più varie.

    Secondo aspetto: al servizio del popolo di Dio.

    Mi piace incontrarvi ora, mentre siete diaconi, perché non si diventa pastori se prima non si è diaconi.

    Il diaconato non svanisce con il presbiterato; al contrario, è la base su cui si fonda.

    Sarete preti per servire, conformati a Gesù che «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita» (cf Mc 10,45).

    Direi allora che c’è da custodire un fondamento interiore del sacerdozio, che potremmo chiamare “coscienza diaconale”: come la coscienza sta alla base delle decisioni, così lo spirito di servizio è alla base dell’essere sacerdoti.

    Così che ogni mattina è bene pregare chiedendo di saper servire: “Signore, oggi aiutami a servire”; e ogni sera, ringraziando e facendo l’esame di coscienza, dire: “Signore, perdonami quando ho pensato più a me che a mettermi al servizio degli altri”.

    Ma servire, cari amici, è un verbo che rifiuta ogni astrattezza: servire vuol dire essere disponibili, rinunciare a vivere secondo la propria agenda, essere pronti alle sorprese di Dio che si manifestano attraverso le persone, gli imprevisti, i cambi di programma, le situazioni che non rientrano nei nostri schemi e nella “giustezza” di quello che si è studiato.

    La vita pastorale non è un manuale, ma un’offerta quotidiana; non è un lavoro preparato a tavolino, ma “un’avventura eucaristica”.

    È ripetere con la vita, in prima persona: «Questo è il mio corpo, donato per voi».

    È un atteggiamento costante, fatto di accoglienza, compassione, tenerezza, uno stile che parla coi fatti più che con le parole, esprimendo il linguaggio della vicinanza.

    È non voler bene alle persone per secondi fini, fossero anche i migliori, ma riconoscendo in loro i doni unici e meravigliosi che il Signore ci ha dato per servirli, con gioia, con umiltà.

    È la gioia di accompagnare i passi prendendo per mano, con pazienza e con discernimento.

    Ed è in questa luce che, con la grazia di Dio, si supera il pericolo di covare dentro di sé un po’ di amarezza e di insoddisfazione per le cose che non vanno come vorremmo, quando la gente non risponde alle nostre attese e non si adegua alle nostre aspettative.

    E ora veniamo all’ultimo aspetto: sotto la guida dello Spirito Santo.

    Allo Spirito, che discenderà su di voi, è importante dare sempre il primato.

    Se ciò avviene, la vostra vita, come fu per gli Apostoli, sarà orientata al Signore e dal Signore, e voi sarete davvero “uomini di Dio”.

    Altrimenti, quando si conta sulle proprie forze, si rischia di trovarsi con un pugno di mosche in mano.

    La vita sotto la guida dello Spirito: vuol dire passare dall’unzione dell’ordinazione a un’“unzione quotidiana”.

    E Gesù effonde su di noi l’unzione dello Spirito quando stiamo alla sua presenza, quando lo adoriamo, quando siamo intimi alla sua Parola.

    Stare con Lui, rimanere con Lui (cfr Gv 15), poi, ci permette anche di intercedere davanti a Lui per il Santo Popolo di Dio, per l’umanità, per le persone che si incontrano ogni giorno.

    Così, un cuore che attinge la propria gioia dal Signore e feconda di preghiera le relazioni, non perde di vista la bellezza intramontabile della vita sacerdotale.

    Questo vi auguro, cari fratelli, ringraziandovi per il vostro “sì” a Dio e chiedendovi, per favore, di pregare ogni giorno per me.

    Lettera del Santo Padre all’Em.mo Card. Mario Grech, Segretario Generale della Segreteria Generale del Sinodo (22 Feb 2024)
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    A Sua Em.za Rev.ma Cardinale MARIO GRECH
    Segretario Generale
    della Segreteria Generale del Sinodo

    Caro Fratello,
    Cardinale Mario Grech,

    La Relazione di Sintesi della Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, approvata il 28 ottobre 2023, enumera molteplici e importanti questioni teologiche, tutte in varia misura connesse al rinnovamento sinodale della Chiesa e non prive di ripercussioni giuridiche e pastorali.

    Tali questioni, per loro natura, esigono di essere affrontate con uno studio approfondito.

    Non essendo possibile svolgere questo studio nel tempo della Seconda Sessione (2-27 ottobre 2024), dispongo che esse vengano assegnate a specifici Gruppi di Studio, affinché si proceda a un loro adeguato esame.

    Sarà questo uno dei frutti del processo sinodale avviato il 9 ottobre 2021.

    Nello spirito del Chirografo da me firmato il 16 febbraio u.s., è compito della Segreteria Generale del Sinodo, di comune accordo con i Dicasteri della Curia Romana competenti, costituire tali Gruppi, chiamando a farne parte Pastori ed Esperti di tutti i Continenti e prendendo in considerazione non solo gli studi già esistenti, ma anche le esperienze più rilevanti in atto nel Popolo di Dio radunato nelle Chiese locali.

    È importante che i suddetti Gruppi di Studio lavorino secondo un metodo autenticamente sinodale, di cui ti chiedo farti garante.

    Quanto così disposto permetterà all’Assemblea, nella sua Seconda Sessione, di concentrare più agevolmente l’attenzione sul tema generale che a suo tempo le ho assegnato, e che è possibile ora riassumere nell’interrogativo: “Come essere Chiesa sinodale in missione?”.

    I Gruppi di Studio offriranno un primo resoconto della loro attività in occasione della Seconda Sessione e, possibilmente, concluderanno il loro mandato entro il mese di giugno 2025.

    Dopo aver ponderato ogni cosa, dispongo che i Gruppi in parola si occupino dei temi qui di seguito elencati in forma sintetica, alla luce dei contenuti della Relazione di Sintesi (RdS):

    1.

    Alcuni aspetti delle relazioni tra Chiese orientali cattoliche e Chiesa latina (RdS 6).

    2.

    L’ascolto del grido dei poveri (RdS 4 e 16).

    3.

    La missione nell’ambiente digitale (RdS 17).

    4.

    La revisione della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis in prospettiva sinodale missionaria (RdS 11).

    5.

    Alcune questioni teologiche e canonistiche intorno a specifiche forme ministeriali (RdS 8 e 9).

    6.

    La revisione, in prospettiva sinodale e missionaria, dei documenti che disciplinano le relazioni fra Vescovi, Vita consacrata, Aggregazioni ecclesiali (RdS 10).

    7.

    Alcuni aspetti della figura e del ministero del Vescovo (in particolare: criteri di selezione dei candidati all’Episcopato, funzione giudiziale del Vescovo, natura e svolgimento delle visite ad limina Apostolorum) in prospettiva sinodale missionaria (RdS 12 e 13).

    8.

    Il ruolo dei Rappresentanti Pontifici in prospettiva sinodale missionaria (RdS 13).

    9.

    Criteri teologici e metodologie sinodali per un discernimento condiviso di questioni dottrinali, pastorali ed etiche controverse (RdS 15).

    10.

    La recezione dei frutti del cammino ecumenico nelle prassi ecclesiali (RdS 7).

    Sarà compito della Segreteria Generale del Sinodo predisporre la traccia di lavoro che precisi il mandato dei gruppi alla luce delle mie indicazioni.

    RingraziandoTi del lavoro finora compiuto, benedico e accompagno con la preghiera Te e tutti coloro che collaborano con generosità al cammino in corso.
     

    Francesco

    Dal Vaticano, 22 febbraio 2024

    _______________________________________

    Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, 14 marzo 2024

    Angelus, 18 Feb 2024
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi, prima Domenica di Quaresima, il Vangelo ci presenta Gesù tentato nel deserto (cfr Mc 1,12-15).

    Il testo dice: «Nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana».

    Anche noi in Quaresima siamo invitati a “entrare nel deserto”, cioè nel silenzio, nel mondo interiore, in ascolto del cuore, in contatto con la verità.

    Nel deserto – aggiunge il Vangelo odierno – Cristo «stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano» (v.

    13).

    Bestie selvatiche e angeli erano la sua compagnia.

    Ma, in un senso simbolico, sono anche la nostra compagnia: quando entriamo nel deserto interiore, infatti, possiamo incontrarvi bestie selvatiche e angeli.

    Bestie selvatiche.

    In che senso? Nella vita spirituale possiamo pensarle come le passioni disordinate che dividono il cuore, tentando di possederlo.

    Ci suggestionano, sembrano seducenti ma, se non stiamo attenti, rischiano di sbranarci.

    Possiamo dare dei nomi a queste “bestie” dell’anima: i vari vizi, la bramosia della ricchezza, che imprigiona nel calcolo e nell’insoddisfazione, la vanità del piacere, che condanna all’inquietudine e alla solitudine, e ancora l’avidità della fama, che genera insicurezza e un continuo bisogno di conferme e di protagonismo.

    – non dimentichiamo queste cose che possiamo incontrare dentro: bramosia, vanità e avidità.

    Sono come bestie “selvatiche” e come tali vanno ammansite e combattute: altrimenti ci divorano la libertà.

    E la Quaresima ci aiuta a entrare nel deserto interiore per correggere queste cose.           

    E poi, nel deserto c’erano gli angeli.

    Essi sono i messaggeri di Dio, che ci aiutano, ci fanno del bene; infatti la loro caratteristica secondo il Vangelo è il servizio (cfr v.

    13): esattamente il contrario del possesso, tipico delle passioni.

    Servizio contro possesso.

    Gli spiriti angelici richiamano i pensieri e i sentimenti buoni suggeriti dallo Spirito Santo.

    Mentre le tentazioni ci dilaniano, le buone ispirazioni divine ci unificano e ci fanno entrare nell’armonia: acquietano il cuore, infondono il gusto di Cristo, “il sapore del Cielo”.

    E per cogliere l’ispirazione di Dio, bisogna entrare nel silenzio e nella preghiera.

    E la Quaresima è il tempo per fare questo.

    Possiamo domandarci: primo, quali sono le passioni disordinate, le “bestie selvatiche” che si agitano nel mio cuore? Secondo: per permettere alla voce di Dio di parlarmi al cuore e custodirlo nel bene, sto pensando di ritirarmi un po’ nel “deserto”, cerco di dedicare nella giornata qualche spazio per questo?

    La Vergine santa, che ha custodito la Parola e non si è lasciata sfiorare dalle tentazioni del maligno, ci aiuti nel cammino della Quaresima.

    ___________________________________________

    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Sono passati ormai dieci mesi dallo scoppio del conflitto armato in Sudan, che ha provocato una gravissima situazione umanitaria.

    Chiedo di nuovo alle parti belligeranti di fermare questa guerra, che fa tanto male alla gente e al futuro del Paese.

    Preghiamo perché si trovino presto vie di pace per costruire l’avvenire del caro Sudan.

    La violenza contro popolazioni inermi, la distruzione di infrastrutture e l’insicurezza dilagano nuovamente nella provincia di Cabo Delgado, in Mozambico, dove nei giorni scorsi è stata anche incendiata la missione cattolica di Nostra Signora d’Africa a Mazeze.

    Preghiamo perché la pace torni in quella regione martoriata.

    E non dimentichiamo tanti altri conflitti che insanguinano il Continente africano e molte parti del mondo: anche l’Europa, la Palestina, l’Ucraina…

    Non dimentichiamo: la guerra è una sconfitta, sempre. Ovunque si combatte le popolazioni sono sfinite, sono stanche della guerra, che come sempre è inutile e inconcludente, e porterà solo morte, solo distruzione, e non porterà mai la soluzione dei problemi.

    Preghiamo invece senza stancarci, perché la preghiera è efficace, e chiediamo al Signore il dono di menti e di cuori che si dedichino concretamente alla pace.

    Saluto i fedeli di Roma e di diverse parti d’Italia e del mondo, in particolare i pellegrini provenienti dagli Stati Uniti d’America, le Comunità neocatecumenali di varie parrocchie della Repubblica Ceca, della Slovacchia e della Spagna, gli alunni dell’Istituto “Carolina Coronado” di Almendralejo e l’Associazione di volontariato “Sulle orme dei Servi-verso il mondo”.

    E saluto i coltivatori e gli allevatori presenti in piazza!

    Questo pomeriggio, insieme con i collaboratori della Curia, inizieremo gli Esercizi spirituali.

    Invito le comunità e i fedeli a dedicare in questo tempo di Quaresima e lungo quest’anno di preparazione al Giubileo, che è “Anno della preghiera”, momenti specifici per raccogliersi alla presenza del Signore.

    E a tutti auguro buona domenica.

    Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci.

    Ai Membri della “Junta Constructora” della Basilica della “Sagrada Família” di Barcelona (Spagna) (17 Feb 2024)
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    Cari fratelli e sorelle,

    Membri della “Junta Costructora” della Basilica della Sagrada Família di Barcellona, sono lieto di ricevervi insieme alle vostre famiglie, in questo anno che, come ho ripetuto in diverse occasioni, desidero dedicare alla preghiera, preparandoci al Giubileo del 2025.

    Un anno intero in preghiera per questo.

    È importante che il clima di preghiera non si perda nei templi, deve essere una delle priorità per quanti, come voi, hanno ricevuto la responsabilità della cura dei templi.

    Sicuramente avete notato che la Basilica della Sagrada Família è strutturata in modo che ogni portico abbia un tema, illustrato da passi della Scrittura e incorniciato da una preghiera.

    Così la prima porta, quella della fede, dietro l’immagine di Gesù che predica ai dottori, ci mostra santo Trisagio.

    La fede predicata deve farsi preghiera.

    Sempre.

    La porta centrale della carità, la cui figura principale è proprio quella della Santa Famiglia, ci invita ad alzare lo sguardo verso il mistero dell’Incarnazione a da lì a sgranare le perle del rosario che discende lungo le vetrate, incorniciando la stella di Betlemme, quasi a dire: “qui è la nostra luce”.

    Ed è proprio nell’adorazione, nella preghiera contemplativa dei misteri, che ci apriamo a quella luce, come la grande vetrata del vostro tempio.

    Vi invito pertanto ad accogliere nella Basilica i pellegrini che si avvicinano, per introdurli con un atteggiamento orante a contemplare il progetto iconografico del servo di Dio Antoni Gaudí nella sua interezza, di modo che, come i pinnacoli e i campanili, i loro sguardi si levino e le loro voci proclamino con gli angeli: “Santo nostro Dio Immortale”.

    Grazie per tutto quello che fate, grazie.

    Che Dio vi benedica.

    ____________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    40, sabato 17 febbraio 2024, p.

    12.

    Chirografo del Santo Padre sulla collaborazione tra i Dicasteri della Curia Romana e la Segreteria Generale del Sinodo (16 Feb 2024)
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    Nel cammino di rinnovamento che sta compiendo secondo la «missione d’amore propria di Cristo» (Praedicate evangelium [PE], 2), la Chiesa esprime il suo essere, «in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium [LG], 1).

    Essa si manifesta con maggiore chiarezza e credibilità al mondo nelle diverse culture come mistero di comunione missionaria (cfr.

    LG, 7), unico Corpo, partecipe del Suo Spirito che la rinnova e guida nell’annuncio del Vangelo a tutte le genti (cfr.

    LG, 17).

    In questa luce, nella Costituzione Apostolica sulla Curia Romana Praedicate evangelium ho sottolineato che la «vita di comunione dona alla Chiesa il volto della sinodalità» (PE, 4).

    In particolare, il reciproco ascolto e la dinamica di reciprocità nel porsi a servizio della missione del Popolo di Dio qualificano l’opera di ausilio della Curia Romana al ministero del Vescovo di Roma, dei singoli Vescovi e del Collegio episcopale.

    Le competenze pastorali da essa espletate trovano il loro fine e la loro efficacia nel servizio alla collegialità episcopale e alla comunione ecclesiale in unione e sotto la guida del Vescovo di Roma (cfr.

    PE, 8-9).

    Si colloca in tale contesto il compito della Segreteria Generale del Sinodo (cfr. Episcopalis communio [EC], 9).

    Direttamente sottoposta al Vescovo di Roma in quanto Pastore della Chiesa universale e al tempo stesso distinta dalla Curia Romana in quanto «istituzione permanente al servizio del Sinodo dei Vescovi» (EC, art.

    22 § 1), essa sostiene e accompagna il processo sinodale di volta in volta stabilito (cfr.

    EC, art.

    23 § 1).

    In questo modo presta un ausilio specifico alla promozione in spirito sinodale delle mutue relazioni dei Vescovi e delle Chiese particolari cui essi presiedono, tra loro e in comunione con il Vescovo di Roma nella Chiesa una e cattolica (cfr.

    LG, 23).

    Dispongo pertanto che, secondo quanto stabilito dall’art.

    33 di Praedicate evangelium, i Dicasteri della Curia Romana collaborino, «secondo le rispettive specifiche competenze, all’attività della Segreteria Generale del Sinodo», costituendo dei gruppi di studio che avviino, con metodo sinodale, l’approfondimento di alcuni tra i temi emersi nella Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.

    Questi gruppi di studio siano costituiti di comune accordo tra i Dicasteri della Curia Romana competenti e la Segreteria Generale del Sinodo, a cui è affidato il coordinamento.

    Dal Vaticano, 16 febbraio 2024

    FRANCESCO

    __________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n.

    40, sabato 17 febbraio 2024, p.

    12.

    Alla Comunità del Seminario Arcivescovile di Napoli (16 Feb 2024)
    Visita il link

    Discorso del Santo Padre consegnato

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Vi ringrazio per essere venuti qui stamani e per aver desiderato questo incontro nel 90° anniversario dell’inaugurazione del vostro Seminario “Alessio Ascalesi”.

    Saluto l’Arcivescovo, Mons.

    Domenico Battaglia, e i fratelli Vescovi, il Rettore, gli Educatori e i Padri Spirituali, tutti ringraziando per il prezioso servizio.

    Con gioia saluto quanti, in forme diverse, contribuiscono alla vostra formazione: il Preside e il Decano della Facoltà, le Suore e anche le coppie di sposi, la cui presenza è un segno importante, che ci ricorda la complementarietà tra Ordine sacro e Sacramento del matrimonio: nella formazione sacerdotale abbiamo bisogno del contributo di coloro che hanno scelto la via del matrimonio.

    Grazie per quello che fate! E grazie anche ai consulenti psicologici, al personale amministrativo e di servizio.

    Mi rivolgo con affetto a voi seminaristi.

    Sento di dovervi esprimere gratitudine per aver risposto alla chiamata del Signore e per la disponibilità a servire la sua Chiesa; e di dovervi incoraggiare a coltivare ogni giorno la bellezza della fedeltà, con entusiasmo e impegno, consegnando la vostra vita all’incessante opera dello Spirito Santo, che vi aiuta ad assumere la forma di Cristo.

    Ricordiamoci questo: che la formazione non finisce mai, dura tutta la vita, e che se si interrompe non si rimane dove si era, ma si torna indietro.

    Proprio pensando a questo continuo lavoro interiore che è la formazione sacerdotale e alla ricorrenza del vostro Seminario, mi viene in mente l’immagine del cantiere.

    La Chiesa è anzitutto un cantiere sempre aperto.

    Essa, cioè, rimane costantemente in cammino, aperta alla novità dello Spirito, vincendo la tentazione di preservare sé stessa e i propri interessi.

    Il lavoro principale del “cantiere Chiesa” è camminare in compagnia del Crocifisso Risorto portando agli uomini la bellezza del suo Vangelo.

    Questo è l’essenziale.

    È quanto ci sta insegnando il cammino sinodale, è quanto ci chiede, senza compromessi, l’ascolto dello Spirito e degli uomini del nostro tempo; ma è anche ciò che viene richiesto a voi: essere servitori – questo significa ministri – che sanno adottare uno stile di discernimento pastorale in ogni situazione, sapendo che tutti, preti e laici, siamo in cammino verso la pienezza e siamo operai di un cantiere in costruzione.

    Non possiamo offrire alla realtà complessa di oggi risposte monolitiche e preconfezionate, ma dobbiamo investire le nostre energie annunciando l’essenziale, che è la misericordia di Dio, e manifestandola attraverso la vicinanza, la paternità, la mitezza, affinando l’arte del discernimento.

    Per questo motivo, anche il cammino di formazione al presbiterato è un cantiere.

    Non bisogna mai commettere l’errore di sentirsi arrivati, di ritenersi già pronti davanti alle sfide.

    La formazione sacerdotale è un cantiere nel quale ognuno di voi è chiamato a mettersi in gioco nella verità, per lasciare che sia Dio ad edificare nel corso degli anni la sua opera.

    Non abbiate dunque paura di lasciar agire il Signore nella vostra vita; come in un cantiere, lo Spirito verrà dapprima a demolire quegli aspetti, quelle convinzioni, quello stile e perfino quelle idee incoerenti sulla fede e sul ministero che vi impediscono di crescere secondo il Vangelo; poi lo stesso Spirito, dopo aver ripulito le falsità interiori, vi darà un cuore nuovo, edificherà la vostra vita secondo lo stile di Gesù, vi farà diventare nuove creature e discepoli missionari.

    Farà maturare il vostro entusiasmo attraverso la croce, come fu per gli Apostoli.

    Ma non abbiate paura di questo: può essere certamente un lavoro faticoso, però se rimanete docili e veri, disponibili all’azione dello Spirito senza irrigidirvi e difendervi, scoprirete la tenerezza del Signore dentro le vostre fragilità e nella gioia pura del servizio.

    In questo cantiere che è la vostra formazione, scavate dunque a fondo, “facendo la verità” in voi con sincerità, coltivando la vita interiore, meditando la Parola, approfondendo nello studio le domande del nostro tempo e le questioni teologiche e pastorali.

    E permettetemi di raccomandarvi una cosa: lavorare sulla maturità affettiva e umana.

    Senza non si va da nessuna parte!

    Infine, la stessa struttura del Seminario è come un grande cantiere.

    E non mi riferisco ovviamente all’ambito edilizio.

    Sulla formazione sacerdotale è in atto un processo che comprende nuove domande e nuove acquisizioni: gli itinerari di formazione stanno subendo molte trasformazioni, in ascolto delle sfide che attendono il ministero sacerdotale e richiedono da parte di tutti impegno, passione e sana creatività.

    Si sperimentano nuove esperienze pastorali e missionarie, con l’intento di favorire il graduale inserimento nella futura vita ministeriale; si ipotizzano tempi di interruzione nel percorso per favorire la maturazione individuale.

    È bello accogliere e vagliare queste novità, vivendole come opportunità di grazia e di servizio, cogliendovi la presenza di Dio.

    Abbiamo appena iniziato il cammino quaresimale che, come ho avuto modo di dire, è «tempo di piccole e grandi scelte controcorrente […] in cui ripensare gli stili di vita» (Messaggio per la Quaresima 2024).

    Possa anche la vostra comunità percorrere questa strada di conversione e rinnovamento.

    Come? Lasciandosi conquistare con rinnovato stupore dall’amore di Dio, fondamento della vocazione che si accoglie e si riscopre in particolare nell’adorazione e a contatto con la Parola; riscoprendo con gioia il gusto della sobrietà ed evitando gli sprechi; apprendendo uno stile di vita che vi servirà per essere sacerdoti capaci di donarsi agli altri e di essere attenti ai più poveri; non lasciandovi ingannare dal culto dell’immagine e dell’apparire, ma curando la vita interiore; prendendovi cura della giustizia e del creato, temi attuali e scottanti nella vostra terra, che attende in questo senso dalla Chiesa parole coraggiose e segni profetici; vivendo nella pace e nella concordia, superando le divisioni e imparando a vivere nella fraternità con umiltà.

    E la fraternità è, specialmente oggi, una delle più grandi testimonianze che possiamo offrire al mondo.

    I “lavori in corso” del vostro cantiere siano accompagnati dall’intercessione dei santi: dal vostro Patrono Gennaro, la cui presenza e il cui sangue continuano ad irrorare le terre che abitate, da San Vincenzo Romano, parroco che si è formato nel vostro Seminario, modello di zelo apostolico e di spirito missionario, e dal Beato Mariano Arciero, che ne è stato padre spirituale, di cui oggi ricorre la memoria liturgica.

    Vi auguro ogni bene nel cammino e vi accompagno con la preghiera.

    Anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Grazie.

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