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    "Quando Dio si accorge che l'uomo non si fida più divsecstesso ecsi abbandona alla speranza della Provvidenza, immediatamente la aiuta e sta sempre alla porta a picchiare. Se gli viene aperto lui entra e tira fuori poco a poco tutti i suoi nemici" - Santa Caterina da Genova


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    Preghiere Messaggi

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    Rito ambrosiano

    Da Evangelizo.org:

    Ve 27 Ott : Apocalisse 8,1-6.
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    Quando l'Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz'ora. Vidi che ai sette angeli ritti davanti a Dio furono date sette trombe. Poi venne un altro angelo e si fermò all'altare, reggendo un incensiere d'oro.

    Gli furono dati molti profumi perché li offrisse insieme con le preghiere di tutti i santi bruciandoli sull'altare d'oro, posto davanti al trono. E dalla mano dell'angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio, insieme con le preghiere dei santi. Poi l'angelo prese l'incensiere, lo riempì del fuoco preso dall'altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono scoppi di tuono, clamori, fulmini e scosse di terremoto. I sette angeli che avevano le sette trombe si accinsero a suonarle.

    Ve 27 Ott : Salmi 95(94),1-7.
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    Venite, applaudiamo al Signore, acclamiamo alla roccia della nostra salvezza. Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia. Poiché grande Dio è il Signore, grande re sopra tutti gli dei. Nella sua mano sono gli abissi della terra, sono sue le vette dei monti. Suo è il mare, egli l'ha fatto, le sue mani hanno plasmato la terra. Venite, prostràti adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati. Egli è il nostro Dio, e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce.

    Ve 27 Ott : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 10,40-42.
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    Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto. E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

    Ve 27 Ott : San [Padre] Pio da Pietrelcina
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    Dopo l'amore del nostro Signore, ti raccomando l'amore della Chiesa, sua Sposa.

    Essa è, in un certo senso, la colomba che cova e fa nascere i piccoli dello Sposo.

    Rendi grazie sempre a Dio di essere figlia della Chiesa, sull'esempio di tante anime che ci hanno preceduti in questa via beata.

    Abbi molta compassione per tutti i pastori, i predicatori e le guide spirituali; ce ne sono su tutta la faccia della terra...

    Prega Dio per loro, affinché, salvando se stessi, siano fecondi e procurino la salvezza alle anime. Pregate per le persone perfide come per quelle ferventi, pregate per il Santo Padre, per tutte le necessità spirituali e temporali della Chiesa; essa infatti è nostra madre.

    Fate anche una preghiera speciale per tutti coloro che operano alla salvezza delle anime per la gloria del Padre.

    Gi 26 Ott : Apocalisse 6,12-17.7,1-3.
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    Quando l'Agnello aprì il sesto sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto.

    Il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi. Il cielo si ritirò come un volume che si arrotola e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto. Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall'ira dell'Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere? Dopo ciò, vidi quattro angeli che stavano ai quattro angoli della terra, e trattenevano i quattro venti, perché non soffiassero sulla terra, né sul mare, né su alcuna pianta. Vidi poi un altro angelo che saliva dall'oriente e aveva il sigillo del Dio vivente.

    E gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: "Non devastate né la terra, né il mare, né le piante, finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi".

    Gi 26 Ott : Salmi 68(67),2-4.20-21.33-35.
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    Sorga Dio, i suoi nemici si disperdano e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano. Come si disperde il fumo, tu li disperdi; come fonde la cera di fronte al fuoco, periscano gli empi davanti a Dio. I giusti invece si rallegrino, esultino davanti a Dio e cantino di gioia. Benedetto il Signore sempre; ha cura di noi il Dio della salvezza. Il nostro Dio è un Dio che salva; il Signore Dio libera dalla morte. Regni della terra, cantate a Dio, cantate inni al Signore; egli nei cieli cavalca, nei cieli eterni, ecco, tuona con voce potente. Riconoscete a Dio la sua potenza, la sua maestà su Israele, la sua potenza sopra le nubi.

    Gi 26 Ott : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 19,27-29.
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    In quel tempo, Pietro disse al Signore Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna.

    Gi 26 Ott : Sant’Amedeo di Losanna
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    Egli è caduto in terra ed è morto ed ha prodotto molto frutto (Gv 12, 24).

    Si è lasciato cadere come un seme per raccogliere in mietitura il genere umano.

    Beato il seno di Maria dove tale seme ha messo radici! Beata colei alla quale è stato detto: « Il tuo ventre è un mucchio di grano, circondato da gigli » (Ct 7, 3).

    Non è forse come un mucchio di grano il seno della Vergine che si è dilatato sotto l'azione di colui che è caduto in esso, e dove è spuntata la messe dei riscattati? Sì, morti al peccato in noi stessi, rinasciamo in Cristo, alla fonte battesimale mediante il lavacro di rigenerazione, affinché viviamo in colui che è morto per tutti.

    Perciò l'Apostolo dice: « Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo » (Gal 3, 27).

    Da un unico seme, da un seme uscito dal seno della Vergine Maria, vengono quindi numerose messi. È chiamato "mucchio" di grano, non tanto a motivo del numero dei riscattati, bensì a motivo della forza di questo seme, a motivo dell'efficienza del seminatore piuttosto che della molteplicità di coloro che sono raccolti.

    È lui il tuo Figlio, o Maria! È lui che per te è risuscitato dai morti e nella tua carne ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose.

    Sei dunque in possesso della gioia, o Beata: hai ricevuto in eredità l'oggetto del tuo desiderio, la corona del tuo capo...

    Rallegrati e sii lieta, perché è risuscitato colui che è la tua gloria.

    Ti sei rallegrata della sua concezione, sei stata afflitta nella sua Passione.

    Rallegrati ora della sua risurrezione.

    Nessuno ti potrà togliere la tua gioia, perché Cristo risorto non muore più; la morte non ha più potere su di lui (Rm 6, 9).

    Me 25 Ott : Apocalisse 6,1-11.
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    Quando l'Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava come con voce di tuono: "Vieni". Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora. Quando l'Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che gridava: "Vieni". Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco.

    A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada. Quando l'Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: "Vieni".

    Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: "Una misura di grano per un danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati". Quando l'Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: "Vieni". Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro.

    Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l'Inferno.

    Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra. Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. E gridarono a gran voce: "Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra?". Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro.

    Me 25 Ott : Salmi 149(148),4-9.
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    Il Signore ama il suo popolo, incorona gli umili di vittoria. Esultino i fedeli nella gloria, sorgano lieti dai loro giacigli. Le lodi di Dio sulla loro bocca e la spada a due tagli nelle loro mani, per compiere la vendetta tra i popoli e punire le genti; per stringere in catene i loro capi, i loro nobili in ceppi di ferro; per eseguire su di essi il giudizio già scritto: questa è la gloria per tutti i suoi fedeli.

    Alleluia.

    Me 25 Ott : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 19,9-12.
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    Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio». Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli.

    Chi può capire, capisca».

    Me 25 Ott : Venerabile Madeleine Delbrêl
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    I celibi sono una piccola parte dell'umanità che, da parte di tutta l'umanità, rinuncia a ciò che è il più della stessa umanità, per lasciarsi prendere da Dio, e prendere interamente, "chi è sposato è diviso" (1Co 7,33) dice S.

    Paolo.

    E se questa piccola parte di umanità fa questa scelta verso il Signore è per vivere solamente l'Amore di cui egli ama l'umanità.

    Farne una storia personale è farne una piccola cosa.

    Il celibato è una funzione d'amore vissuta da parte del mondo intero.

    E ciò porta coloro che vi sono chiamati ad accettare la scelta della solitudine che il Signore ha fatto per loro.

    Un celibato che non fosse solitudine sarebbe una sostituzione.

    Accettare questa solitudine davanti a Dio è come il riscatto, il pegno della nostra disponibilità per l'amore. Il matrimonio è la somma di due vocazioni che si ritrovano nel medesimo focolare.

    I due si condizionano, si influenzano, si aiutano.

    Nel celibato si è soli davanti a Dio e Cristo diviene il coniuge.

    E' il suo regno il focolare e tutta l'umanità i figli.

    (...) Questa disponibilità non è che l'espressione di una uguale opzione per sradicarsi dalla terra ed impiantarsi in Cristo.

    "Ci sono alcuni che non si sposano per il regno dei cieli" (Mt 19,12), dice il Vangelo.

    Il comando del Signore: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima , con tutta la tua mente e con tutte le tue forze" (Mt 22,37) deve esser preso in modo radicale dal celibe.


    Rito romano

    Da Evangelizo.org:

    Ve 27 Ott : Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 7,18-25a.
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    Fratelli, io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!

    Ve 27 Ott : Salmi 119(118),66.68.76.77.93.94.
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    Insegnami il senno e la saggezza, perché ho fiducia nei tuoi comandamenti. Tu sei buono e fai il bene, insegnami i tuoi decreti. Mi consoli la tua grazia, secondo la tua promessa al tuo servo. Venga su di me la tua misericordia e avrò vita, poiché la tua legge è la mia gioia. Mai dimenticherò i tuoi precetti: per essi mi fai vivere. Io sono tuo: salvami, perché ho cercato il tuo volere.

    Ve 27 Ott : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 12,54-59.
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    In quel tempo, Gesù diceva alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada procura di accordarti con lui, perché non ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all'esecutore e questi ti getti in prigione. Ti assicuro, non ne uscirai finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo».

    Ve 27 Ott : Concilio Vaticano II
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    Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.

    La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti.

    Perciò si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.

    (...) Per questo il Concilio Vaticano II, avendo penetrato più a fondo il mistero della Chiesa, non esita ora a rivolgere la sua parola non più ai soli figli della Chiesa e a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti gli uomini.

    (…) Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura.

    (...) Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico.

    (...) Immersi in così contrastanti condizioni, moltissimi nostri contemporanei non sono in grado di identificare realmente i valori perenni e di armonizzarli dovutamente con le scoperte recenti.

    Per questo sentono il peso della inquietudine, tormentati tra la speranza e l'angoscia, mentre si interrogano sull'attuale andamento del mondo.

    Questo sfida l'uomo, anzi lo costringe a darsi una risposta.

    (…) La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione.

    (…) Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana.

    Gi 26 Ott : Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 6,19-23.
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    Fratelli, parlo con esempi umani, a causa della debolezza della vostra carne.

    Come avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità a pro dell'iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione. Quando infatti eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia. Ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi vergognate? Infatti il loro destino è la morte. Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna. Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore.

    Gi 26 Ott : Salmi 1,1-2.3.4.6.
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    Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte. Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere. Non così, non così gli empi: ma come pula che il vento disperde. Il Signore veglia sul cammino dei giusti, ma la via degli empi andrà in rovina.

    Gi 26 Ott : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 12,49-53.
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    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse gia acceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D'ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

    Gi 26 Ott : Santa Caterina da Siena
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    Mi ricordo, dolcissimo Padre, d'una serva di Dio [santa Caterina] alla quale fu rivelato quanto è caro a Dio ciò che si fa per la Chiesa, e ve lo dico affinché siate incoraggiato a patire per essa.

    So che una volta fra le altre questa serva di Dio desiderava ardentemente dare il suo sangue, distruggere e consumare tutto in lei per la Sposa di Cristo, per la santa Chiesa; si sforzava con la sua intelligenza di capire il suo nulla e la bontà di Dio nei suoi confronti; vedeva che Dio, per amore, le aveva dato l'essere e tutte le grazie, tutti i doni che vi aveva aggiunti.

    Vedendo e gustando questo amore, questo abisso di carità, non vedeva altro mezzo per ringraziarlo che amarlo; non potendo essergli utile, non sapeva come provargli il suo amore, allora cercava di amare per lui qualcosa che le permettesse di mostrare il suo amore.

    Ella vedeva che Dio ama di un amore infinito la creatura razionale, e questo amore ella lo trovava in se stessa e in tutti, perché noi tutti siamo amati da Dio: aveva dunque un mezzo di mostrare se amava Dio o no, poiché poteva così essergli utile.

    Allora si metteva con ardore ad amare il prossimo e sentiva un tale amore per la salvezza di lui, che avrebbe dato con gioia la vita per ottenerla.

    (...) Così quest'anima, vedendo tanta grandezza e profondità nella bontà di Dio, e ciò che doveva fare per piacergli di più, aumentava sempre più l'ardore del desiderio; le sembrava che se avesse potuto dare la vita mille volte al giorno fino al giudizio finale sarebbe stato meno di una goccia di vino nel mare; e ciò è anche vero.

    Me 25 Ott : Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 6,12-18.
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    Fratelli, non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri; non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti e le vostre membra come strumenti di giustizia per Dio. Il peccato infatti non dominerà più su di voi poiché non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia. Che dunque? Dobbiamo commettere peccati perché non siamo più sotto la legge, ma sotto la grazia? È assurdo! Non sapete voi che, se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale servite: sia del peccato che porta alla morte, sia dell'obbedienza che conduce alla giustizia? Rendiamo grazie a Dio, perché voi eravate schiavi del peccato, ma avete obbedito di cuore a quell'insegnamento che vi è stato trasmesso e così, liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia.

    Me 25 Ott : Salmi 124(123),1-3.4-6.7-8.
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    Se il Signore non fosse stato con noi, - lo dica Israele - se il Signore non fosse stato con noi, quando uomini ci assalirono, ci avrebbero inghiottiti vivi, nel furore della loro ira. Le acque ci avrebbero travolti; un torrente ci avrebbe sommersi, ci avrebbero travolti acque impetuose. Sia benedetto il Signore, che non ci ha lasciati, in preda ai loro denti. Noi siamo stati liberati come un uccello dal laccio dei cacciatori: il laccio si è spezzato e noi siamo scampati. Il nostro aiuto è nel nome del Signore che ha fatto cielo e terra.

    Me 25 Ott : Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 12,39-48.
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    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate». Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.

    A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

    Me 25 Ott : San Fulgenzio di Ruspe
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    Il Signore, volendo definire il ruolo particolare dei servi da lui preposti al suo popolo, disse: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro».

    (...) Se ci chiediamo quale sia questa razione di cibo, ce lo indica San Paolo quando dice: «Ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato» (Rm 12,3).

    Quella che Cristo chiama razione di cibo, Paolo chiama misura di fede, perché comprendiamo che il cibo spirituale non è altro che il mistero della fede cristiana.

    Noi vi diamo nel nome del Signore questa razione di cibo ogni volta che, illuminati dal dono della grazia spirituale, vi parliamo secondo i dettami della vera fede; e voi ricevete la medesima razione di cibo dalle mani degli amministratori del Signore, quando ogni giorno ascoltate la parola di verità dai ministri di Dio. Sia il nostro nutrimento, questa razione di cibo che Dio ci dà.

    Traiamone l'alimento della nostra retta condotta per giungere alla ricompensa della vita eterna.

    Crediamo in colui che dà se stesso a noi in cibo perché non veniamo meno lungo la strada (Mt 14,32), e che riserva se stesso per essere la nostra ricompensa, affinché troviamo la gioia nella patria.

    Crediamo e speriamo in lui.

    Amiamolo al di sopra di tutto e in tutto.

    Cristo infatti è il nostro alimento e sarà la nostra ricompensa.

    Cristo è il cibo e il conforto dei viaggiatori in cammino; è la sazietà e l'esultanza dei beati nel loro riposo.


    Santa Marta

    Omelie di Papa Francesco da Santa Marta, via 'cosa resta del giorno':

    Lo Spirito Santo ci ricorda l’accesso al Padre (17 maggio 2020)

    Discorsi e omelie di Papa Francesco

    Udienza Generale del 25 Ott 2023 - Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 24. I Santi Cirillo e Metodio, apostoli degli Slavi
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    Catechesi.

    La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 24. I Santi Cirillo e Metodio, apostoli degli Slavi

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi vi parlerò di due fratelli molto famosi in Oriente, al punto da essere chiamati “gli apostoli degli Slavi”: i Santi Cirillo e Metodio.

    Nati in Grecia nel IX secolo da famiglia aristocratica, rinunciano alla carriera politica per dedicarsi alla vita monastica.

    Ma il loro sogno di un’esistenza ritirata dura poco.

    Vengono inviati come missionari nella Grande Moravia, che all’epoca comprendeva vari popoli, già in parte evangelizzati, ma presso i quali sopravvivevano molti costumi e tradizioni pagani.

    Il loro principe chiedeva un maestro che spiegasse la fede cristiana nella loro lingua.

    Il primo impegno di Cirillo e Metodio è dunque studiare a fondo la cultura di quei popoli.

    Sempre quel ritornello: la fede va inculturata e la cultura va evangelizzata.

    Inculturazione della fede, evangelizzazione della cultura, sempre.

    Cirillo chiede se abbiano un alfabeto; gli rispondono di no.

    Ed egli replica: “Chi può scrivere un discorso sull’acqua?”.

    In effetti, per annunciare il Vangelo e per pregare ci voleva uno strumento proprio, adatto, specifico.

    Inventa così l’alfabeto glagolitico.

    Traduce la Bibbia e i testi liturgici.

    La gente sente che quella fede cristiana non è più “straniera”, ma diventa la loro fede, parlata nella lingua materna.

    Pensate: due monaci greci che danno un alfabeto agli Slavi.

    È questa apertura di cuore che ha radicato il Vangelo tra di loro.

    Non avevano paura questi due, erano coraggiosi.

    Ben presto, però, iniziano i contrasti da parte di alcuni Latini, che si vedono sottrarre il monopolio della predicazione tra gli Slavi, quella lotta dentro la Chiesa, sempre così.

    La loro obiezione è religiosa, ma solo in apparenza: Dio può essere lodato – dicono – solo nelle tre lingue scritte sulla croce, l’ebraico, il greco e il latino.

    Questi avevano la mentalità chiusa per difendere la propria autonomia.

    Ma Cirillo risponde con forza: Dio vuole che ogni popolo lo lodi nella propria lingua.

    Insieme al fratello Metodio si appella al Papa e questi approva i loro testi liturgici in lingua slava, li fa collocare sull’altare della chiesa di Santa Maria Maggiore e canta con loro le lodi del Signore secondo quei libri.

    Cirillo muore dopo pochi giorni, le sue reliquie sono ancora venerate qui a Roma, nella Basilica di San Clemente.

    Metodio, invece, viene ordinato vescovo e rimandato nei territori degli Slavi.

    Qui dovrà soffrire molto, sarà anche imprigionato, ma, fratelli e sorelle, noi sappiamo che la Parola di Dio non è incatenata e si diffonde tra quei popoli.

    Guardando la testimonianza di questi due evangelizzatori, che San Giovanni Paolo II ha voluto compatroni d’Europa e sui quali ha scritto l’Enciclica Slavorum Apostoli, vediamo tre aspetti importanti.

    Anzitutto, l’unità: i Greci, il Papa, gli Slavi: a quel tempo c’era in Europa una cristianità non divisa, che collaborava per evangelizzare.

    Un secondo aspetto importante è l’inculturazione, del quale ho detto qualcosa prima: evangelizzare la cultura e l’inculturazione fa vedere che l’evangelizzazione e cultura sono strettamente connesse.

    Non si può predicare un Vangelo in astratto, distillato, no: il Vangelo va inculturato ed è anche espressione della cultura.

    Un ultimo aspetto, la libertà.

    Nella predicazione ci vuole libertà ma la libertà ha sempre bisogno del coraggio, una persona è libera quanto è più coraggiosa e non si lascia incatenare da tante cose che le tolgono la libertà.

    Fratelli e sorelle, chiediamo ai Santi Cirillo e Metodio, apostoli degli Slavi, di essere strumenti di “libertà nella carità” per gli altri.

    Essere creativi, essere costanti ed essere umili, con la preghiera e con il servizio.

    _____________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française en particulier les personnes venues du Bénin, de Suisse et de France, en particulier les jeunes confirmés des diocèses de Rouen, Bayeux et Coutances accompagnés de leurs évêques.

    Nous fêterons la semaine prochaine la Solennité de tous les saints.

    Préparons-nous à cette belle fête.

    Que Dieu vous bénisse.

    [Desidero dare un caloroso benvenuto ai pellegrini di lingua francese, in particolare a quelli provenienti dal Benin, dalla Svizzera e dalla Francia, specialmente ai cresimati delle diocesi di Rouen, Bayeux e Coutances, accompagnati dai loro Vescovi.

    La prossima settimana ricorre la solennità di Tutti i Santi.

    Prepariamoci a questa bella festa.

    Dio vi benedica!]

    I greet the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Ireland, Albania, Denmark, Norway, Zimbabwe, Indonesia, the Philippines, Vietnam, Canada and the United States of America, in particular the Patrons of the Arts in the Vatican from Louisiana, the members of the Association of State Catholic Conference Directors and a group of military chaplains.

    Upon all of you and your families, I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ.

    May God bless you!

    [Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente i gruppi provenienti da Inghilterra, Irlanda, Albania, Danimarca, Norvegia, Zimbabwe, Indonesia, Filippine, Vietnam, Canada e Stati Uniti d’America; in particolare i Patrons dei Musei Vaticani, dallo Stato della Louisiana, i membri dell’Associazione dei Direttori delle Conferenze cattoliche statali e un gruppo di cappellani militari.

    Su di voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace del Signore Gesù Cristo.

    Dio vi benedica!]

    Einen herzlichen Gruß richte ich an die Pilger deutscher Sprache, besonders an die Schüler der Mädchenrealschule Volkach und des St.

    Raphael Gymnasium in Heidelberg.

    Nächste Woche begehen wir das Hochfest Allerheiligen.

    Hier in Rom kann man viele Orte entdecken, die uns dazu einladen, den Heiligen zu begegnen.

    Vertrauen wir all unsere Anliegen ihrer Fürsprache an.

    [Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua tedesca, in particolare agli alunni della Mädchenrealschule Volkach e del Sankt Raphael Gymnasium a Heidelberg.

    La settimana prossima ricorre la solennità di Tutti i Santi.

    Qui a Roma potete scoprire tanti luoghi che ci invitano ad incontrare i Santi.

    Affidiamo alla loro intercessione tutte le nostre intenzioni.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Pidamos al Señor, por intercesión de los santos Cirilo y Metodio, que nos conceda ser instrumentos de unidad, instrumentos de paz, estableciendo en nuestro entorno relaciones cordiales, que contribuyan a superar el odio y las contraposiciones que hieren y que dividen a la gran familia humana.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Queridos fiéis de língua portuguesa, sede bem-vindos.

    De modo especial, saúdo os grupos vindos do Brasil e de Portugal.

    Neste tempo, não deixemos que as nuvens dos conflitos escondam o sol da esperança.

    Entreguemos, antes, a Nossa Senhora a urgência da paz, para que todas as culturas se abram ao sopro de harmonia no Espírito.

    Deus vos abençoe! 

    [Cari fedeli di lingua portoghese, benvenuti.

    In modo speciale, saluto i gruppi qui pervenuti dal Brasile e dal Portogallo.

    In questo tempo, non lasciamo che le nuvole dei conflitti nascondano il sole della speranza.

    Anzi, affidiamo alla Madonna l’urgenza della pace affinché tutte le culture si aprano all’afflato di armonia nello Spirito.

    Dio vi benedica!]

    أُحيِّي المُؤمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العربِيَّة.

    يسوع هو النُّورُ الحَقِيقيّ.

    مَنْ يَسيرُ مَعَهُ لا يَتَعَثَّر.

    أليسَ هو مَنْ قالَ لنا: "أَنا نُورُ العالَم مَنْ يَتبَعْني لا يَمْشِ في الظَّلام بلْ يكونُ لَهُ نُورُ الحَياة"؟ (يوحنا 8، 12).

    بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    Gesù è la vera luce.

    Chi cammina con Lui non inciamperà.

    Non è stato Lui a dirci: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita»? (Gv 8,12).

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Pozdrawiam serdecznie wszystkich Polaków.

    W trwającym właśnie Tygodniu Misyjnym pamiętajcie w modlitwie szczególnie o tak wielu misjonarzach i misjonarkach pochodzących z Polski, którzy z pałającymi sercami głoszą Ewangelię na wszystkich kontynentach.

    Ci polscy misjonarze są wspaniali! Starajcie się, by w waszych wspólnotach nie słabły gorliwość i zaangażowanie w sprawy misji.

    Z serca wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente tutti i polacchi. Durante questa Settimana missionaria ricordate nella preghiera specialmente i numerosi missionari e le missionarie provenienti dalla Polonia che, con cuore ardente, annunciano il Vangelo in ogni Continente.

    Sono bravi questi missionari polacchi! Adoperatevi affinché lo zelo e l'impegno per la missione non diminuiscano nelle vostre comunità.

    Vi benedico di cuore.]

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    APPELLO

    Penso sempre alla grave situazione in Palestina e in Israele: incoraggio il rilascio degli ostaggi e l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza.

    Continuo a pregare per chi soffre e a sperare in percorsi di pace, in Medio Oriente, nella martoriata Ucraina e nelle altre regioni ferite dalla guerra.

    Ricordo a tutti che dopodomani, venerdì 27 ottobre, vivremo una giornata di digiuno, di preghiera e di penitenza; alle ore 18, in San Pietro, ci raduneremo a pregare per implorare la pace nel mondo.

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, ai fedeli della Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca venuti assieme al Vescovo Vito Angiuli come espressione di gratitudine per la recente Beatificazione di Elisa Martinez, fondatrice delle Figlie di Santa Maria di Leuca.

    A voi, religiose di questo Istituto, come pure alle Suore Francescane della Santissima Annunziata auguro un sereno e proficuo Capitolo Generale.

    Saluto gli ufficiali e i militari giunti da Predazzo, Gaeta, Bari e Orvieto in occasione delle prossime celebrazioni per il 250mo anniversario della fondazione della Guardia di Finanza.

    Accolgo con affetto i membri dell’Associazione “Vivere il tumore attivamente” di Chieri, gli studenti dell’Istituto “Maria Santissima Preziosa” di Casal di Principe e i numerosi gruppi parrocchiali, specialmente quelli di San Ferdinando di Puglia e di Frasso Telesino.

    Saluto infine i giovani, gli anziani, gli ammalati e gli sposi novelli.

    Esorto tutti a pregare quotidianamente il santo Rosario, imparando dalla Vergine Maria a vivere ogni avvenimento in unione con Gesù.

    A tutti la mia Benedizione.

    Messaggio del Santo Padre ai partecipanti all’VIII Festival della Migrazione [Modena e altre città emiliane, 25-28 Ott 2023] (23 Ott 2023)
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    Cari fratelli e sorelle,

    saluto tutti voi che partecipate all’ottava edizione del Festival della Migrazione, intitolato “Liberi di partire, liberi di restare”.

    Mi congratulo vivamente con gli organizzatori di questo importante evento, tra i quali la Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana.

    Il tema del Festival riprende quello del Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato di quest’anno, dedicato alla libertà di scegliere se migrare o restare.

    Ed è ancora più chiaro il riferimento all’iniziativa di solidarietà promossa qualche anno fa dalla Conferenza Episcopale Italiana, che cito proprio nel mio Messaggio come risposta concreta alle sfide delle migrazioni contemporanee.

    Nei vostri lavori intendete riflettere sui flussi migratori contemporanei attraverso considerazioni che vadano oltre l’emergenza, nella consapevolezza che ci troviamo di fronte a un fenomeno poliedrico, articolato, globale e a lungo termine.

    Per questo le risposte alle sfide migratorie di oggi non possono che essere articolate, globali e a lungo termine.

    Vi proponete di ribadire la centralità della persona umana nel disegno di politiche e programmi migratori, con attenzione particolare alle categorie più vulnerabili, come le donne e i minori.

    In effetti, il principio del primato della persona umana e della sua inviolabile dignità «ci obbliga ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale» (Messaggio per la G.M.

    del Migrante e del Rifugiato 2018).

    E ancora, «Gesù Cristo ci chiede di non cedere alla logica del mondo, che giustifica la prevaricazione sugli altri per il mio tornaconto personale o quello del mio gruppo: prima io e poi gli altri! Invece il vero motto del cristiano è ‘prima gli ultimi!’» (Messaggio per la G.M.

    del Migrante e del Rifugiato 2019).

    Vi incoraggio a sviluppare proposte concrete per favorire una migrazione regolare e sicura.

    Su questa linea, «è necessario moltiplicare gli sforzi per combattere le reti criminali, che speculano sui sogni dei migranti.

    Ma è altrettanto necessario indicare strade più sicure.

    Per questo, bisogna impegnarsi ad ampliare i canali migratori regolari» (Riflessione nel Momento di preghiera per i migranti, 19 ottobre 2023).

    Ma nello stesso tempo occorre adoperarsi alacremente per garantire a tutti e tutte il diritto a non dover migrare.

    «I migranti scappano per povertà, per paura, per disperazione.

    Al fine di eliminare queste cause e porre così termine alle migrazioni forzate è necessario l’impegno comune di tutti, ciascuno secondo le proprie responsabilità.

    Un impegno che comincia col chiederci che cosa possiamo fare, ma anche cosa dobbiamo smettere di fare.

    Dobbiamo prodigarci per fermare la corsa agli armamenti, il colonialismo economico, la razzia delle risorse altrui, la devastazione della nostra casa comune» (Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2023).

    Il Signore benedica i vostri lavori e, per intercessione di Maria Santissima, sostenga sempre il vostro impegno ad accogliere, proteggere, promuovere e integrare tutti i migranti e i rifugiati che bussano alla nostra porta.                                                                

    Roma, San Giovanni in Laterano, 23 ottobre 2023.

    FRANCESCO

    Angelus, 22 Ott 2023
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Il Vangelo della Liturgia odierna ci racconta che alcuni farisei si uniscono agli erodiani per tendere una trappola a Gesù.

    Sempre cercavano di tendergli delle trappole.

    Vanno da Lui e gli chiedono: «È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?» (Mt 22,17).

    È un inganno: se Gesù legittima la tassa, si mette dalla parte di un potere politico mal sopportato dal popolo, mentre se dice di non pagarla può essere accusato di ribellione contro l’impero.

    Una vera trappola.

    Egli però sfugge a questa insidia.

    Chiede di mostrargli una moneta, che porta impressa l’immagine di Cesare, e dice loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (v.

    21).

    Che cosa significa questo?

    Queste parole di Gesù sono diventate di uso comune, ma a volte sono state utilizzate in modo sbagliato – o almeno riduttivo – per parlare dei rapporti tra Chiesa e Stato, tra cristiani e politica; spesso vengono intese come se Gesù volesse separare “Cesare” e “Dio”, cioè la realtà terrena e quella spirituale.

    A volte anche noi pensiamo così: una cosa è la fede con le sue pratiche e un’altra cosa la vita di tutti i giorni.

    E questo non va.

    Questa è una “schizofrenia”, come se la fede non avesse nulla a che fare con la vita concreta, con le sfide della società, con la giustizia sociale, con la politica e così via.

    In realtà, Gesù vuole aiutarci a collocare “Cesare” e “Dio” ciascuno nella sua importanza.

    A Cesare – cioè alla politica, alle istituzioni civili, ai processi sociali ed economici – appartiene la cura dell’ordine terreno; e noi, che in questa realtà siamo immersi, dobbiamo restituire alla società quanto ci offre attraverso il nostro contributo di cittadini responsabili, avendo attenzione a quanto ci viene affidato, promuovendo il diritto e la giustizia nel mondo del lavoro, pagando onestamente le tasse, impegnandoci per il bene comune, e così via.

    Allo stesso tempo, però, Gesù afferma la realtà fondamentale: che a Dio appartiene l’uomo, tutto l’uomo e ogni essere umano.

    E ciò significa che noi non apparteniamo a nessuna realtà terrena, a nessun “Cesare” di turno.

    Siamo del Signore e non dobbiamo essere schiavi di nessun potere mondano.

    Sulla moneta, dunque, c’è l’immagine dell’imperatore, ma Gesù ci ricorda che nella nostra vita è impressa l’immagine di Dio, che niente e nessuno può oscurare.

    A Cesare appartengono le cose di questo mondo, ma l’uomo e il mondo stesso appartengono a Dio: non dimentichiamolo!

    Comprendiamo allora che Gesù sta riportando ciascuno di noi alla propria identità: sulla moneta di questo mondo c’è l’immagine di Cesare, ma tu – io, ognuno di noi – quale immagine porti dentro di te? Facciamoci questa domanda: io, quale immagino porto dentro di me? Tu, di chi sei immagine nella tua vita? Ci ricordiamo di appartenere al Signore, oppure ci lasciamo plasmare dalle logiche del mondo e facciamo del lavoro, della politica, dei soldi i nostri idoli da adorare?

    La Vergine Santa ci aiuti a riconoscere e onorare la nostra dignità e quella di ogni essere umano.

    ______________________________

    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle,

    Ancora una volta il mio pensiero va a quanto sta accadendo in Israele e in Palestina.

    Sono molto preoccupato, addolorato, prego e sono vicino a tutti coloro che soffrono, agli ostaggi, ai feriti, alle vittime e ai loro familiari.

    Penso alla grave situazione umanitaria a Gaza e mi addolora che anche l’ospedale anglicano e la parrocchia greco-ortodossa siano stati colpiti nei giorni scorsi.

    Rinnovo il mio appello affinché si aprano degli spazi, si continuino a far arrivare gli aiuti umanitari e si liberino gli ostaggi.

    La guerra, ogni guerra che c’è nel mondo – penso anche alla martoriata Ucraina – è una sconfitta.

    La guerra sempre è una sconfitta, è una distruzione della fraternità umana.

    Fratelli, fermatevi! Fermatevi!

    Ricordo che per venerdì prossimo, 27 ottobre, ho indetto una giornata di digiuno, di preghiera e di penitenza, e che quella sera alle ore 18.00 in San Pietro vivremo un’ora di preghiera per implorare la pace nel mondo.

    Oggi si celebra la Giornata Missionaria Mondiale, che ha per tema “Cuore ardente, piedi in cammino”.

    Due immagini che dicono tutto! Esorto tutti, nelle diocesi e nelle parrocchie, a partecipare attivamente.

    Saluto tutti voi, romani e pellegrini, in particolare le suore Siervas de los Pobres hijas del sagrado Corazón de Jesús, da Granada; i membri del Centro Académico Romano Fundación; la Confraternita del Señor de los Milagros, dei peruviani a Roma: e grazie, grazie per la vostra testimonianza! Continuate così, con questa pietà tanto bella.

    Saluto i membri del Movimento missionario laicale “Tutti custodi di umanità”, il Coro polifonico “S.

    Antonio Abate” di Cordenons e le associazioni di fedeli da Napoli e da Casagiove.

    Saluto anche i ragazzi di “Casa Giardino” di Casalmaggiore, il gruppo di giovani amici della Comunità dell’Emmanuele, i dirigenti e i professori della Scuola cattolica “Jean XXIII” di Toulon, gli studenti del Liceo “St.

    Croix” di Neuilly.

    A tutti auguro una buona domenica.

    Anche a voi, ragazzi dell’Immacolata.

    E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci!

    Riflessione del Santo Padre - Momento di preghiera per i migranti e i rifugiati (19 Ott 2023)
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    Non saremo mai abbastanza grati a San Luca per averci trasmesso questa parabola del Signore (cfr Lc 10,25-37).

    Essa è anche al centro dell’Enciclica Fratelli tutti, perché è una chiave, direi la chiave per passare dalla chiusura di un mondo a un mondo aperto, da un mondo in guerra alla pace di un altro mondo.

    Stasera l’abbiamo ascoltata pensando ai migranti, che vediamo rappresentati in questa grande scultura: uomini e donne di ogni età e provenienza; e in mezzo a loro gli angeli, che li conducono.

    La strada che da Gerusalemme portava a Gerico non era un cammino sicuro, come oggi non lo sono le numerose rotte migratorie che attraversano deserti, foreste, fiumi, mari.

    Quanti fratelli e sorelle oggi si ritrovano nella medesima condizione del viandante della parabola? Tanti! Quanti vengono derubati, spogliati e percossi lungo la strada? Partono ingannati da trafficanti senza scrupoli.

    Vengono poi venduti come merce di scambio.

    Vengono sequestrati, imprigionati, sfruttati e resi schiavi.

    Vengono umiliati, torturati, violentati.

    E tanti, tanti muoiono senza arrivare mai alla meta.

    Le rotte migratorie del nostro tempo sono popolate da uomini e donne feriti e lasciati mezzi morti, da fratelli e sorelle il cui dolore grida al cospetto di Dio.

    Spesso sono persone che scappano dalla guerra e dal terrorismo, come vediamo purtroppo in questi giorni.

    Anche oggi, come allora, c’è chi vede e passa oltre, sicuramente dandosi una buona giustificazione, in realtà per egoismo, indifferenza, paura.

    Questa è la verità.

    Invece, cosa dice il Vangelo di quel samaritano? Dice che vide quell’uomo ferito e ne ebbe compassione (v.

    33).

    Questa è la chiave.

    La compassione è l’impronta di Dio nel nostro cuore.

    Lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza: questo è lo stile di Dio.

    E la compassione è impronta di Dio nel nostro cuore.

    Questa è la chiave.

    Qui c’è la svolta.

    Infatti da quel momento la vita di quel ferito comincia a risollevarsi, grazie a quell’estraneo che si è comportato da fratello.

    E così il frutto non è solo una buona azione di assistenza, il frutto è la fraternità.

    Come il buon samaritano, siamo chiamati a farci prossimi di tutti i viandanti di oggi, per salvare le loro vite, curare le loro ferite, lenire il loro dolore.

    Per molti, purtroppo, è troppo tardi e non ci resta che piangere sulle loro tombe, se ne hanno una, o il Mediterraneo è finito per essere la tomba.

    Ma il Signore conosce il volto di ciascuno, e non lo dimentica.

    Il buon samaritano non si limita a soccorrere il povero viandante sulla strada.

    Lo carica sul suo giumento, lo porta a una locanda e si prende cura di lui.

    Qui possiamo trovare il senso dei quattro verbi che riassumono la nostra azione con i migranti: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.

    I migranti vanno accolti, protetti, promossi e integrati.

    Si tratta di una responsabilità a lungo termine, infatti il buon samaritano si impegna sia all’andata sia al ritorno.

    Per questo è importante prepararci adeguatamente alle sfide delle migrazioni odierne, comprendendone sì le criticità, ma anche le opportunità che esse offrono, in vista della crescita di società più inclusive, più belle, più pacifiche.

    Mi permetto di evidenziare l’urgenza di un’altra azione, che non è contemplata dalla parabola.

    Dobbiamo tutti impegnarci a rendere più sicura la strada, affinché i viandanti di oggi non cadano vittime dei briganti.

    È necessario moltiplicare gli sforzi per combattere le reti criminali, che speculano sui sogni dei migranti.

    Ma è altrettanto necessario indicare strade più sicure.

    Per questo, bisogna impegnarsi ad ampliare i canali migratori regolari.

    Nello scenario mondiale attuale è evidente come sia necessario mettere in dialogo le politiche demografiche ed economiche con quelle migratorie a beneficio di tutte le persone coinvolte, senza mai dimenticarci di mettere al centro i più vulnerabili.

    È anche necessario promuovere un approccio comune e corresponsabile al governo dei flussi migratori, che sembrano destinati ad aumentare nei prossimi anni.

    Accogliere, proteggere, promuovere e integrare: questo è il lavoro che noi dobbiamo fare.

    Chiediamo al Signore la grazia di farci prossimi a tutti i migranti e i rifugiati che bussano alla nostra porta, perché oggi «chiunque non è brigante e chiunque non passa a distanza, o è ferito o sta portando sulle sue spalle qualche ferito» (Fratelli tutti, 70).

    E adesso faremo un breve momento di silenzio, ricordando tutti coloro che non ce l’hanno fatta, che hanno perso la vita lungo le diverse rotte migratorie, e coloro che sono stati usati, schiavizzati.

    Udienza Generale del 18 Ott 2023 - Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 23. San Charles de Foucauld, cuore pulsante di carità nella vita nascosta
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    Catechesi.

    La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 23.

    San Charles de Foucauld, cuore pulsante di carità nella vita nascosta

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Proseguiamo nel nostro incontro con alcuni cristiani testimoni, ricchi di zelo nell’annuncio del Vangelo.

    Lo zelo apostolico, lo zelo per l’annuncio: noi stiamo passando in rassegna alcuni cristiani che sono stati esempio di questo zelo apostolico.

    Oggi vorrei parlarvi di un uomo che ha fatto di Gesù e dei fratelli più poveri la passione della sua vita.

    Mi riferisco a san Charles de Foucauld il quale, «a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti» (Lett.

    enc.

    Fratelli tutti, 286).

    E qual è stato il “segreto” di Charles de Foucauld, della sua vita? Egli, dopo aver vissuto una gioventù lontana da Dio, senza credere in nulla se non alla ricerca disordinata del piacere, lo confida a un amico non credente, a cui, dopo essersi convertito accogliendo la grazia del perdono di Dio nella Confessione, rivela la ragione del suo vivere.

    Scrive: «Ho perso il mio cuore per Gesù di Nazaret» [1].

    Fratel Carlo ci ricorda così che il primo passo per evangelizzare è aver Gesù dentro il cuore, è “perdere la testa” per Lui.

    Se ciò non avviene, difficilmente riusciamo a mostrarlo con la vita.

    Rischiamo invece di parlare di noi stessi, del nostro gruppo di appartenenza, di una morale o, peggio ancora, di un insieme di regole, ma non di Gesù, del suo amore, della sua misericordia.

    Questo io lo vedo in qualche movimento nuovo che sta sorgendo: parlano della loro visione dell’umanità, parlano della loro spiritualità e loro si sentono una strada nuova… Ma perché non parlate di Gesù? Parlano di tante cose, di organizzazione, di cammini spirituali, ma non sanno parlare di Gesù.

    Credo che oggi sarebbe bello che ognuno di noi si domandi: Io, ho Gesù al centro del cuore? Ho perso un po’ la testa per Gesù?

    Charles sì, al punto che passa dall’ attrazione per Gesù all’ imitazione di Gesù.

    Consigliato dal suo confessore, va in Terra santa per visitare i luoghi in cui il Signore ha vissuto e per camminare dove il Maestro ha camminato.

    In particolare è a Nazaret che comprende di doversi formare alla scuola di Cristo.

    Vive un rapporto intenso con il Signore, passa lunghe ore a leggere i Vangeli e si sente suo piccolo fratello.

    E conoscendo Gesù, nasce in lui il desiderio di farlo conoscere.

    Sempre succede così: quando ognuno di noi conosce di più Gesù, nasce il desiderio di farlo conoscere, di condividere questo tesoro.

    Nel commentare il racconto della visita della Madonna a Sant’Elisabetta, Gli fa dire: «Mi sono donato al mondo… portatemi al mondo». Sì, ma come fare? Come Maria nel mistero della Visitazione: «in silenzio, con l’esempio, con la vita» [2].

    Con la vita, perché «tutta la nostra esistenza – scrive fratel Carlo – deve gridare il Vangelo»  [3].

    E tante volte la nostra esistenza grida mondanità, grida tante cose stupide, cose strane e lui dice: “No, tutta la nostra esistenza deve gridare il Vangelo”.

    Egli allora decide di stabilirsi in regioni lontane per gridare il Vangelo nel silenzio, vivendo nello spirito di Nazaret, in povertà e nascondimento.

    Va nel deserto del Sahara, tra i non cristiani, e lì giunge come amico e fratello, portando la mitezza di Gesù-Eucarestia.

    Charles lascia che sia Gesù ad agire silenziosamente, convinto che la “vita eucaristica” evangelizzi.

    Crede infatti che Cristo è il primo evangelizzatore.

    Così sta in preghiera ai piedi di Gesù, davanti al tabernacolo, per una decina di ore al giorno, certo che la forza evangelizzatrice sta lì e sentendo che è Gesù a portarlo vicino a tanti fratelli lontani.

    E noi, mi chiedo, crediamo nella forza dell’Eucarestia? Il nostro andare verso gli altri, il nostro servizio, trova lì, nell’adorazione, il suo inizio e il suo compimento? Sono convinto che noi abbiamo perso il senso dell’adorazione; dobbiamo riprenderlo, incominciando da noi consacrati, i vescovi, i sacerdoti, le suore e tutti i consacrati.

    “Perdere” tempo davanti al tabernacolo, riprendere il senso dell’adorazione.

    Charles de Foucauld scrisse: «Ogni cristiano è apostolo» [4]; e ricorda a un amico che «vicino ai preti ci vogliono dei laici che vedono quello che il prete non vede, che evangelizzano con una vicinanza di carità, con una bontà per tutti, con un affetto sempre pronto a donarsi»  [5].

    I laici santi, non arrampicatori.

    E quei laici, quel laico, quella laica che sono innamorati di Gesù fanno capire al prete che lui non è un funzionario, che lui è un mediatore, un sacerdote.

    Quanto bisogno abbiamo noi sacerdoti di avere accanto a noi questi laici che credono sul serio e con la loro testimonianza ci insegnano la strada.

    Charles de Foucauld con questa esperienza anticipa i tempi del  Concilio Vaticano II, intuisce l’importanza dei laici e comprende che l’annuncio del Vangelo spetta all’intero popolo di Dio.

    Ma come possiamo accrescere questa partecipazione? Come ha fatto Charles de Foucauld: mettendoci in ginocchio e accogliendo l’azione dello Spirito, che sempre suscita modi nuovi per coinvolgere, incontrare, ascoltare e dialogare, sempre nella collaborazione e nella fiducia, sempre in comunione con la Chiesa e con i pastori.

    San Charles de Foucauld, figura che è profezia per il nostro tempo, ha testimoniato la bellezza di comunicare il Vangelo attraverso  l’apostolato della mitezza: lui, che si sentiva “fratello universale” e accoglieva tutti, ci mostra la forza evangelizzatrice della mitezza, della tenerezza.

    Non dimentichiamo che lo stile di Dio sta in tre parole: vicinanza, compassione e tenerezza.

    Dio è sempre vicino, sempre è compassionevole, sempre è tenero.

    E la testimonianza cristiana deve andare per questa strada: di vicinanza, di compassione, di tenerezza.

    E lui era così, mite e tenero.

    Desiderava che chiunque lo incontrasse vedesse, attraverso la sua bontà, la bontà di Gesù.

    Diceva di essere, infatti, «servitore di uno che è molto più buono di me»  [6].

    Vivere la bontà di Gesù lo portava a stringere legami fraterni e di amicizia con i poveri, con i Tuareg, con i più lontani dalla sua mentalità.

    Pian piano questi legami generavano fraternità, inclusione, valorizzazione della cultura dell’altro.

    La bontà è semplice e chiede di essere persone semplici, che non hanno paura di donare un sorriso.

    E con il sorriso, con la sua semplicità Fratel Carlo faceva testimonianza del Vangelo.

    Mai proselitismo, mai: testimonianza.

    L’evangelizzazione non si fa per proselitismo, ma per testimonianza, per attrazione.

    Chiediamoci allora infine se portiamo in noi e agli altri la gioia cristiana, la mitezza cristiana, la tenerezza cristiana, la compassione cristiana, la vicinanza cristiana.

    Grazie.

    ______________________________________________________

    [1] Lettres à un ami de lycée.

    Correspondance avec Gabriel Tourdes (1874-1915), Paris 2010, 161.

    [2] Crier l’Evangile, Montrouge 2004, 49.

    [3] M/314 in C.

    de Foucauld, La bonté de Dieu.

    Méditations sur les Saints Evangiles (1), Montrouge 2002, 285.

    [4]  Lettera a Joseph Hours, in  Correspondances lyonnaises (1904-1916), Paris 2005, 92.

    [5] Ivi, 90.

    [6] Carnets de Tamanrasset (1905-1916), Paris 1986, 188.

    ______________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française présents à cette audience, notamment les groupes de paroissiens et d’élèves venus de Suisse, de Côte d’Ivoire, de France et du Maroc, notamment la Délégation de l’Institut oecuménique de théologie Al Mowafaqa, accompagnée par le Cardinal Cristobal Lopez Romero et Madame Karen Smith.

    Puisse saint Charles de Foucauld, nous apprendre la valeur du silence et la force évangélisatrice d’une vie cachée en Dieu.

    Que le Seigneur vous bénisse !

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese presenti a questa udienza, in particolare i gruppi di parrocchiani e di studenti giunti dalla Svizzera, dalla Costa d'Avorio, dalla Francia e dal Marocco, tra cui la delegazione dell'Istituto Teologico Ecumenico Al Mowafaqa, accompagnata dal cardinale Cristobal Lopez Romero e dalla Signora Karen Smith.

    San Charles de Foucauld ci insegni il valore del silenzio e la forza evangelizzatrice di una vita nascosta in Dio.

    Il Signore vi benedica!]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from Ireland, Norway, Indonesia, Malaysia, the Philippines, Vietnam, Canada and the United States of America.

    I offer a special greeting to the university students taking part in the Rome International Seminar for Peace.

    I also greet the priests of the Institute for Continuing Theological Education of the Pontifical North American College.

    Upon all of you I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ.

    God bless you!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Irlanda, Norvegia, Indonesia, Malaysia, Filippine, Vietnam, Canada e Stati Uniti d’America.

    Rivolgo un particolare saluto ai giovani universitari partecipanti al Roma Seminario Internazionale per la Pace.

    Accolgo inoltre i sacerdoti dell’Istituto di Formazione Teologica Permanente del Pontificio Collegio Americano del Nord.

    Su tutti voi invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo.

    Dio vi benedica!]

    Herzlich grüße ich die Gläubigen deutscher Sprache.

    Der heilige Charles de Foucauld erinnert uns daran, dass jeder Christ zum Apostolat gerufen ist.

    In der Anbetung Jesu in der heiligsten Eucharistie werden wir seiner Sanftmut und Güte teilhaftig und können so allen Menschen ein attraktives Zeugnis der Freude und der Schönheit des Evangeliums geben.

    [Saluto cordialmente i fedeli di lingua tedesca.

    San Charles de Foucauld ci ricorda che ogni cristiano è chiamato all’apostolato.

    Adorando Gesù nella Santissima Eucaristia, possiamo accogliere in noi la sua mitezza e la sua bontà per offrire a tutti gli uomini una testimonianza attraente della gioia e della bellezza del Vangelo.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    El próximo domingo celebraremos la Jornada Mundial de las Misiones.

    Pidamos al Señor que nos ayude a anunciar la Buena Nueva con alegría, con sencillez de corazón, al estilo de san Carlos de Foucauld.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa, Reina de las misiones, los cuide.

    Muchas gracias.

    Saúdo os diversos grupos vindos de Portugal e do Brasil, de modo especial as Irmãs Franciscanas de Nossa Senhora do Bom Conselho.

    Do exemplo de São Charles de Foucault aprendamos a anunciar o Evangelho através da mansidão e da ternura.

    Que Deus vos abençoe e vos proteja de todo o mal!

    [Saluto i diversi gruppi venuti dal Portogallo e dal Brasile, in modo speciale le Suore Francescane di Nostra Signora del Buon Consiglio.

    Dall’esempio di San Charles de Foucauld impariamo ad annunciare il Vangelo attraverso la mitezza e la tenerezza.

    Dio vi benedica e vi protegga da ogni male!]

    أُحيِّي المُؤمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العربِيَّة.

    في شهرِ تشرينِ الأوَّل/أكتوبر المخصَّصِ لِسَيِّدَةِ الورديَّة، أَدعوكُم إلى أنْ تتأمَّلُوا معَ والِدَةِ االله في أسرارِ حياةِ المسيح، وتَطلُبوا شفاعَتَها مِن أجلِ احتياجاتِ الكنيسةِ والعالم.

    بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    In questo mese di ottobre dedicato alla Vergine del Rosario, vi invito a contemplare con la Madre di Dio i misteri della vita di Cristo, invocando la sua intercessione per le necessità della Chiesa e del mondo.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Pozdrawiam serdecznie wszystkich Polaków.

    W ubiegły poniedziałek wspominaliśmy 45.

    rocznicę wyboru Karola Wojtyły na Stolicę Piotrową.

    Za jego pontyfikatu z wielką mocą wybrzmiało wezwanie do otwarcia drzwi Chrystusowi.

    Wydało to owoce zarówno w postaci osobistych nawróceń, jak i przemian społecznych w wielu krajach zamkniętych dotąd na Chrystusa.

    Idąc za przykładem tego świętego Papieża, kontynuujcie zainicjowane przez niego dzieło nowej ewangelizacji.

    Z serca wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente tutti i polacchi.

    Lunedì scorso abbiamo ricordato il 45mo anniversario dell’elezione di Karol Wojtyla alla Sede di Pietro.

    Durante il suo pontificato è risuonato con grande forza l'appello a spalancare le porte a Cristo.

    Questo ha portato frutti sia nelle conversioni personali che nei cambiamenti sociali in molti Paesi fino ad allora chiusi a Cristo.

    Seguendo l'esempio di questo santo Papa, continuate l'opera di nuova evangelizzazione da lui avviata.

    Vi benedico di cuore.]

    ____________________________________________________________

    APPELLO

    Anche oggi il pensiero va in Israele e in Palestina.

    Le vittime aumentano e la situazione a Gaza è disperata.

    Si faccia, per favore, tutto il possibile per evitare una catastrofe umanitaria!

    Inquieta il possibile allargamento del conflitto, mentre nel mondo tanti fronti bellici sono già aperti.

    Tacciano le armi! Si ascolti il grido di pace dei popoli, della gente, dei bambini! Fratelli e sorelle, la guerra non risolve alcun problema, semina solo morte e distruzione, aumenta l’odio e moltiplica la vendetta.

    La guerra cancella il futuro.

    Esorto i credenti a prendere in questo conflitto una sola parte: quella della pace; ma non a parole, con la preghiera, con la dedizione totale.

    Pensando a questo, ho deciso di indire, venerdì 27 ottobre, una giornata di digiuno e preghiera, di penitenza, alla quale invito a unirsi, nel modo che riterranno opportuno, le sorelle e i fratelli delle varie confessioni cristiane, gli appartenenti ad altre religioni e quanti hanno a cuore la causa della pace nel mondo.

    Quella sera alle ore 18.00 in San Pietro vivremo, in spirito di penitenza, un’ora di preghiera per implorare sui nostri giorni la pace, la pace in questo mondo.

    Chiedo a tutte le Chiese particolari di parteciparvi, predisponendo iniziative simili che coinvolgano il Popolo di Dio.

    * * *

    Domenica prossima si celebra la Giornata Missionaria Mondiale, che ha per tema “Cuori ardenti, piedi in cammino”.

    Esorto le diocesi, le parrocchie, tutte le comunità a partecipare attivamente a questo importante appuntamento annuale con la preghiera e il sostegno concreto alle necessità della missione evangelizzatrice della Chiesa.

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, ai cresimati della Diocesi di Faenza – fanno rumore questi! – accompagnati dal Vescovo Mario Toso: cari giovani mettete Gesù al centro del cuore, vivete il rapporto con Lui, per poterlo conoscere e testimoniare nel mondo.

    Saluto i fedeli della parrocchia di Santa Teresa del Bambino Gesù in Battipaglia, e gli studenti dell’Istituto Mattei di Aversa.

    Accolgo con particolare affetto e gratitudine i membri delle numerose Associazioni presenti, innanzitutto gli “Amici della speranza” di Villasanta – ci vuole, seminare speranza! –, che aiutano le persone con disabilità, i “Pensionati della Banca di Roma” nel 70mo della fondazione, e gli “Amici del day hospital oncologico” di Guastalla.

    Saluto infine i giovani, gli anziani, gli ammalati e gli sposi novelli.

    Oggi ricorre la festa di san Luca, il suo Vangelo ci ricorda che la missione della Chiesa è possibile soltanto se sappiamo essere molto uniti a Dio con la preghiera e interamente disposti a metterci nelle sue mani.

    Fratelli e sorelle, per favore, continuiamo a pregare per la pace e non dimentichiamo la martoriata Ucraina, che adesso non se ne parla ma il dramma continua.

    A tutti la mia Benedizione.

    Messaggio per la Giornata Mondiale dell'Alimentazione 2023 (16 Ott 2023)
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    A Sua Eccellenza
    il signor Qu Dongyu
    Direttore Generale della FAO

    Eccellenza,

    La Giornata Mondiale dell’Alimentazione  si celebra in una congiuntura in cui la miseria e lo sconforto non danno tregua a molti nostri fratelli.

    Di fatto, il grido di angoscia e di disperazione dei poveri deve risvegliarci dal letargo che ci attanaglia e interpellare le nostre coscienze.

    La condizione di fame e di denutrizione che ferisce gravemente tanti esseri umani è il risultato di un iniquo cumulo di ingiustizie e di disuguaglianze che lascia molti buttati sul ciglio della strada della vita e permette a pochi di godere di uno stato di ostentazione e di opulenza.  Ciò si applica non solo al cibo,  ma anche a tutte alle risorse fondamentali, la cui inaccessibilità per molte persone costituisce un affronto alla loro dignità intrinseca, donata da Dio.

    È, senza dubbio, un insulto che dovrebbe far arrossire l’intera umanità e mobilitare la comunità internazionale.

     In tale senso, il tema su cui s’incentrano le riflessioni della Giornata di quest’anno: “L’acqua è vita, l’acqua è cibo.

    Non lasciare indietro nessuno”,  invita a sottolineare il valore insostituibile di questa risorsa per tutti gli esseri viventi del nostro pianeta, e da ciò deriva la perentorietà di pianificare e attuare la sua gestione in maniera saggia, attenta e sostenibile, di modo che tutti possano beneficarne per soddisfare i propri bisogni essenziali, e si possa anche sostenere e promuovere l’adeguato sviluppo umano, senza che nessuno venga escluso.

    L’acqua è vita  perché garantisce la sopravvivenza; tuttavia, attualmente questa risorsa è minacciata da gravi sfide in termini di quantità e di qualità.

    In molti luoghi del pianeta, i nostri fratelli sono malati o muoiono proprio per l’assenza o per la scarsità di acqua potabile.

    Le siccità provocate dal cambiamento climatico stanno rendendo sterili vaste regioni e causando enormi danni a ecosistemi e popolazioni.

    L’arbitraria gestione delle risorse idriche, il loro uso distorto e la contaminazione danneggiano soprattutto gli indigenti e costituiscono un vergognoso oltraggio dinanzi al quale non possiamo restare a braccia conserte.

    Al contrario, dobbiamo riconoscere con urgenza che «l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani» (Lettera enciclica Laudato si’, n.

    30).

    È pertanto imprescindibile investire di più in infrastrutture, in reti fognarie, in sistemi di sanificazione e depurazione delle acque reflue, in particolare nelle zone rurali più remote e depresse.

    È altresì importante elaborare modelli educativi e culturali che sensibilizzino la società affinché si rispetti e si preservi questo bene primario.

    Non bisogna mai considerare l’acqua come una mera merce, come un prodotto di scambio o un articolo su cui speculare.

    L’acqua è cibo  perché è essenziale per garantire la sicurezza alimentare, essendo un mezzo di produzione e un componente indispensabile per l’agricoltura.

    Nelle coltivazioni è necessario promuovere programmi efficaci che evitino le perdite nelle tubature per l’irrigazione agricola; utilizzare pesticidi e fertilizzanti organici e inorganici che non inquinino l’acqua; favorire anche misure che salvaguardino la disponibilità delle risorse idriche per impedire che una loro grave carenza diventi causa di conflitti tra comunità, popoli e nazioni.

    Inoltre la scienza e l’innovazione tecnologica e digitale devono mettersi al servizio di un equilibrio sostenibile tra il consumo e le risorse disponibili, evitando impatti negativi sugli ecosistemi e danni irreversibili all’ambiente.

    Per questo gli organismi internazionali, i governi, la società civile, le imprese, le istituzioni accademiche e di ricerca, come pure altri enti, devono conciliare volontà e unire idee affinché l’acqua sia patrimonio di tutti, venga meglio distribuita e gestita in modo sostenibile e razionale.

    Infine, la celebrazione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione deve servire anche per ricordare che la cultura dello scarto deve essere contrastata in modo incisivo con azioni basate su una cooperazione responsabile e leale da parte di tutti.

    Il nostro mondo è troppo interdipendente e non può permettersi il lusso di dividersi in blocchi di Paesi che promuovono i propri interessi in modo spurio e distorto.

    Siamo invece chiamati a pensare e ad agire in termini di comunità, di solidarietà, cercando di dare la priorità alla vita di tutti sull’appropriazione di beni da parte di alcuni.

    Signore Direttore Generale, purtroppo oggi assistiamo a una scandalosa polarizzazione dei rapporti internazionali dovuta alle crisi e agli scontri in atto.

    Si dirottano verso la produzione e il commercio di armi ingenti risorse finanziarie e tecnologiche innovatrici che potrebbero essere impiegate per far sì che l’acqua sia fonte di vita e di progresso per tutti.

    Non è mai stato tanto urgente come ora diventare promotori di dialogo e artefici della pace.

    La Chiesa non si stanca di seminare quei valori capaci di edificare una civiltà che trovi nell’amore, nel mutuo rispetto e nell’aiuto reciproco una bussola per orientare i suoi passi, adoperandosi soprattutto per i fratelli che soffrono di più, come gli affamati e gli assetati.

    Con questi auspici, mentre ringrazio l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura per quanto fa per promuovere lo sviluppo agricolo, una nutrizione sana e sufficiente per ogni persona e un uso sostenibile dell’acqua, invoco abbondanti Benedizioni celesti su quanti lottano per un mondo migliore e più fraterno.

    Vaticano, 16 ottobre 2023

    Francesco

    _______________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIII n.

    238, lunedì 16 ottobre 2023, p.

    8-9.

    Angelus, 15 Ott 2023
    Visita il link

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Il Vangelo oggi ci parla di un re che prepara un banchetto di nozze per suo figlio (cfr Mt 22,1-14).

    È un uomo potente, ma è soprattutto un padre generoso, che invita a condividere la sua gioia.

    In particolare, rivela la bontà del suo cuore nel fatto che non costringe nessuno, ma invita tutti, anche se questo suo modo di fare lo espone alla possibilità di un rifiuto.

    Notiamo: prepara un banchetto, offrendo gratuitamente un’occasione di incontro, di festa.

    Questo è ciò che Dio prepara per noi: un banchetto, per essere in comunione con Lui e tra di noi.

    E noi, tutti noi, siamo dunque gli invitati di Dio.

    Ma un banchetto nuziale richiede da parte nostra tempo e coinvolgimento, richiede un “sì”: andare, andare all’invito del Signore, Lui invita ma ci lascia liberi.

    Ecco il tipo di relazione che il Padre ci offre: ci chiama a stare con Lui, lasciandoci la possibilità di accettare o non accettare.

    Non ci propone un rapporto di sudditanza, ma di paternità e di figliolanza, che necessariamente è condizionato dal nostro libero assenso.

    Dio è molto rispettoso della libertà, molto rispettoso.

    Sant’Agostino usa un’espressione molto bella al riguardo, dicendo: «Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te» (Sermo CLXIX, 13).

    E non certo perché non ne abbia la capacità – è onnipotente! – ma perché, essendo amore, rispetta fino in fondo la nostra libertà.

    Dio si propone, non si impone, mai.

    Torniamo così alla parabola: il re – dice il testo – «mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire» (v.

    3).

    Ecco il dramma della storia: il “no” a Dio.

    Ma perché gli uomini rifiutano il suo invito? Era forse un invito spiacevole? No, eppure – dice il Vangelo – «non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari» (v.

    5).

    Non se ne curano, perché pensano alle proprie cose.

    E quel re che è padre, Dio, cosa fa? Non si arrende, continua a invitare, anzi allarga l’invito, finché trova chi lo accetta, tra i poveri.

    Fra loro, che sanno di non avere molto altro, tanti vengono, fino a riempire la sala (cfr vv.

    8-10).

    Fratelli e sorelle, quante volte non ci curiamo dell’invito di Dio perché intenti a pensare alle nostre cose! Spesso si lotta per avere il proprio tempo libero, ma oggi Gesù ci invita a trovare il tempo che libera: quello da dedicare a Dio, che ci alleggerisce e risana il cuore, che accresce in noi la pace, la fiducia e la gioia, che ci salva dal male, dalla solitudine e dalla perdita di senso.

    Ne vale la pena, perché è bello stare con il Signore, fargli spazio.

    Dove? Nella Messa, nell’ascolto della Parola, nella preghiera e anche nella carità, perché aiutando chi è debole o povero, facendo compagnia a chi è solo, ascoltando chi chiede attenzione, consolando chi soffre, si sta con il Signore, che è presente in chi si trova nel bisogno.

    Tanti, però, pensano che queste cose siano “perdite di tempo”, e così si chiudono nel loro mondo privato; ed è triste.

    E questo genera tristezza.

    Quanti cuori tristi! Per questo, perché chiusi.

    Chiediamoci allora: io, come rispondo agli inviti di Dio? Che spazio gli do nelle mie giornate? La qualità della mia vita dipende dai miei affari e dal mio tempo libero o dall’amore per il Signore e per i fratelli, soprattutto per i più bisognosi?

    Maria, che con un “sì” ha fatto spazio a Dio, ci aiuti a non essere sordi ai suoi inviti.

    _____________________________________________________

    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Continuo a seguire con tanto dolore quanto accade in Israele e in Palestina.

    Ripenso ai tanti…, in particolare ai piccoli e agli anziani.

    Rinnovo l’appello per la liberazione degli ostaggi e chiedo con forza che i bambini, i malati, gli anziani, le donne e tutti i civili non siano vittime del conflitto.

    Si rispetti il diritto umanitario, soprattutto a Gaza, dov’è urgente e necessario garantire corridoi umanitari e soccorrere tutta la popolazione.

    Fratelli e sorelle, già sono morti moltissimi.

    Per favore, non si versi altro sangue innocente, né in Terra Santa, né in Ucraina o in qualsiasi altro luogo! Basta! Le guerre sono sempre una sconfitta, sempre!

    La preghiera è la forza mite e santa da opporre alla forza diabolica dell’odio, del terrorismo e della guerra.

    Invito tutti i credenti ad unirsi alla Chiesa in Terra Santa e a dedicare martedì prossimo, il 17 ottobre, alla preghiera e al digiuno.

    E adesso preghiamo la Madonna [Ave Maria].

    Non è venuta meno la mia preoccupazione per la crisi nel Nagorno-Karabakh.

    Oltre che per la situazione umanitaria degli sfollati - che è grave -, vorrei rivolgere anche un particolare appello in favore della protezione dei Monasteri e dei luoghi di culto della regione.

    Auspico che a partire dalle Autorità e da tutti gli abitanti possano essere rispettati e tutelati come parte della cultura locale, espressioni di fede e segno di una fraternità che rende capaci di vivere insieme nelle differenze.

    Oggi viene pubblicata un’Esortazione apostolica su Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, intitolata «C’est la confiance»: infatti, come testimoniò questa grande Santa e Dottore della Chiesa, è la fiducia nell’amore misericordioso di Dio la via che ci porta al cuore del Signore e del suo Vangelo.

    Esprimo la mia vicinanza alla Comunità ebraica di Roma, che domani commemora l’ottantesimo anniversario del rastrellamento nazista.

    Saluto tutti voi, romani e pellegrini provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo, in particolare l’Arciconfraternita del Gonfalone di Subiaco e il Club “Fiat 500” di Roma.

    Saluto i più di 400 giovani missionari di Nuovi Orizzonti e di altre associazioni e comunità, che da ieri fino a domenica prossima sono impegnati nella “Missione di strada” qui a Roma, andando nei luoghi di aggregazione giovanile, nelle scuole, negli ospedali, nelle carceri e nelle strade per annunciare la gioia del Vangelo.

    Sono bravi questi! Li sosteniamo con la preghiera nel loro impegno di ascoltare il grido di tanti giovani e tante persone bisognose di amore.

    Guardo le bandiere dell’Ucraina, non dimentichiamo la martoriata Ucraina.

    A tutti auguro una buona domenica.

    E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci!

    “C’est la confiance”: Esortazione Apostolica sulla fiducia nell'amore misericordioso di Dio in occasione del 150° anniversario della nascita di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo (15 Ott 2023)
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    1.

    « C’est la confiance et rien que la confiance qui doit nous conduire à l’Amour»: «È la fiducia e null’altro che la fiducia che deve condurci all’Amore!».

    [1]

    2.

    Queste parole così incisive di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo dicono tutto, sintetizzano il genio della sua spiritualità e sarebbero sufficienti per giustificare il fatto che sia stata dichiarata Dottore della Chiesa.

    Soltanto la fiducia, “null’altro”, non c’è un’altra via da percorrere per essere condotti all’Amore che tutto dona.

    Con la fiducia, la sorgente della grazia trabocca nella nostra vita, il Vangelo si fa carne in noi e ci trasforma in canali di misericordia per i fratelli.

    3.

    È la fiducia che ci sostiene ogni giorno e che ci manterrà in piedi davanti allo sguardo del Signore quando Egli ci chiamerà accanto a sé: «Alla sera di questa vita, comparirò davanti a te a mani vuote, perché non ti chiedo, Signore, di contare le mie opere.

    Ogni nostra giustizia è imperfetta ai tuoi occhi.

    Voglio dunque rivestirmi della tua propria Giustizia e ricevere dal tuo Amore il possesso eterno di Te stesso».

    [2]

    4.

    Teresina è una delle sante più conosciute e amate in tutto il mondo.

    Come succede con San Francesco di Assisi, è amata perfino da non cristiani e non credenti.

    È stata anche riconosciuta dall’UNESCO tra le figure più significative per l’umanità contemporanea.

    [3]  Ci farà bene approfondire il suo messaggio commemorando il 150º anniversario della sua nascita, avvenuta ad Alençon il 2 gennaio 1873, e il centenario della sua beatificazione.

    [4] Ma non ho voluto pubblicare questa Esortazione in una di tali date, o nel giorno della sua memoria, perché il messaggio vada al di là delle ricorrenze e sia assunto come parte del tesoro spirituale della Chiesa.

    La data della pubblicazione, memoria di Santa Teresa d’Avila, vuole presentare Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo come frutto maturo della riforma del Carmelo e della spiritualità della grande Santa spagnola.

    5.

    La sua vita terrena fu breve, appena ventiquattro anni, e semplice come qualunque altra, trascorsa prima in famiglia e poi nel Carmelo di Lisieux.

    La straordinaria carica di luce e di amore irradiata dalla sua persona si manifestò immediatamente dopo la sua morte, con la pubblicazione dei suoi scritti e con le innumerevoli grazie ottenute dai fedeli che la invocavano.

    6.

    La Chiesa ha riconosciuto rapidamente il valore straordinario della sua testimonianza e l’originalità della sua spiritualità evangelica.

    Teresa incontrò Papa Leone XIII in occasione del pellegrinaggio a Roma nel 1887 e gli chiese il permesso di entrare nel Carmelo all’età di quindici anni.

    Poco dopo la sua morte, San Pio X si rese conto della sua enorme statura spirituale, tanto da affermare che sarebbe diventata la più grande Santa dei tempi moderni.

    Dichiarata venerabile nel 1921 da Benedetto XV, che elogiò le sue virtù focalizzandole nella “piccola via” dell’infanzia spirituale, [5] fu beatificata cent’anni or sono e poi canonizzata il 17 maggio 1925 da Pio XI, il quale ringraziò il Signore per avergli permesso che Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo fosse «la prima beata da lui elevata agli onori degli altari e la prima santa da lui canonizzata» [6].

    Lo stesso Papa la dichiarò patrona delle missioni nel 1927.

    [7] Fu annoverata tra le patrone di Francia nel 1944 dal Venerabile Pio XII, [8] che in diverse occasioni approfondì il tema dell’infanzia spirituale.

    [9] San Paolo VI amava ricordare il proprio battesimo ricevuto il 30 settembre 1897, giorno della morte di Santa Teresina, nel cui centenario della nascita indirizzò al Vescovo di Bayeux e Lisieux uno scritto circa la sua dottrina.

    [10]Durante il suo primo viaggio apostolico in Francia, nel giugno 1980, San Giovanni Paolo II si recò alla basilica a lei dedicata, e nel 1997 la dichiarò Dottore della Chiesa, [11] annoverandola poi «come esperta della scientia amoris».

    [12] Benedetto XVI ha ripreso il tema della sua “ scienza dell’amore”, proponendola come «una guida per tutti, soprattutto per coloro che, nel Popolo di Dio, svolgono il ministero di teologi».

    [13] Infine, ho avuto la gioia di canonizzare i suoi genitori Luigi e Zelia, nel 2015, durante il Sinodo sulla famiglia, e recentemente ho dedicato a lei una catechesi nella serie sullo zelo apostolico.

    [14]

    1.    Gesù per gli altri

    7.

    Nel nome che ella scelse come religiosa risalta Gesù: il “Bambino” che manifesta il mistero dell’Incarnazione e il “Volto Santo”, cioè il volto di Cristo che si dona fino alla fine sulla Croce.

    Lei è “Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo”.

    8.

    Il Nome di Gesù è continuamente “respirato” da Teresa come atto di amore, fino all’ultimo soffio.

    Aveva anche inciso queste parole nella sua cella: “Gesù è il mio unico amore”.

    Era la sua interpretazione dell’affermazione culminante del Nuovo Testamento: «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16).

    Anima missionaria

    9.

    Come succede in ogni incontro autentico con Cristo, questa esperienza di fede la chiamava alla missione.

    Teresa ha potuto definire la sua missione con queste parole: «In Cielo desidererò la stessa cosa che in terra: amare Gesù e farlo amare».

    [15] Ha scritto che era entrata nel Carmelo «per salvare le anime».

    [16] Vale a dire che non concepiva la sua consacrazione a Dio senza la ricerca del bene dei fratelli.

    Lei condivideva l’amore misericordioso del Padre per il figlio peccatore e quello del Buon Pastore per le pecore perdute, lontane, ferite.

    Per questo è patrona delle missioni, maestra di evangelizzazione.

    10.

    Le ultime pagine della Storia di un’anima [17] sono un testamento missionario, esprimono il suo modo di intendere l’evangelizzazione per attrazione, [18] non per pressione o proselitismo.

    Vale la pena leggere come lo sintetizza lei stessa: «“ Attirami, noi correremo all’effluvio dei tuoi profumi”.

    O Gesù, dunque non è nemmeno necessario dire: Attirando me, attira le anime che amo.

    Questa semplice parola: “Attirami” basta.

    Signore, lo capisco, quando un’anima si è lasciata avvincere dall’odore inebriante dei tuoi profumi, non potrebbe correre da sola, tutte le anime che ama vengono trascinate dietro di lei: questo avviene senza costrizione, senza sforzo, è una conseguenza naturale della sua attrazione verso di te.

    Come un torrente che si getta impetuoso nell’oceano trascina dietro di sé tutto ciò che ha incontrato al suo passaggio, così, o mio Gesù, l’anima che si immerge nell’oceano senza sponde del tuo amore attira con sé tutti i tesori che possiede… Signore, tu lo sai, io non ho altri tesori se non le anime che ti è piaciuto unire alla mia».

    [19]

    11.

    Qui lei cita le parole che la sposa rivolge allo sposo nel Cantico dei Cantici (1,3-4), secondo l’interpretazione approfondita dai due Dottori del Carmelo, Santa Teresa di Gesù e San Giovanni della Croce.

    Lo Sposo è Gesù, il Figlio di Dio che si è unito alla nostra umanità nell’Incarnazione e l’ha redenta sulla Croce.

    Lì, dal suo costato aperto, ha dato alla luce la Chiesa, sua amata Sposa, per la quale ha donato la vita (cfr Ef 5,25).

    Ciò che colpisce è come Teresina, consapevole di essere vicina alla morte, non viva questo mistero rinchiusa in sé stessa, solo in senso consolatorio, ma con un fervente spirito apostolico.

    La grazia che ci libera dall’autoreferenzialità

    12.

    Qualcosa di simile accade quando si riferisce all’azione dello Spirito Santo, che acquista immediatamente un senso missionario: «Ecco la mia preghiera: chiedo a Gesù di attirarmi nelle fiamme del suo amore, di unirmi così strettamente a Lui, che Egli viva ed agisca in me.

    Sento che quanto più il fuoco dell’amore infiammerà il mio cuore, quanto più dirò: Attirami, tanto più le anime che si avvicineranno a me (povero piccolo rottame di ferro inutile, se mi allontanassi dal braciere divino) correranno rapidamente all’effluvio dei profumi del loro Amato, perché un’anima infiammata di amore non può restare inattiva».

    [20]

    13.

    Nel cuore di Teresina, la grazia del battesimo è diventata un torrente impetuoso che sfocia nell’oceano dell’amore di Cristo, trascinando con sé una moltitudine di sorelle e fratelli, ciò che è avvenuto specialmente dopo la sua morte.

    È stata la sua promessa «pioggia di rose ».

    [21]

    2.

    La piccola via della fiducia e dell’amore

    14.

    Una delle scoperte più importanti di Teresina, per il bene di tutto il Popolo di Dio, è la sua “piccola via”, la via della fiducia e dell’amore, conosciuta anche come la via dell’infanzia spirituale.

    Tutti possono seguirla, in qualunque stato di vita, in ogni momento dell’esistenza.

    È la via che il Padre celeste rivela ai piccoli (cfr Mt 11,25).

    15.

    Teresina racconta la scoperta della piccola via nella Storia di un’anima [22]: «Nonostante la mia piccolezza, posso aspirare alla santità.

    Farmi diversa da quel che sono, più grande, mi è impossibile: mi devo sopportare per quello che sono con tutte le mie imperfezioni; ma voglio cercare il modo di andare in Cielo per una piccola via bella dritta, molto corta, una piccola via tutta nuova».

    [23]

    16.

    Per descriverla, usa l’immagine dell’ascensore: «L’ascensore che mi deve innalzare fino al Cielo sono le tue braccia, o Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, anzi bisogna che io resti piccola, che lo diventi sempre di più».

    [24] Piccola, incapace di fidarsi di sé stessa, anche se fermamente sicura della forza amorosa delle braccia del Signore.

    17.

    È la “dolce via dell’Amore”, [25] aperta da Gesù ai piccoli e ai poveri, a tutti.

    È la via della vera gioia.

    Di fronte a un’idea pelagiana di santità, [26] individualista ed elitaria, più ascetica che mistica, che pone l’accento principalmente sullo sforzo umano, Teresina sottolinea sempre il primato dell’azione di Dio, della sua grazia.

    Così arriva a dire: «Sento sempre la stessa audace fiducia di diventare una grande Santa, perché non faccio affidamento sui miei meriti, visto che non ne ho nessuno, ma spero in Colui che è la Virtù, la Santità stessa: è Lui solo che, accontentandosi dei miei deboli sforzi, mi eleverà fino a Lui e, coprendomi dei suoi meriti infiniti, mi farà Santa».

    [27]

    Al di là di ogni merito

    18.

    Questo modo di pensare non contrasta con il tradizionale insegnamento cattolico circa la crescita della grazia, cioè che, giustificati gratuitamente dalla grazia santificante, siamo trasformati e resi capaci di cooperare con le nostre buone opere in un cammino di crescita nella santità.

    In tal modo veniamo elevati, così da poter aver reali meriti in ordine allo sviluppo della grazia ricevuta.

    19.

    Teresina tuttavia preferisce mettere in risalto il primato dell’azione divina e invitare alla fiducia piena guardando l’amore di Cristo donatoci fino alla fine.

    In fondo, il suo insegnamento è che, dal momento che non possiamo avere alcuna certezza guardando a noi stessi, [28] nemmeno possiamo esser certi di possedere meriti propri.

    Pertanto non è possibile confidare in questi sforzi o adempimenti.

    Il Catechismo ha voluto citare le parole di Santa Teresina quando dice al Signore: «Comparirò davanti a te con le mani vuote», [29] per esprimere che «i santi hanno sempre avuto una viva consapevolezza che i loro meriti erano pura grazia».

    [30] Questa convinzione suscita una gioiosa e tenera gratitudine.

    20.

    Quindi, l’atteggiamento più adeguato è riporre la fiducia del cuore fuori di noi stessi: nell’infinita misericordia di un Dio che ama senza limiti e che ha dato tutto nella Croce di Gesù.

    [31] Per questa ragione Teresa mai usa l’espressione, frequente al suo tempo, “mi farò santa”.

    21.

    Tuttavia, la sua fiducia senza limiti incoraggia coloro che si sentono fragili, limitati, peccatori, a lasciarsi portare e trasformare per arrivare in alto: «Ah, se tutte le anime deboli e imperfette sentissero ciò che sente la più piccola tra tutte le anime, l’anima della sua piccola Teresa, non una sola di esse dispererebbe di giungere in cima alla montagna dell’amore! Infatti Gesù non chiede grandi azioni, ma soltanto l’abbandono e la riconoscenza» [32].

    22.

    Questa stessa insistenza di Teresina sull’iniziativa divina fa sì che, quando parla dell’Eucaristia, non ponga in primo piano il suo desiderio di ricevere Gesù nella santa Comunione, ma il desiderio di Gesù che vuole unirsi a noi e abitare nei nostri cuori.

    [33] Nell’ Offerta all’Amore Misericordioso, soffrendo per non potere ricevere la Comunione tutti giorni, dice a Gesù: «Resta in me, come nel tabernacolo» [34].

    Il centro e l’oggetto del suo sguardo non è lei stessa con i suoi bisogni, ma Cristo che ama, che cerca, che desidera, che dimora nell’anima.

    L’abbandono quotidiano

    23.

    La fiducia che Teresina promuove non va intesa soltanto in riferimento alla propria santificazione e salvezza.

    Ha un senso integrale, che abbraccia l’insieme dell’esistenza concreta e si applica a tutta la nostra vita, dove molte volte ci sopraffanno le paure, il desiderio di sicurezze umane, il bisogno di avere tutto sotto controllo.

    È qui che compare l’invito al santo “abbandono”.

    24.

    La fiducia piena, che diventa abbandono all’Amore, ci libera dai calcoli ossessivi, dalla costante preoccupazione per il futuro, dai timori che tolgono la pace.

    Nei suoi ultimi giorni Teresina insisteva su questo: «Noi, che corriamo nella via dell’Amore, trovo che non dobbiamo pensare a ciò che ci può capitare di doloroso nell’avvenire, perché allora è mancare di fiducia».

    [35] Se siamo nelle mani di un Padre che ci ama senza limiti, questo sarà vero qualunque circostanza accada, potremo andare avanti qualsiasi cosa succeda e, in un modo o nell’altro, si compirà nella nostra vita il suo progetto di amore e di pienezza.

    Un fuoco in mezzo alla notte

    25.

    Teresina viveva la fede più forte e sicura nel buio della notte e addirittura nell’oscurità del Calvario.

    La sua testimonianza ha raggiunto il punto culminante nell’ultimo periodo della vita, nella grande «prova contro la fede», [36] che cominciò nella Pasqua del 1896.

    Nel suo racconto, [37] ella pone questa prova in relazione diretta con la dolorosa realtà dell’ateismo del suo tempo.

    È vissuta infatti alla fine del XIX secolo, cioè nell’“età d’oro” dell’ateismo moderno, come sistema filosofico e ideologico.

    Quando scriveva che Gesù aveva permesso che la sua anima «fosse invasa dalle tenebre più fitte», [38] stava a indicare l’oscurità dell’ateismo e il rifiuto della fede cristiana.

    In unione con Gesù, che accolse in sé tutta l’oscurità del peccato del mondo quando accettò di bere il calice della Passione, Teresina coglie in quel buio tenebroso la disperazione, il vuoto del nulla.

    [39]

    26.

    Ma l’oscurità non può estinguere la luce: ella è stata conquistata da Colui che come luce è venuto nel mondo (cfr Gv 12,46).

    [40] Il racconto di Teresina manifesta il carattere eroico della sua fede, la sua vittoria nel combattimento spirituale, di fronte alle tentazioni più forti.

    Si sente sorella degli atei e seduta, come Gesù, alla mensa con i peccatori (cfr Mt 9,10-13).

    Intercede per loro, mentre rinnova continuamente il suo atto di fede, sempre in comunione amorosa con il Signore: «Corro verso il mio Gesù, gli dico che sono pronta a versare fino all’ultima goccia il mio sangue per testimoniare che esiste un Cielo.

    Gli dico che sono felice di non godere quel bel Cielo sulla terra, affinché Egli lo apra per l’eternità ai poveri increduli».

    [41]

    27.

    Insieme alla fede, Teresa vive intensamente una fiducia illimitata nell’infinita misericordia di Dio: «La fiducia che deve condurci all’Amore».

    [42] Vive, anche nell’oscurità, la fiducia totale del bambino che si abbandona senza paura tra le braccia del padre e della madre.

    Per Teresina, infatti, Dio risplende prima di tutto attraverso la sua misericordia, chiave di comprensione di qualunque altra cosa che si dica di Lui: «A me Egli ha donato la sua Misericordia infinita ed è attraverso essa che contemplo e adoro le altre perfezioni Divine! Allora tutte mi appaiono raggianti d’ amore, perfino la Giustizia (e forse anche più di ogni altra) mi sembra rivestita d’ amore».

    [43] Questa è una delle scoperte più importanti di Teresina, uno dei più grandi contributi che ha offerto a tutto il Popolo di Dio.

    In modo straordinario ha penetrato le profondità della misericordia divina e di là ha attinto la luce della sua illimitata speranza. 

    Una fermissima speranza

    28.

    Prima del suo ingresso nel Carmelo, Teresina aveva sperimentato una singolarevicinanza spirituale a una persona tra le più sventurate, il criminale Henri Pranzini, condannato a morte per triplice omicidio e non pentito.

    [44] Offrendo la Messa per lui e pregando con totale fiducia per la sua salvezza, è sicura di metterlo in contatto con il Sangue di Gesù e dice a Dio di essere sicurissima che nel momento finale Lui lo avrebbe perdonato e che lei ci avrebbe creduto «anche se non si fosse confessato e non avesse dato alcun segno di pentimento».

    Dà la ragione della sua certezza: «Tanto avevo fiducia nella misericordia infinita di Gesù».

    [45] Quale emozione, poi, nello scoprire che Pranzini, salito sul patibolo, «a un tratto, colto da una ispirazione improvvisa, si volta, afferra un Crocifisso che il sacerdote gli presenta e bacia per tre volte le sante piaghe!».

    [46] Questa esperienza così intensa di sperare contro ogni speranza è stata per lei fondamentale: «Ah, dopo quella grazia unica, il mio desiderio di salvare le anime crebbe ogni giorno!».

    [47]

    29.

    Teresa è consapevole del dramma del peccato, benché la vediamo sempre immersa nel mistero di Cristo, con la certezza che «laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» ( Rm 5,20).

    Il peccato del mondo è immenso, ma non è infinito.

    Invece, l’amore misericordioso del Redentore, questo sì, è infinito.

    Teresina è testimone della vittoria definitiva di Gesù su tutte le forze del male attraverso la sua passione, morte e risurrezione.

    Mossa dalla fiducia, osa affermare: «Gesù, fa’ che io salvi molte anime: che oggi non ce ne sia una sola dannata! […] Gesù, perdonami se dico cose che non bisogna dire: io voglio solo rallegrarti e consolarti».

    [48] Questo ci permette di passare a un altro aspetto di quell’aria fresca che è il messaggio di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo.

    3.

    Sarò l’amore

    30.

    “Più grande” della fede e della speranza, la carità non avrà mai fine (cfr 1 Cor 13,8-13).

    È il più grande dono dello Spirito Santo ed è «madre e radice di ogni virtù».

    [49]

    La carità come atteggiamento personale d’amore

    31.

    La Storia di un’anima è una testimonianza di carità, in cui Teresina ci offre un commentario circa il comandamento nuovo di Gesù: «Che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» ( Gv 15,12).

    [50] Gesù ha sete di questa risposta al suo amore.

    Infatti, «non ha esitato a mendicare un po’ d’acqua dalla Samaritana.

    Aveva sete… Ma dicendo: “dammi da bere” era l’amore della sua povera creatura che il Creatore dell’universo invocava.

    Aveva sete d’amore!» [51].

    Teresina vuole corrispondere all’amore di Gesù, rendergli amore per amore.

    [52]

    32.

    La simbologia dell’amore sponsale esprime la reciprocità del dono di sé tra lo sposo e la sposa.

    Così, ispirata dal Cantico dei Cantici (2,16), scrive: «Penso che il cuore del mio sposo è solo mio, così come il mio appartiene solo a lui, e allora nella solitudine gli parlo di questo delizioso cuore a cuore, aspettando di contemplarlo un giorno a faccia a faccia!».

    [53] Benché il Signore ci ami insieme come Popolo, allo stesso tempo la carità agisce in modo personalissimo, “da cuore a cuore”.

    33.

    Teresina ha la viva certezza che Gesù l’ha amata e conosciuta personalmente nella sua Passione: «Mi ha amato e ha dato sé stesso per me» ( Gal 2,20).

    Contemplando Gesù nella sua agonia, lei gli dice: «Tu m’hai vista sempre».

    [54] Allo stesso modo dice a Gesù Bambino tra le braccia di sua Madre: «Con la tua mano carezzando Maria, tu reggevi il mondo e gli davi vita.

    E a me già pensavi».

    [55] Così, anche all’inizio della Storia di un’anima, ella contempla l’amore di Gesù per tutti e per ognuno come se fosse unico al mondo.

    [56]

    34.

    L’atto di amore “Gesù, ti amo”, continuamente vissuto da Teresa come il respiro, è la sua chiave di lettura del Vangelo.

    Con questo amore s’immerge in tutti i misteri della vita di Cristo, dei quali si fa contemporanea, abitando il Vangelo insieme a Maria e Giuseppe, Maria di Magdala e gli Apostoli.

    Insieme a loro penetra le profondità dell’amore del Cuore di Gesù.

    Vediamo un esempio: «Quando vedo Maddalena avanzare in mezzo ai numerosi convitati, bagnare con le sue lacrime i piedi del suo Maestro adorato, che lei tocca per la prima volta, sento che il suo cuore ha compreso gli abissi d’amore e di misericordia del Cuore di Gesù e che, per quanto peccatrice sia, questo Cuore d’amore non solo è disposto a perdonarla, ma anche a prodigarle i benefici della sua intimità divina, ad elevarla fino alle più alte cime della contemplazione».

    [57]

    L’amore più grande nella più grande semplicità

    35.

    Alla fine della Storia di un’anima, Teresina ci regala la sua Offerta come Vittima d’Olocausto all’Amore Misericordioso.

    [58] Quando lei si è consegnata pienamente all’azione dello Spirito ha ricevuto, senza clamori né segni vistosi, la sovrabbondanza dell’acqua viva: «I fiumi o meglio gli oceani di grazie che sono venuti a inondare la mia anima».

    [59] È la vita mistica che, anche priva di fenomeni straordinari, si propone a tutti i fedeli come esperienza quotidiana di amore.

    36.

    Teresina vive la carità nella piccolezza, nelle cose più semplici dell’esistenza di ogni giorno, e lo fa in compagnia della Vergine Maria, imparando da lei che « amare è dare tutto e donar se stessi».

    [60] Infatti, mentre i predicatori del suo tempo parlavano spesso della grandezza di Maria in maniera trionfalistica, come lontana da noi, Teresina mostra, a partire dal Vangelo, che Maria è la più grande del Regno dei Cieli perché è la più piccola (cfr Mt 18,4), la più vicina a Gesù nella sua umiliazione.

    Lei vede che, se i racconti apocrifi sono pieni di episodi appariscenti e meravigliosi, i Vangeli ci mostrano una vita umile e povera, trascorsa nella semplicità della fede.

    Gesù stesso vuole che Maria sia l’esempio dell’anima che lo cerca con una fede spoglia.

    [61] Maria è stata la prima a vivere la “piccola via” in pura fede e umiltà; così che Teresa non esita a scrivere:

    «So che a Nazareth, Madre di grazia piena,
    povera tu eri e nulla più volevi:
    non miracoli o estasi o rapimenti
    t’adornan la vita, Regina dei Santi
    !
    In terra è grande il numero dei piccoli
    che guardarti possono senza tremare.


    La via comune
    , Madre incomparabile,
    percorrere tu vuoi e guidarli al Cielo».

    [62]

    37.

    Teresina ci ha offerto anche racconti che testimoniano alcuni momenti di grazia vissuti in mezzo alla semplicità di ogni giorno, come la sua repentina ispirazione mentre accompagnava una suora malata con un temperamento difficile.

    Ma sempre si tratta di esperienze di una carità più intensa vissuta nelle situazioni più ordinarie: «Una sera d’inverno compivo come al solito il mio piccolo servizio, faceva freddo, era buio… A un tratto udii in lontananza il suono armonioso di uno strumento musicale: allora mi immaginai un salone ben illuminato tutto splendente di ori, ragazze elegantemente vestite che si facevano a vicenda complimenti e convenevoli mondani; poi il mio sguardo cadde sulla povera malata che sostenevo; invece di una melodia udivo ogni tanto i suoi gemiti lamentosi, invece degli ori, vedevo i mattoni del nostro chiostro austero, rischiarato a malapena da una debole luce.

    Non posso esprimere ciò che accadde nella mia anima, quello che so è che il Signore la illuminò con i raggi della verità che superano altamente lo splendore tenebroso delle feste della terra, che non potevo credere alla mia felicità… Ah, per godere mille anni di feste mondane, non avrei dato i dieci minuti impiegati a compiere il mio umile ufficio di carità».

    [63]

    Nel cuore della Chiesa

    38.

    Teresina ha ereditato da Santa Teresa d’Avila un grande amore per la Chiesa ed è potuta arrivare alla profondità di questo mistero.

    Lo vediamo nella sua scoperta del “cuore della Chiesa”.

    In una lunga preghiera a Gesù, [64] scritta l’8 settembre 1896, sesto anniversario della sua professione religiosa, la Santa confida al Signore che si sentiva animata da un immenso desiderio, da una passione per il Vangelo che nessuna vocazione da sola poteva soddisfare.

    E così, cercando il suo “posto” nella Chiesa, aveva riletto i capitoli 12 e 13 della Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi.

    39.

    Nel capitolo 12 l’Apostolo utilizza la metafora del corpo e delle sue membra per spiegare che la Chiesa porta in sé una gran varietà di carismi composti secondo un ordine gerarchico.

    Ma questa descrizione non è sufficiente per Teresina.

    Ella prosegue la sua indagine, legge l’“inno alla carità” del capitolo 13, là trova la grande risposta e scrive questa pagina memorabile: «Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ero riconosciuta in nessuno dei membri descritti da San Paolo: o meglio, volevo riconoscermi in tutti!...

    La Carità mi diede la chiave della mia vocazione.

    Capii che se la Chiesa aveva un corpo, composto da diverse membra, il più necessario, il più nobile di tutti non le mancava: capii che la Chiesa aveva un Cuore, e che questo Cuore era acceso d’Amore.

    Capii che solo l’Amore faceva agire le membra della Chiesa: che se l’Amore si dovesse spegnere, gli Apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i Martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue… Capii che l’ Amore racchiudeva tutte le Vocazioni, che l’Amore era tutto, che abbracciava tutti i tempi e tutti i luoghi!… Insomma che è Eterno!… Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante ho esclamato: O Gesù mio Amore…, la mia vocazione l’ho trovata finalmente! La mia vocazione è l’Amore!… Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa e questo posto, o mio Dio, sei tu che me l’hai dato: nel Cuore della Chiesa, mia Madre, sarò l’Amore!… Così sarò tutto… Così il mio sogno sarà realizzato!!!».

    [65]

    40.

    Non è il cuore di una Chiesa trionfalistica, è il cuore di una Chiesa amante, umile e misericordiosa.

    Teresina mai si mette al di sopra degli altri, ma all’ultimo posto con il Figlio di Dio, che per noi è diventato servo e si è umiliato, facendosi obbediente fino alla morte su una croce (cfr Fil 2,7-8).

    41.

    Tale scoperta del cuore della Chiesa è una grande luce anche per noi oggi, per non scandalizzarci a causa dei limiti e delle debolezze dell’istituzione ecclesiastica, segnata da oscurità e peccati, ed entrare nel suo cuore ardente d’amore, che si è incendiato nella Pentecoste grazie al dono dello Spirito Santo.

    È il cuore il cui fuoco si ravviva ancora con ogni nostro atto di carità.

    “Io sarò l’amore”: questa è l’opzione radicale di Teresina, la sua sintesi definitiva, la sua identità spirituale più personale.

    Pioggia di rose

    42.

    Dopo molti secoli in cui schiere di santi hanno espresso con tanto fervore e bellezza le loro aspirazioni ad “andare in cielo”, Santa Teresina riconosce, con grande sincerità: «Allora avevo grandi prove interiori di ogni genere (fino a chiedermi talvolta se c’era un Cielo)».

    [66] In un altro momento dice: «Quando canto la felicità del Cielo, il possesso eterno di Dio, non provo alcuna gioia, perché canto semplicemente ciò che voglio credere».

    [67] Cosa è successo? Che lei stava ascoltando la chiamata di Dio a mettere fuoco nel cuore della Chiesa più di quanto sognasse la propria felicità.

    43.

    La trasformazione che avvenne in lei le permise di passare da un fervido desiderio del Cielo a un costante e ardente desiderio del bene di tutti, culminante nel sogno di continuare in Cielo la sua missione di amare Gesù e di farlo amare.

    In questo senso, in una delle ultime lettere scrisse: «Conto proprio di non restare inattiva in Cielo: il mio desiderio è di lavorare ancora per la Chiesa e per le anime».

    [68] E in quegli stessi giorni, in modo più diretto, disse: «Il mio Cielo trascorrerà sulla terra sino alla fine del mondo.

    Sì, voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra».

    [69]

    44.

    Così Teresina esprimeva la sua risposta più convinta al dono unico che il Signore le stava regalando, alla luce sorprendente che Dio stava riversando in lei.

    In tal modo giungeva all’ultima sintesi personale del Vangelo, che partiva dalla piena fiducia per culminare nel dono totale agli altri.

    Ella non dubitava della fecondità di questa dedizione: «Penso a tutto il bene che potrò fare dopo la mia morte».

    [70] «Il buon Dio non mi darebbe questo desiderio di fare del bene sulla terra dopo la morte, se non volesse realizzarlo».

    [71] «Sarà come una pioggia di rose».

    [72]

    45.

    Si chiude il cerchio.

    « C’est la confiance».

    È la fiducia che ci conduce all’Amore e così ci libera dal timore, è la fiducia che ci aiuta a togliere lo sguardo da noi stessi, è la fiducia che permette di porre nelle mani di Dio ciò che soltanto Lui può fare.

    Questo ci lascia un immenso torrente d’amore e di energie disponibili per cercare il bene dei fratelli.

    E così, in mezzo alla sofferenza dei suoi ultimi giorni, Teresa poteva dire: « Non conto più che sull’amore».

    [73] Alla fine conta soltanto l’amore.

    La fiducia fa sbocciare le rose e le sparge come un traboccare della sovrabbondanza dell’amore divino.

    Chiediamola come dono gratuito, come regalo prezioso della grazia, perché si aprano nella nostra vita le vie del Vangelo. 

    4.

    Nel cuore del Vangelo

    46.

    Nella Evangelii gaudium ho insistito sull’invito a ritornare alla freschezza della sorgente, per porre l’accento su ciò che è essenziale e indispensabile.

    Ritengo opportuno riprendere e proporre nuovamente quell’invito.

    Il Dottore della sintesi

    47.

    Questa Esortazione su Santa Teresina mi consente di ricordare che in una Chiesa missionaria «l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario.

    La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa».

    [74] Il nucleo luminoso è «la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto».

    [75]

    48.

    Non tutto è ugualmente centrale, perché c’è un ordine o gerarchia tra le verità della Chiesa, e «questo vale tanto per i dogmi di fede quanto per l’insieme degli insegnamenti della Chiesa, ivi compreso l’insegnamento morale».

    [76] Il centro della morale cristiana è la carità, che è la risposta all’amore incondizionato della Trinità, per cui «le opere di amore al prossimo sono la manifestazione esterna più perfetta della grazia interiore dello Spirito».

    [77] Alla fine conta solo l’amore.

    49.

    Precisamente, il contributo specifico che Teresina ci regala come Santa e come Dottore della Chiesa non è analitico, come potrebbe essere, per esempio, quello di San Tommaso d’Aquino.

    Il suo contributo è piuttosto sintetico, perché il suo genio consiste nel portarci al centro, a ciò che è essenziale, a ciò che è indispensabile.

    Ella, con le sue parole e con il suo personale percorso, mostra che, benché tutti gli insegnamenti e le norme della Chiesa abbiano la loro importanza, il loro valore, la loro luce, alcuni sono più urgenti e più costitutivi per la vita cristiana.

    È lì che Teresa ha fissato lo sguardo e il cuore. 

    50.

    Come teologi, moralisti, studiosi di spiritualità, come pastori e come credenti, ciascuno nel proprio ambito, abbiamo ancora bisogno di recepire questa intuizione geniale di Teresina e di trarne le conseguenze teoriche e pratiche, dottrinali e pastorali, personali e comunitarie.

    Servono audacia e libertà interiore per poterlo fare.

    51.

    Talvolta di questa Santa si citano soltanto espressioni che sono secondarie, o si menzionano temi che lei può avere in comune con qualunque altro santo: la preghiera, il sacrificio, la pietà eucaristica, e tante altre belle testimonianze, ma in questo modo potremmo privarci di ciò che vi è di più specifico nel dono da lei fatto alla Chiesa, dimenticando che «ogni santo è una missione; è un progetto del Padre per riflettere e incarnare, in un momento determinato della storia, un aspetto del Vangelo».

    [78] Pertanto, «per riconoscere quale sia quella parola che il Signore vuole dire mediante un santo, non conviene soffermarsi sui particolari […]. Ciò che bisogna contemplare è l’insieme della sua vita, il suo intero cammino di santificazione, quella figura che riflette qualcosa di Gesù Cristo e che emerge quando si riesce a comporre il senso della totalità della sua persona».

    [79] Questo vale a maggior ragione per Santa Teresina, essendo lei un “Dottore della sintesi”.

    52.

    Dal cielo alla terra, l’attualità di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo rimane in tutta la sua “piccola grandezza”.

    In un tempo che invita a chiudersi nei propri interessi, Teresina ci mostra la bellezza di fare della vita un dono.

    In un momento nel quale prevalgono i bisogni più superficiali, lei è testimone della radicalità evangelica.

    In un tempo di individualismo, lei ci fa scoprire il valore dell’amore che diventa intercessione.

    In un momento nel quale l’essere umano è ossessionato dalla grandezza e da nuove forme di potere, lei indica la via della piccolezza.

    In un tempo nel quale si scartano tanti esseri umani, lei ci insegna la bellezza della cura, di farsi carico dell’altro.

    In un momento di complessità, lei può aiutarci a riscoprire la semplicità, il primato assoluto dell’amore, della fiducia e dell’abbandono, superando una logica legalista ed eticista che riempie la vita cristiana di obblighi e precetti e congela la gioia del Vangelo.

    In un tempo di ripiegamenti e chiusure, Teresina ci invita all’uscita missionaria, conquistati dall’attrazione di Gesù Cristo e del Vangelo.

    53.

    Un secolo e mezzo dopo la sua nascita, Teresina è più viva che mai in mezzo alla Chiesa in cammino, nel cuore del Popolo di Dio.

    Sta pellegrinando con noi, facendo il bene sulla terra, come ha tanto desiderato.

    Il segno più bello della sua vitalità spirituale sono le innumerevoli “rose” che va spargendo, cioè le grazie che Dio ci dona per la sua intercessione piena d’amore, per sostenerci nel percorso della vita.

    Cara Santa Teresina,
    la Chiesa ha bisogno di far risplendere
    il colore, il profumo, la gioia del Vangelo.
    Mandaci le tue rose!
    Aiutaci ad avere fiducia sempre,
    come hai fatto tu,
    nel grande amore che Dio ha per noi,
    perché possiamo imitare ogni giorno
    la tua piccola via di santità.
    Amen.

    Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, il 15 ottobre, memoria di Santa Teresa d’Avila, dell’anno 2023, undicesimo del mio Pontificato.


    FRANCESCO

     


    [1] Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, Opere Complete.

    Scritti e ultime parole,LT 197, A suor Maria del Sacro Cuore (17 settembre 1896), Roma 1997, 538.

    Per la versione italiana degli scritti della Santa si fa sempre riferimento a tale edizione, che utilizza le seguenti sigle: Ms A: Manoscritto “A”; Ms B: Manoscritto “B”; Ms C: Manoscritto “C”; LT: Lettere; P: Poesie; Pr: Preghiere; PR: Pie Ricreazioni; QG: Quaderno giallo di Madre Agnese; UC: Ultimi Colloqui.

    [2] Pr 6, Offerta di me stessa come Vittima d’Olocausto all’Amore Misericordioso del Buon Dio (9 giugno 1895): 943.

    [3] Per il biennio 2022-2023, l’UNESCO ha inserito Santa Teresa di Gesù Bambino tra le personalità da celebrare, in occasione del 150º anniversario della nascita.

    [4] 29 aprile 1923.

    [5] Cfr Decreto di Virtù, 14 agosto 1921: AAS 13 (1921), 449-452.

    [6] Omelia per la canonizzazione (17 maggio 1925): AAS 17 (1925), 211.

    Testo italiano in Discorsi di Pio XI, a cura di D.

    Bertetto, vol.

    I, Torino 1959, 383-384.

    [7] Cfr AAS 20 (1928), 147-148.

    [8] Cfr AAS 36 (1944), 329-330.

    [9] Cfr Lettera a Mons.

    François-Marie Picaud, Vescovo di Bayeux y Lisieux (7 agosto 1947).

    Testo francese in Analecta OCD 19 (1947), 168-171.

    Testo italiano nella traduzione di Rivista di Vita Spirituale 1 (1947), 444-448.

    Radiomessaggio per la consacrazione della Basilica di Lisieux (11 luglio 1954): AAS 46 (1954), 404-407.

    [10] Cfr Lettera a Mons.

    Jean-Marie-Clément Badré, Vescovo di Bayeux y Lisieux, in occasione del centenario della nascita di Santa Teresa del Bambino Gesù (2 gennaio 1973): AAS 65 (1973), 12-15.

    [11] Cfr AAS 90 (1998), 409-413, 930-944.

    [12] Lett.

    ap.

    Novo millennio ineunte, 42: AAS 93 (2001), 296.

    [13] Catechesi (6 aprile 2011): L’Osservatore Romano (7 aprile 2011), 8.

    [14] Catechesi (7 giugno 2023): L’Osservatore Romano (7 giugno 2023), 2-3.

    [15] LT 220, Al reverendo M.

    Bellière (24 febbraio 1897): 561.

    [16] Ms A, 69vº: 187.

    [17] Cfr Ms C, 33vº-37rº: 274-279.

    [18] Cfr Esort.

    ap.

    Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 14; 264: AAS 105 (2013), 1025-1026.

    [19] Ms C, 34rº: 275.

    [20] Ibid., 36rº: 277-278.

    [21] QG, 9 giugno 1897, 3: 991.

    [22] Cfr Ms C, 2vº-3rº: 235-236.

    [23] Ibid., 2vº: 235.

    [24] Ibid., 3rº: 236.

    [25] Cfr Ms A, 84vº: 210.

    [26] Cfr Esort.

    ap.

    Gaudete et exsultate (19 marzo 2018), 47-62: AAS 110 (2018), 1124-1129.

    [27] Ms A, 32rº: 124.

    [28] Lo ha spiegato il Concilio di Trento: «Così ciascuno nel considerare se stesso, la propria debolezza e le cattive disposizioni, ha motivo di avere paura e di temere circa la propria grazia» ( Decreto sulla giustificazione, IX: DS, 1534).

    Lo riprende il Catechismo della Chiesa Cattolica quando insegna che è impossibile avere certezza guardando a sé stessi o alle proprie azioni (cfr n.

    2005).

    La certezza della fiducia non si trova in sé stessi, il proprio io non offre basi per questa sicurezza, che non si fonda sull’introspezione.

    In qualche modo lo esprimeva San Paolo: «Io neppure giudico me stesso, perché anche se non sono consapevole di colpa alcuna non per questo sono giustificato.

    Il mio giudice è il Signore!» ( 1 Cor 4,3-4).

    San Tommaso d’Aquino lo spiegava nel modo seguente: visto che la grazia «non risana l’uomo totalmente» ( Summa Theologiae, I-II, q.

    109, art.

    9, ad 1), «rimane una certa ombra d’ignoranza nell’intelletto» ( ibid., co).

    [29] Pr 6: 943.

    [30] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2011.

    [31] Lo afferma anche con chiarezza il Concilio di Trento: «Nessun uomo pio può dubitare della misericordia di Dio» ( Decreto sulla giustificazione, IX: DS 1534).

    «Tutti debbano nutrire e riporre fiducia fermissima nell’aiuto di Dio» ( Ibid., XIII: DS 1541).

    [32] Ms B, 1vº: 218.

    [33] Cfr Ms A, 48vº: 151; LT 92, A Maria Guérin (30 maggio 1889): 384-385.

    [34] Pr 6: 941.

    [35] QG, 23 luglio 1897, 3: 1032.

    [36] Ms C, 31rº: 271.

    [37] Cfr ibid., 5rº-7vº: 238-241.

    [38] Ibid., 5vº: 239.

    [39] Cfr ibid., 6vº: 240.

    [40] Cfr Lett.

    enc.

    Lumen fidei (29 giugno 2013), 17: AAS 105 (2013), 564-565.

    [41] Ms C, 7rº: 240-241.

    [42] LT 197, A suor Maria del Sacro Cuore (17 settembre 1896): 538.

    [43] Ms A, 83vº: 209.

    [44] Cfr ibid., 45vº-46vº: 146-147.

    [45] Ibid., 46rº: 146.

    [46] Ibid., 46rº: 146-147.

    [47] Ibid., 46vº: 147.

    [48] Pr 2: 937.

    [49]  Summa Theologiae, I-II, q.

    62, art.

    4.

    [50] Cfr Ms C, 11vº-31rº: 256-271.

    [51] Ms B, 1vº: 218.

    [52] Cfr ibid., 4rº: 224.

    [53] LT 122, A Celina (14 ottobre 1890): 421.

    [54] P 24, 21: 674.

    [55] Ibid., 6: 670.

    [56] Cfr Ms A, 3rº: 80-81.

    [57] LT 247, Al reverendo M.

    Bellière (21 giugno 1897): 587.

    [58] Cfr Pr 6: 941-943.

    [59] Ms A, 84r: 210.

    [60] P 54, 22: 726.

    [61] Cfr ibid., 15: 725.

    [62] Ibid., 17: 725.

    [63] Ms C, 29vº-30rº: 269.

    [64] Cfr Ms B, 2r°-5v°: 219-229.

    [65] Ibid., 3vº: 223.

    [66] Ms A, 80vº: 204.

    Non era una mancanza di fede.

    San Tommaso insegna che nella fede operano la volontà e l’intelligenza.

    L’adesione della volontà può essere molto solida e radicata, mentre l’intelligenza può essere oscurata.

    Cfr De Veritate 14, 1.

    [67] Ms C, 7vº: 241.

    [68] LT 254, A padre A.

    Roulland (14 luglio 1897): 593.

    [69] QG, 17 luglio 1897: 1028.

    [70] Ibid., 13 luglio 1897, 17: 1020.

    [71] Ibid., 18 luglio 1897, 1: 1028.

    [72] UC, 9 giugno 1897: 1158.

    [73] LT 242, A suor Maria della Trinità (6 giugno 1897): 582.

    [74] Esort.

    ap.

    Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 35: AAS 105 (2013), 1034.

    [75] Ibid., 36: AAS 105 (2013), 1035.

    [76] Ibid.

    [77] Ibid., 37: AAS 105 (2013), 1035.

    [78] Esort.

    ap.

    Gaudete et exsultate (19 marzo 2018), 19: AAS 110 (2018), 1117.

    [79] Ibid., 22: AAS 110 (2018), 1117.

    Ai Partecipanti al Convegno promosso dai Missionari di San Carlo (Scalabriniani) (14 Ott 2023)
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    Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

    Saluto tutti voi, contento di incontrarvi al termine del Convegno di spiritualità scalabriniana.

    Avete riflettuto sul versetto biblico: «Io verrò a radunare tutte le genti» (Is 66,18), tema molto significativo per il vostro carisma.

    Infatti San Giovanni Battista Scalabrini, che vi ha fondati come missionari e missionarie per i migranti, vi ha insegnato, nel prendervi cura di loro, a ritenervi fratelli e sorelle in cammino verso l’unità, secondo le accorate parole della preghiera sacerdotale di Gesù (cfr Gv 17,20-23).

    Chiariamoci bene: migrare non è un dolce peregrinare in comunione; è spesso un dramma.

    E, come ciascuno ha diritto a migrare, così a maggior ragione ha diritto a poter rimanere nella propria terra e a viverci in modo pacifico e dignitoso.

    Tuttavia la tragedia di migrazioni forzosamente causate da guerre, carestie, povertà e disagi ambientali è oggi sotto gli occhi di tutti.

    E proprio qui entra in gioco la vostra spiritualità: come disporre il cuore verso questi fratelli e sorelle? Con il sostegno di quale cammino spirituale?

    Scalabrini ci aiuta, proprio guardando ai missionari dei migranti come a cooperatori dello Spirito Santo per l’unità.

    La sua è una visione illuminata e originale del fenomeno migratorio, visto come appello a creare comunione nella carità.

    Ancora giovane parroco, egli stesso racconta di essersi trovato, alla Stazione Centrale di Milano, davanti ad una massa di migranti italiani in partenza per l’America.

    Racconta di aver visto «tre o quattro centinaia di individui poveramente vestiti, divisi in gruppi diversi.

    Sulle facce […] solcate dalle rughe precoci che suole imprimervi la privazione, traspariva il tumulto degli affetti che agitavano in quel momento il loro cuore.

    [...] Erano emigranti […] Si disponevano ad abbandonare la patria» (L’emigrazione italiana in America, 1888).

    Immagini purtroppo consuete anche per noi.

    E il Santo, impressionato da quella grande miseria, comprese che lì c’era un segno di Dio per lui: l’appello ad assistere materialmente e spiritualmente quelle persone, perché nessuno di loro, lasciato a sé stesso, andasse perduto, smarrendo la fede; perché potessero giungere, come dice il profeta Isaia, alla santa montagna di Gerusalemme «da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari» (66,20).

    Cavalli, carri, portantine, muli e dromedari, a cui potremmo aggiungere oggi barconi, TIR e carrette del mare; ma la destinazione resta la stessa, Gerusalemme, la città della pace (cfr Sal 122,3-9), la Chiesa, casa di tutti i popoli (cfr Is 56,7), dove la vita di ognuno è sacra e preziosa.

    Sì, per Scalabrini questa Gerusalemme è la Chiesa cattolica, cioè universale, e tale perché “madre”, perché città aperta a chiunque cerca una casa e un porto sicuro.

    E qui c’è un primo appello per noi, a coltivare cuori ricchi di cattolicità, cioè desiderosi di universalità e di unità, di incontro e di comunione.

    È l’invito a diffondere una mentalità della vicinanza – “vicinanza”, questa parola-chiave, è lo stile di Dio, che si fa vicino sempre – una spiritualità, una mentalità della cura e dell’accoglienza, e a far crescere nel mondo, secondo le parole di San Paolo VI, «la civiltà dell’amore» (Omelia per il solenne rito di chiusura dell’Anno Santo, 25 dicembre 1975).

    Sarebbe però utopico pretendere che tutto ciò possa realizzarsi con le sole forze umane.

    Si tratta invece di cooperare all’azione dello Spirito, e dunque di agire nella storia sotto la guida e con l’energia che viene da Dio: di lasciarsi conquistare dalla sua infinita tenerezza per sentire e agire secondo le sue vie, che non sempre sono le nostre (cfr Is 55,8), per riconoscerlo in chi è straniero (cfr Mt 25,35) e per trovare in Lui la forza di amare gratuitamente.

    Lo straniero.

    Non dimentichiamo queste tre parole dell’Antico Testamento: la vedova, l’orfano e lo straniero.

    Questa è una cosa importante nell’Antico Testamento: lo straniero.

    E qui c’è il secondo appello che ci rivolge il Santo Vescovo di Piacenza, quando insiste sulla necessità, per il missionario, di avere un rapporto d’amore con Gesù, Figlio di Dio Incarnato, e di coltivarlo specialmente attraverso l’Eucaristia, celebrata e adorata.

    Sottolineo questa parola “adorata”.

    Penso che abbiamo perso il senso dell’adorazione.

    Abbiamo preghiere per fare qualcosa…, preghiere belle…, ma [è importante] in silenzio, adorare.

    La mentalità moderna ci ha tolto un pochettino questo senso dell’adorazione.

    Riprenderlo, per favore, riprenderlo.

    Sappiamo quanto Scalabrini amasse l’Adorazione, a cui si dedicava anche di notte, nonostante la stanchezza per i suoi estenuanti ritmi di lavoro, e alla quale non rinunciava di giorno, pur nei momenti di maggiore attività.

    Egli non si illudeva e invitava a non illudersi: senza preghiera non c’è missione! Diceva: «[Non] lasciatevi sviare da un certo pazzo sfrenato desiderio di aiutare gli altri, trascurando voi stessi […].

    È giusto che voi vi facciate tutto a tutti; ma […] ricordatevi degli Angeli che nella Scala di Giacobbe ascendevano a Dio e discendevano fino a terra […].

    Anche voi, infatti, siete Angeli del Signore» (Allocuzione finale al Sinodo Diocesano di Piacenza, 4 settembre 1879).

    Salire a Dio è indispensabile per poi saper discendere fino a terra, per essere “angeli dal basso”, vicino agli ultimi: non a caso la scala di Giacobbe (cfr Gen 28,10-22) è posta proprio al centro dello stemma episcopale di Scalabrini.

    Dunque, care sorelle, cari fratelli, eccovi un invito a rinnovare il vostro impegno per i migranti, e a radicarlo sempre più in un’intensa vita spirituale, sull’esempio del vostro Fondatore.

    Assieme a questo, però, voglio dirvi un grandissimo grazie, per il tanto lavoro che fate in tutto il mondo! Dai tempi di Buenos Aires sono testimone di questo lavoro, e lo fate tanto bene.

    Grazie, grazie tante! Andate avanti, Dio vi benedica.

    E pregate, pregate anche per me, perché questo “mestiere” non è facile!

    Udienza Generale dell'11 Ott 2023 - Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 22. Santa Giuseppina Bakhita: testimone della forza trasformatrice del perdono di Cristo
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    Catechesi.

    La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente.

    22. Santa Giuseppina Bakhita: testimone della forza trasformatrice del perdono di Cristo

    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Nel cammino di catechesi sullo zelo apostolico – stiamo riflettendo sullo zelo apostolico –, oggi ci lasciamo ispirare dalla testimonianza di Santa Giuseppina Bakhita, una santa sudanese.

    Purtroppo da mesi il Sudan è lacerato da un terribile conflitto armato di cui oggi si parla poco; preghiamo per il popolo sudanese, perché possa vivere in pace! Ma la fama di Santa Bakhita ha superato ogni confine e ha raggiunto tutti coloro a cui viene rifiutata identità e dignità.

    Nata in Darfur – il martoriato Darfur! – nel 1869, è stata rapita dalla sua famiglia all’età di sette anni e fatta schiava.

    I suoi rapitori la chiamarono “Bakhita”, che significa “fortunata”.

    È passata attraverso otto padroni – uno vendeva all’altro ...

    Le sofferenze fisiche e morali di cui è stata vittima da piccola l’hanno lasciata senza identità.

    Ha subito cattiverie e violenze: sul suo corpo portava più di cento cicatrici.

    Ma lei stessa ha testimoniato: “Da schiava non mi sono mai disperata, perché sentivo una forza misteriosa che mi sosteneva”.

    Davanti a questo io mi domando: qual è il segreto di Santa Bakhita? Sappiamo che spesso la persona ferita ferisce a sua volta; l’oppresso diventa facilmente un oppressore.

    Invece, la vocazione degli oppressi è quella di liberare sé stessi e gli oppressori diventando restauratori di umanità.

    Solo nella debolezza degli oppressi si può rivelare la forza dell’amore di Dio che libera entrambi.

    Santa Bakhita esprime benissimo questa verità.

    Un giorno il suo tutore le regala un piccolo crocifisso, e lei, che non aveva mai posseduto nulla, lo conserva come un tesoro geloso.

    Guardandolo sperimenta una liberazione interiore perché si sente compresa e amata e quindi capace di comprendere e amare: questo è l’inizio.

    Si sente compresa, si sente amata di conseguenza capace di comprendere e amare gli altri.

    Infatti lei dirà: “L’amore di Dio mi ha sempre accompagnato in modo misterioso… Il Signore mi ha voluto tanto bene: bisogna voler bene a tutti… Bisogna compatire!”.

    Questa è l’anima di Bakhita.

    Davvero, com-patire significa sia patire con le vittime di tanta disumanità presente nel mondo, e anche compatire chi commette errori e ingiustizie, non giustificando, ma umanizzando.

    Questa è la carezza che lei ci insegna: umanizzare.

    Quando entriamo nella logica della lotta, della divisione tra noi, dei sentimenti cattivi, uno contro l’altro, perdiamo umanità.

    E tante volte pensiamo che abbiamo bisogno di umanità, di essere più umani.

    E questo è il lavoro che ci insegna Santa Bakhita: umanizzare, umanizzare noi stessi e umanizzare gli altri.

    Santa Bakhita, diventata cristiana, viene trasformata dalle parole di Cristo che meditava quotidianamente: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

    Per questo diceva: “Se Giuda avesse chiesto perdono a Gesù anche lui avrebbe trovato misericordia”.

    Possiamo dire che la vita di Santa Bakhita è diventata una parabola esistenziale del perdono.

    Che bello dire di una persona “è stato capace, è stata capace di perdonare sempre”.

    E lei è stata capace di farlo sempre, anzi: la sua vita è una parabola esistenziale del perdono.

    Perdonare perché poi noi saremo perdonati.

    Non dimenticare questo: il perdono, che è la carezza di Dio a tutti noi.

    Il perdono l’ha resa libera.

    Il perdono prima ricevuto attraverso l’amore misericordioso di Dio, e poi il perdono dato l’ha resa una donna libera, gioiosa, capace di amare.

    Bakhita ha potuto vivere il servizio non come una schiavitù, ma come espressione del dono libero di sé.

    E questo è molto importante: fatta serva involontariamente – è stata venduta come schiava – ha poi scelto liberamente di farsi serva, di portare sulle sue spalle i fardelli degli altri.

    Santa Giuseppina Bakhita, con il suo esempio, ci indica la via per essere finalmente liberi dalle nostre schiavitù e paure.

    Ci aiuta a smascherare le nostre ipocrisie e i nostri egoismi, a superare risentimenti e conflittualità.

    E ci incoraggia sempre.

    Cari fratelli e sorelle, il perdono non toglie nulla ma aggiunge – che cosa aggiunge, il perdono? – dignità: il perdono non ti toglie nulla ma aggiunge dignità alla persona, fa levare lo sguardo da se stessi verso gli altri, per vederli sì fragili quanto noi, ma sempre fratelli e sorelle nel Signore.

    Fratelli e sorelle, il perdono è sorgente di uno zelo che si fa misericordia e chiama a una santità umile e gioiosa, come quella di Santa Bakhita.

    _____________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française venus de différentes nations.

    Frères et sœurs, par l’intercession de sainte Joséphine Bakhita, demandons au Seigneur le courage de nous réconcilier avec nous-mêmes et avec les autres, et d’œuvrer pour la paix dans nos familles et nos communautés.

    Que Dieu vous bénisse !

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese giunti da diverse nazioni.

    Fratelli e sorelle, per intercessione di santa Giuseppina Bakhita, chiediamo al Signore il coraggio di riconciliarci con noi stessi e con gli altri, e di operare per la pace nelle nostre famiglie e comunità.

    Dio vi benedica!]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Scotland, Denmark, Norway, Indonesia, Malaysia, the Philippines, Canada and the United States of America.

    I also welcome the distinguished delegation from the NATO Defense College, with prayerful good wishes for their service to the cause of peace.

    Upon all of you I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ.

    God bless you!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Scozia, Danimarca, Norvegia, Indonesia, Malaysia, Filippine, Canada e Stati Uniti d’America.

    Saluto inoltre la delegazione di NATO Defense College, con fervidi auguri per il loro servizio a favore della pace.

    Su tutti voi invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo.

    Dio vi benedica!]

    Liebe Brüder und Schwestern, im Monat Oktober sind wir besonders eingeladen, den Rosenkranz zu beten.

    Dabei wollen wir mit Maria die Heilsgeheimnisse betrachten und sie um ihre Fürsprache in unseren Bedürfnissen anrufen.

    Heilige Maria, Mutter der Kirche, bitte für uns!

    [Cari fratelli e sorelle, nel mese di ottobre siamo particolarmente invitati a pregare il Santo Rosario, contemplando con Maria i misteri della salvezza e invocando la sua intercessione per le nostre necessità.

    Santa Maria, Madre della Chiesa, prega per noi!]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Pidamos a Nuestra Señora del Pilar —cuya fiesta celebramos mañana— que nos ayude a seguir el camino de la santidad, testimoniando la fuerza transformadora del perdón de Cristo.

    Que Dios los bendiga.

    Muchas gracias.

    Saúdo os fiéis de língua portuguesa, em particular os brasileiros daBarra do Garça e os portugueses de Pombal e da Universidade Sénior do Porto.

    Nunca deixeis que eventuais nuvens sobre o vosso caminho vos impeçam de irradiar a glória e a esperança depositadas em vós, louvando sempre ao Senhor em vossos corações, dando graças a Deus Pai por tudo.

    Minha bênção para todos vocês.

    [Saluto i fedeli di lingua portoghese, in particolare i brasiliani della Barra do Garça e i portoghesi di Pombal e dell’Universidade Sénior do Porto.

    Non lasciate mai che eventuali nuvole sul vostro cammino vi impediscano d’irradiare la gloria e la speranza depositate in voi, lodando sempre il Signore nei vostri cuori, ringraziando di tutto Dio Padre.

    A tutti voi la mia benedizione!]

    أُحيِّي المُؤمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العربِيَّة.

    المغفرةُ ضَروريَّةٌ حتَّى نَبقَى في المحبَّة، وحتَّى نَبقَى مَسِيحيِّين.

    فهي تَشفِي كلَّ جُرحٍ فينا وتُساعِدُنا أن نُحِبَّ الجميع.

    بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba.

    Il perdono è necessario per rimanere nell’amore, per rimanere cristiani.

    Esso risana ogni ferita in noi e ci aiuta ad amare tutti.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Pozdrawiam serdecznie Polaków.

    W tym miesiącu wielu z was modli się na różańcu, prosząc o pomoc Matkę Bożą.

    Niech Jej wstawiennictwo wyprosi Boże miłosierdzie dla waszej Ojczyzny.

    W swoich modlitwach pamiętajcie także o wszystkich uczestnikach trwającego Synodu Biskupów, by umieli usłyszeć to, co Duch Święty chce powiedzieć Kościołowi.

    Z serca wam błogosławię.

    [Saluto cordialmente i Polacchi.

    In questo mese, molti di voi pregano il Rosario, chiedendo aiuto alla Madonna.

    La sua intercessione ottenga la misericordia di Dio per la vostra Patria.

    Ricordate anche nelle vostre preghiere tutti i partecipanti al Sinodo dei Vescovi in corso, affinché sappiano ascoltare ciò che lo Spirito Santo vuole dire alla Chiesa.

    Vi benedico di cuore.]

    Srdačno pozdravljam sve hodočasnike iz Hrvatske, a posebno pobjednike gastronomskog natjecanja iz zemalja Europske Unije u organizaciji Udruge UNUO iz Zagreba.

    S osobitom radošću pozdravljam svećenike i vjernike iz Šibenske biskupije, predvođene njihovim pastirom.

    Dragi prijatelji, dok slavite jubilej 725 godina od osnutka vaše Biskupije, s ovim hodočašćem na grobove apostola Petra i Pavla zahvaljujte Bogu za sve darove koje ste primili.

    Vaše višestoljetno zajedništvo s Rimskim biskupom neka vam pomogne da budete graditelji sloge i mira u svijetu u kojemu živite kao radosni Kristovi svjedoci.

    Dok vas pratim u vašemu zahvaljivanju, zazivam zaštitu vašega patrona sv.

    Mihovila Arkanđela te vas od srca blagoslivljam.

    Hvaljen Isus i Marija!

    [Saluto cordialmente tutti i pellegrini dalla Croazia, specialmente i vincitori della gara gastronomica provenienti dai Paesi dell’Unione Europea, organizzata dall’Associazione UNUO di Zagabria. Con particolare gioia saluto i sacerdoti e i fedeli della Diocesi di Šibenik, guidati dal loro Pastore.

    Cari amici, mentre celebrate il giubileo dei 725 anni dalla fondazione della vostra Diocesi, ringraziate Dio con questo pellegrinaggio alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo per tutti i doni che avete ricevuto.

    La vostra comunione plurisecolare con il Vescovo di Roma vi aiuti ad essere costruttori della concordia e della pace nel mondo in cui vivete come gioiosi testimoni di Cristo.

    Mentre vi accompagno nel vostro ringraziamento, invoco la protezione del vostro patrono San Michele Arcangelo e di cuore vi benedico.

    Siano lodati Gesù e Maria!]

    __________________________________________________________

    APPELLI

    Continuo a seguire con lacrime e apprensione quanto sta succedendo in Israele e Palestina: tante persone uccise, altre ferite.

    Prego per quelle famiglie che hanno visto trasformare un giorno di festa in un giorno di lutto e chiedo che gli ostaggi vengano subito rilasciati.

    È diritto di chi è attaccato difendersi, ma sono molto preoccupato per l’assedio totale in cui vivono i palestinesi a Gaza, dove pure ci sono state molte vittime innocenti.

    Il terrorismo e gli estremismi non aiutano a raggiungere una soluzione al conflitto tra Israeliani e Palestinesi, ma alimentano l’odio, la violenza, la vendetta, e fanno solo soffrire gli uni e gli altri.

    Il Medio Oriente non ha bisogno di guerra, ma di pace, di una pace costruita sulla giustizia, sul dialogo e sul coraggio della fraternità.

    Rivolgo un pensiero speciale alla popolazione dell’Afghanistan, che sta soffrendo a seguito del devastante terremoto che l’ha colpita, provocando migliaia di vittime, tra cui molte donne e bambini, e di sfollati.

    Invito tutte le persone di buona volontà ad aiutare questo popolo già così tanto provato, contribuendo, in spirito di fraternità, ad alleviare le sofferenze della gente e a sostenere la necessaria ricostruzione.

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, cominciando dai fedeli delle diocesi di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino e di Montepulciano-Chiusi-Pienza, accompagnati dal Cardinale Paolo Lojudice: cari amici, grazie della vostra presenza! Vi incoraggio a seguire l’esempio di Santa Caterina e Sant’Agnese da Montepulciano, diventando protagonisti di bene nelle vostre comunità.

    Saluto altresì i numerosi gruppi parrocchiali, specialmente quelli di Volturino e di Gragnano: Si fanno sentire questi!

    Accolgo con particolare affetto e riconoscenza le Associazioni Anziani di diverse località: non dimentichiamo che gli anziani sono un dono prezioso nella società; allo loro scuola si apprende la fede genuina e la sapienza della vita.

    Saluto il gruppo Area medica della pastorale della salute della diocesi di Roma, che si occupa delle malattie reumatiche; la Delegazione del Comune di Cervia, che ringrazio per il consueto dono del sale; gli Scout Agesci di Torremaggiore.

    Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli.

    Vi invito a rivolgere il pensiero a Maria, invocata in questo mese di ottobre come Regina del Rosario.

    Per favore, perseverate insieme con Lei nella preghiera per quanti soffrono la fame, le ingiustizie e la guerra, specialmente per la cara e martoriata Ucraina.

    A tutti la mia Benedizione!

    Angelus, 8 Ott 2023
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi il Vangelo ci presenta una parabola drammatica, con un epilogo triste (cfr Mt 21,33-43).

    Il padrone di un terreno vi ha piantato una vigna e l’ha ben curata; poi, dovendo partire, la affida a dei contadini.

    Al momento della vendemmia, manda i suoi servi a ritirare il raccolto.

    Ma i contadini li maltrattano e li uccidono; allora il padrone manda suo figlio, e quelli uccidono perfino lui.

    Come mai? Che cosa è andato storto? C’è un messaggio di Gesù in questa parabola.

    Il padrone fa tutto bene, con amore: fatica in prima persona, pianta la vigna, la circonda con una siepe per proteggerla, scava una buca per il torchio e costruisce una torre di guardia (cfr v.

    33).

    Poi affida la vigna a degli agricoltori, dando loro in affitto il suo bene prezioso e trattandoli perciò in modo equo, perché la vigna sia ben coltivata e porti frutto.

    Date le premesse, la vendemmia dovrebbe concludersi felicemente, in un clima di festa, con una giusta condivisione del raccolto per la soddisfazione di tutti.

    Invece, nella mente dei contadini si sono insinuati pensieri ingrati e avidi.

    Guardate che alla radice dei conflitti c’è sempre qualche ingratitudine e i pensieri avidi, possedere presto le cose.

    “Non abbiamo bisogno di dare nulla al padrone.

    Il prodotto del nostro lavoro è solo nostro.

    Non dobbiamo rendere conto a nessuno!”.

    Così è il discorso di questi operai.

    E questo non è vero: dovrebbero essere riconoscenti per quanto hanno ricevuto e per come sono stati trattati.

    Invece l’ingratitudine alimenta l’avidità e cresce in loro un progressivo senso di ribellione, che li porta a vedere la realtà in modo distorto, a sentirsi in credito anziché in debito con il padrone che aveva dato loro da lavorare.

    Quando vedono il figlio arrivano addirittura a dire: «Costui è l’erede.

    Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!» (v.

    38).

    E da agricoltori diventano assassini.

    E’ tutto un processo.

    E questo processo tante volte succede nel cuore della gente, persino nel nostro cuore.

    Con questa parabola, Gesù ci ricorda cosa succede quando l’uomo si illude di farsi da sé e dimentica la gratitudine, dimentica la realtà fondamentale della vita: che il bene viene dalla grazia di Dio, che il bene viene dal suo dono gratuito.

    Quando si scorda questo, la gratuità di Dio, si finisce col vivere la propria condizione e il proprio limite non più con la gioia di sentirsi amati e salvati, ma con la triste illusione di non aver bisogno né di amore, né di salvezza.

    Si smette di lasciarsi voler bene e ci si ritrova prigionieri della propria avidità, prigionieri del bisogno di avere qualcosa in più degli altri, del voler emergere sugli altri.

    È brutto, questo processo, e tante volte succede a noi.

    Pensiamoci sul serio.

    Da qui provengono tante insoddisfazioni e recriminazioni, tante incomprensioni e tante invidie; e, spinti dal rancore, si può precipitare nel vortice della violenza.

    Sì, cari fratelli e sorelle, l’ingratitudine genera violenza, ci toglie la pace e ci fa sentire e parlare urlando, senza pace, mentre un semplice “grazie” può riportare la pace!

    Chiediamoci allora: io mi rendo conto di aver ricevuto in dono la vita e la fede? Mi rendo conto di essere io stesso, io stessa, un dono? Credo che tutto comincia dalla grazia del Signore? Comprendo di esserne beneficiato senza meriti, amato e salvato gratuitamente? E soprattutto, in risposta alla grazia, so dire “grazie”? So dire “grazie”? Le tre parole che sono il segreto della convivenza umana: grazie, permesso, perdono.

    Io so dire queste tre parole? Grazie, permesso, perdono, scusami.

    Io so pronunciare queste tre parole? È una piccola parola, “grazie” – è una piccola parola, “permesso”, è una piccola parola chiedere scusa, “perdono” – attesa ogni giorno da Dio e dai fratelli.

    Domandiamoci se questa piccola parola, “grazie”, “permesso”, “perdono, scusa” è presente nella nostra vita.

    So ringraziare, dire “grazie”? So chiedere scusa, perdono? So non essere invadente – “permesso”? Grazie, perdono, permesso.

    Ci aiuti Maria, la cui anima magnifica il Signore, a fare della gratitudine la luce che sorge ogni giorno dal cuore.


    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Seguo con apprensione e dolore quanto sta avvenendo in Israele, dove la violenza è esplosa ancora più ferocemente, provocando centinaia di morti e feriti.

    Esprimo la mia vicinanza alle famiglie delle vittime, prego per loro e per tutti coloro che stanno vivendo ore di terrore e di angoscia.

    Gli attacchi e le armi si fermino, per favore, e si comprenda che il terrorismo e la guerra non portano a nessuna soluzione, ma solo alla morte e alla sofferenza di tanti innocenti.

    La guerra è una sconfitta: ogni guerra è una sconfitta! Preghiamo perché ci sia pace in Israele e in Palestina!

    In questo mese di ottobre, dedicato, oltre che alle missioni, alla preghiera del Rosario, non stanchiamoci di invocare, per l’intercessione di Maria, il dono della pace sui molti Paesi del mondo segnati da guerre e da conflitti; e continuiamo a ricordare la cara Ucraina, che ogni giorno soffre tanto, tanto martoriata.

    Ringrazio quanti stanno seguendo e soprattutto accompagnando con la preghiera il Sinodo in corso, evento ecclesiale di ascolto, condivisione e comunione fraterna nello Spirito.

    Invito tutti ad affidarne i lavori allo Spirito Santo.

    Saluto tutti voi, romani e pellegrini provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo, in particolare gli alunni e gli insegnanti del Centro Formativo Stimmatini di Verona, e i gesuiti di diversi Paesi ospiti del Collegio San Roberto Bellarmino di Roma.

    Tanti polacchi: vedo tante bandiere polacche qui.

    Un saluto a tutti voi e ai ragazzi dell’Immacolata.

    A tutti auguro una buona domenica e, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci!

     

    Santa Messa per il Corpo della Gendarmeria Vaticana (7 Ott 2023)
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    L'immagine della vigna ci fa pensare anche al vostro lavoro, cari gendarmi.

    La prima Lettura (Is 5,1-7) parla di un uomo che prepara bene la sua vigna perché sia buona, ma essa produce frutti cattivi.

    E questo un po' è il dramma della vita, la lotta del bene contro il male.

    Il Signore ha piantato tutti noi, come se fossimo tralci di una vigna buona, ma il nemico viene sempre per rovinarci.

    Questa è la lotta di tutti i giorni: la vostra e la mia e quella di tutti noi.

    Uno che non lotta non è un cristiano, uno che non subisce le tentazioni non è cristiano.

    Nella vita cristiana non conta l'acqua distillata: nessuno è distillato.

    Tutti noi siamo peccatori, ma pieni di fede e con la voglia di andare avanti.

    Soltanto, dobbiamo lottare perché il diavolo non entri troppo nella nostra vita.

    E per questo, San Michele ci aiuta, perché è quello che ha cacciato via il diavolo con la spada.

    Noi dobbiamo stare attenti e custodire la vigna: la vigna di ognuno di voi, la vigna delle vostre famiglie, dei vostri figli e la vigna, qui, in Vaticano, perché non entrino tralci cattivi.

    Ma come entrano, questi? Il Vangelo ce lo spiega: che cosa vuole il cattivo spirito, il demonio? Prendere possesso.

    Ma quando lui prende possesso cosa fa? Distrugge.

    Una guerra si può vincere con l'intelligenza dei generali che fanno la strategia per non distruggere troppo.

    Ma una guerra mai si vince bene distruggendo: questa è una guerra sporca.

    Così la nostra vita: il diavolo cerca di distruggere tutto e vincere distruggendo.

    E San Michele ci aiuta a cacciarlo via e sistemare bene le cose.

    Quando quel signore del Vangelo (Mt 21,33-43) è andato lontano e ha lasciato la vigna nelle mani dei contadini, a questi è piaciuto il potere: essi hanno preso possesso e poi hanno voluto assassinare il padrone della vigna.

    Così succede sempre, cari, sapete? Quando entra la corruzione, in qualsiasi posto, è un'assassina, uccide.

    E voi siete custodi perché questo non vada avanti, noi siamo custodi.

    Il diavolo non è soltanto quello che ci porta al peccato: a lui non interessa tanto il peccato quanto la corruzione.

    Il diavolo cerca di generare uno stato di corruzione, e l'immagine di San Michele parla della lotta contro questa corruzione.

    Vi chiedo, per favore, lottate perché non venga la corruzione.

    La tentazione c'è sempre.

    Il cattivo spirito gira, gira, gira per introdurla; ma nelle vostre mani sta il lottare: questa è la vostra vocazione e per questo vi protegge San Michele arcangelo.

    Andate avanti, custodite la vigna del Signore, custodite questa vigna che il Signore vi dà da custodire.

    È questa la vostra vocazione.

    E grazie, grazie per quello che fate.

    Grazie.

    Ai Membri della Confraternita della Madre di Dio di Montserrat (Spagna) (7 Ott 2023)
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    Buongiorno a tutti (in catalano)

    Benvenuti.

    Saluto cordialmente, il cardinale Omella, il padre abate di Montserrat, Manel Gasch, e gli altri vescovi, sacerdoti e religiosi presenti, e tutti i fedeli che partecipano a questo pellegrinaggio.

    Grazie, grazie per questa visita.

    Sono contento di ricevervi e di vedervi in questo giorno in cui celebriamo la nostra Madre celeste con il titolo di Nostra Signora del Rosario.

    Celebrare Maria è celebrare la vicinanza e la tenerezza di Dio che incontra il suo popolo, che non ci lascia soli, che ci ha dato una Madre che si prende cura di noi e ci accompagna.

    È celebrare la vicinanza di Dio, perché lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza.

    Così ama Dio e vedendo Maria uno capisce la vicinanza di Dio, la compassione di Dio in una madre, e la tenerezza di Dio.

    Voi siete venuti proprio come pellegrini a Roma per celebrare e rendere grazie al Signore per questa presenza di Maria tanto vicina che, da 800 anni, vi accompagna nel cammino della vita cristiana.

    Evochiamo ora la sua immagine: la Vergine di Montserrat, l’amata “Moreneta”, la Vergine nera, è seduta, con in braccio il Bambino, è la “Mare de Déu”, la Madre di Dio, e nella mano destra ha una sfera che simboleggia l’universo, è la “Regina e Signora di tutto il creato”.

    Tener presente questa duplice vocazione di Maria a essere madre di Dio e madre nostra ci aiuta a riflettere sul tema scelto per questo pellegrinaggio: “Pietà popolare, amicizia sociale e confraternità universale”.

    Sappiamo che la devozione mariana significa molto nelle manifestazioni di pietà del santo popolo fedele di Dio.

    È la Madre.

    Pensiamo, in questi 800 anni di presenza a Montserrat quanti fedeli hanno visitato il suo santuario, hanno sgranato la corona del rosario e hanno chiesto con umiltà e semplicità alla Moreneta la sua intercessione per loro e per i propri cari! Quante, quante manifestazioni di affetto filiale, suppliche e azioni di rendimento di grazie! Quando il popolo di Dio va a visitare sua Madre, si esprime, si esprime in un modo che forse non usa tanto in un altro tipo di preghiera.

    Davanti alla Madre, è come se si risvegliassero i sentimenti più nobili di una persona.

    E quando Maria ascolta le nostre preghiere, fa questo gesto, che è il gesto più mariano.

    Indica Gesù: “Fate quello che vi dirà”.

    È il gesto tipicamente mariano.

    Indica il camino e parla a suo Figlio affinché ascolti.

    La forza evangelizzatrice della pietà popolare crea condizioni favorevoli affinché i vincoli di amicizia e di fratellanza tra i popoli crescano e si rafforzino (cfr.

    Esortazione apostolica Evangelii gaudium, nn.

    122-126).

    San Paolo vi lo aveva già capito e cambiò il nome, da “religiosità popolare” a “pietà popolare”.

    Nella sua Evangelii nuntiandi ci sono paragrafi molto chiari su questa grazia — è una grazia che hanno i popoli — della pietà popolare.

    E anche in questo aspetto la devozione mariana ha un posto privilegiato.

    Maria è avvocata, però oggigiorno la parola avvocato è troppo funzionale.

    Meglio dire che è “facilitadora”, facilitatrice.

    Maria è facilitatrice nei conflitti e nei problemi, come nella mancanza di vino nelle nozze.

    Lei ci aiuta a “sciogliere i nodi” che possono crearsi in noi e tra noi.

    Vale a dire che Maria spiana anche il cammino dell’amicizia tra i popoli, invitandoci a volgere lo sguardo verso l’origine e la meta della nostra esistenza, che è Gesù Cristo.

    E questo ci incoraggia a seguire il suo esempio, percorrendo i sentieri della pace, della gentilezza, dell’ascolto e del dialogo paziente e fiducioso.

    Fratelli e sorelle, la Vergine di Montserrat, con il mondo nelle sue mani, ci invita a vivere questa fratellanza universale, senza frontiere, senza esclusioni, che dissipa le ombre di un ambiente chiuso.

    Lei è attenta non solo a Gesù ma anche al “resto della sua discendenza” (Ap 12, 17).

    Lei, con il potere del Risorto, vuole partorire un mondo nuovo, dove tutti siamo fratelli, dove ci sia posto per ogni scartato delle nostre città, dove risplendano la giustizia e la pace (Lettera enciclica Fratelli tutti, n.

    278).

    Per Lei non c’è scarto, è la Madre degli scartati, di quelli che noi scartiamo, perché va lì a cercarli.

    Non conosce l’atteggiamento di scartare nessuno.

    E, poiché è Madre, sa ascoltare tante cose, tante richieste, persino quando nascono da un cuore duplice, da un cuore non coerente con sé stesso, un cuore ingiusto, che fa del male.

    Ascolta, ascolta anche il figlio criminale.

    È bello riflettere su questi temi e poter sperimentare insieme la gioia di annunciare Cristo tenuti per mano da Maria, Madre del Vangelo vivente e Stella della nuova evangelizzazione.

    Vi incoraggio ad andare avanti in questa missione, che è dono e compito.

    Che Gesù vi benedica, che la Vergine si prenda cura di voi, è una buona custode, sa prendersi cura, e vi aiuti a continuare a camminare insieme.

    E, a proposito, vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me.

    Grazie.

     

    ______________________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIII n.

    231, sabato 7 ottobre 2023, p.

    12.

     

    Messaggio del Santo Padre ai partecipanti del IV incontro annuale di The Economy of Francesco [Assisi, 6-8 Ott 2023] (6 Ott 2023)
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    Carissime e carissimi giovani,

    è bello ritrovarvi a un anno dall’evento di Assisi e sapere che il vostro lavoro per rianimare l’economia va avanti con frutti, entusiasmo e impegno.

    Mi avete spesso sentito dire che la realtà è superiore all’idea [1].

    E tuttavia le idee ispirano e ce n’è una che, sin da quando ero un giovane studente di teologia, mi affascina.

    In latino si chiama la coincidentia oppositorum, cioè l’unità degli opposti.

    Secondo questa idea la realtà è fatta di poli opposti, di coppie che sono in opposizione tra loro.

    Alcuni esempi sono il grande e il piccolo, la grazia e la libertà, la giustizia e l’amore, e così via.

    Cosa fare di questi opposti? Certo si può tentare di scegliere uno dei due e di eliminare l’altro.

    Oppure, come suggerivano gli autori che studiavo, nel tentativo di conciliare gli opposti, si potrebbe fare una sintesi, evitando di cancellare un polo o l’altro, per risolverli in un piano superiore, dove però la tensione non sia eliminata.

    Cari giovani, ogni teoria è parziale, limitata, non può pretendere di racchiudere o risolvere completamente gli opposti.

    Così è anche ogni progetto umano.

    La realtà sfugge sempre.

    Allora, da giovane gesuita, questa idea dell’unità degli opposti mi sembrava un paradigma efficace per capire il ruolo della Chiesa nella storia.

    Se ci pensate bene, però, è utile per capire che cosa succede nell’economia di oggi.

    Grande e piccolo, povertà e ricchezza e tanti altri opposti ci sono anche in economia.

    Economia sono le bancarelle del mercato, così come gli snodi della finanza internazionale; c’è l’economia concreta fatta di volti, sguardi, persone, di piccole banche e imprese, e c’è l’economia tanto grande da sembrare astratta delle multinazionali, degli Stati, delle banche, dei fondi d’investimento; c’è l’economia del denaro, dei bonus e di stipendi altissimi accanto a una economia della cura, delle relazioni umane, di stipendi troppo bassi per poter vivere bene.

    Dove è la coincidenza tra questi opposti? Essa si trova nella natura autentica dell’economia: essere luogo di inclusione e cooperazione, generazione continua di valore da creare e mettere in circolo con gli altri.

    Il piccolo ha bisogno del grande, il concreto dell’astratto, il contratto del dono, la povertà della ricchezza condivisa.

    Tuttavia, non dimenticatelo, ci sono opposizioni che non generano affatto un’armonia.

    L’economia che uccide non coincide con un’economia che fa vivere; l’economia delle enormi ricchezze per pochi non si armonizza dal proprio interno con i troppi poveri che non hanno di come vivere; il gigantesco business delle armi non avrà mai nulla in comune con l’economia della pace; l’economia che inquina e distrugge il pianeta non trova nessuna sintesi con quella che lo rispetta e lo custodisce.

    È proprio in queste consapevolezze il cuore della nuova economia per la quale vi impegnate.

    L’economia che uccide, che esclude, che inquina, che produce guerra, non è economia: altri la chiamano economia, ma è solo un vuoto, un’assenza, è una malattia, una perversione dell’economia stessa e della sua vocazione.

    Le armi prodotte e vendute per le guerre, i profitti fatti sulla pelle dei più vulnerabili e indifesi, come chi lascia la propria terra in cerca di un migliore avvenire, lo sfruttamento delle risorse e dei popoli che rubano terre e salute: tutto questo non è economia, non è un polo buono della realtà, da mantenere.

    È solo prepotenza, violenza, è solo un assetto predatorio da cui liberare l’umanità.

    Vorrei proporvi una seconda idea che mi sta molto a cuore, legata a quanto vi ho appena detto sulle tensioni interne all’economia:l’economia delle terra e l’economia del cammino.

    L’economia della terra viene dal primo significato della parola economia, quello di cura della casa.

    La casa non è solo il luogo fisico dove viviamo, ma è la nostra comunità, le nostre relazioni, sono le città che abitiamo, le nostre radici.

    Per estensione, la casa è il mondo intero, l’unico che abbiamo, affidato a tutti noi.

    Per il solo fatto di essere nati siamo chiamati a diventare custodi di questa casa comune e, quindi, fratelli e sorelle di ogni abitante della terra.

    Fare economia significa prenderci cura della casa comune, e questo non sarà possibile se non avremo occhi allenati a vedere il mondo a partire dalle periferie: lo sguardo degli esclusi, degli ultimi.

    Finora lo sguardo sulla casa che si è imposto è stato quello degli uomini, dei maschi, in genere occidentali e del nord del mondo.

    Abbiamo lasciato fuori per secoli – tra gli altri - lo sguardo delle donne: se fossero stati presenti, ci avrebbero fatto vedere meno merci e più relazioni, meno denaro e più redistribuzione, più attenzione a chi ha e a chi non ha, più realtà e meno astrazione, più corpo e meno chiacchiere.

    Non possiamo più continuare a escludere sguardi diversi dalla prassi e dalla teoria economica, così come dalla vita della Chiesa.

    Per questo, una mia gioia speciale è vedere quante giovani donne sono protagoniste di Economy of Francesco.

    L’economia integrale è quella che si fa con e per i poveri - in tutti i modi in cui si è poveri oggi - gli esclusi, gli invisibili, quelli che non hanno voce per farsi sentire.

    Dobbiamo trovarci lì, sulle faglie della storia e dell'esistenza e, per chi si dedica allo studio dell'economia, anche alle periferie del pensiero, che non sono meno importanti.

    Allora domandatevi: quali sono oggi le periferie della scienza economica? Non basta un pensiero su e per i poveri, ma con i poveri, con gli esclusi.

    Anche nella teologia abbiamo troppe volte ‘studiato i poveri’ ma abbiamo poco studiato ‘con i poveri’: da oggetto della scienza devono diventare soggetti, perché ogni persona ha storie da raccontare, ha un pensiero sul mondo: la prima povertà dei poveri è essere esclusi dal dire la loro, esclusi dalla stessa possibilità di esprimere un pensiero considerato serio.

    Si tratta di dignità e rispetto, troppo spesso negati.

    Ecco allora l’economia del cammino.

    Se guardiamo l’esperienza di Gesù e dei primi discepoli è quella del ‘Figlio dell’uomo che non sa dove posare il capo’ (Lc, 9).

    Uno dei più antichi modi di descrivere i cristiani era: “quelli della via”.

    E quando Francesco d’Assisi, a noi tanto caro, iniziò la sua rivoluzione anche economica in nome del solo vangelo, tornò mendicante, errante: si mise a camminare, lasciando la casa di suo padre Bernardone.

    Quale via, allora, per chi vuole rinnovare dalle radici l’economia? Il cammino dei pellegrini è da sempre rischioso, intessuto di fiducia e di vulnerabilità.

    Chi lo intraprende deve presto riconosce la sua dipendenza dagli altri, lungo il percorso: così, voi comprendete che anche l’economia è mendicante delle altre discipline e saperi.

    E come il pellegrino sa che il suo viaggio sarà impolverato, così voi sapete che il bene comune richiede un impegno che sporca le mani.

    Solo le mani sporche sanno cambiare la terra: la giustizia si vive, la carità si incarna e, solidali nelle sfide, in esse si persevera con coraggio.

    Essere economisti e imprenditori “di Francesco” oggi significa essere necessariamente donne e uomini di pace: non darsi pace per la pace.

    Cari giovani, non abbiate paura delle tensioni e dei conflitti, cercate di abitarli e di umanizzarli, ogni giorno.

    Vi affido il compito di custodire la casa comune e avere il coraggio del cammino.

    È difficile, ma so che voi potete farcela perché ce la state già facendo.

    So che non è immediato inserire i vostri sforzi e condividere i vostri sogni all’interno delle vostre Chiese e tra le realtà economiche dei territori che abitate.

    La realtà sembra già configurata, spesso impermeabile come un terreno su cui non piove da troppo tempo.

    Non vi manchino pazienza e intraprendenza per lasciarvi conoscere e per stabilire connessioni via via più stabili e feconde.

    Il desiderio di un mondo nuovo è più diffuso di quanto appaia.

    Non chiudetevi in voi stessi: le oasi nel deserto sono luoghi cui tutti devono potere accedere, crocevia in cui sostare e da cui ripartire diversi.

    Rimanete dunque aperti e cercate con determinazione ed entusiasmo i vostri colleghi, i vostri vescovi, i vostri concittadini.

    E in questo, vi ripeto, i poveri siano con voi.

    Date voce e date forma a un popolo, perché la concretezza dell’economia e delle soluzioni che state studiando e sperimentando coinvolgono la vita di tutti.

    C’è più spazio per voi di quanto oggi non appaia.

    Vi chiedo quindi di rimanere attivamente uniti, costruendo su temi operativi veri e propri ponti fra i continenti, che portino definitivamente fuori l’umanità dall’era coloniale e delle diseguaglianze.

    Date volti, contenuto e progetti a una fraternità universale.

    Siate pionieri dall’interno della vita economica e imprenditoriale di uno sviluppo umano integrale.

    Mi fido di voi, e, non dimenticatelo mai: vi voglio molto bene.

    FRANCESCO

     


    [1] EG 217-237

    Messaggio del Santo Padre ai partecipanti ai Villaggi Coldiretti (6 Ott 2023)
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    Cari fratelli e sorelle, saluto cordialmente tutti voi, riuniti a Roma in questo importante incontro che vede la presenza di coltivatori e imprenditori del settore agricolo provenienti dalle diverse regioni d’Italia.

    Nell’Enciclica Mater et Magistra, San Giovanni XXIII volle sottolineare il valore arricchente del lavoro agricolo ai fini della promozione integrale della persona, tanto sul piano umano, come eminente via di realizzazione individuale e di sviluppo comunitario, quanto sul piano dello spirito, come partecipazione all’attuazione del disegno provvidenziale di Dio nella storia.

    Il lavoro agricolo – affermava il Sommo Pontefice – «va concepito e vissuto come una vocazione e come una missione» [1], in quanto getta luce sulla dimensione “responsoriale” della chiamata dell’uomo a far progredire il Regno dei cieli.

    La creazione, infatti, è stata voluta da Dio come un dono e un’eredità affidati all’uomo [2].

    Fatta nel Verbo eterno e per mezzo di esso, essa non è uscita dalle mani del Creatore già “finita”, ma «in stato di via», cioè aperta e diretta ad un compimento.

    Nel consegnarla all’uomo, come un bene da custodire, Dio ha disposto che egli contribuisse ad indirizzarla a quella perfezione cui essa è destinata e che sarà raggiunta alla fine dei tempi [3].

    Dunque, rispondere all’invito di Dio, originario e sempre attuale, di far germogliare e fruttificare la terra, di trasformarla con rispetto e cura, significa cooperare al progetto iniziale di Dio.

    Il libro della Genesi evidenzia sin da subito come nel lavoro agricolo sia stata offerta all’uomo la possibilità di educarsi a riconoscere nel creato il segno dell’alleanza che Dio aveva stretto con lui.

    Dopo aver fatto il cielo e la terra, il Signore si accorse che la terra era arida e spoglia, senza erba campestre, non soltanto perché Egli non aveva fatto piovere, ma anche perché non c’era nessuno che lavorasse il terreno, né che facesse salire dalla terra l’acqua nei canali per poter irrigare il suolo (cfr.

    Gen 2,4-6).

    Dio, allora, plasmò l’uomo con polvere del suolo, lo animò con il suo soffio vitale, e piantò un meraviglioso giardino affinché «lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15).

    L’uomo è chiamato da Dio a svolgere con intelligenza un’attività tecnica a cui è associato il dovere di una custodia, non solo materiale, ma anche morale.

    Nel racconto di Genesi, imparare a conoscere le leggi dell’agricoltura, costruire canali per modificare il corso dei fiumi, sono lavori da compiere in vista di un duplice vantaggio: rendere la terra più bella e feconda, nel mentre la si rende più umana, più accogliente e ospitale per la vita dei suoi abitanti.

    Mentre l’uomo lavora, cambia il mondo, ma cambia anche sé stesso diventando più responsabile e generoso.

    Il dinamismo operoso e generativo del lavoro agricolo si chiarisce ulteriormente alla luce della rivelazione del Vangelo di Cristo: il comando di Dio di «dominare la terra» (Gen 1,26) si declina come partecipazione alla regalità del Signore crocifisso e risorto, nella logica dell’amore che si fa servizio e che libera il mondo dalla corruzione e dalla caducità del peccato (cfr.

    Rm 8,19-20).

    Assistiamo oggigiorno allo sviluppo di nuove tecnologie, sempre più efficienti e performanti, grazie alle quali l’uomo è in grado di accrescere il proprio potere sulla natura, spesso forzando la terra a dare frutto.

    L’uso sconsiderato e coercitivo della tecnologia, applicata a ritmi di produzione insostenibili, assoggettata a modelli di consumo omologanti, ha un prezzo altissimo.

    Lo dimostra la crisi climatica che stiamo attraversando: l’impatto ambientale dei ritmi intensivi, finora adottati, ha influito negativamente sulle coltivazioni, creando circoli viziosi da cui è sempre più complesso riscattarsi.

    Più maltrattiamo la terra, inquinando l’acqua e l’aria, più sottraiamo spazio alla biodiversità, abbattendo le foreste e compromettendo gli ecosistemi, più diventa difficile far fronte all’instabilità degli eventi metereologici.

    Coltivare la terra mentre aumentano le ondate di calore, le piogge torrenziali, le improvvise gelate di freddo, rende il lavoro agricolo un’impresa sempre più difficile da realizzare.

    A pagarne il prezzo non è soltanto la natura, ma anche i poveri.

    È il paradosso “scandaloso” della cultura dello scarto: produciamo alimenti sufficienti a sfamare l’intera popolazione mondiale, ma la maggior parte di essa vive senza il pane quotidiano.

    Pertanto, è dovere di tutti estirpare questa ingiustizia mediante azioni concrete e buone pratiche, attraverso politiche locali e internazionali che abbiano il coraggio di scegliere il giusto e non soltanto l’utile, il conveniente, il profittevole [4].

    Mentre riflettete su come valorizzare la distintività e la qualità del Made in Italy agroalimentare, vi invito a ricordarvi di chi manca del necessario per sfamarsi.

    Per favore, non dimentichiamoci dei poveri.

    Sogniamo un mondo in cui l’acqua, il pane, il lavoro, le medicine, la terra, la casa, siano beni disponibili per ogni individuo.

    Prego affinché il Signore possa infondere su voi tutti il coraggio e l’ardore di piantare semi di pace che contribuiscano a costruire un mondo più fraterno e imploro Dio, datore di ogni bene, affinché possa concedervi abbondanti benedizioni.

    Roma, da San Giovanni in Laterano, 6 ottobre 2023

    FRANCESCO

     


    [1] Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Mater et Magistra, n.

    135.

    [2] Cf.

    CCC, n.

    299.

    [3] Cf.

    CCC, n.

    302

    [4] Cf.

    Francesco, Messaggio del Santo Padre in occasione del Pre-Summit sul “Food System Summit 2021”, (Città del Vaticano, 26 luglio 2021).

    Apertura della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (4 Ott 2023)
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    Fratelli e sorelle, buon pomeriggio!

    Saluto tutti voi, con cui incominciamo questo cammino sinodale.

    Mi piace ricordare che è stato San Paolo VI a dire che la Chiesa in Occidente aveva perso l’idea della sinodalità, e per questo aveva creato il segretariato per il Sinodo dei Vescovi, che ha fatto tanti incontri, tanti Sinodi su diverse tematiche.

    Ma l’espressione della sinodalità non è ancora matura.

    Ricordo che ero segretario in uno di questi Sinodi, e il Cardinale Segretario – un bravo belga missionario, bravo bravo – quando io preparavo per le votazioni veniva a guardare: “Cosa stai facendo?” – “Quello che si deve votare domani” – “Che cos’è? No, questo non si vota” – “Ma senti, è sinodale” – “No, no, non si vota”.

    Perché ancora non avevamo l’abitudine che tutti devono esprimersi con libertà.

    E così, lentamente, in questi quasi 60 anni, il cammino è andato in questa direzione, e oggi possiamo arrivare a questo Sinodo sulla sinodalità.

    Non è facile, ma è bello, è molto bello.

    Un Sinodo che tutti i vescovi del mondo hanno voluto.

    Nel sondaggio che è stato fatto dopo il Sinodo per l’Amazzonia, tra tutti i vescovi del mondo, il secondo posto delle preferenze era questo: la sinodalità.

    Al primo erano i preti, al terzo credo una questione sociale.

    Ma [questo era] al secondo.

    Tutti i vescovi del mondo vedevano la necessità di riflettere sulla sinodalità.

    Perché? Perché tutti avevano capito che il frutto era maturo per una cosa del genere.

    E con questo spirito incominciamo a lavorare oggi.

    E a me piace dire che il Sinodo non è un parlamento, è un’altra cosa; che il Sinodo non è una riunione di amici per risolvere alcune cose del momento o dare le opinioni, è un’altra cosa.

    Non dimentichiamo, fratelli e sorelle, che il protagonista del Sinodo non siamo noi: è lo Spirito Santo.

    E se in mezzo a noi c’è lo Spirito che ci guida, sarà un bel Sinodo.

    Se in mezzo a noi ci sono altri modi di andare avanti per interessi sia umani, personali, ideologici, non sarà un Sinodo, sarà una riunione più parlamentare, che è un’altra cosa.

    Sinodo è un cammino che fa lo Spirito Santo.

    È stato dato a voi qualche foglio con testi patristici che ci aiuteranno nell’apertura del Sinodo.

    Sono tratti da San Basilio, che ha scritto quel bel trattato sullo Spirito Santo.

    Perché? Perché occorre capire questa realtà che non è facile, non è facile.

    Quando, nel 50° della creazione del Sinodo, i teologi mi hanno preparato una lettera che ho firmato, è stato un bel passo avanti.

    Ma adesso dobbiamo noi trovare la spiegazione su quella strada.

    Protagonisti del Sinodo non siamo noi, è lo Spirito Santo, e se noi lasciamo posto allo Spirito Santo, il Sinodo andrà bene.

    Questi fogli su San Basilio li hanno dati a voi in diverse lingue: inglese, francese, portoghese e spagnolo, così avete nelle mani questo.

    Io non menziono questi testi, sui quali vi prego poi di riflettere e meditare.

    Lo Spirito Santo è il protagonista della vita ecclesiale: il piano di salvezza degli uomini si compie per la grazia dello Spirito.

    È Lui a fare il protagonismo.

    Se noi non capiamo questo, saremo come quelli di cui si parla negli Atti degli Apostoli: “Avete ricevuto lo Spirito Santo?” – “Che cos’è lo Spirito Santo? Neppure ne abbiamo sentito parlare” (cfr 19,1-2).

    Dobbiamo capire che è Lui il protagonista della vita della Chiesa, Colui che la porta avanti.

    Lo Spirito Santo innesca nella comunità ecclesiale un dinamismo profondo e variegato: il “trambusto” della Pentecoste.

    È curioso cosa succede nella Pentecoste: tutto era ben sistemato, tutto chiaro… Quella mattina c’è un trambusto, si parlano tutte le lingue, tutti capivano… Ma è una varietà che non si capisce bene del tutto cosa significa… E dopo questo, la grande opera dello Spirito Santo: non l’unità, no, l’armonia.

    Lui ci unisce in armonia, l’armonia di tutte le differenze.

    Se non c’è l’armonia, non c’è lo Spirito: è Lui che fa così.

    Poi, il terzo testo che può aiutare: lo Spirito Santo è il compositore armonico della storia della salvezza.

    Armonia – stiamo attenti – non significa “sintesi”, ma “legame di comunione tra parti dissimili”.

    Se noi in questo Sinodo finiremo con una dichiarazione tutti uguali, tutti uguali, senza nuances, lo Spirito non c’è, è rimasto fuori.

    Lui fa quell’armonia che non è sintesi, è un legame di comunione fra parti dissimili.

    La Chiesa, un’unica armonia di voci, in molte voci, operata dallo Spirito Santo: così dobbiamo concepire la Chiesa.

    Ogni comunità cristiana, ogni persona ha la propria peculiarità, ma queste particolarità vanno inserite nella sinfonia della Chiesa e quella sinfonia giusta la fa lo Spirito: noi non possiamo farla.

    Noi non siamo un parlamento, noi non siamo le Nazioni Unite, no, è un’altra cosa.

    Lo Spirito Santo è l’origine dell’armonia fra le Chiese.

    È interessante quello che Basilio dice ai fratelli vescovi: “Come dunque noi stimiamo un bene nostro la vostra reciproca concordia e unità, così invitiamo anche voi a partecipare alle nostre sofferenze causate dalle divisioni e a non separarci da voi per il fatto che siamo distanti a motivo della collocazione e dei luoghi, ma, poiché siamo uniti nella comunione secondo lo Spirito, ad accoglierci nell’armonia di un unico corpo”.

    Lo Spirito Santo ci conduce per mano e ci consola.

    La presenza dello Spirito è così – mi permetto la parola – quasi materna, come una mamma ci conduce, ci fa questa consolazione.

    È il Consolatore, uno dei nomi dello Spirito: il Consolatore.

    L’azione consolatrice dello Spirito Santo raffigurata dall’albergatore al quale è affidato l’uomo incappato nei briganti (cfr Lc 10,34-35): Basilio interpreta quella parabola del buon Samaritano e nell’albergatore vede lo Spirito Santo che permette che la buona volontà di un uomo e il peccato di un altro vadano in una strada armonica.

    Inoltre, Colui che custodisce la Chiesa è lo Spirito Santo.

    Poi, lo Spirito Santo ha un multiforme esercizio paracletico.

    Dobbiamo imparare ad ascoltare le voci dello Spirito: sono tutte differenti.

    Imparare a discernere.

    E poi, lo Spirito è Colui che fa la Chiesa: è Lui a fare la Chiesa.

    C’è un legame molto importante tra la Parola e lo Spirito.

    Possiamo pensare a questo: il Verbo e lo Spirito.

    La Scrittura, la Liturgia, l’antica tradizione ci parlano della “tristezza” dello Spirito Santo, e una delle cose che più rattristano lo Spirito Santo sono le parole vuote.

    Le parole vuote, le parole mondane e – scendendo un po’ a una certa abitudine umana ma non buona – il chiacchiericcio.

    Il chiacchiericcio è l’anti-Spirito Santo, va contro.

    È una malattia molto frequente fra noi.

    E le parole vuote rattristano lo Spirito Santo.

    “Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale foste segnati” (cfr Ef 4,30).

    Quale grande male sia rattristare lo Spirito Santo di Dio, c’è bisogno di dirlo? Chiacchiera, maldicenza: questo rattrista lo Spirito Santo.

    È la malattia più comune nella Chiesa, il chiacchiericcio.

    E se noi non lasciamo che Lui ci guarisca da questa malattia, difficilmente un cammino sinodale sarà buono.

    Almeno qui dentro: se tu non sei d’accordo con quello che dice quel vescovo o quella suora o quel laico là, diglielo in faccia.

    Per questo è un Sinodo.

    Per dire la verità, non il chiacchiericcio sotto il tavolo.

    Lo Spirito Santo ci conferma nella fede.

    È lui che lo fa continuamente…

    Questi testi di Basilio, leggeteli, sono nella vostra lingua, perché credo che ci aiuteranno a fare nel nostro cuore spazio allo Spirito.

    Ripeto: non è un parlamento, non è una riunione per la pastorale della Chiesa.

    Questo è un syn-odos, camminare insieme è il programma.

    Abbiamo fatto tante cose, come ha detto Sua Eminenza: la consultazione, tutto questo, con il popolo di Dio.

    Ma chi prende in mano questo, chi guida è lo Spirito Santo.

    Se Lui non c’è, questo non darà un buon risultato.

    Insisto su questo: per favore, non rattristare lo Spirito.

    E nella nostra teologia fare spazio allo Spirito Santo.

    E anche in questo Sinodo, discernere le voci dello Spirito da quelle che non sono dello Spirito, che sono mondane.

    A mio avviso, la malattia più brutta che oggi – sempre, ma anche oggi – si vede nella Chiesa è ciò che va contro lo Spirito, cioè la mondanità spirituale.

    Uno spirito, ma non santo: di mondanità.

    State attenti a questo: non prendiamo il posto dello Spirito Santo con cose mondane – anche buone – come il buon senso: questo aiuta, ma lo Spirito va oltre.

    Dobbiamo imparare a vivere nella nostra Chiesa con lo Spirito Santo.

    Mi raccomando, riflettete su questi testi di San Basilio che ci aiuteranno tanto.

    Poi, voglio dire che in questo Sinodo – anche per fare posto allo Spirito Santo – c’è la priorità dell’ascolto, c’è questa priorità.

    E dobbiamo dare un messaggio agli operatori della stampa, ai giornalisti, che fanno un lavoro molto bello, molto buono.

    Dobbiamo dare proprio una comunicazione che sia il riflesso di questa vita nello Spirito Santo.

    Ci vuole un’ascesi – scusatemi se parlo così ai giornalisti – un certo digiuno della parola pubblica per custodire questo.

    E quello che si pubblica, che sia in questo clima.

    Qualcuno dirà – lo stanno dicendo – che i vescovi hanno paura e per questo non vogliono che i giornalisti dicano.

    No, il lavoro dei giornalisti è molto importante.

    Ma dobbiamo aiutarli affinché dicano questo, questo andare nello Spirito.

    E più che la priorità di parlare, c’è la priorità dell’ascolto.

    E ai giornalisti chiedo per favore di fare capire questo alla gente, che sappia che la priorità è dell’ascolto.

    Quando c’è stato il Sinodo sulla famiglia, c’era l’opinione pubblica, fatta dalla nostra mondanità, che fosse per dare la comunione ai divorziati: e così siamo entrati nel Sinodo.

    Quando c’è stato il Sinodo per l’Amazzonia, c’era l’opinione pubblica, la pressione, che fosse per fare i viri probati: siamo entrati con questa pressione.

    Adesso ci sono alcune ipotesi su questo Sinodo: “cosa faranno?”, “forse il sacerdozio alle donne”…, non so, queste cose che dicono fuori.

    E dicono tante volte che i vescovi hanno paura di comunicare quello che succede.

    Per questo chiedo a voi, comunicatori, di fare la vostra funzione bene, giusta, così che la Chiesa e le persone di buona volontà – le altre diranno quello che vogliono – capiscano che anche nella Chiesa c’è la priorità dell’ascolto.

    Trasmettere questo: è tanto importante.

    Vi ringrazio di aiutare tutti noi in questa “pausa” della Chiesa.

    La Chiesa si è fermata, come si sono fermati gli Apostoli dopo il Venerdì Santo, quel Sabato Santo, chiusi, ma quelli per paura, noi no.

    Ma è ferma.

    È una pausa di tutta la Chiesa, in ascolto.

    Questo è il messaggio più importante.

    Grazie del vostro lavoro, grazie di quello che fate.

    E mi raccomando, se potete, leggete queste cose di San Basilio, che aiutano tanto.

    Grazie.

    Santa Messa con i nuovi Cardinali e il Collegio Cardinalizio - Apertura dell’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi (4 Ott 2023)
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    Il Vangelo che abbiamo ascoltato è preceduto dal racconto di un momento difficile della missione di Gesù, che potremmo definire di “desolazione pastorale”: Giovanni Battista dubita che sia davvero lui il Messia; tante città che ha attraversato, nonostante i prodigi compiuti, non si sono convertite; la gente lo accusa di essere un mangione e un beone, mentre poco prima si era lamentata del Battista perché era troppo austero (cfr Mt 11,2-24).

    Tuttavia vediamo che Gesù non si lascia risucchiare dalla tristezza, ma alza gli occhi al cielo e benedice il Padre perché ha rivelato ai semplici i misteri del Regno di Dio: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).

    Nel momento della desolazione, dunque, Gesù ha uno sguardo capace di vedere oltre: loda la sapienza del Padre e riesce a scorgere il bene nascosto che cresce, il seme della Parola accolto dai semplici, la luce del Regno di Dio che si fa strada anche nella notte.

    Cari fratelli Cardinali, confratelli Vescovi, sorelle e fratelli, siamo all’apertura dell’Assemblea Sinodale.

    E non ci serve uno sguardo immanente, fatto di strategie umane, calcoli politici o battaglie ideologiche – se il Sinodo darà questo permesso, quell’altro, aprirà questa porta, quell’altra – questo non serve.

    Non siamo qui per portare avanti una riunione parlamentare o un piano di riforme.

    Il Sinodo, cari fratelli e sorelle, non è un parlamento.

    Il protagonista è lo Spirito Santo.

    No.

    Non siamo qui per fare parlamento, ma per camminare insieme con lo sguardo di Gesù, che benedice il Padre e accoglie quanti sono affaticati e oppressi.

    Partiamo dunque dallo sguardo di Gesù, che è uno sguardo benedicente e accogliente.

    1.

    Vediamo il primo aspetto: uno sguardo benedicente.

    Pur avendo sperimentato il rifiuto e aver visto attorno a sé tanta durezza di cuore, Cristo non si lascia imprigionare dalla delusione, non diventa amaro, non spegne la lode; il suo cuore, fondato nel primato del Padre, rimane sereno pure nella tempesta.

    Questo sguardo benedicente del Signore invita anche noi a essere una Chiesa che, con animo lieto, contempla l’azione di Dio e discerne il presente.

    E che, fra le onde talvolta agitate del nostro tempo, non si perde d’animo, non cerca scappatoie ideologiche, non si barrica dietro convinzioni acquisite, non cede a soluzioni di comodo, non si lascia dettare l’agenda dal mondo.

    Questa è la sapienza spirituale della Chiesa, sintetizzata con serenità da San Giovanni XXIII: «È necessario prima di tutto che la Chiesa non distolga mai gli occhi dal sacro patrimonio della verità ricevuto dagli antichi; ed insieme ha bisogno di guardare anche al presente, che ha comportato nuove situazioni e nuovi modi di vivere, ed ha aperto nuove vie all’apostolato» (Discorso per la solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962).

    Lo sguardo benedicente di Gesù ci invita a essere una Chiesa che non affronta le sfide e i problemi di oggi con uno spirito divisivo e conflittuale ma che, al contrario, volge gli occhi a Dio che è comunione e, con stupore e umiltà, lo benedice e lo adora, riconoscendolo suo unico Signore.

    Apparteniamo a Lui e – ricordiamolo – esistiamo solo per portare Lui al mondo.

    Come ci ha detto l’Apostolo Paolo, non abbiamo altro «vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo»(Gal 6,14).

    Questo basta, Lui ci basta.

    Non vogliamo glorie terrene, non vogliamo farci belli agli occhi del mondo, ma raggiungerlo con la consolazione del Vangelo, per testimoniare meglio, e a tutti, l’amore infinito di Dio.

    Infatti, come ha affermato Benedetto XVI proprio parlando a un’Assemblea sinodale, «la questione per noi è: Dio ha parlato, ha veramente rotto il grande silenzio, si è mostrato, ma come possiamo far arrivare questa realtà all’uomo di oggi, affinché diventi salvezza?» (Meditazione nella I Congregazione generale della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 8 ottobre 2012).

    Questa è la domanda fondamentale.

    E questo è il compito primario del Sinodo: ricentrare il nostro sguardo su Dio, per essere una Chiesa che guarda con misericordia l’umanità.

    Una Chiesa unita e fraterna – o almeno che cerca di essere unita e fraterna –, che ascolta e dialoga; una Chiesa che benedice e incoraggia, che aiuta chi cerca il Signore, che scuote beneficamente gli indifferenti, che avvia percorsi per iniziare le persone alla bellezza della fede.

    Una Chiesa che ha Dio al centro e che, perciò, non si divide all’interno e non è mai aspra all’esterno.

    Una Chiesa che rischia con Gesù.

    Così Gesù vuole la Chiesa, così vuole la sua Sposa.

    2.

    Dopo questo sguardo benedicente, contempliamo lo sguardo accogliente di Cristo.

    Mentre coloro che si credono sapienti non riescono a riconoscere l’opera di Dio, Lui esulta nel Padre perché si rivela ai piccoli, ai semplici, ai poveri in spirito.

    Una volta c’era una difficoltà in una parrocchia e la gente parlava di quella difficoltà, mi diceva le cose.

    E un’anziana, molto anziana, una signora del popolo, quasi analfabeta, ha fatto un intervento proprio da teologo, e con tanta mitezza e saggezza spirituale ha dato il suo contributo.

    Ricordo quel momento come una rivelazione del Signore, anche con gioia; e mi è venuto in mente di domandarle: “Mi dica, signora, lei dove ha studiato, con Royo Marín, questa teologia così forte?”.

    La gente saggia del popolo ha questa fede.

    E perciò, in tutta la sua vita, Egli assume questo sguardo ospitale verso i più deboli, i sofferenti, gli scartati.

    A loro, in particolare, si rivolge dicendo quanto abbiamo ascoltato: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28).

    Questo sguardo accogliente di Gesù invita anche noi ad essere una Chiesa ospitale, non con le porte chiuse.

    In un tempo complesso come il nostro, emergono sfide culturali e pastorali nuove, che richiedono un atteggiamento interiore cordiale e gentile, per poterci confrontare senza paura.

    Nel dialogo sinodale, in questa bella “marcia nello Spirito Santo” che compiamo insieme come Popolo di Dio, possiamo crescere nell’unità e nell’amicizia con il Signore per guardare alle sfide di oggi con il suo sguardo; per diventare, usando una bella espressione di San Paolo VI, una Chiesa che «si fa colloquio» (Lett.

    enc.

    Ecclesiam suam, n.

    67).

    Una Chiesa “dal giogo dolce” (cfr Mt 11,30), che non impone pesi e che a tutti ripete: “Venite, affaticati e oppressi, venite, voi che avete smarrito la via o vi sentite lontani, venite, voi che avete chiuso le porte alla speranza: la Chiesa è qui per voi!”.

     La Chiesa delle porte aperte a tutti, tutti, tutti!

    3.

    Fratelli e sorelle, Popolo santo di Dio, dinanzi alle difficoltà e alle sfide che ci attendono, lo sguardo benedicente e accogliente di Gesù ci impedisce di cadere in alcune tentazioni pericolose: di essere una Chiesa rigida – una dogana –, che si arma contro il mondo e guarda all’indietro; di essere una Chiesa tiepida, che si arrende alle mode del mondo; di essere una Chiesa stanca, ripiegata su sé stessa.

    Nel libro dell’Apocalisse, il Signore dice: “Io sono alla porta e busso perché la porta sia aperta”; ma tante volte, fratelli e sorelle, Lui bussa alla porta, però dall’interno della Chiesa, perché lasciamo il Signore uscire con la Chiesa a proclamare il suo Vangelo.

    Camminiamo insieme: umili, ardenti e gioiosi.

    Camminiamo sulle orme di San Francesco d’Assisi, il Santo della povertà e della pace, il “folle di Dio” che ha portato nel corpo le stigmate di Gesù e, per rivestirsi di Lui, si è spogliato di tutto.

    Com’è difficile questa spogliazione interiore e anche esteriore di tutti noi e anche delle istituzioni! San Bonaventura racconta che, mentre pregava, il Crocifisso gli disse: «Va’ e ripara la mia chiesa» (Legenda maior, II, 1).

    Il Sinodo serve a ricordarci questo: la nostra Madre Chiesa ha sempre bisogno di purificazione, di essere “riparata”, perché noi tutti siamo un Popolo di peccatori perdonati – ambedue le cose: peccatori perdonati –, sempre bisognosi di ritornare alla fonte che è Gesù e di rimetterci sulle strade dello Spirito per raggiungere tutti col suo Vangelo.

    Francesco di Assisi, in un tempo di grandi lotte e divisioni, tra il potere temporale e quello religioso, tra la Chiesa istituzionale e le correnti eretiche, tra i cristiani e altri credenti, non criticò e non si scagliò contro nessuno, imbracciando solo le armi del Vangelo, cioè l’umiltà e l’unità, la preghiera e la carità.

    Facciamo anche noi così! Umiltà e unità, preghiera e carità.

    E se il Popolo santo di Dio con i suoi pastori, da ogni parte del mondo, nutre attese, speranze e pure qualche paura sul Sinodo che iniziamo, ricordiamo ancora che esso non è un raduno politico, ma una convocazione nello Spirito; non un parlamento polarizzato, ma un luogo di grazia e di comunione.

    Lo Spirito Santo, poi, spesso frantuma le nostre aspettative per creare qualcosa di nuovo, che supera le nostre previsioni e le nostre negatività.

    Forse posso dire che i momenti più fruttuosi nel Sinodo sono quelli di preghiera, anche l’ambiente di preghiera, con il quale il Signore agisce in noi.

    Apriamoci a Lui e invochiamo Lui: Lui è il protagonista, lo Spirito Santo.

    Lasciamo che Lui sia il protagonista del Sinodo! E con Lui camminiamo, nella fiducia e con gioia.

    "Laudate Deum": Esortazione Apostolica a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica (4 Ott 2023)
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    1.

    “Lodate Dio per tutte le sue creature”.

    Questo è stato l’invito che San Francesco d’Assisi ha fatto con la sua vita, i suoi canti, i suoi gesti.

    In tal modo ha ripreso la proposta dei salmi della Bibbia e ha ripresentato la sensibilità di Gesù verso le creature del Padre suo: «Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano.

    Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Mt 6,28-29).

    «Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio» (Lc 12,6).

    Come non ammirare questa tenerezza di Gesù per tutti coloro che ci accompagnano nel nostro cammino?

    2.

    Sono passati ormai otto anni dalla pubblicazione della Lettera enciclica Laudato si’, quando ho voluto condividere con tutti voi, sorelle e fratelli del nostro pianeta sofferente, le mie accorate preoccupazioni per la cura della nostra casa comune.

    Ma, con il passare del tempo, mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura.

    Al di là di questa possibilità, non c’è dubbio che l’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie.

    Ne sentiremo gli effetti in termini di salute, lavoro, accesso alle risorse, abitazioni, migrazioni forzate e in altri ambiti.

    3.

    Si tratta di un problema sociale globale che è intimamente legato alla dignità della vita umana.

    I vescovi degli Stati Uniti hanno espresso molto bene il senso sociale della nostra preoccupazione per il cambiamento climatico, che va oltre un approccio meramente ecologico, perché «la nostra cura per l’altro e la nostra cura per la terra sono intimamente legate.

    Il cambiamento climatico è una delle principali sfide che la società e la comunità globale devono affrontare.

    Gli effetti del cambiamento climatico sono subiti dalle persone più vulnerabili, sia in patria che nel mondo».

    [1] Con poche parole lo hanno detto anche i vescovi presenti al Sinodo per l’Amazzonia: «Gli attacchi alla natura hanno conseguenze sulla vita dei popoli».

    [2] E per esprimere con forza che non si tratta più di una questione secondaria o ideologica, ma di un dramma che ci danneggia tutti, i vescovi africani hanno dichiarato che il cambiamento climatico evidenzia «un esempio scioccante di peccato strutturale».

    [3]

    4.

    La riflessione e le informazioni che possiamo raccogliere da questi ultimi otto anni ci permettono di specificare e completare ciò che abbiamo affermato qualche tempo fa.

    Per tale motivo, e perché la situazione sta diventando ancora più urgente, ho voluto condividere con voi queste pagine.

    1.

    La crisi climatica globale

    5.

    Per quanto si cerchi di negarli, nasconderli, dissimularli o relativizzarli, i segni del cambiamento climatico sono lì, sempre più evidenti.

    Nessuno può ignorare che negli ultimi anni abbiamo assistito a fenomeni estremi, frequenti periodi di caldo anomalo, siccità e altri lamenti della terra che sono solo alcune espressioni tangibili di una malattia silenziosa che colpisce tutti noi.

    È vero che non tutte le catastrofi possono essere attribuite al cambiamento climatico globale.

    Tuttavia, è verificabile che alcuni cambiamenti climatici indotti dall’uomo aumentano significativamente la probabilità di eventi estremi più frequenti e più intensi.

    Sappiamo quindi che ogni volta che la temperatura globale aumenta di 0,5 gradi centigradi, aumentano anche l’intensità e la frequenza di forti piogge e inondazioni in alcune aree, di gravi siccità in altre, di caldo estremo in alcune regioni e di forti nevicate in altre ancora.

    [4] Se fino ad ora potevamo avere ondate di calore alcune volte all’anno, cosa accadrebbe con un aumento della temperatura globale di 1,5 gradi centigradi, a cui siamo vicini? Tali ondate di calore saranno molto più frequenti e più intense.

    Se si superano i 2 gradi, le calotte glaciali della Groenlandia e di gran parte dell’Antartide si scioglieranno completamente, [5] con conseguenze enormi e molto gravi per tutti.

    Resistenza e confusione

    6.

    Negli ultimi anni non sono mancate le persone che hanno cercato di minimizzare questa osservazione.

    Citano dati presumibilmente scientifici, come il fatto che il pianeta ha sempre avuto e avrà sempre periodi di raffreddamento e riscaldamento.

    Trascurano di menzionare un altro dato rilevante: quello a cui stiamo assistendo ora è un’insolita accelerazione del riscaldamento, con una velocità tale che basta una sola generazione – non secoli o millenni – per accorgersene.

    L’innalzamento del livello del mare e lo scioglimento dei ghiacciai possono essere facilmente percepiti da una persona nell’arco della sua vita, e probabilmente tra pochi anni molte popolazioni dovranno spostare le loro case a causa di questi eventi.

    7.

    Per porre in ridicolo chi parla di riscaldamento globale, si ricorre al fatto che si verificano di frequente anche freddi estremi.

    Si dimentica che questi e altri sintomi straordinari sono solo espressioni alternative della stessa causa: lo squilibrio globale causato dal riscaldamento del pianeta.

    Siccità e alluvioni, prosciugamento di laghi e popolazioni spazzate via da maremoti o inondazioni hanno in fondo la stessa origine.

    D’altra parte, se parliamo di un fenomeno globale, non possiamo confonderlo con eventi transitori e mutevoli, che sono in gran parte spiegati da fattori locali.

    8.

    La mancanza di informazioni porta a identificare le grandi proiezioni climatiche che riguardano periodi lunghi – si tratta almeno di decenni – con le previsioni meteorologiche che possono coprire al massimo qualche settimana.

    Quando parliamo di cambiamento climatico ci riferiamo a una realtà globale – con costanti variazioni locali – che persiste per diversi decenni.

    9.

    Nel tentativo di semplificare la realtà, non mancano coloro che incolpano i poveri di avere troppi figli e cercano di risolvere il problema mutilando le donne dei Paesi meno sviluppati.

    Come al solito, sembrerebbe che la colpa sia dei poveri.

    Ma la realtà è che una bassa percentuale più ricca della popolazione mondiale inquina di più rispetto al 50% di quella più povera e che le emissioni pro capite dei Paesi più ricchi sono di molto superiori a quelle dei più poveri.

    [6] Come dimenticare che l’Africa, che ospita più della metà delle persone più povere del mondo, è responsabile solo di una minima parte delle emissioni storiche?

    10.

    Spesso si dice anche che gli sforzi per mitigare il cambiamento climatico riducendo l’uso di combustibili fossili e sviluppando forme di energia più pulita porteranno a una riduzione dei posti di lavoro.

    Ciò che sta accadendo è che milioni di persone perdono il lavoro a causa delle varie conseguenze del cambiamento climatico: l’innalzamento del livello del mare, la siccità e molti altri fenomeni che colpiscono il pianeta hanno lasciato parecchia gente alla deriva.

    D’altra parte, la transizione verso forme di energia rinnovabile, ben gestita, così come tutti gli sforzi per adattarsi ai danni del cambiamento climatico, sono in grado di generare innumerevoli posti di lavoro in diversi settori.

    Per questo è necessario che i politici e gli imprenditori se ne occupino subito.

    Le cause umane

    11.

    L’origine umana – “antropica” – del cambiamento climatico non può più essere messa in dubbio.

    Vediamo perché.

    La concentrazione dei gas serra nell’atmosfera, che causano il riscaldamento globale, è rimasta stabile fino al XIX secolo, al di sotto delle 300 parti per milione in volume.

    Ma a metà di quel secolo, in coincidenza con lo sviluppo industriale, le emissioni hanno iniziato ad aumentare.

    Negli ultimi cinquant’anni l’aumento ha subito una forte accelerazione, come certificato dall’osservatorio di Mauna Loa, che dal 1958 effettua misurazioni giornaliere dell’anidride carbonica.

    Mentre scrivevo la Laudato si’ ha raggiunto il massimo storico – 400 parti per milione – arrivando nel giugno 2023 a 423 parti per milione.

    [7] Oltre il 42% delle emissioni nette totali dal 1850 è avvenuto dopo il 1990.

    [8]

    12.

    Nel contempo, notiamo che negli ultimi cinquant’anni la temperatura è aumentata a una velocità inedita, senza precedenti negli ultimi duemila anni.

    In questo periodo la tendenza è stata di un riscaldamento di 0,15 gradi centigradi per decennio, il doppio rispetto agli ultimi 150 anni.

    Dal 1850 a oggi la temperatura globale è aumentata di 1,1 gradi centigradi, fenomeno che risulta amplificato nelle aree polari.

    A questo ritmo, è possibile che tra dieci anni raggiungeremo il limite massimo globale auspicabile di 1,5 gradi centigradi.

    [9] L’aumento non si è verificato soltanto sulla superficie terrestre, ma anche a diversi chilometri di altezza nell’atmosfera, sulla superficie degli oceani e persino a centinaia di metri di profondità.

    Questo ha pure aumentato l’acidificazione dei mari e ridotto i loro livelli di ossigeno.

    I ghiacciai si ritirano, la copertura nevosa diminuisce e il livello del mare aumenta costantemente.

    [10]

    13.

    La coincidenza di questi fenomeni climatici globali con la crescita accelerata delle emissioni di gas serra, soprattutto a partire dalla metà del XX secolo, non può essere nascosta.

    La stragrande maggioranza degli studiosi del clima sostiene questa correlazione e solo una minima percentuale di essi tenta di negare tale evidenza.

    Purtroppo, la crisi climatica non è propriamente una questione che interessi alle grandi potenze economiche, che si preoccupano di ottenere il massimo profitto al minor costo e nel minor tempo possibili.

    14.

    Sono costretto a fare queste precisazioni, che possono sembrare ovvie, a causa di certe opinioni sprezzanti e irragionevoli che trovo anche all’interno della Chiesa cattolica.

    Ma non possiamo più dubitare che la ragione dell’insolita velocità di così pericolosi cambiamenti sia un fatto innegabile: gli enormi sviluppi connessi allo sfrenato intervento umano sulla natura negli ultimi due secoli.

    Gli elementi naturali che tipicamente causano il riscaldamento, come le eruzioni vulcaniche e altri, non sono sufficienti a spiegare il tasso e la velocità dei cambiamenti degli ultimi decenni.

    [11] L’evoluzione delle temperature medie della superficie non può essere spiegata senza l’effetto dell’aumento dei gas serra.

    Danni e rischi

    15.

    Alcune manifestazioni di questa crisi climatica sono già irreversibili per almeno centinaia di anni, come l’aumento della temperatura globale degli oceani, l’acidificazione e la riduzione dell’ossigeno.

    Le acque oceaniche hanno un’inerzia termica e ci vogliono secoli per normalizzare la temperatura e la salinità, con conseguenze sulla sopravvivenza di molte specie.

    Questo è un segno tra i tanti del fatto che le altre creature di questo mondo hanno smesso di esserci compagne di viaggio e sono diventate nostre vittime.

    16.

    Lo stesso vale per il processo che porta alla riduzione dei ghiacci continentali.

    Lo scioglimento dei poli non può essere invertito per centinaia di anni.

    Per quanto riguarda il clima, ci sono fattori che permangono a lungo, indipendentemente dagli eventi che li hanno scatenati.

    Per questo motivo, non possiamo più fermare gli enormi danni che abbiamo causato.

    Siamo appena in tempo per evitare danni ancora più drammatici.

    17.

    Alcune diagnosi apocalittiche sembrano spesso irragionevoli o non sufficientemente fondate.

    Ciò non dovrebbe indurci a ignorare che la possibilità di raggiungere un punto di svolta è reale.

    Piccoli cambiamenti possono provocare cambiamenti importanti, imprevisti e forse già irreversibili, a causa di fattori inerziali.

    Ciò finirebbe per innescare una cascata di eventi a valanga.

    In questo caso, si arriva sempre troppo tardi, perché nessun intervento può fermare il processo già iniziato.

    Da lì non si può tornare indietro.

    Non possiamo dire con certezza che questo accadrà nelle condizioni attuali.

    Ma è certamente una possibilità se teniamo conto dei fenomeni già in atto che “sensibilizzano” il clima, come ad esempio la riduzione delle calotte glaciali, i cambiamenti nei flussi oceanici, la deforestazione delle foreste pluviali tropicali, lo scioglimento del permafrost in Russia.

    [12]

    18.

    È quindi urgente una visione più ampia, che ci permetta non solo di stupirci delle meraviglie del progresso, ma anche di prestare attenzione ad altri effetti che probabilmente un secolo fa non si potevano nemmeno immaginare.

    Non ci viene chiesto nulla di più che una certa responsabilità per l’eredità che lasceremo dietro di noi dopo il nostro passaggio in questo mondo.

    19.

    Infine, possiamo aggiungere che la pandemia di Covid-19 ha confermato la stretta relazione della vita umana con quella degli altri esseri viventi e con l’ambiente.

    Ma in particolare ha confermato che quanto accade in qualsiasi parte del mondo ha ripercussioni sull’intero pianeta.

    Questo mi permette di ribadire due convinzioni su cui insisto fino a risultare noioso: “tutto è collegato” e “nessuno si salva da solo”.

    2.

    Il crescente paradigma tecnocratico

    20.

    Nella Laudato si’ ho offerto una breve spiegazione del paradigma tecnocratico che è alla base dell’attuale processo di degrado ambientale.

    Si tratta di «un modo di comprendere la vita e l’azione umana che è deviato e che contraddice la realtà fino al punto di rovinarla».

    [13] In sostanza, consiste nel pensare «come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia».

    [14] Come conseguenza logica, «da qui si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia».

    [15]

    21.

    Negli ultimi anni abbiamo potuto confermare questa diagnosi, assistendo al tempo stesso a un nuovo avanzamento di tale paradigma.

    L’intelligenza artificiale e i recenti sviluppi tecnologici si basano sull’idea di un essere umano senza limiti, le cui capacità e possibilità si potrebbero estendere all’infinito grazie alla tecnologia.

    Così, il paradigma tecnocratico si nutre mostruosamente di sé stesso.

    22.

    Le risorse naturali necessarie per la tecnologia, come il litio, il silicio e tante altre, non sono certo illimitate, ma il problema più grande è l’ideologia che sottende un’ossessione: accrescere oltre ogni immaginazione il potere dell’uomo, per il quale la realtà non umana è una mera risorsa al suo servizio.

    Tutto ciò che esiste cessa di essere un dono da apprezzare, valorizzare e curare, e diventa uno schiavo, una vittima di qualsiasi capriccio della mente umana e delle sue capacità.

    23.

    Fa venire i brividi rendersi conto che le capacità ampliate dalla tecnologia danno «a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero.

    Mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta servendo.

    [...] In quali mani sta e in quali può giungere tanto potere? È terribilmente rischioso che esso risieda in una piccola parte dell’umanità».

    [16]

    Ripensare il nostro uso del potere

    24.

    Non ogni aumento di potere è un progresso per l’umanità.

    Basti pensare alle tecnologie “mirabili” che furono utilizzate per decimare popolazioni, lanciare bombe atomiche, annientare gruppi etnici.

    Vi sono stati momenti della storia in cui l’ammirazione per il progresso non ci ha permesso di vedere l’orrore dei suoi effetti.

    Ma questo rischio è sempre presente, perché «l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza [...].

    È nudo ed esposto di fronte al suo stesso potere che continua a crescere, senza avere gli strumenti per controllarlo.

    Può disporre di meccanismi superficiali, ma possiamo affermare che gli mancano un’etica adeguatamente solida, una cultura e una spiritualità che realmente gli diano un limite e lo contengano entro un lucido dominio di sé».

    [17] Non è strano che un potere così grande in simili mani sia capace di distruggere la vita, mentre la matrice di pensiero del paradigma tecnocratico ci acceca e non ci permette di vedere questo gravissimo problema dell’umanità di oggi.

    25.

    Contrariamente a questo paradigma tecnocratico diciamo che il mondo che ci circonda non è un oggetto di sfruttamento, di uso sfrenato, di ambizione illimitata.

    Non possiamo nemmeno dire che la natura sia una mera “cornice” in cui sviluppare la nostra vita e i nostri progetti, perché «siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati», [18] così che «il mondo non si contempla dal di fuori ma dal di dentro».

    [19]

    26.

    Ciò esclude l’idea che l’essere umano sia un estraneo, un fattore esterno capace solo di danneggiare l’ambiente.

    Dev’essere considerato come parte della natura.

    La vita, l’intelligenza e la libertà dell’uomo sono inserite nella natura che arricchisce il nostro pianeta e fanno parte delle sue forze interne e del suo equilibrio.

    27.

    Pertanto, un ambiente sano è anche il prodotto dell’interazione dell’uomo con l’ambiente, come avviene nelle culture indigene e come è avvenuto per secoli in diverse regioni della Terra.

    I gruppi umani hanno spesso “creato” l’ambiente, [20] rimodellandolo in qualche modo senza distruggerlo o metterlo in pericolo.

    Il grande problema di oggi è che il paradigma tecnocratico ha distrutto questo rapporto sano e armonioso.

    Tuttavia, l’indispensabile superamento di tale paradigma tanto dannoso e distruttivo non si troverà in una negazione dell’essere umano, ma comprende l’interazione dei sistemi naturali «con i sistemi sociali».

    [21]

    28.

    Dobbiamo tutti ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti.

    Il nostro potere, infatti, è aumentato freneticamente in pochi decenni.

    Abbiamo compiuto progressi tecnologici impressionanti e sorprendenti, e non ci rendiamo conto che allo stesso tempo siamo diventati altamente pericolosi, capaci di mettere a repentaglio la vita di molti esseri e la nostra stessa sopravvivenza.

    Si può ripetere oggi con l’ironia di Solov’ëv: «Un secolo così progredito che perfino gli era toccato in sorte di essere l’ultimo».

    [22] Ci vuole lucidità e onestà per riconoscere in tempo che il nostro potere e il progresso che generiamo si stanno rivoltando contro noi stessi.

    [23]

    Il pungiglione etico

    29.

    La decadenza etica del potere reale è mascherata dal marketing e dalla falsa informazione, meccanismi utili nelle mani di chi ha maggiori risorse per influenzare l’opinione pubblica attraverso di essi.

    Con l’aiuto di questi meccanismi, quando si pensa di avviare un progetto con forte impatto ambientale ed elevati effetti inquinanti, gli abitanti della zona vengono illusi parlando del progresso locale che si potrà generare o delle opportunità economiche, occupazionali e di promozione umana che questo comporterà per i loro figli.

    Ma in realtà manca un vero interesse per il futuro di queste persone, perché non viene detto loro chiaramente che in seguito a tale progetto resteranno una terra devastata, condizioni molto più sfavorevoli per vivere e prosperare, una regione desolata, meno abitabile, senza vita e senza la gioia della convivenza e della speranza; oltre al danno globale che finisce per nuocere a molti altri.

    30.

    Basti pensare all’effimero entusiasmo per il denaro ricevuto in cambio del deposito di scorie tossiche in un sito.

    La casa acquistata con quei soldi si è trasformata in una tomba a causa delle malattie che si sono scatenate.

    E non parlo spinto da una sfrenata immaginazione, ma per qualcosa che abbiamo vissuto.

    Si potrebbe dire che questo è un esempio estremo, ma non si può parlare di danni “minori”, perché è proprio la somma di molti danni considerati tollerabili che finisce per portarci alla situazione in cui ci troviamo ora.

    31.

    Tale situazione non ha a che fare solo con la fisica o la biologia, ma anche con l’economia e il nostro modo di pensarla.

    La logica del massimo profitto al minimo costo, mascherata da razionalità, progresso e promesse illusorie, rende impossibile qualsiasi sincera preoccupazione per la casa comune e qualsiasi attenzione per la promozione degli scartati della società.

    Negli ultimi anni possiamo notare che, sconcertati ed estasiati davanti alle promesse di tanti falsi profeti, i poveri stessi a volte cadono nell’inganno di un mondo che non viene costruito per loro.

    32.

    Si incrementano idee sbagliate sulla cosiddetta “meritocrazia”, che è diventata un “meritato” potere umano a cui tutto deve essere sottoposto, un dominio di coloro che sono nati con migliori condizioni di sviluppo.

    Un conto è un sano approccio al valore dell’impegno, alla crescita delle proprie capacità e a un lodevole spirito di iniziativa, ma se non si cerca una reale uguaglianza di opportunità, la meritocrazia diventa facilmente un paravento che consolida ulteriormente i privilegi di pochi con maggior potere.

    In questa logica perversa, cosa importa loro dei danni alla casa comune, se si sentono sicuri sotto la presunta armatura delle risorse economiche che hanno ottenuto con le loro capacità e i loro sforzi?

    33.

    Nella propria coscienza, e di fronte ai figli che pagheranno per i danni delle loro azioni, si pone la domanda di senso: qual è il senso della mia vita, qual è il senso del mio passaggio su questa terra, qual è in definitiva il senso del mio lavoro e del mio impegno?

    3.

    La debolezza della politica internazionale

    34.

    Mentre «la storia sta dando segni di un ritorno all’indietro [...] ogni generazione deve far proprie le lotte e le conquiste delle generazioni precedenti e condurle a mete ancora più alte.

    È il cammino.

    Il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni giorno».

    [24] Per ottenere un progresso solido e duraturo, mi permetto di insistere sul fatto che «vanno favoriti gli accordi multilaterali tra gli Stati».

    [25]

    35.

    Non giova confondere il multilateralismo con un’autorità mondiale concentrata in una sola persona o in un’ élite con eccessivo potere: «Quando si parla della possibilità di qualche forma di autorità mondiale regolata dal diritto, non necessariamente si deve pensare a un’autorità personale».

    [26] Parliamo soprattutto di «organizzazioni mondiali più efficaci, dotate di autorità per assicurare il bene comune mondiale, lo sradicamento della fame e della miseria e la difesa certa dei diritti umani fondamentali».

    [27] Il punto è che devono essere dotate di una reale autorità per “assicurare” la realizzazione di alcuni obiettivi irrinunciabili.

    Così si darebbe vita a un multilateralismo che non dipende dalle mutevoli circostanze politiche o dagli interessi di pochi e che abbia un’efficacia stabile.

    36.

    È deplorevole che le crisi globali vengano sprecate quando sarebbero l’occasione per apportare cambiamenti salutari.

    [28] È quello che è successo nella crisi finanziaria del 2007-2008 e che si è ripetuto nella crisi del Covid-19.

    Infatti, «pare che le effettive strategie sviluppatesi successivamente nel mondo siano state orientate a maggiore individualismo, minore integrazione, maggiore libertà per i veri potenti, che trovano sempre il modo di uscire indenni».

    [29]

    Riconfigurare il multilateralismo

    37.

    Più che salvare il vecchio multilateralismo, sembra che oggi la sfida sia quella di riconfigurarlo e ricrearlo alla luce della nuova situazione globale.

    Vi invito a riconoscere che «tante aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di attenzione rispetto a diritti umani».

    [30] A tale riguardo, il processo di Ottawa contro l’uso, la produzione e la fabbricazione delle mine antiuomo è un esempio che dimostra come la società civile e le sue organizzazioni siano in grado di creare dinamiche efficienti che l’ONU non raggiunge.

    In questo modo, il principio di sussidiarietà si applica anche al rapporto globale-locale.

    38.

    A medio termine, la globalizzazione favorisce gli scambi culturali spontanei, una maggiore conoscenza reciproca e modalità di integrazione dei popoli che porteranno a un multilateralismo “dal basso” e non semplicemente deciso dalle élite del potere.

    Le istanze che emergono dal basso in tutto il mondo, dove persone impegnate dei Paesi più diversi si aiutano e si accompagnano a vicenda, possono riuscire a fare pressione sui fattori di potere.

    È auspicabile che ciò accada per quanto riguarda la crisi climatica.

    Perciò ribadisco che «se i cittadini non controllano il potere politico – nazionale, regionale e municipale – neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali».

    [31]

    39.

    La cultura postmoderna ha generato una nuova sensibilità nei confronti di chi è più debole e meno dotato di potere.

    Ciò si collega alla mia insistenza, nella Lettera enciclica Fratelli tutti, sul primato della persona umana e sulla difesa della sua dignità al di là di ogni circostanza.

    È un altro modo di invitare al multilateralismo per risolvere i veri problemi dell’umanità, cercando soprattutto il rispetto della dignità delle persone in modo che l’etica prevalga sugli interessi locali o contingenti.

    40.

    Non si tratta di sostituire la politica, perché d’altra parte le potenze emergenti stanno diventando sempre più rilevanti e sono di fatto in grado di ottenere risultati importanti nella risoluzione di problemi concreti, come alcune di esse hanno dimostrato nella pandemia.

    Proprio il fatto che le risposte ai problemi possano venire da qualsiasi Paese, per quanto piccolo, conduce a riconoscere il multilateralismo come una strada inevitabile.

    41.

    La vecchia diplomazia, anch’essa in crisi, continua a dimostrare la sua importanza e necessità.

    Non è ancora riuscita a generare un modello di diplomazia multilaterale che risponda alla nuova configurazione del mondo, ma, se è capace di riformularsi, dovrà essere parte della soluzione, perché anche l’esperienza di secoli non può essere scartata.

    42.

    Il mondo sta diventando così multipolare e allo stesso tempo così complesso che è necessario un quadro diverso per una cooperazione efficace.

    Non basta pensare agli equilibri di potere, ma anche alla necessità di rispondere alle nuove sfide e di reagire con meccanismi globali a quelle ambientali, sanitarie, culturali e sociali, soprattutto per consolidare il rispetto dei diritti umani più elementari, dei diritti sociali e della cura della casa comune.

    Si tratta di stabilire regole universali ed efficienti per garantire questa protezione mondiale.

    43.

    Tutto ciò presuppone che si attui una nuova procedura per il processo decisionale e per la legittimazione di tali decisioni, poiché quella stabilita diversi decenni fa non è sufficiente e non sembra essere efficace.

    In tale contesto, sono necessari spazi di conversazione, consultazione, arbitrato, risoluzione dei conflitti, supervisione e, in sintesi, una sorta di maggiore “democratizzazione” nella sfera globale, per esprimere e includere le diverse situazioni.

    Non sarà più utile sostenere istituzioni che preservino i diritti dei più forti senza occuparsi dei diritti di tutti.

    4.

    Le Conferenze sul clima: progressi e fallimenti

    44.

    Da decenni, i rappresentanti di oltre 190 Paesi si riuniscono periodicamente per affrontare la questione climatica.

    La Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 ha portato all’adozione della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), un trattato che è entrato in vigore quando sono state raggiunte le necessarie ratifiche da parte dei Paesi firmatari nel 1994.

    Questi Stati si riuniscono ogni anno nella Conferenza delle Parti (COP), il più alto organismo decisionale.

    Alcune sono state un fallimento, come quella di Copenaghen (2009), mentre altre hanno permesso di compiere passi importanti, come la COP3 di Kyoto (1997).

    Il suo prezioso Protocollo è quello che ha fissato come obiettivo la riduzione delle emissioni complessive di gas serra del 5% rispetto al 1990.

    La scadenza era il 2012, ma evidentemente non è stata rispettata.

    45.

    Tutte le parti si sono inoltre impegnate ad attuare programmi di adattamento per ridurre gli effetti del cambiamento climatico già in corso.

    È stata inoltre prevista un’assistenza per coprire i costi di queste misure nei Paesi in via di sviluppo.

    Il Protocollo è entrato in vigore nel 2005.

    46.

    Successivamente, è stato proposto un meccanismo relativo alle perdite e ai danni causati dai cambiamenti climatici, che riconosce i Paesi più ricchi come i principali responsabili e cerca di compensare gli effetti devastanti procurati nei Paesi più vulnerabili.

    Non si tratta più di finanziare “l’adattamento” di questi Paesi, ma di compensarli per i danni già subiti.

    Tale questione è stata oggetto di importanti discussioni in varie COP.

    47.

    La COP21 di Parigi (2015) è stata un altro momento significativo, perché ha prodotto un accordo che ha coinvolto tutti.

    Può essere visto come un nuovo inizio, dato il mancato raggiungimento degli obiettivi fissati nella fase precedente.

    L’Accordo è entrato in vigore il 4 novembre 2016.

    Pur essendo vincolante, non tutti i requisiti sono obblighi in senso stretto e alcuni di essi lasciano spazio a un’ampia discrezionalità.

    Del resto, anche per gli obblighi non rispettati, non prevede sanzioni vere e proprie e non ci sono strumenti efficaci per garantirne l’osservanza.

    Prevede inoltre forme di flessibilità per i Paesi in via di sviluppo.

    48.

    L’Accordo di Parigi presenta un importante obiettivo a lungo termine: mantenere l’aumento delle temperature medie globali al di sotto dei 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali, puntando comunque a scendere sotto gli 1,5 gradi.

    Si sta ancora lavorando per consolidare procedure concrete di monitoraggio e fornire criteri generali per confrontare gli obiettivi dei diversi Paesi.

    Ciò rende difficile una valutazione più obiettiva (quantitativa) dei risultati effettivi.

    49.

    Dopo alcune Conferenze con scarsi risultati e la delusione della COP25 di Madrid (2019), si sperava che questa inerzia sarebbe stata invertita nella COP26 di Glasgow (2021).

    In sostanza, il risultato è stato quello di rilanciare l’Accordo di Parigi, che era stato messo in discussione dai vincoli e dagli effetti della pandemia.

    In più, vi è stata un’abbondanza di “esortazioni”, da cui era difficile attendersi un impatto reale.

    Le proposte volte a garantire una transizione rapida ed efficace verso forme di energia alternativa e meno inquinante non sono riuscite a fare progressi.

    50.

    La COP27 di Sharm el-Sheikh (2022) è stata minacciata fin dall’inizio dalla situazione creata dall’invasione dell’Ucraina, che ha causato una grave crisi economica ed energetica.

    L’uso del carbone è aumentato e tutti hanno voluto assicurarsene l’approvvigionamento.

    I Paesi in via di sviluppo hanno considerato l’accesso all’energia e le opportunità di sviluppo come una priorità urgente.

    È stato chiaramente riconosciuto che in realtà i combustibili fossili forniscono ancora l’80% dell’energia mondiale e che il loro utilizzo continua ad aumentare.

    51.

    La Conferenza egiziana è stata un ulteriore esempio della difficoltà dei negoziati.

    Si potrebbe affermare che abbia prodotto almeno un progresso nel consolidamento del sistema di finanziamento per le “perdite e i danni” nei Paesi più colpiti dai disastri climatici.

    Questo sembrava dare nuova voce e maggiore partecipazione ai Paesi in via di sviluppo.

    Ma anche su tale questione molti punti sono rimasti imprecisi, soprattutto la responsabilità concreta dei Paesi che devono contribuire.

    52.

    Oggi possiamo ancora affermare che «gli accordi hanno avuto un basso livello di attuazione perché non si sono stabiliti adeguati meccanismi di controllo, di verifica periodica e di sanzione delle inadempienze.

    I principi enunciati continuano a richiedere vie efficaci e agili di realizzazione pratica».

    [32] Inoltre, «i negoziati internazionali non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale.

    Quanti subiranno le conseguenze che noi tentiamo di dissimulare, ricorderanno questa mancanza di coscienza e di responsabilità».

    [33]

    5.

    Cosa ci si aspetta dalla COP28 di Dubai?

    53.

    Gli Emirati Arabi Uniti ospiteranno la prossima Conferenza delle Parti (COP28).

    È un Paese del Golfo Persico che si caratterizza come grande esportatore di energia fossile, anche se ha investito molto nelle energie rinnovabili.

    Nel frattempo, le compagnie petrolifere e del gas ambiscono lì a nuovi progetti per espandere ulteriormente la produzione.

    Dire che non bisogna aspettarsi nulla sarebbe autolesionistico, perché significherebbe esporre tutta l’umanità, specialmente i più poveri, ai peggiori impatti del cambiamento climatico.

    54.

    Se abbiamo fiducia nella capacità dell’essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la COP28 porti a una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente.

    Questa Conferenza può essere un punto di svolta, comprovando che tutto quanto si è fatto dal 1992 era serio e opportuno, altrimenti sarà una grande delusione e metterà a rischio quanto di buono si è potuto fin qui raggiungere.

    55.

    Nonostante i numerosi negoziati e accordi, le emissioni globali hanno continuato a crescere.

    È vero che si può sostenere che senza questi accordi sarebbero cresciute ancora di più.

    Ma su altre questioni ambientali, dove c’è stata la volontà, sono stati raggiunti risultati molto significativi, come nel caso della protezione dello strato di ozono.

    Invece la necessaria transizione verso energie pulite, come quella eolica, quella solare, abbandonando i combustibili fossili, non sta procedendo abbastanza velocemente.

    Di conseguenza, ciò che si sta facendo rischia di essere interpretato solo come un gioco per distrarre.

    56.

    Dobbiamo superare la logica dell’apparire sensibili al problema e allo stesso tempo non avere il coraggio di effettuare cambiamenti sostanziali.

    Sappiamo che, di questo passo, in pochi anni supereremo il limite massimo auspicabile di 1,5 gradi centigradi e a breve potremmo arrivare a 3 gradi, con un alto rischio di raggiungere un punto critico.

    Anche se questo punto di non ritorno non venisse raggiunto, gli effetti sarebbero disastrosi e bisognerebbe prendere misure in maniera precipitosa, con costi enormi e con conseguenze economiche e sociali estremamente gravi e intollerabili.

    Se le misure che adotteremo ora hanno dei costi, essi saranno tanto più pesanti quanto più aspetteremo.

    57.

    Ritengo essenziale insistere sul fatto che «cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale».

    [34] È vero che gli sforzi di adattamento sono necessari di fronte a mali irreversibili a breve termine; anche alcuni interventi e progressi tecnologici per assorbire o catturare i gas emessi sono positivi; ma corriamo il rischio di rimanere bloccati nella logica di rattoppare, rammendare, legare col filo, mentre sotto sotto va avanti un processo di deterioramento che continuiamo ad alimentare.

    Supporre che ogni problema futuro possa essere risolto con nuovi interventi tecnici è un pragmatismo fatale, destinato a provocare un effetto-valanga.

    58.

    Poniamo finalmente termine all’irresponsabile presa in giro che presenta la questione come solo ambientale, “verde”, romantica, spesso ridicolizzata per interessi economici.

    Ammettiamo finalmente che si tratta di un problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli.

    Per questo si richiede un coinvolgimento di tutti.

    Attirano spesso l’attenzione, in occasione delle Conferenze sul clima, le azioni di gruppi detti “radicalizzati”.

    In realtà, essi occupano un vuoto della società nel suo complesso, che dovrebbe esercitare una sana pressione, perché spetta ad ogni famiglia pensare che è in gioco il futuro dei propri figli.

    59.

    Se c’è un sincero interesse a far sì che la COP28 diventi storica, che ci onori e ci nobiliti come esseri umani, allora possiamo solo aspettarci delle forme vincolanti di transizione energetica che abbiano tre caratteristiche: che siano efficienti, che siano vincolanti e facilmente monitorabili.

    Questo al fine di avviare un nuovo processo che sia drastico, intenso e possa contare sull’impegno di tutti.

    Ciò non è accaduto nel cammino percorso finora, ma solo con un tale processo si potrebbe ripristinare la credibilità della politica internazionale, perché solo in questo modo concreto sarà possibile ridurre notevolmente l’anidride carbonica ed evitare in tempo i mali peggiori.

    60.

    Speriamo che quanti interverranno siano strateghi capaci di pensare al bene comune e al futuro dei loro figli, piuttosto che agli interessi di circostanza di qualche Paese o azienda.

    Possano così mostrare la nobiltà della politica e non la sua vergogna.

    Ai potenti oso ripetere questa domanda: «Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?».

    [35]

    6.

    Le motivazioni spirituali

    61.

    Ai fedeli cattolici non voglio tralasciare di rammentare le motivazioni che scaturiscono dalla loro fede.

    Incoraggio i fratelli e le sorelle di altre religioni a fare lo stesso, perché sappiamo che la fede autentica non solo dà forza al cuore umano, ma trasforma la vita intera, trasfigura gli obiettivi personali, illumina il rapporto con gli altri e i legami con tutto il creato.

    Alla luce della fede

    62.

    La Bibbia racconta che «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» ( Gen 1,31).

    Sua è «la terra e quanto essa contiene» ( Dt 10,14).

    Perciò Egli ci dice: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti» ( Lv 25,23).

    Pertanto, «questa responsabilità di fronte ad una terra che è di Dio, implica che l’essere umano, dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo».

    [36]

    63.

    D’altra parte, «l’insieme dell’universo, con le sue molteplici relazioni, mostra al meglio la ricchezza inesauribile di Dio»; quindi, per essere saggi, «abbiamo bisogno di cogliere la varietà delle cose nelle loro molteplici relazioni».

    [37] In questo cammino di saggezza, non è irrilevante per noi che parecchie specie stiano scomparendo e che la crisi climatica stia mettendo in pericolo la vita di tanti esseri.

    64.

    Gesù «poteva invitare gli altri ad essere attenti alla bellezza che c’è nel mondo, perché Egli stesso era in contatto continuo con la natura e le prestava un’attenzione piena di affetto e di stupore.

    Quando percorreva ogni angolo della sua terra, si fermava a contemplare la bellezza seminata dal Padre suo, e invitava i discepoli a cogliere nelle cose un messaggio divino».

    [38]

    65.

    Allo stesso tempo, «le creature di questo mondo non ci si presentano più come una realtà meramente naturale, perché il Risorto le avvolge misteriosamente e le orienta a un destino di pienezza.

    Gli stessi fiori del campo e gli uccelli che Egli contemplò ammirato con i suoi occhi umani, ora sono pieni della sua presenza luminosa».

    [39] Se «l’universo si sviluppa in Dio, che lo riempie tutto, quindi c’è un mistero da contemplare in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero».

    [40] Il mondo canta un Amore infinito, come non averne cura?

    Camminare in comunione e con responsabilità

    66.

    Dio ci ha uniti a tutte le sue creature.

    Eppure, il paradigma tecnocratico può isolarci da ciò che ci circonda e ci inganna facendoci dimenticare che il mondo intero è una “zona di contatto”.

    [41]

    67.

    La visione giudaico-cristiana del mondo sostiene il valore peculiare e centrale dell’essere umano in mezzo al meraviglioso concerto di tutti gli esseri, ma oggi siamo costretti a riconoscere che è possibile sostenere solo un “antropocentrismo situato”.

    Vale a dire, riconoscere che la vita umana è incomprensibile e insostenibile senza le altre creature.

    Infatti, «noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile».

    [42]

    68.

    Questo non è un prodotto della nostra volontà, ha un’altra origine che si trova alla radice del nostro essere, perché «Dio ci ha unito tanto strettamente al mondo che ci circonda, che la desertificazione del suolo è come una malattia per ciascuno, e possiamo lamentare l’estinzione di una specie come fosse una mutilazione».

    [43] Così mettiamo fine all’idea di un essere umano autonomo, onnipotente e illimitato, e ripensiamo noi stessi per comprenderci in una maniera più umile e più ricca.

    69.

    Invito ciascuno ad accompagnare questo percorso di riconciliazione con il mondo che ci ospita e ad impreziosirlo con il proprio contributo, perché il nostro impegno ha a che fare con la dignità personale e con i grandi valori.

    Comunque, non posso negare che è necessario essere sinceri e riconoscere che le soluzioni più efficaci non verranno solo da sforzi individuali, ma soprattutto dalle grandi decisioni della politica nazionale e internazionale.

    70.

    Ciononostante, tutto concorre all’insieme ed evitare l’aumento di un decimo di grado della temperatura globale potrebbe già essere sufficiente per risparmiare sofferenze a molte persone.

    Ma ciò che conta è qualcosa di meno quantitativo: ricordare che non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali, senza una maturazione del modo di vivere e delle convinzioni sociali, e non ci sono cambiamenti culturali senza cambiamenti nelle persone.

    71.

    Gli sforzi delle famiglie per inquinare meno, ridurre gli sprechi, consumare in modo oculato, stanno creando una nuova cultura.

    Il semplice fatto di cambiare le abitudini personali, familiari e comunitarie alimenta la preoccupazione per le responsabilità non assolte da parte dei settori politici e l’indignazione per il disinteresse dei potenti.

    Va notato quindi che, anche se ciò non produce immediatamente un effetto molto rilevante da un punto di vista quantitativo, contribuisce a realizzare grandi processi di trasformazione che operano dal profondo della società.

    72.

    Se consideriamo che le emissioni pro capite negli Stati Uniti sono circa il doppio di quelle di un abitante della Cina e circa sette volte maggiori rispetto alla media dei Paesi più poveri, [44] possiamo affermare che un cambiamento diffuso dello stile di vita irresponsabile legato al modello occidentale avrebbe un impatto significativo a lungo termine.

    Così, con le indispensabili decisioni politiche, saremmo sulla strada della cura reciproca.

    73.

    «Lodate Dio» è il nome di questa lettera.

    Perché un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso.

    Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, il 4 ottobre, Festa di San Francesco d’Assisi, dell’anno 2023, undicesimo del mio Pontificato.

     

    FRANCESCO

     



    [1] Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, Global Climate Change Background, 2019.

    [2] Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Pan-Amazzonica, Documento finale, ottobre 2019, 10: AAS 111 (2019), 1744.

    [3] Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (Sceam), African Climate Dialogues Communiqué, Nairobi, 17 ottobre 2022.

    [4] Cfr Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), Climate Change 2021, The Physical Science Basis, Cambridge and New York 2021, B.2.2.

    [5] Cfr Id., Climate Change 2023, Synthesis Report, Summary for Policymakers, B.3.2..

    Per il Rapporto 2023 si fa riferimento ahttps://www.ipcc.ch/report/ar6/syr/downloads/report/IPCC_AR6_SYR_SPM.pdf.

    [6] Cfr United Nations Environment Program, The Emissions Gap Report 2022: https://www.unep.org/resources/emissions-gap-report-2022.

    [7] Cfr National Oceanic and Atmospheric Administration, Earth System Research Laboratories, Global Monitoring Laboratory,  Trends in Atmospheric Carbon Dioxide: https://www.gml.noaa.gov/ccgg/trends/.

    [8] Cfr IPCC, Climate Change 2023, Synthesis Report, Summary for Policymakers, A.1.3.

    [9] Cfr ibid., B.5.3.

    [10] Questi dati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sono basati su circa 34.000 studi: cfr IPCC, Synthesis Report of the Sixth Assessment Report (20/03/2023): AR6 Synthesis Report: Climate Change 2023 (ipcc.ch)

    [11] Cfr IPCC, Climate Change 2023, Synthesis Report, Summary for Policymakers, A.1.2.

    [12] Cfr ibid.

    [13] Lett.

    enc.

    Laudato si’ (24 maggio 2015), 101: AAS 107 (2015), 887.

    [14] Ibid., 105: AAS 107 (2015), 889.

    [15] Ibid., 106: AAS 107 (2015), 890.

    [16] Ibid., 104: AAS 107 (2015), 888-889.

    [17] Ibid., 105: AAS 107 (2015), 889.

    [18] Ibid., 139: AAS 107 (2015), 903.

    [19] Ibid., 220: AAS 107 (2015), 934.

    [20] Cfr S.

    Sörlin – P.

    Warde, Making the Environment Historical.

    An Introduction, in Iidem, Nature’s End: History and the Environment, Basingstoke – New York 2009, 1-23.

    [21] Lett.

    enc.

    Laudato si’ (24 maggio 2015), 139: AAS 107 (2015), 903.

    [22] V.

    Solov’ëv, I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo, Bologna 2021, 256.

    [23] Cfr S.

    Paolo VI, Discorso alla FAO nel suo 25ᵒ anniversario (16 novembre 1970), 4: AAS 62 (1970), 833.

    [24] Lett.

    enc.

    Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 11: AAS 112 (2020), 972.

    [25] Ibid., 174: AAS 112 (2020), 1030.

    [26] Ibid., 172: AAS 112 (2020), 1029.

    [27] Ibid.

    [28] Cfr ibid., 170: AAS 112 (2020), 1029.

    [29] Ibid.

    [30] Ibid., 175: AAS 112 (2020), 1031.

    [31] Lett.

    enc.

    Laudato si’ (24 maggio 2015), 179: AAS 107 (2015), 918.

    [32] Ibid., 167: AAS 107 (2015), 914.

    [33] Ibid., 169: AAS 107 (2015), 915.

    [34] Ibid., 111: AAS 107 (2015), 982.

    [35] Ibid., 57: AAS 107 (2015), 870.

    [36] Ibid., 68: AAS 107 (2015), 874.

    [37] Ibid., 86: AAS 107 (2015), 881.

    [38] Ibid., 97: AAS 107 (2015), 886.

    [39] Ibid., 100: AAS 107 (2015), 887.

    [40] Ibid., 233: AAS 107 (2015), 938.

    [41] Cfr D.J.

    Haraway, When Species Meet, Minneapolis 2008, 205-249.

    [42] Lett.

    enc.

    Laudato si’ (24 maggio 2015), 89: AAS 107 (2015), 883.

    [43] Esort.

    ap.

    Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 215: AAS 105 (2013), 1109.

    [44] Cfr United Nations Environment Program, The Emissions Gap Report 2022: https://www.unep.org/resources/emissions-gap-report-2022.

    Ai Partecipanti al Capitolo generale dei Missionari dei Sacri Cuori (2 Ott 2023)
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    Cari fratelli, buongiorno e benvenuti!

    Saluto il Superiore Generale e tutti voi, in questo incontro che si svolge nel corso del ventiseiesimo Capitolo Generale del vostro Istituto.

    L’8 dicembre 1854 Padre Jules Chevalier fondava a Issudun, in Francia, i Missionari del Sacro Cuore di Gesù, fondazione a cui sarebbero seguite nel tempo quelle delle Figlie di Nostra Signora del Sacro Cuore e delle Suore Missionarie del Sacro Cuore, a cui si aggregano gli associati laici, detti Laici della Famiglia Chevalier.

    Egli vi ha pensati fin dall’inizio come missionari, impegnati a far conoscere l’amore di Dio nel mondo per ottenere dagli uomini una risposta d’amore.

    Ed è bello, in quest’ottica, che abbiate scelto di farvi guidare, nel cammino del Capitolo, dalla pericope evangelica di Emmaus (cfr Lc 24,13-35).

    Possiamo ricavarne tre atteggiamenti fondamentali, per riflettere sulla vostra identità carismatica e sul vostro impegno missionario: conoscere il Cuore di Gesù attraverso il Vangelo; approfondirne il messaggio nella condivisione fraterna; annunciarlo a tutti nella gioia della missione.

    Primo: conoscere il Cuore di Gesù attraverso il Vangelo, cioè meditandone la vita.

    È lì, infatti, che Egli ancora oggi continua a farsi nostro compagno di viaggio (cfr vv.

    25-27).

    P.

    Chevalier amava definire il Vangelo come libro “del Sacro Cuore”, mentre invitava tutti a contemplarvi la carità con cui il Salvatore si è lasciato toccare da ogni povertà, felice di riversare la tenerezza e la compassione del suo Cuore sui piccoli e sui poveri, sui sofferenti, sui peccatori e su tutte le miserie dell’umanità.

    Del resto, la spiegazione delle Scritture che Gesù offre ai discepoli di Emmaus lungo il cammino non è di tipo teorico: è la testimonianza diretta di Colui che ha adempiuto ciò di cui parla, amando il Padre e i fratelli fino alla croce, ricevendo nella sua carne le ferite dei chiodi e lasciandosi trafiggere il Cuore per la pura carità.

    Il Risorto, che si fa riconoscere nello spezzare il Pane, è Colui che ha vinto la morte donando la vita, che ha mostrato agli uomini l’amore del Padre amandoli senza misura con il suo Cuore divino e umano e che per questo sa dire parole che fanno ardere il petto! Così si conosce il Cuore di Gesù: contemplando nel Vangelo la sua immensa misericordia, come Maria, che voi venerate col titolo di “Nostra Signora del Sacro Cuore” e che sa mostrarci il Cuore di suo Figlio proprio perché «serbava queste cose meditandole nel suo» (Lc 2,19).

    Questo dunque il primo invito: conoscere il Cuore di Gesù meditando il Vangelo.

    E su questo, non abbiate paura del silenzio, non abbiate paura!

    Perché questa forte esperienza possa diventare luce per il cammino, è necessario che passi anche attraverso l’arricchimento della condivisione.

    Ecco il secondo elemento: approfondire e comprendere la Parola nella condivisione fraterna.

    A Emmaus i discepoli, subito dopo aver riconosciuto Gesù, si interrogano a vicenda con stupore su ciò che hanno vissuto (cfr v.

    32).

    È un invito anche per noi a farci dono l’un l’altro della meraviglia che nasce nel cuore quando si incontra il Signore.

    Prima di incontrarlo i due compagni discutevano di fallimenti e delusioni, dopo esultano per aver visto il Risorto! Anche nella vita di P.

    Chevalier condividere è stato importante.

    In seminario ha trasmesso il suo fervore e i suoi sogni ad alcuni compagni sensibili, che con un gioco di parole definiva i cavalieri (chevaliers) del Sacro Cuore.

    E proprio nel ritrovare uno di loro dopo anni di lontananza, animato dallo stesso zelo, ha visto il segno atteso per cominciare la fondazione.

    Perciò, nei lavori di questo Capitolo, come nel discernimento ordinario delle vostre comunità, invito anche voi a mettere sempre alla base di tutto e prima di tutto la condivisione fraterna del vostro incontro con Cristo, nella Parola, nei Sacramenti e nella vita.

    Potrete così affrontare anche i problemi più pressanti in modo costruttivo.

    La condivisione tra voi.

    E veniamo all’ultimo aspetto: l’annuncio gioioso nella missione.

    I discepoli di Emmaus partono senza indugio, tornano a Gerusalemme e raccontano quello che è accaduto (cfr vv.

    33-35).

    Avete scelto come motto per i vostri lavori capitolari le parole: “dall’ego all’eco”, cioè da sé stessi alla casa comune, alla famiglia, alla comunità, al creato.

    È un’espressione forte e un impegno per il vostro futuro, specialmente per il discernimento circa nuovi tipi di ministero a cui aprirvi.

    Le sfide non mancano: lo testimoniano i Martiri della vostra congregazione e i molti ambiti di carità in cui già siete stati chiamati ad operare in tutti i continenti.

    I poveri, i migranti, le tante miserie e ingiustizie che nel mondo continuano a rinnovarsi ci interrogano con urgenza.

    Di fronte ad esse, non temete di lasciarvi coinvolgere dalla compassione del Cuore di Cristo; come diceva il vostro Fondatore, consentitegli di amare attraverso di voi e di manifestare la sua misericordia attraverso la vostra bontà.

    E fatelo con coraggio, come ha fatto lui – ad esempio quando, pur con forze limitate, accettò la missione in Melanesia e Micronesia –, permettendo alla tenerezza irresistibile del Sacro Cuore di modellare, modificare e anche sconvolgere, se necessario, i vostri piani e progetti.

    Per favore, non abbiate paura della tenerezza! Lo stile di Dio si può dire in tre parole: vicinanza, compassione e tenerezza.

    Dio è così: vicino, compassionevole, tenero.

    Siate anche voi così con gli altri.

    Ma questa vicinanza, questa compassione, questa tenerezza le riceverete nel dialogo con Gesù.

    La preghiera è tanto importante per portare avanti questo.

    Senza preghiera le cose non funzionano, non vanno.

    Grazie, cari fratelli, per ciò che siete e per ciò che fate! Continuate con entusiasmo la vostra opera.

    Fuggite dalla tristezza, che è il tarlo che rovina la vita personale e la vita consacrata! Quella tristezza che porta giù, non la buona tristezza del pentimento, questa è un’altra cosa, ma quella tristezza quotidiana è un tarlo che rovina.

    Vi benedico di cuore.

    E vi raccomando di pregare per me, perché ne ho bisogno, questo lavoro non è così facile! Grazie.

    Alle Partecipanti al XII Capitolo Generale delle Piccole Sorelle di Gesù (2 Ott 2023)
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    Care sorelle, buongiorno!

    Do il benvenuto a tutte voi e rivolgo un augurio speciale a Sorella Eugeniya-Kubwimana di Gesù, neoeletta Responsabile Generale, e alle sue Assistenti, che iniziano il loro servizio alla guida della Fraternità.

    E un caloroso grazie a Sorella Dolors Francesca di Gesù, Responsabile Generale uscente, e alle sue Assistenti, per il lavoro svolto nel mandato che si è concluso.

    A me non piace tanto parlare di “responsabili”, perché se uno è responsabile, sembra che gli altri siano irresponsabili, e questo non va!

    State celebrando il dodicesimo Capitolo Generale che, oltre ad essere elettivo, è un’occasione importante per riflettere insieme e maturare scelte significative.

    Alle vostre origini c’è l’esperienza carismatica di San Charles de Foucauld, ripresa, circa vent’anni dopo la sua morte, da Magdeleine Hutin e Anne Cadoret: una forte esperienza di ricerca di Dio, di testimonianza del Vangelo e di amore per la vita nascosta.

    Mi sembrano, queste, tre linee-guida utili su cui riflettere brevemente, anche alla luce del racconto evangelico che avete scelto a guida del cammino capitolare: l’incontro di Gesù con la Samaritana (cfr Gv 4,5-42).

    La prima linea è la ricerca di Dio.

    È la più importante.

    Il Maestro vi attende al pozzo della sua Parola, acqua viva che disseta l’arsura dei nostri desideri.

    È bello coltivarne l’ascolto stando ai suoi piedi in adorazione, come faceva Frère Charles, che non conosceva niente di più dolce delle ore passate davanti al Tabernacolo, dicendo che «più si beve di questa dolcezza e più se ne ha sete» (Pensieri e Massime).

    Così i cuori si aprono alle vie di Dio, che non fa violenza alle persone, ma ispira pensieri e sentimenti creativi di adesione, di disponibilità e di servizio.

    Come alla Samaritana, Gesù vi offre il suo amore, e sta a voi accettarne la sfida, con il deporre le anfore ingombranti dell’autoreferenzialità e dell’abitudinarietà, delle soluzioni scontate e anche di un certo pessimismo che il nemico di Dio e dell’uomo cerca sempre di insinuare, specialmente in chi ha fatto della propria vita un dono.

    Ma alla luce della sua Parola potrete discernere i desideri di Gesù, per poi ripartire, alla volta dei villaggi e delle città a cui sarete inviate, più libere e leggere, vuote di voi e piene di Lui, come nell’artistico “logo” del Capitolo che una di voi ha realizzato.

    Veniamo così alla seconda linea-guida, che vi caratterizza fin dalle origini: la testimonianza del Vangelo, il farne dono agli altri con le parole, con le opere di carità e con la presenza fraterna, orante e adorante delle vostre piccole comunità internazionali.

    Diceva San Charles de Foucauld: «Tutto il nostro essere deve gridare il Vangelo sui tetti.

    Tutta la nostra persona deve traspirare Gesù… tutta la nostra vita deve gridare che noi apparteniamo a Gesù, deve presentare l’immagine della vita evangelica» (Meditazioni sui Santi Vangeli).

    Anche in questo è preziosa l’immagine della donna di Samaria, che andò a condividere la gioia di aver incontrato Cristo con i suoi concittadini, dicendo loro: «Venite a vedere» (Gv 4,29).

    San Charles scriveva: «Pensate molto agli altri, pregate molto per gli altri.

    Dedicarsi alla salvezza del Prossimo con i mezzi in vostro potere, la preghiera, la bontà, l’esempio, è il miglior mezzo per dimostrare allo Sposo divino che voi l’amate».

    E aggiungeva: «Non basta dare a chi chiede: bisogna dare a chi ha bisogno» (Scritti Spirituali).

    Occuparsi delle altre e degli altri, dare a chi ha bisogno senza aspettare che chieda: ecco i segni dell’amore per lo Sposo, tratti caratteristici della vostra vicinanza premurosa agli ultimi, nei quali Egli è presente.

    Una vicinanza tanto preziosa in una società come la nostra dove, nonostante l’abbondanza dei mezzi, anziché moltiplicarsi le opere di bene, sembrano indurirsi e chiudersi i cuori.

    La vicinanza è spontanea, è questo che conta, nasce dalla spontaneità del cuore.

    Vicinanza, prossimità.

    La vostra prossimità delicata sia una sfida mite all’indifferenza - oggi siamo in una cultura dell’indifferenza -, una testimonianza di fraternità, un dolce grido che ricorda al mondo, come scriveva il “Fratello universale”, che «tutti...

    il più povero, il più ripugnante, un neonato, un vecchio decrepito, l’essere umano meno intelligente, il più abietto, un idiota, un pazzo, un peccatore, il più grande peccatore… è un figlio di Dio, un figlio dell’Altissimo» (Opere spirituali).

    Ecco dunque il cuore della testimonianza: «essere caritatevoli, miti, umili con tutti gli uomini: è questo che noi abbiamo imparato da Gesù.

    Non essere militanti con nessuno» (Lettera a Joseph Hours, 3 maggio 1912).

    Giungiamo in questo modo alla terza linea-guida: l’amore per la vita nascosta.

    È la via dell’Incarnazione, la via di Nazaret, quella indicata da Dio con il suo spogliarsi e farsi piccolo per condividere la vita dei piccoli.

    «Voglio – diceva il padre – passare sconosciuto sulla terra come un viaggiatore nella notte, poveramente, laboriosamente, umilmente, dolcemente… imitando in tutto Gesù nella sua vita a Nazaret e, giunta l’ora, nella sua Via Crucis e nella sua morte» (Opere spirituali).

    La via del nascondimento è la via di Dio.

    Questo è bello, è importante.

    Voi non siete suore per fare pubblicità.

    Quanto più nascoste, tanto più divine.

    Continuate a coltivare questa via, è una profezia potente per il nostro tempo, inquinato dall’apparire e dalle apparenze.

    Sembra che per questa cura dell’apparire e delle apparenze noi viviamo una cultura del “trucco”: tutti si truccano, le donne è normale che lo facciano, ma tutti, tutti si truccano, per apparire meglio di quello che siamo, e questo non è del Signore.

    Care sorelle, è vero, ci sono momenti difficili e problemi seri da affrontare, come la carenza di vocazioni, la chiusura di alcune case, la crescente età media delle religiose, ma è altrettanto vero che, fedeli all’ispirazione di Fratel Carlo, voi siete per Dio strumenti preziosi per seminare nel mondo piccole perle di tenerezza evangelica, che è la vostra specialità, la tenerezza evangelica.

    E il Signore continuerà a farlo, nella misura in cui vi manterrete semplici e generose, innamorate di Cristo e dei poveri.

    Ciò a suo tempo porterà frutto, non dubitatene.

    Vorrei anche ringraziare per il lavoro silenzioso che fate nella diocesi di Roma, grazie! E poi in ogni udienza generale c’è la vostra presenza, nella persona dell’enfant terrible, suor Geneviève, che sempre porta qualcuno per avvicinarlo al Papa, e questo fa bene! La presenza con i più emarginati.

    Grazie!

    Io vi ringrazio e vi benedico; e voi, per favore, continuate a pregare per me, davvero, perché questo lavoro non è facile anzi è un po’ “fastidioso”!

    Messaggio del Santo Padre in occasione dei 180 anni di fondazione della Pontificia Opera della Santa Infanzia (1° Ott 2023)
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    Eccellenza Reverendissima,
    cari bambini e ragazzi missionari,
    genitori, formatori e amici!

    Il 19 maggio scorso si sono celebrati i centottant’anni di fondazione della Pontificia Opera della Santa Infanzia e molti di voi ancora in questi giorni stanno festeggiando questo felice anniversario.

    Mons.

    Charles de Frobin Janson, Vescovo di Nancy, Pastore dotato di un grande cuore apostolico, la fondava nel 1843, essendo venuto a scoprire, attraverso le lettere di missionari francesi, che molti bambini e bambine, in Cina, morivano a causa della fame e dell’abbandono.

    Era nata così in lui una forte preoccupazione per la loro salvezza, non solo fisica ma anche spirituale, perché Gesù, il Figlio di Dio, è morto e risorto per la salvezza di tutti.

    Proprio dal suo zelo missionario, allora, in occasione di questa ricorrenza, vogliamo trarre un primo insegnamento importante: quello di preoccuparci per la salvezza degli altri.

    Come veri discepoli di Gesù, infatti, coltivando in noi un cuore simile al suo, non possiamo fare a meno di desiderare ardentemente che tutti si salvino.

    Così è cominciata la vostra bellissima associazione, che ancora oggi, attiva e vivace dopo 180 anni, insegna a tanti bambini e ragazzi di tutto il mondo ad essere discepoli missionari.

    Quest’anno, poi, ricorre il 150° anniversario della nascita di un membro molto speciale dell’Opera: Santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni, iscritta fin dall’età di sette anni.

    Oggi, primo ottobre, celebriamo la sua memoria liturgica, e proprio da lei vogliamo accogliere un secondo messaggio prezioso: con la nostra preghiera, anche se siamo piccoli, possiamo contribuire a far conoscere e amare Gesù, silenziosamente, aiutando gli altri a fare del bene.

    La preghiera – ci insegna Santa Teresina – è la prima azione missionaria, e può raggiungere ogni luogo del mondo, ogni bambino e ragazzo, ogni missionario.

    Per questo vi invito a crescere, attraverso di essa, nell’amicizia con il nostro Salvatore, e nell’amicizia tra voi e tra tutti i bambini e ragazzi del mondo, per essere operatori di pace.

    Cari bambini e ragazzi missionari, voglio ringraziarvi, perché con il vostro impegno aiutate tutti noi ad essere testimoni coraggiosi del Vangelo e a condividere con gli altri, oltre ai sussidi materiali, ciò che abbiamo di più prezioso: la fede.

    E voglio ringraziare anche i vostri genitori e gli animatori che vi seguono, promuovendo il carisma e la spiritualità dell’Opera della Santa Infanzia.

    È un’”Opera Pontificia”, cioè universale, della Chiesa Cattolica, del Papa e quindi vi considero miei speciali collaboratori.

    Vi ricordo, però, che questa qualifica implica anche un altro impegno importante: quello di costruire ponti e relazioni, sull’esempio di Cristo stesso, e anche a questo vi esorto.

    Continuate a impegnarvi secondo il carisma che Mons.

    Charles de Forbin Janson vi ha lasciato, seguendo la piccola via di Santa Teresa del Bambino Gesù, fedeli al vostro motto: “i bambini pregano per i bambini, i bambini evangelizzano i bambini, i bambini aiutano i bambini”.

    Il Signore vi benedica e vi accompagni sempre e, vi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me.

    Roma, San Giovanni in Laterano, 1° ottobre 2023
     

    FRANCESCO

    Angelus, 1° Ott 2023
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

    Oggi il Vangelo parla di due figli, ai quali il padre chiede di andare a lavorare nella vigna (cfr Mt 21,28-32).

    Uno di loro risponde subito “sì”, ma poi non ci va.

    L’altro invece, dice di no, ma poi si pente e va.

    Che dire di questi due comportamenti? Viene subito da pensare che andare a lavorare nella vigna richiede sacrificio e che sacrificarsi costa, non viene spontaneo, pur nella bellezza di sapersi figli ed eredi.

    Ma il problema qui non è tanto legato alla resistenza ad andare a lavorare nella vigna, ma alla sincerità o meno di fronte al padre e di fronte a sé stessi.

    Se infatti nessuno dei due figli si comporta in modo impeccabile, uno mente, mentre l’altro sbaglia, ma resta sincero.

    Guardiamo al figlio che dice “sì”, ma poi non va.

    Egli non vuole fare la volontà del padre, ma non vuole nemmeno mettersi a discuterne e parlarci.

    Così si nasconde dietro a un “sì”, dietro a un finto assenso, che nasconde la sua pigrizia e per il momento gli salva la faccia, è un ipocrita.

    Se la cava senza conflitti, però raggira e delude suo padre, mancandogli di rispetto in un modo peggiore di quanto non avrebbe fatto con uno schietto “no”.

    Il problema di un uomo che si comporta così è che non è solo un peccatore, ma un corrotto, perché mente senza problemi per coprire e camuffare la sua disubbidienza, senza accettare alcun dialogo o confronto onesto.

    L’altro figlio, quello che dice “no” ma poi va, è invece sincero.

    Non è perfetto, ma sincero.

    Certo, ci sarebbe piaciuto vederlo dire subito “sì”.

    Non è così ma, per lo meno, manifesta in modo schietto e in un certo senso coraggioso la sua riluttanza.

    Si assume, cioè, la responsabilità del suo comportamento e agisce alla luce del sole.

    Poi, con questa onestà di fondo, finisce col mettersi in discussione, arrivando a capire di avere sbagliato e tornando sui suoi passi.

    È, potremmo dire, un peccatore, ma non un corrotto.

    Sentite bene questo: questo è un peccatore, ma non è un corrotto.

    E per il peccatore c’è sempre speranza di redenzione; per il corrotto, invece, è molto più difficile.

    Infatti i suoi falsi “sì”, le sue parvenze eleganti ma ipocrite e le sue finzioni diventate abitudini sono come uno spesso “muro di gomma”, dietro al quale si ripara dai richiami della coscienza.

    E questi ipocriti fanno tanto male! Fratelli e sorelle, peccatori sì – lo siamo tutti –, corrotti no! Peccatori sì, corrotti no!

    Guardiamo ora a noi stessi e, alla luce di tutto questo, poniamoci qualche interrogativo.

    Di fronte alla fatica di vivere una vita onesta e generosa, di impegnarmi secondo la volontà del Padre, sono disposto a dire “sì” ogni giorno, anche se costa? E quando non ce la faccio, sono sincero nel confrontarmi con Dio sulle mie difficoltà, le mie cadute, le mie fragilità? E quando dico “no”, poi torno indietro? Parliamo con il Signore di questo.

    Quando sbaglio, sono disposto a pentirmi e a tornare sui miei passi? Oppure faccio finta di niente e vivo indossando una maschera, preoccupandomi solo di apparire bravo e per bene? In definitiva, sono un peccatore, come tutti, oppure c’è in me qualcosa di corrotto? Non dimenticatevi: peccatori sì, corrotti no.

    Maria, specchio di santità, ci aiuti a essere cristiani sinceri.

    ___________________

    Dopo l'Angelus

    Cari fratelli e sorelle!

    Ieri, a Piacenza, è stato proclamato beato don Giuseppe Beotti, ucciso in odio alla fede nel 1944.

    Pastore secondo il cuore di Cristo, non esitò ad offrire la propria vita per proteggere il gregge a lui affidato.

    Un applauso al nuovo beato!

    Seguo in questi giorni la drammatica situazione degli sfollati del Nagorno-Karabakh.

    Rinnovo il mio appello al dialogo tra l’Azerbaigian e l’Armenia, auspicando che i colloqui tra le parti, con il sostegno della Comunità internazionale, favoriscano un accordo duraturo che ponga fine alla crisi umanitaria.

    Assicuro la mia preghiera per le vittime dell’esplosione di un deposito di carburante avvenuta nei pressi della città di Stepanakert.

    Oggi inizia il mese di ottobre, il mese del Rosario e delle missioni.

    Esorto tutti a sperimentare la bellezza della preghiera del Rosario, contemplando con Maria i misteri di Cristo e invocando la sua intercessione per le necessità della Chiesa e del mondo.

    Preghiamo per la pace, nella martoriata Ucraina e in tutte le terre ferite dalla guerra.

    Preghiamo per l’evangelizzazione dei popoli.

    E preghiamo anche per il Sinodo dei Vescovi, che in questo mese vivrà la prima Assemblea sul tema della sinodalità della Chiesa.

    Oggi si festeggia Santa Teresa del Bambino Gesù, Santa Teresina, la santa della fiducia.

    Il prossimo 15 ottobre si pubblicherà una Esortazione apostolica sul suo messaggio.

    Preghiamo Santa Teresina e la Madonna.

    Ci aiuti Santa Teresina ad avere fiducia e a lavorare per le missioni.

    Saluto tutti voi, romani e pellegrini d’Italia e di tanti Paesi.

    In particolare saluto il gruppo del Santuario della Vergine della Rivelazione alle Tre Fontane in Roma, i fedeli di una parrocchia di Catania, i cresimandi di Porto Sant’Elpidio, gli scout di Afragola e le confraternite di Arcieri Storici e di Cavalieri di San Sebastiano.

    Un pensiero e un incoraggiamento rivolgo all’Associazione Nazionale Donne Operate al Seno.

    Oggi qui accanto a me, potete vedere, ci sono cinque bambini, in rappresentanza dei cinque continenti.

    Insieme con loro desidero annunciare che nel pomeriggio del 6 novembre, nell’Aula Paolo VI, incontrerò bambini di tutto il mondo.

    L’evento, patrocinato dal Dicastero per la Cultura e l’Educazione, avrà come tema “Impariamo dai bambini e dalle bambine”.

    Si tratta di un incontro per manifestare il sogno di tutti: tornare ad avere sentimenti puri come i bambini, perché a chi è come un bambino appartiene il Regno di Dio.

    I bambini ci insegnano la limpidezza delle relazioni e l’accoglienza spontanea di chi è forestiero e il rispetto per tutto il creato.

    Cari bambini, vi aspetto tutti per imparare anch’io da voi.

    A tutti auguro una buona domenica.

    E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

    Buon pranzo e arrivederci!

    Veglia ecumenica di preghiera (30 Set 2023)
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    Together”.

    “Insieme”.

    Come la comunità cristiana delle origini il giorno di Pentecoste.

    Come un unico gregge, amato e radunato da un solo Pastore, Gesù.

    Come la grande folla dell’Apocalisse siamo qui, fratelli e sorelle «di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» (Ap 7,9), provenienti da comunità e Paesi diversi, figlie e figli dello stesso Padre, animati dallo Spirito ricevuto nel Battesimo, chiamati alla medesima speranza (cfr Ef 4,4-5).

    Grazie per la vostra presenza.

    Grazie alla Comunità di Taizé per questa iniziativa.

    Saluto con grande affetto i Capi di Chiese, i leader e le delegazioni delle diverse tradizioni cristiane, e saluto tutti voi, specialmente i giovani: grazie! Grazie per essere venuti a pregare per noi e con noi, a Roma, prima dell’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, alla vigilia del ritiro spirituale che la precede.

    Syn-odos”: camminiamo insieme, non solo i cattolici, ma tutti i cristiani, l’intero Popolo dei battezzati, tutto il Popolo di Dio, perché «solo l’insieme può essere l’unità di tutti» (J.A.

    Möhler, Symbolik oder Darstellung der dogmatischen Gegensätze der Katholiken und Protestanten nach ihren öffentlichen Bekenntnisschriften, II, Köln-Olten 1961, 698).

    Come la grande folla dell’Apocalisse, abbiamo pregato in silenzio, ascoltando un “grande silenzio” (cfr Ap 8,1).

    E il silenzio è importante, è potente: può esprimere un dolore indicibile di fronte alle disgrazie, ma anche, nei momenti di gioia, una letizia che trascende le parole.

    Per questo vorrei brevemente riflettere con voi sulla sua importanza nella vita del credente, nella vita della Chiesa e nel cammino di unità dei cristiani.

    L’importanza del silenzio.

    Primo: il silenzio è essenziale nella vita del credente.

    Sta infatti all’inizio e alla fine dell’esistenza terrena di Cristo.

    Il Verbo, la Parola del Padre, si è fatto “silenzio” nella mangiatoia e sulla croce, nella notte della Natività e in quella della Pasqua.

    Stasera noi cristiani abbiamo sostato silenziosi davanti al Crocifisso di San Damiano, come discepoli in ascolto dinanzi alla croce, che è la cattedra del Maestro.

    Il nostro non è stato un tacere vuoto, ma un momento carico di attesa e di disponibilità.

    In un mondo pieno di rumore non siamo più abituati al silenzio, anzi a volte facciamo fatica a sopportarlo, perché ci mette di fronte a Dio e a noi stessi.

    Eppure esso è sta alla base della parola e della vita.

    San Paolo dice che il mistero del Verbo incarnato è stato «avvolto nel silenzio per i secoli eterni» (Rm 16,25), insegnandoci che il silenzio custodisce il mistero, come Abramo custodiva l’Alleanza, come Maria custodiva nel grembo e meditava nel cuore la vita del suo Figlio (cfr Lc 1,31; 2,19.51).

    D’altronde la verità non ha bisogno, per giungere al cuore degli uomini, di grida violente.

    Dio non ama i proclami e gli schiamazzi, le chiacchiere e il fragore: Dio preferisce piuttosto, come ha fatto con Elia, parlare nel «sussurro di una brezza leggera» (1 Re 19,12), in un “filo sonoro di silenzio”.

    E allora anche noi, come Abramo, come Elia, come Maria abbiamo bisogno di liberarci da tanti rumori per ascoltare la sua voce.

    Perché solo nel nostro silenzio risuona la sua Parola.

    Secondo: il silenzio è essenziale nella vita della Chiesa.

    Gli Atti degli Apostoli dicono che, dopo il discorso di Pietro al Concilio di Gerusalemme, «tutta l’assemblea tacque» (At 15,12), preparandosi ad accogliere la testimonianza di Paolo e Barnaba circa i segni e i prodigi che Dio aveva compiuto tra le nazioni.

    E questo ci ricorda che il silenzio, nella comunità ecclesiale, rende possibile la comunicazione fraterna, in cui lo Spirito Santo armonizza i punti di vista, perché Lui è l’armonia.

    Essere sinodali vuol dire accoglierci gli uni gli altri così, nella consapevolezza che tutti abbiamo qualcosa da testimoniare e da imparare, mettendoci insieme in ascolto dello «Spirito della verità» (Gv 14,17) per conoscere ciò che Egli «dice alle Chiese» (Ap 2,7).

    E il silenzio permette proprio il discernimento, attraverso l’ascolto attento dei «gemiti inesprimibili» (Rm 8,26) dello Spirito che riecheggiano, spesso nascosti, nel Popolo di Dio.

    Chiediamo dunque allo Spirito il dono dell’ascolto per i partecipanti al Sinodo: «ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del popolo; ascolto del popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama» (Discorso in occasione della Veglia di Preghiera in preparazione al Sinodo sulla Famiglia, 4 ottobre 2014).

    E infine, terzo: il silenzio è essenziale nel cammino di unità dei cristiani.

    É fondamentale infatti per la preghiera, da cui l’ecumenismo comincia e senza la quale è sterile.

    Gesù, infatti, ha pregato perché i suoi discepoli «siano una sola cosa» (Gv 17,21).

    Il silenzio fatto preghiera ci permette di accogliere il dono dell’unità “come Cristo la vuole”, “con i mezzi che Lui vuole” (cfr P.

    Couturier, Preghiera per l’unità), non come frutto autonomo dei nostri sforzi e secondo criteri puramente umani.

    Più ci rivolgiamo insieme al Signore nella preghiera, più sentiamo che è Lui a purificarci e ad unirci al di là delle differenze.

    L’unità dei cristiani cresce nel silenzio davanti alla croce, proprio come i semi che riceveremo e che raffigurano i diversi doni elargiti dallo Spirito Santo alle varie tradizioni: a noi il compito di seminarli, nella certezza che Dio solo dona la crescita (cfr 1 Cor 3,6).

    Essi saranno un segno per noi, chiamati a nostra volta a morire silenziosamente all’egoismo per crescere, attraverso l’azione dello Spirito Santo, nella comunione con Dio e nella fraternità tra di noi.

    Per questo, fratelli e sorelle, chiediamo, nella preghiera comune, di imparare nuovamente a fare il silenzio: per ascoltare la voce del Padre, la chiamata di Gesù e il gemito dello Spirito.

    Chiediamo che il Sinodo sia kairós di fraternità, luogo dove lo Spirito Santo purifichi la Chiesa dalle chiacchiere, dalle ideologie e dalle polarizzazioni.

    Mentre ci dirigiamo verso l’importante anniversario del grande Concilio di Nicea, chiediamo di saper adorare uniti e in silenzio, come i Magi, il mistero del Dio fatto uomo, certi che più saremo vicini a Cristo, più saremo uniti tra noi.

    E come i saggi dall’Oriente furono condotti a Betlemme da una stella, così la luce celeste ci guidi al nostro unico Signore e all’unità per la quale Egli ha pregato.

    Fratelli e sorelle, mettiamoci in cammino insieme, desiderosi di incontrarlo, adorarlo e annunciarlo «perché il mondo creda» (Gv 17,21).

    Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di nuovi Cardinali (30 Set 2023)
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    Pensando a questa celebrazione e in particolare a voi, cari fratelli, che sareste diventati Cardinali, mi è venuto in mente questo testo degli Atti degli Apostoli (cfr 2,1-11).

    È un testo fondamentale: il racconto della Pentecoste, il battesimo della Chiesa… Ma in realtà il mio pensiero era attratto da una cosa particolare: da quell’espressione uscita dalla bocca dei Giudei che «abitavano allora a Gerusalemme» (v.

    5).

    Essi dicono: «Siamo Parti, Medi, Elamiti…» (v.

    9) e così via.

    Questo lungo elenco di popoli mi ha fatto pensare ai Cardinali, che grazie a Dio sono di tutte le parti del mondo, delle nazioni più diverse.

    Ecco il motivo per cui ho scelto questo brano biblico.

    Meditando poi su di esso, mi sono accorto di una specie di “sorpresa” che era nascosta in questa associazione d’idee, una sorpresa nella quale, con gioia, mi è sembrato di riconoscere, per così dire, l’umorismo dello Spirito Santo, scusatemi l’espressione.

    Che cos’è questa “sorpresa”? Essa consiste nel fatto che normalmente noi pastori, quando leggiamo il racconto della Pentecoste, ci identifichiamo con gli Apostoli.

    È naturale che sia così.

    Invece quei “Parti, Medi, Elamiti” eccetera, che nella mia mente avevo associato ai Cardinali, non appartengono al gruppo dei discepoli, sono fuori dal cenacolo, sono parte di quella «folla» che «si radunò» sentendo il rumore provocato dal vento impetuoso (cfr v.

    6).

    Gli Apostoli erano “tutti Galilei” (cfr v.

    7), mentre la gente che si era radunata era «di ogni nazione che è sotto il cielo» (v.

    5), proprio come sono i Vescovi e i Cardinali nel nostro tempo.

    Questa specie di inversione di ruoli fa riflettere e, a guardarla bene, rivela una prospettiva interessante, che vorrei condividere con voi.

    Si tratta di applicare a noi – mi ci metto anch’io per primo – l’esperienza di quei Giudei che per un dono di Dio si trovarono ad essere protagonisti dell’evento della Pentecoste, cioè del “battesimo” dello Spirito Santo che fece nascere la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

    Riassumerei così questa prospettiva: riscoprire con stupore il dono di aver ricevuto il Vangelo «nelle nostre lingue» (v.

    11), come dice quella gente.

    Ripensare con gratitudine al dono di essere stati evangelizzati e di essere stati tratti da popoli che, ciascuno a suo tempo, hanno ricevuto il Kerygma, l’annuncio del mistero di salvezza, e accogliendolo sono stati battezzati nello Spirito Santo e sono entrati a far parte della Chiesa.

    La Chiesa Madre, che parla in tutte le lingue, che è una ed è cattolica.

    Ecco, questa Parola del Libro degli Atti ci fa pensare che, prima di essere “apostoli”, prima di essere sacerdoti, vescovi, cardinali, siamo “Parti, Medi, Elamiti” eccetera eccetera.

    E questo dovrebbe risvegliare in noi lo stupore e la riconoscenza per aver ricevuto la grazia del Vangelo nei nostri rispettivi popoli di origine.

    Ritengo che ciò sia molto importante e da non dimenticare.

    Perché lì, nella storia del nostro popolo, direi nella “carne” del nostro popolo, lo Spirito Santo ha operato il prodigio della comunicazione del mistero di Gesù Cristo morto e risorto.

    Ed è arrivato a noi “nelle nostre lingue”, sulle labbra e nei gesti dei nostri nonni e dei nostri genitori, dei catechisti, dei sacerdoti, dei religiosi… Ognuno di noi può ricordare voci e volti concreti.

    La fede viene trasmessa “in dialetto”.

    Non dimenticatevi questo: la fede viene trasmessa in dialetto, dalle mamme e dalle nonne.

    In effetti, siamo evangelizzatori nella misura in cui conserviamo nel cuore lo stupore e la gratitudine di essere stati evangelizzati.

    Anzi, di essere evangelizzati, perché in realtà si tratta di un dono sempre attuale, che chiede di essere continuamente rinnovato nella memoria e nella fede.

    Evangelizzatori evangelizzati, e non funzionari.

    Fratelli e sorelle, carissimi Cardinali, la Pentecoste – come il Battesimo di ciascuno di noi – non è un fatto del passato, è un atto creativo che Dio rinnova continuamente.

    La Chiesa – e ogni suo membro – vive di questo mistero sempre attuale.

    Non vive “di rendita”, no, e tanto meno di un patrimonio archeologico, per quanto prezioso e nobile.

    La Chiesa, e ogni battezzato, vive dell’oggi di Dio, per l’azione dello Spirito Santo.

    Anche l’atto che stiamo compiendo qui adesso, ha senso se lo viviamo in questa prospettiva di fede.

    E oggi, alla luce della Parola, possiamo cogliere questa realtà: voi neo-Cardinali siete venuti da diverse parti del mondo e lo stesso Spirito che fecondò l’evangelizzazione dei vostri popoli, ora rinnova in voi la vostra vocazione e missione nella Chiesa e per la Chiesa.

    Da questa riflessione, ricavata da una “sorpresa” feconda, vorrei trarre semplicemente una conseguenza per voi, fratelli Cardinali, e per il vostro Collegio.

    E vorrei esprimerla con un’immagine, quella dell’orchestra: il Collegio Cardinalizio è chiamato ad assomigliare a un’orchestra sinfonica, che rappresenta la sinfonicità e la sinodalità della Chiesa.

    Dico anche la “sinodalità”, non solo perché siamo alla vigilia della prima Assemblea del Sinodo che ha proprio questo tema, ma perché mi pare che la metafora dell’orchestra possa illuminare bene il carattere sinodale della Chiesa.

    Una sinfonia vive della sapiente composizione dei timbri dei diversi strumenti: ognuno dà il suo apporto, a volte da solo, a volte unito a qualcun altro, a volte con tutto l’insieme.

    La diversità è necessaria, è indispensabile.

    Ma ogni suono deve concorrere al disegno comune.

    E per questo è fondamentale l’ascolto reciproco: ogni musicista deve ascoltare gli altri.

    Se uno ascoltasse solo sé stesso, per quanto sublime possa essere il suo suono, non gioverà alla sinfonia; e lo stesso avverrebbe se una sezione dell’orchestra non ascoltasse le altre, ma suonasse come se fosse da sola, come se fosse il tutto.

    E il direttore dell’orchestra è al servizio di questa specie di miracolo che ogni volta è l’esecuzione di una sinfonia.

    Egli deve ascoltare più di tutti gli altri, e nello stesso tempo il suo compito è aiutare ciascuno e tutta l’orchestra a sviluppare al massimo la fedeltà creativa, fedeltà all’opera che si sta eseguendo, ma creativa, capace di dare un’anima a quello spartito, di farlo risuonare nel qui e ora in maniera unica.

    Cari fratelli e sorelle, ci fa bene rispecchiarci nell’immagine dell’orchestra, per imparare sempre meglio ad essere Chiesa sinfonica e sinodale.

    La propongo in particolare a voi, membri del Collegio Cardinalizio, nella consolante fiducia che abbiamo come maestro lo Spirito Santo – Lui è il protagonista –: maestro interiore di ognuno e maestro del camminare insieme.

    Lui crea la varietà e l’unità, Lui è la stessa armonia.

    San Basilio cerca una sintesi quando dice: “Ipse harmonia est”, Lui è la stessa armonia.

    Alla sua guida dolce e forte ci affidiamo, e alla custodia premurosa della Vergine Maria.

    Messaggio del Santo Padre per la Giornata Internazionale della consapevolezza sugli sprechi e le perdite alimentari (29 Set 2023)
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    A Sua Eccellenza
    il signor Qu Dongyu
    Direttore generale della FAO

    Eccellenza,

    Grazie per avermi dato l’opportunità di rivolgermi e salutare cordialmente tutti coloro che partecipano a questo incontro in occasione della celebrazione di questa Giornata Internazionale.

    Sono i poveri e i bisognosi di questo mondo, che raccolgono dai rifiuti il cibo che altri sprezzantemente sprecano e per il quale loro sospirano, ad avere oggi lo sguardo fisso su questa assemblea.

    Sono i giovani a chiederci apertamente di sradicare una volta per tutte i perniciosi effetti che la perdita e lo spreco di alimenti causano alle persone e al pianeta, e al contempo ci chiedono una maggiore consapevolezza, di modo che non si ripetano pratiche tanto dannose e nocive.

    Tuttavia, e sfortunatamente, la piaga della perdita e dello spreco di cibo è altrettanto preoccupante e funesta della tragedia della fame che affligge così crudelmente l’umanità.

    Cito questi due drammi insieme perché li considero uniti da un’unica radice di fondo: la cultura dominante che ha portato a snaturare il valore del cibo, riducendolo a mera merce di scambio.

    A ciò si aggiunge l’indifferenza generale verso le persone indigenti, tanto tangibile nella congiuntura attuale, come pure la scarsa cura che si riserva al creato, con le conseguenze nocive che ciò provoca ovunque.

    Tutti questi atteggiamenti, che si possono considerare radicati nell’egoismo umano, da un lato fanno sì che molti si sbarazzino, in modo irresponsabile e smodato, di beni primari e, dall’altro, a non indignarsi nel vedere che c’è ancora una moltitudine di persone che non dispone del necessario per vivere.

    Un egoismo che tra l’altro si traduce nell’attuale logica del lucro che regola i rapporti sociali e nello sfruttamento irrazionale e vorace delle risorse naturali.

    Tutti dobbiamo convincerci dell’urgenza di un cambiamento radicale di paradigma, perché non possiamo più limitarci a leggere la realtà in chiave economica o d’insaziabile guadagno.

    L’alimentazione ha un fondamento spirituale e la sua corretta gestione implica la necessità di adottare comportamenti etici.

    Quando parliamo di cibo, dobbiamo considerare il bene che più di qualsiasi altro garantisce il soddisfacimento del diritto fondamentale alla vita ed è alla base del dignitoso sostentamento di ogni persona.

    Pertanto, va trattato rispettando la sacralità che gli è propria, derivante dalla sacralità fondamentale di ogni persona, e che gli viene riconosciuta da molte tradizioni, culture e religioni.

    Ricordiamocelo sempre: il cibo garantisce la vita e non si può mai considerare un problema.

    Di fatto, è l’esistenza di ogni persona a fungere da proposito e stimolo per migliorare il nostro lavoro quotidiano.

    Perciò, non possiamo continuare a indicare la crescita della popolazione mondiale come la causa dell’incapacità della terra di alimentare tutti in modo sufficiente, perché in realtà i veri motivi che stanno alla base del proliferare della fame nel mondo sono la mancanza di una concreta volontà politica di ridistribuire i beni della terra, di modo che tutti possano beneficiare di ciò che la natura ci dà, e la deplorevole distruzione di cibo in funzione del beneficio economico.

    Lo spreco alimentare, una delle forme più gravi di generare rifiuti, mostra anche un arrogante disprezzo per tutto ciò che, in termini sociali e umani, sta dietro la produzione alimentare.

    Buttare alimenti nella spazzatura significa non dare valore al sacrificio, al lavoro, ai mezzi di trasporto e ai costi energetici impiegati per portare in tavola alimenti di qualità.

    Significa disprezzare quanti faticano ogni giorno nel settore agricolo, industriale e dei servizi, per offrire cibo che, perdendosi o finendo sprecato, non raggiunge il suo lodevole fine.

    Come porre fine alla perdita e allo spreco di cibo? Per raggiungere questo nobile obiettivo è necessario investire risorse finanziare, unire volontà, passare dalle mere dichiarazioni a una presa di decisioni lungimiranti e incisive.

    Ma soprattutto è imprescindibile rafforzare in noi la convinzione che il cibo gettato via è un affronto ai poveri.

    È il senso della giustizia verso i bisognosi a dover spingere tutti e ognuno a un categorico cambiamento di mentalità e di condotta.

    Ciò sta divenendo sempre più urgente, poiché bisogna riconoscere, e vorrei sottolinearlo, che il cibo che buttiamo nella spazzatura lo strappiamo ingiustamente dalle mani di quanti ne sono privi.

    Di quanti hanno diritto al pane quotidiano in virtù della loro inviolabile dignità umana.

    San Paolo lo aveva chiaro quando affermava che non si tratta di dare sollievo a quanti vivono in ristrettezze; si tratta di eguagliare.

    L’abbondanza di alcuni deve rimediare alla carenza di altri (cfr.

    2 Cor 8, 13-15).

    Lo sviluppo deve essere pertanto strettamente legato alla sobrietà di vita.

    Formano un binomio inscindibile.

    Occorre inoltre ravvivare in noi la consapevolezza della nostra appartenenza comune all’unica famiglia umana universale.

    Chi va a dormire a stomaco vuoto è nostro fratello.

    Condividere con lui quello che abbiamo è un imperativo sia di giustizia sia di quella solidarietà fraterna che nasce dai rapporti familiari.

    Mentre chiedo a Dio che la famiglia delle Nazioni torni a essere vera, torni a sentirsi quello spazio dove prevalgono la concordia, la generosità e l’aiuto reciproco e amorevole tra i fratelli, ringrazio vivamente l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura per tutte le iniziative e i programmi che porta avanti per porre fine alla perdita e allo spreco alimentari.

    Che Dio Onnipotente colmi i suoi lavori di copiosi doni celesti a beneficio di tutta l’umanità.

    Dal Vaticano, 29 settembre 2023

    Francesco

    ___________________________________________________

    L'Osservatore Romano, Anno CLXIII n.

    225, sabato 30 settembre 2023, p.

    16.

    Ai Membri dell'associazione "Familia da Esperança" (29 Set 2023)
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    Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

    Vi ringrazio di cuore della vostra visita.

    Quest’anno festeggiate con gioia e gratitudine i 40 anni da quando avete ricevuto il vostro carisma specifico, cioè l’avventura di presentare il Signore Risorto, origine e fine della nostra speranza, a quanti ne hanno bisogno.

    Ed è tanto bello questo vostro carisma: il carisma della speranza! Non dovete mai abbandonare questa vostra vocazione alla speranza, la più umile delle virtù teologali, ma la più quotidiana e la più “forte”.

    Nel Vangelo secondo Matteo, Gesù ci si presenta in questo modo: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (25,35-36).

    Con queste parole, il Signore si identifica con i nostri fratelli e sorelle più poveri, più bisognosi, più sofferenti.

    Quarant’anni or sono, il vostro carisma è nato dalla richiesta di aiuto di un giovane che voleva liberarsi dalla dipendenza dalla droga: in lui – e in tutti coloro che sono venuti dopo di lui – avete riconosciuto Cristo che vi diceva: ero schiavo della droga e mi avete accolto, per portarmi nuovamente la speranza e farmi capire che una nuova vita è possibile.

    La chiamata che Dio vi fa, di portare speranza a coloro che forse non hanno più un senso nella loro vita, è una chiamata ad amarlo incondizionatamente nelle persone che si trovano in situazioni di vulnerabilità sociale.

    Uno dei grandi problemi del mondo di oggi è l’indifferenza, “la seduzione dell’indifferenza”, come ho ricordato nell’Enciclica Fratelli tutti.

    Voi, invece, non siete rimasti indifferenti davanti al dolore che avete visto sul volto di tanti giovani, afflitti da grandi sofferenze esistenziali, soprattutto di quelli la cui vita era distrutta dalla droga e da altre dipendenze.

    Vi siete fatti “prossimi”, anzi “fratelli” di tante persone che avete raccolto per la strada e, come nella parabola del buon samaritano, li avete accompagnati per curarli, guarirli e aiutarli a ritrovare la loro dignità.

    Voi sapete bene che portare speranza significa non solo aiutare a sconfiggere i vizi, a superare i traumi, a ritrovare il posto nella famiglia e nella società.

    Ricordiamo parole di Papa Benedetto XVI, quando vi ha visitato a Guaratinguetá, nel 2007: «Il reinserimento nella società costituisce, senza dubbio, una dimostrazione dell’efficacia della vostra iniziativa.

    Però ciò che più desta l’attenzione, e conferma la validità del lavoro, sono le conversioni, il ritrovamento di Dio e la partecipazione attiva alla vita della Chiesa».

    Il vostro carisma della speranza, come dono suscitato in mezzo a voi dallo Spirito Santo, vi porta a prendervi cura delle persone nella loro integralità materiale e spirituale, corpo e anima.

    Questo carisma è affidato a tutti voi.

    I fondatori sono stati strumenti provvidenziali perché questo dono prendesse forma, si consolidasse, trovasse una sua collocazione nella Chiesa e raggiungesse tante persone.

    Dopo 40 anni, nella fedeltà all’ispirazione originaria, nuove persone sono chiamate ad assumersi la responsabilità di preservare e di far fruttificare questo patrimonio spirituale che il Signore vi ha affidato.

    Non bisogna aver paura di questa nuova fase.

    Vivetela con umiltà, con fiducia e preservando la comunione spirituale fra voi.

    E il Signore, che ha incominciato con voi questo cammino, vi resterà vicino e lo porterà a compimento.

    Sono grato a Dio e a voi della vostra testimonianza nelle diverse opere della vostra associazione, come per esempio le “Fazendas da Esperança”, sparse per tutto il territorio del Brasile e, dal 1998, presenti anche in altri Paesi.

    E sono molto riconoscente anche per il lavoro che fate con sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose, aiutandoli a superare le sfide e i problemi di ordine psicologico che colpiscono alcune persone consacrate a Dio.

    Avanti con questo bel lavoro, che è tanto necessario alla Chiesa!

    Cari amici, vi auguro ogni bene per il vostro cammino sulla via della speranza.

    La Vergine Maria vi accompagni.

    Benedico di cuore la vostra grande Famiglia e la vostra missione.

    E vi chiedo per favore di pregare per me.

    Grazie!

    Udienza Generale del 27 Set 2023 - Catechesi. Il viaggio apostolico a Marsiglia in occasione dei “Rencontres Méditerranéennes”
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    Catechesi.

    Il viaggio apostolico a Marsiglia in occasione dei “Rencontres Méditerranéennes”

    Cari fratelli e sorelle!

    Alla fine della scorsa settimana mi sono recato a Marsiglia per partecipare alla conclusione dei Rencontres Méditerranéennes, che hanno coinvolto Vescovi e Sindaci dell’area mediterranea, insieme con numerosi giovani, perché lo sguardo fosse aperto al futuro.

    In effetti, l’evento di Marsiglia era intitolato “Mosaico di speranza”.

    Questo è il sogno, questa è la sfida: che il Mediterraneo recuperi la sua vocazione, di essere laboratorio di civiltà e di pace.

    Il Mediterraneo, lo sappiamo, è culla di civiltà, e una culla è per la vita! Non è tollerabile che diventi una tomba, e nemmeno un luogo di conflitto.

    Il Mare Mediterraneo è quanto di più opposto ci sia allo scontro tra civiltà, alla guerra, alla tratta di esseri umani.

    È l’esatto opposto, perché il Mediterraneo mette in comunicazione l’Africa, l’Asia e l’Europa; il nord e il sud, l’oriente e l’occidente; le persone e le culture, i popoli e le lingue, le filosofie e le religioni.

    Certo, il mare è sempre in qualche modo un abisso da superare, e può anche diventare pericoloso.

    Ma le sue acque custodiscono tesori di vita, le sue onde e i suoi venti portano imbarcazioni di ogni tipo.

    Dalla sua sponda orientale, duemila anni fa, è partito il Vangelo di Gesù Cristo.

    [Il suo annuncio] naturalmente non avviene per magia e non si realizza una volta per tutte.

    È il frutto di un cammino in cui ogni generazione è chiamata a percorrere un tratto, leggendo i segni dei tempi in cui vive.

    L’incontro di Marsiglia è venuto dopo quelli simili svoltisi a Bari nel 2020 e a Firenze l’anno scorso.

    Non è stato un evento isolato, ma il passo in avanti di un itinerario, che ebbe i suoi inizi nei “Colloqui Mediterranei” organizzati dal Sindaco Giorgio La Pira, a Firenze, alla fine degli anni ’50 del secolo scorso.

    Un passo avanti per rispondere, oggi, all’appello lanciato da San Paolo VI nella sua Enciclica Populorum progressio, a promuovere «un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri» (n.

    44).

    Dall’evento di Marsiglia che cosa è uscito? È uscito uno sguardo sul Mediterraneo che definirei semplicemente umano, non ideologico, non strategico, non politicamente corretto né strumentale, umano, cioè capace di riferire ogni cosa al valore primario della persona umana e della sua inviolabile dignità.

    Poi nello stesso tempo è uscito uno sguardo di speranza.

    Questo è oggi molto sorprendente: quando ascolti i testimoni che hanno attraversato situazioni disumane o che le hanno condivise, e proprio da loro ricevi una “professione di speranza”.

    E anche è uno sguardo di fraternità.

    Fratelli e sorelle, questa speranza, questa fraternità, non deve “volatilizzarsi”, no, al contrario deve organizzarsi, concretizzarsi in azioni a lungo, medio e breve termine.

    Perché le persone, in piena dignità, possano scegliere di emigrare o di non emigrare.

    Il Mediterraneo deve essere un messaggio di speranza.

    Ma c’è un altro aspetto complementare: occorre ridare speranza alle nostre società europee, specialmente alle nuove generazioni.

    Infatti, come possiamo accogliere altri, se non abbiamo noi per primi un orizzonte aperto al futuro? Dei giovani poveri di speranza, chiusi nel privato, preoccupati di gestire la loro precarietà, come possono aprirsi all’incontro e alla condivisione? Le nostre società tante volte ammalate di individualismo, di consumismo e di vuote evasioni hanno bisogno di aprirsi, di ossigenare l’anima e lo spirito, e allora potranno leggere la crisi come opportunità e affrontarla in maniera positiva.

    L’Europa ha bisogno di ritrovare passione ed entusiasmo, e a Marsiglia posso dire che li ho trovati: nel suo Pastore, il Cardinale Aveline, nei preti e nei consacrati, nei fedeli laici impegnati nella carità, nell’educazione, nel popolo di Dio che ha dimostrato grande calore nella Messa allo Stadio Vélodrome.

    Ringrazio tutti loro e il Presidente della Repubblica, che con la sua presenza ha testimoniato l’attenzione della Francia intera all’evento di Marsiglia.

    Possa la Madonna, che i marsigliesi venerano come Notre Dame de la Garde, accompagnare il cammino dei popoli del Mediterraneo, perché questa regione diventi ciò che da sempre è chiamata a essere: un mosaico di civiltà e di speranza.

    _______________________________________________________

    Saluti

    Je salue cordialement les pèlerins de langue française.

    Chers frères et sœurs, l’Europe a besoin de retrouver la passion et l’enthousiasme que j’ai trouvés à Marseille, chez son Pasteur, chez les prêtres, les consacrés et les nombreux fidèles engagés dans la charité et l’éducation.

    Puisse Notre Dame de la Garde, vénérée par les Marseillais, accompagner le chemin des peuples de la Méditerranée afin que cette région devienne ce qu’elle est appelée à être : une mosaïque de civilisation et d’espérance.

    Que Dieu vous bénisse !

    [Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese.

    Cari fratelli e sorelle, l'Europa ha bisogno di ritrovare la passione e l'entusiasmo che ho trovato a Marsiglia, con il suo Pastore, i sacerdoti, le persone consacrate e i tanti fedeli impegnati nella carità e nell'educazione.

    Notre Dame de la Garde, venerata dai marsigliesi, accompagni i popoli del Mediterraneo nel loro cammino, affinché questa regione diventi ciò che è chiamata ad essere: un mosaico di civiltà e di speranza.

    Dio vi benedica!]

    I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from Norway, The Netherlands, South Africa, India, Indonesia, the Philippines, Canada and the United States of America.

    My special greeting goes to the diaconate class of the Pontifical North American College, together with their families and friends.

    Upon all of you I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ.

    God bless you!

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Norvegia, Paesi Bassi, Sud Africa, India, Indonesia, Filippine, Canada e Stati Uniti d’America.

    Rivolgo un saluto particolare ai candidati al diaconato del Pontificio Collegio Americano del Nord, insieme ai loro famigliari ed amici.

    Su tutti voi invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo.

    Dio vi benedica!]

    Liebe Brüder und Schwestern, heute begehen wir den Gedenktag des heiligen Vinzenz von Paul, der sich, angetrieben von der Liebe zu Christus, für die Menschen am Rande der Gesellschaft eingesetzt hat.

    Sein Beispiel sporne auch uns an, den notleidenden Brüdern und Schwestern nahe zu sein.

    [Cari fratelli e sorelle, oggi celebriamo la memoria liturgica di San Vincenzo de’ Paoli che, mosso dall’amore per Cristo, si è impegnato in favore degli emarginati della società.

    Il suo esempio sproni anche noi ad essere vicini ai fratelli bisognosi.]

    Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española.

    Pidamos a María, Consuelo de los Migrantes, que acompañe el camino de los pueblos del Mediterráneo, para que entre todos construyamos un mosaico de esperanza y fraternidad.

    Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.

    Muchas gracias.

    Dou as boas-vindas a todos os peregrinos de língua portuguesa presentes na Audiência de hoje.

    O Senhor Jesus, ao confiar-nos o seu Evangelho, fez de nós portadores da luz e semeadores da esperança.

    Neste mundo continua a faltar uma maior consciência de que Deus é Pai de todos.

    Por isso, não renunciemos à nossa vocação e continuemos, com criatividade, a anunciar a Boa Nova.

    Deus vos abençoe.

    [Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua portoghese presenti all’odierna Udienza.

    Il Signore Gesù, affidandoci il suo Vangelo, ci ha fatto portatori della luce e seminatori della speranza.

    In questo mondo manca ancora una più grande consapevolezza di Dio come Padre di tutti.

    Perciò, non rinunciamo alla nostra vocazione e portiamo avanti, con creatività, l’annuncio della Buona Novella.

    Dio vi benedica.]

    أُحَيِّي المؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللّغَةِ العربِيَّة، وخاصَّةً أعضاءَ المركِزِ الكاثوليكيّ لِلدِراساتِ والإعلام، القادِمينَ مِن الأردن.

    في وسطِ الصُّعوباتِ الَّتي يعيشُها عالَمُ اليوم، تَبقَى كلمةُ اللهِ المَلاذَ الآمِنَ الوحيد، والهادِية، وينبوعَ القُوَّةِ اللازمة، لِمُواجَهَةِ تحديّاتِ الحياةِ بالرَّجاء.

    باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

    [Saluto i fedeli di lingua araba, in particolare quelli del Centro Cattolico di Studi e Media, provenienti dalla Giordania.

    In mezzo alle difficoltà in cui vive il mondo di oggi, la parola di Dio rimane l’unico approdo sicuro, la guida e la fonte del vigore necessario, per affrontare, con speranza, le sfide della vita.

    Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

    Serdecznie witam pielgrzymów polskich.

    W minioną niedzielę obchodzony był Światowy Dzień Migranta i Uchodźcy pod hasłem: „Wolni, aby wybrać - migrować, czy pozostać”.

    Pamiętajcie nadal o waszych braciach i siostrach z Ukrainy, zmuszonych do opuszczenia swojej ojczyzny ogarniętej wojną, szukających pomocy, schronienia i życzliwości w waszym kraju.

    Okazujcie im ewangeliczną gościnność.

    Niech Bóg wam błogosławi.

    [Saluto cordialmente i pellegrini polacchi.

    Domenica scorsa è stata celebrata la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato il cui tema era: “Liberi di scegliere se migrare o restare”.

    Ricordatevi dei vostri fratelli e sorelle dell’Ucraina, costretti a lasciare la propria patria, afflitta dalla guerra, che cercano l’aiuto, il rifugio e la benevolenza nel vostro Paese.

    Manifestate loro l’accoglienza evangelica.

    Dio vi benedica.]

    Srdečně vítám poutníky z České republiky, kteří přijeli do Říma při příležitosti svátku svatého Václava, a zvláště zdravím sbor Ondášek.

    Kéž vám příklad hlavního patrona českého národa, který byl velkým svědkem víry, pomůže uchovat vaše duchovní dědictví a předat je vašim dětem! Žehnám vám i vašim rodinám.

    Pochválen buď Ježíš Kristus!

    [Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini della Repubblica Ceca, giunti a Roma in occasione della festa di San Venceslao, in particolare saluto il coro dei ragazzi Ondášek.

    L’esempio del Patrono principale della Nazione ceca, che fu grande testimone della fede, vi aiuti a custodire la vostra eredità spirituale e a tramandarla ai vostri figli! Benedico voi e le vostre famiglie.

    Sia lodato Gesù Cristo!]

    * * *

    Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

    In particolare, saluto gli alunni dell’Istituto Visconti-Gonzaga di Palermo, i fedeli di Petronà e di Siracusa.

    Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli.

    L’odierna memoria liturgica di San Vincenzo de’ Paoli ci ricorda la centralità dell’amore del prossimo.

    Esorto ciascuno a coltivare l’atteggiamento di attenzione agli altri e di apertura a quanti hanno bisogno di voi.

    A tutti la mia Benedizione.

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